C.G.A.Sicilia, 31 dicembre 2019, n. 1100

Dal combinato disposto degli artt. 112 co. 5 e 114 co. 7 c.p.a. deriva che l’istanza di chiarimenti proposta dal commissario ad acta non è qualificabile come azione di ottemperanza in senso tecnico-giuridico. Ciò non toglie, tuttavia, che la decisione del giudice dell’ottemperanza intervenuta sul punto resti assoggettata al fisiologico regime impugnatorio tipico delle pronunce giurisdizionali, consentendo l’esperibilità dell’appello unicamente quando “i chiarimenti” hanno contenuto decisorio.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 160 del 2016, proposto dai signori
Antonino Belardo, Anna Maria Belardo, rappresentati e difesi dall'avvocato Aldo Tigano, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessandra Allotta in Palermo, via Trentacoste n. 89;

contro

Comune di Furnari non costituito in giudizio;

nei confronti

Lucia Munafò non costituita in giudizio

per la riforma

dell'ordinanza collegiale del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (Sezione Prima) n. 2667/2015

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli artt. 35, comma 1, 38 e 85, comma 9, cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2019 il Cons. Maria Immordino e udito per le parti l’avvocato Aldo Tigano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.E’stata impugnata con l’appello in epigrafe l’ordinanza del TAR Sicilia, Sezione staccata di Catania, n. 2667/2015, sul ricorso n.r.g. 2150/2013, proposto dagli eredi della signora Antonina lo Presti contro il Comune di Furnari e nei confronti della signora Lucia Munafò, che ha respinto il reclamo avverso l’ordinanza dello stesso TAR n. 1098/2015 che, pronunciandosi sulla richiesta di chiarimenti formulata dal Commissario ad acta in sede di esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 2044/2011 dello stesso TAR Catania, ha affermato che oggetto del giudicato è soltanto l’annullamento giurisdizionale della c. e. n. 12 del 29 giugno 2006 rilasciata alla signora Munafò per la realizzazione di un terzo piano di un edificio esistente, con la conseguenza che l’attività di esecuzione del giudicato comporta la rimozione delle opere realizzate in virtù della predetta illegittima concessione edilizia e non di quelle realizzate in forza della precedente c. e. n. 7/1993, rilasciata alla stessa signora Munafò e successivamente annullata d’ufficio dalla stessa amministrazione comunale, cui spetterà valutare la corrispondenza di tali opere nell’ambito dei controlli di regolarità edilizia.

1.1.In particolare, il Giudice adito con l’istanza “di riesame e correzione” della suindicata ordinanza n. 1098/2015, ha statuito con l’appellata ordinanza n. 2667/2015 che, contrariamente a quanto affermato dalle parti, nel caso di specie non sono state violate le garanzie partecipative dei ricorrenti per mancata notifica dell’istanza di chiarimenti e ciò in quanto: a) la parte ricorrente ha ricevuto avviso dell’udienza camerale del 12 marzo 2015 fissata per l’esame della richiesta di chiarimenti avanzata dal commissario; b) a quell’udienza la parte era rappresentata dall’avvocato difensore, tramite un delegato, che non ha mosso alcun rilievo né sull’an dell’istanza, né sul suo contenuto, accettando di fatto il contraddittorio sulla questione.

La notifica dell’istanza di chiarimenti avanzata dal Commissario, secondo il TAR adito non era in ogni caso necessaria, considerato che l’ausiliario che si rivolge al giudice per ottenere chiarimenti ai sensi dell’art. 114, comma 7 c.p.a. non propone un ricorso ai sensi dell’art. 112, comma 5 per il quale è obbligatoria la notifica. Come chiarito dal Consiglio di Stato (sez. IV, n. 6468/2012) l’istanza di chiarimenti del Commissario ad acta ai sensi dell’art. 114, comma 7, non è azione di ottemperanza, sicché non richiede notifica.

Nel merito il Giudice adito ha chiarito che il provvedimento collegiale, ancorché assunto nella forma dell’ordinanza, ha contenuto decisorio nella misura in cui delinea i confini del giudicato nascente dalle precedenti sentenze del TAR, con la conseguenza che il rimedio esperibile nel caso di eventuali errori che inficiano la stessa ordinanza n.1098/2015 è l’appello ai sensi dell’art. 114, commi 8 e 9 del c.p.a., e non il reclamo.

2. Avverso tale ordinanza è stato presentato l’appello in epigrafe.

All’udienza pubblica del 25/09/2019 il collegio ha rilevato d'ufficio la tardiva impugnazione dell'ordinanza n. 1098/15 del TAR Sicilia, Sezione di Catania. Su istanza di parte il collegio ha rinviato la trattazione della causa all'udienza dell’11/12/2019.

Infine, all'udienza dell’11/12/2019, fissata per la discussione conclusiva sul merito dell’appello nessuna delle parti è presente. La causa è stata trattenuta per la decisione.

2.1. L’appello contesta l’erroneità in punto di diritto, e l’ingiustizia in punto di fatto, dell’ordinanza n. 2667/2015 oggetto dell’appello in epigrafe e, di quella antecedente, la n. 1098/2015.

L’appellante, con i motivi dedotti in appello, che possono essere esaminati congiuntamente, lamenta, in particolare, l’ingiustizia dell’impugnata ordinanza che, interpretando erroneamente il disposto di cui all’art.112, comma 5 e all’art. 114, comma 7 c.p.a., ha ritenuto la stessa non configurabile come azione di ottemperanza, bensì istanza dell’ausiliario del giudice, e che, pertanto, non va notificata, diversamente dall’istanza di chiarimenti della parte ai sensi dell’art. 112, comma 5 c.p.a. Viene, altresì, stigmatizzata sia la contraddizione in cui sarebbe incorso il Giudice adito con l’ordinanza impugnata, allorché, da un lato, afferma la natura decisoria della suddetta ordinanza, con la conseguenza che il rimedio avverso la stessa è l’appello e non il reclamo, dall’altro che la stessa non andava notificata, sicché ne emerge la natura non decisoria, con la conseguenza che il rimedio deve essere il reclamo e non l’appello; sia la violazione delle disposizioni costituzionali e legislative sul giusto processo, per difetto di contraddittorio.

3. Le doglianze non sono condivisibili.

Osserva il Collegio che, in forza di una interpretazione letterale e sistematica, l’istanza di chiarimenti del commissario ad acta, indicata solo nell’art. 114 comma 7 mediante richiamo all’art. 112 comma 5, non può essere qualificata come “azione di ottemperanza”, sicché la stessa non va notificata alle parti; a garanzia del contraddittorio e, quindi del principio del giusto processo, è sufficiente che le parti ne abbiano avuto conoscenza mediante la comunicazione d’ufficio della data della camera di consiglio fissata per l’esame della stessa. Nella fattispecie in oggetto non soltanto le parti ne hanno avuto comunicazione, ma la stessa parte odierna appellante era presente all’udienza camerale di esame della istanza del commissario ad acta, attraverso il difensore. Né vale, al riguardo, obiettare che il difensore era presente attraverso un proprio delegato, poiché anche ad ammettere che lo stesso difettasse di elementi sul contenuto dell’ordinanza in discussione, nessun dubbio che il delegato avrebbe dovuto successivamente riferire al difensore costituito della parte appellante sul contenuto dell’istanza.

Quanto ai rimedi esperibili, la circostanza che il giudice adito si pronunci su una istanza di chiarimenti del commissario ad acta, che non è in senso proprio una azione di ottemperanza, non significa che il rimedio esperibile sia il reclamo, come sostiene l’appellante. Il reclamo al medesimo giudice costituisce, infatti, un rimedio “nominato” ed è ancorato a presupposti ben individuati: ha per oggetto “gli atti del commissario ad acta” e non i provvedimenti del giudice dell’ottemperanza. Contro gli atti del giudice dell’ottemperanza sono previste le impugnazioni, delle parti o dei terzi, ovviamente se ed in quanto siano atti “decisori”. Se sono meramente “ordinatori” non sono impugnabili, se non unitamente alla decisione finale (Cons. St., sez. IV, n.2141/2018).

In particolare va rilevato, con specifico riferimento alla appellabilità o meno della decisione di chiarimenti resa ai sensi dell’art. 112, comma 5, c.p.a., che appare decisivo accertare, volta per volta, quale sia il contenuto effettivo del provvedimento (indipendentemente dalla veste formale di ordinanza o sentenza) adottato dal Giudice in sede di ottemperanza e, segnatamente, in occasione della risposta a chiarimenti da chiunque, ausiliario o parte, richiesti.

Secondo il Consiglio di Stato (sez. IV, n. 2641/2018), ferma restando la regola generale della impugnabilità di tutte le decisioni rese dal giudice di primo grado in sede di ottemperanza (il c.p.a. che non ha previsto, in parte qua, alcuna ipotesi di inappellabilità), vale anche per le decisioni rese ai sensi dell’art. 112 comma 5 c.p.a. il principio secondo cui non sono appellabili le statuizioni rese in primo grado nell’ambito di un giudizio di ottemperanza che, essendo prive di natura decisoria definitiva, abbiano effetti meramente esecutivi e dunque sostanzialmente ordinatori.

Si tratta di un orientamento pienamente condivisibile, coerente con i principi frequentemente affermati dalla Corte di Cassazione (ss. uu. n. 2610/2017) circa la non impugnabilità, salvo che non sia diversamente disposto dalla legge, dei provvedimenti non decisori e comunque non definitivi.

Tali sono quei provvedimenti che hanno indole meramente esecutiva, “sempre revocabili, reiterabili e soprattutto destinati ad essere cristallizzati solo con la sentenza che chiude definitivamente il giudizio di esecuzione, questa si certamente appellabile” (Cons. St., sez. IV, n. 1759/2018).

Ciò posto, nella fattispecie in oggetto, il giudice, nel rispondere a una richiesta di chiarimenti formulata dal commissario ad acta, ha interpretato il giudicato da eseguire, sicché ha reso un provvedimento decisorio. Il rimedio è in conseguenza di ciò l’appello, non essendo previsto il rimedio del reclamo al medesimo giudice contro i provvedimenti del giudice dell’ottemperanza.

Sulla base delle osservazioni che precedono la “ordinanza” del Tar Catania 2667/15 è corretta e va pertanto confermata.

4. Per quanto concerne l’appello avverso l’ordinanza del TAR Sicilia, Sezione di Catania n. 1098 del 2015, già oggetto di reclamo respinto, all’udienza pubblica del 25/09/2019 il collegio ne ha già rilevato d'ufficio la tardività dell’appello, in quanto spedito per la notifica il 18/02/2016, laddove l’ordinanza è del 23/04/2015.

Il termine lungo per la notifica dell’appello nei riti camerali di cui all’art. 87 c.p.a., comma 3, è infatti dimezzato da sei a tre mesi dal deposito. E anche ad accedere alla diversa tesi, pure sostenuta, che il termine lungo sarebbe sei mesi, il ricorso di appello avverso l’ordinanza suindicata sarebbe comunque tardivo.

Secondo il Collegio difettano, inoltre, i presupposti per la concessione dell’errore scusabile di cui all’art. 37 c.p.a. (per aver la parte ritenuto che il rimedio fosse il reclamo e così perso il termine per l’appello), perché non vi sono oggettive ragioni di incertezza dipendenti dalla oscurità del testo legislativo, né esiste al riguardo una oscillazione della giurisprudenza: nessuna norma del rito dell’ottemperanza contempla, contro le decisioni del giudice dell’ottemperanza, il rimedio del reclamo al medesimo giudice, né il rimedio proposto dalla parte e qualificato come “istanza di riesame e correzione”.

Per completezza espositiva il Collegio osserva che nel merito l’appello è comunque infondato.

L’ordinanza 1098/2015 reca una corretta esegesi del giudicato; avendo lo stesso ad oggetto l’annullamento della c. e. del 2006, è chiaro che oggetto di ottemperanza sono solo le opere realizzate in virtù della suddetta c. e. Con la logica conseguenza che in presenza di opere diverse, alcune realizzate in base alla c. e. del 1993 e alcune in base alla c. e. del 2006, vanno demolite solo le seconde e non anche le prime (per le quali, essendo la c. e. del 1993, resta fermo l’obbligo del Comune di provvedere d’ufficio). Ove poi vi fosse coincidenza tra le opere realizzate in base alla c. e. del 1993 e di quella del 2006, giacché la c. e. del 1993 è stata annullata d’ufficio e dunque le opere realizzate sono prive di titolo, e hanno ricevuto il titolo di realizzazione con la c. e. del 2006, è chiaro in fatto che si tratta di opere realizzate in base alla c. e. del 2006 anche se in ipotesi fattuale realizzate prima della stessa concessione e dunque sanate con la medesima, sicché devono essere demolite a seguito dell’annullamento della c. e. del 2006 secondo quanto prescrive la sentenza n. 2044 del 2011, passata in giudicato.

In conclusione l’appello in epigrafe avverso l’ordinanza 2667/2015 del TAR Sicilia, Sezione di Catania è infondato e, pertanto, va respinto. L’appello avverso l’ordinanza n. 1098/2015, che costituisce il presupposto dell’ordinanza n. 2667/2015, è irricevibile per tardività dell’impugnazione e, in ogni caso, infondato nel merito.

Nulla per le spese in difetto di costituzione delle parti resistenti e controinteressate.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, dichiara infondato l’appello avverso l’ordinanza 2667/2015 del TAR Sicilia, Sezione di Catania. Dichiara irricevibile l’appello avverso l’ordinanza n. 1098/2015 del TAR Sicilia, Sezione di Catania per tardività dell’impugnazione e, in ogni caso, infondato nel merito.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

 

Guida alla lettura

La pronuncia in commento risulta di interesse perché si pone sulla scia della recente sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 9 maggio 2019, n. 7, contribuendo a delineare il perimetro applicativo della cd. ottemperanza per chiarimenti. All’interno del codice del processo amministrativo, la sua disciplina trova definizione agli artt. 112 co. 5 e 114 co. 7 D. Lgs. n. 104/2010. Precisamente, tale rimedio è proponibile sia dalla parti che dal commissario ad acta, “al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza”.

Prima di procedere all’analisi dei profili problematici sollevati da questo istituto, con particolare riferimento a quelli contenuti nella pronuncia in commento, è opportuno premettere qualche breve considerazione sul giudizio di ottemperanza in generale. Nonostante questo rimedio abbia radici profonde, risalenti, addirittura, al 1889, quando, con la legge Crispi, fu istituita la IV sezione del Consiglio di Stato, con funzioni non già meramente consultive bensì giurisdizionali, soltanto con il D.Lgs. 104/2010 si è arrivati alla definizione di una disciplina organica. Dal combinato disposto degli artt. 112, 114 e 134 c.p.a., infatti, si comprende come il legislatore abbia delineato il giudizio di ottemperanza come un processo che va ben al di là del processo esecutivo civile, sancendone la natura di giurisdizione estesa al merito, concedendo al giudice amministrativo finanche il potere di sostituirsi alla amministrazione, per il tramite del cd. commissario ad acta. Tanto è stato confermato dalla stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, nella nota pronuncia n. 2/2013, ha riconosciuto la natura peculiare del rito dell’ottemperanza, come giudizio misto di esecuzione e cognizione, data la sua attitudine integrativa-specificativa delle statuizioni giurisdizionali epilogo del giudizio di cognizione, anche alla luce delle sopravvenienze di fatto e di diritto, come compiutamente chiarito dalle successive sentenze n. 11/2016 e 2/2017 dell’Adunanza Plenaria. Tanto vale, a maggior ragione, per quelle statuizioni di carattere strumentale che l’ordinamento attribuisce al giudice dell’ottemperanza, come il potere di conoscere delle questioni inerenti gli atti del commissario ad acta (art. 114 co. 6 c.p.a.) e quello di fornire chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza, come confermato di recente dalla sent. Ad. Plen. n. 7/2019 cit.

Delineate così le coordinate normative rilevanti per il caso di specie, si può passare alla disamina della pronuncia n. 1100/2019 del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana che sembra diversificare la natura giuridica dell’ottemperanza per chiarimenti a seconda della “parte” che propone la relativa istanza. Argomentando letteralmente dal combinato disposto degli artt. 112 co. 5 e 114 co. 7 c.p.a., infatti, il CGA rileva come la sua proposizione da parte del commissario ad acta, essendo richiamata unicamente all’art. 114 co. 7 c.p.a., non può essere qualificata come azione di ottemperanza, almeno in senso proprio. Di qui, la mancata necessità di una sua (previa) notifica alle altre parti del giudizio. In disparte da ciò, quanto all’emendabilità della decisione intervenuta sui chiarimenti richiesti dal commissario ad acta, secondo la pronuncia in commento occorre verificarne il contenuto per distinguere il relativo regime di impugnazione. Soltanto se di tipo decisorio, infatti, la pronuncia del giudice è suscettibile di impugnazione mediante appello. Diversamente, ovvero per ogni decisione che abbia effetti “meramente esecutivi e dunque sostanzialmente ordinatori”, è esclusa l’immediata impugnazione, che confluisce, allora, nell’impugnazione congiunta alla statuizione avente natura decisoria definitiva. Ad avviso della giurisprudenza amministrativa intervenuta sul punto, devono intendersi per tali quei provvedimenti “sempre revocabili, reiterabili e soprattutto destinati ad essere cristallizzati solo con la sentenza che chiude definitivamente il giudizio di esecuzione, questa sì certamente appellabile” (in termini, Cons. di Stato, sez. IV, sent. n. 1759/2018).

Né all’uopo può soccorrere l’istituto del reclamo di cui all’art. 114 co. 6 c.p.a., rimedio nominato, in quanto tale esperibile unicamente avverso gli atti del commissario ad acta e non, perciò, nei confronti delle decisioni del giudice dell’ottemperanza, siano esse in forma di ordinanza ovvero di sentenza, la pronuncia resa in sede di chiarimenti.

Il risultato interpretativo cui perviene il Consiglio di Giustizia Amministrativa nella pronuncia in commento è condiviso dall’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa e civile sulla non impugnabilità dei provvedimenti giurisdizionali privi di natura decisoria e, comunque, non definitivi, salvo che la legge non disponga diversamente (vd. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 2641/2018; id. sent. n. 1759/2018 cit.; Cass. Civ. Sez. Un., sent. n. 2610/2017).

Ebbene, se con  riferimento al caso concreto sottoposto al suo esame, il CGA conclude per la natura decisoria della pronuncia resa dal giudice sull’istanza di chiarimenti avanzata dal commissario ad acta, è possibile rilevare qualche criticità nel percorso argomentativo seguito dalla sentenza in commento. Anche, e soprattutto, alla luce dello statuto giuridico del giudizio di ottemperanza scolpito nel recente passato dall’Adunanza Plenaria (sent. n. 2/2013, n. 11/2016, n. 2/2017 e, da ultimo, n. 7/2019), non si comprende perché la richiesta di chiarimenti, quando avanzata dal commissario ad acta, sia priva della natura di azione di ottemperanza, almeno in senso tecnico-giuridico. Se è vero, come è vero, che questo giudizio ha volto composito, di esecuzione con segmenti cognitori, costituente rimedio naturale per il dominio delle sopravvenienze, non si vede ragione per escludere l’istituto dei chiarimenti dall’alveo degli strumenti idonei a contribuire alla completa formazione del giudicato.