il punto della situazione

1. Introduzione. Definizione di Project financing e inquadramento giuridico; 2. Project financing: non vi è responsabilità precontrattuale se non si è giunti all’aggiudicazione definitiva. 3.La divergenza tra i buoni propositi e la realtà di mercato: considerazioni finali alla luce dell’assetto attuale

  1. Introduzione. Definizione di Project financing e inquadramento giuridico

Il project financing o finanza di progetto rappresenta una delle possibili modalità di cooperazione tra interesse pubblico e interesse privato. In linea generale, consiste nel finanziamento di un progetto in grado di generare, nella fase di gestione, flussi di cassa sufficienti a rimborsare il debito contratto per la sua realizzazione e remunerare il capitale di rischio. Si tratta, dunque, di una modalità contrattuale, di finanziamento strutturato, utilizzato anche per alcune operazioni di partenariato pubblico privato[1].

Il project financing affonda le proprie radici nell’economia aziendale[2], ossia è “un’operazione di finanziamento di una particolare unità economica, nella quale un finanziatore è soddisfatto di considerare fin dallo stato iniziale il flusso di cassa dell’unità economica in oggetto, come la sorgente di fondi che consentirà il rimborso del prestito e le attività dell’unità economica come garanzia collaterale del prestito”.

A ben vedere, il project financing è più di una semplice tecnica di finanziamento: si tratta piuttosto di un metodo di realizzazione di progetti infrastrutturali di ampia portata, finora prerogativa esclusiva dello Stato, attraverso il concorso del capitale privato. Sul punto, l’Autorità di vigilanza aveva già rilevato che il project financing “inteso come un originale sistema di impulso per la realizzazione delle opere pubbliche, rappresenta anche per gli enti pubblici uno strumento cui ricorrere necessariamente, stante il preoccupante divario esistente in termini finanziari tra disponibilità del settore pubblico e fabbisogno per opere infrastrutturali ad uso della collettività[3].

Nella procedura di project financing, il soggetto privato, in qualità di “promotore”, coinvolge partners industriali e bancari; si impegna a realizzare una infrastruttura pubblica, o di pubblica utilità, sostenendo, almeno in parte, il costo, e traendo la propria remunerazione dalla successiva gestione dell’opera. Quindi, il project financing quale modalità “alternativa” di affidamento della concessione, non sussumibile in una categoria contrattuale tipica[4], si caratterizza proprio in quanto il promotore svolge una funzione fondamentale e decisiva di individuazione e di proposta di opere pubbliche o di pubblica utilità realizzabili attraverso il ricorso alla concessione di costruzione e gestione, iniziativa che deve riguardare, rigorosamente, lavori pubblici o di pubblica utilità «inseriti negli strumenti di programmazione formalmente approvati dall’amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente» (art. 183 d.lgs. n. 50/2016)[5].

Il progetto eventualmente proposto da un operatore economico privato è valutato principalmente in base alla sua capacità di generare flussi di cassa; posto che i medesimi rappresentano la garanzia primaria sia per il rimborso del finanziamento sia per la remunerazione del capitale di rischio[6]. Per tale ragione, dal campo di applicazione del project financing si suole escludere le c.d. opere fredde, ossia progetti in cui il concessionario fornisce direttamente servizi all’amministrazione: iniziative - carceri, ospedali, scuole - per le quali il soggetto privato che le realizza e gestisce trae la propria remunerazione esclusivamente da pagamenti effettuati dalla P.A; al contrario, il project financing si addice maggiormente alla realizzazione di opere c.d. calde, ossia i progetti dotati di un’intrinseca capacità di generare reddito attraverso flusso di cassa generato dallo sfruttamento dell’opera realizzata.

In Italia l’interesse verso tale strumento è sorto a partire dagli anni ottanta quando vi è stata una notevole riduzione delle risorse finanziarie pubbliche. L’utilizzo di tale modello di finanziamento consentiva, infatti, alle pubbliche amministrazioni di focalizzarsi sugli aspetti regolatori, tralasciando gli oneri relativi al finanziamento[7].

In particolare, la disciplina del project financing è stata oggetto di numerosi interventi normativi. Con la legge Merloni-ter (n. 415/1998) è stato disciplinato per la prima volta nel nostro ordinamento il suddetto istituto come strumento per la realizzazione di opere pubbliche. Successivamente, il D.lgs. 163/2006 ha inquadrato il project financing nel sistema del codice, mediante una specifica indicazione delle disposizioni applicabili. Significative modifiche all’istituto, finalizzate allo snellimento delle procedure, sono intervenute con il D.lgs. n. 113/2007 e, conseguentemente, il D.lgs. n. 152/2008 ha revisionato in modo organico la disciplina della finanza di progetto, che è stata condensata nell’articolo 153 del D.lgs n. 163/2006[8].

Nell’attuale panorama normativo la norma precipuamente dedicata alla finanza di progetto è l’articolo 183 del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (“Codice dei contratti pubblici”), in forza del quale “per la realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilita’, […], le amministrazioni aggiudicatrici possono, in alternativa all’affidamento mediante concessione ai sensi della parte III, affidare una concessione ponendo a base di gara il progetto di fattibilità, mediante pubblicazione di un bando finalizzato alla presentazione di offerte che contemplino l’utilizzo di risorse totalmente o parzialmente a carico dei soggetti proponenti. In ogni caso per le infrastrutture afferenti le opere in linea, è necessario che le relative proposte siano ricomprese negli strumenti di programmazione approvati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti”.

Una peculiare tipologia di project financing è quello su istanza di parte ove un operatore economico propone ad una pubblica amministrazione un progetto di fattibilità volto a promuovere la realizzazione e gestione di un servizio o di un’opera che si assume di interesse pubblico. Tali progetti e proposte ovviamente devono essere valutate dall’amministrazione interessata, in ordine alla effettiva convenienza e rispondenza agli indirizzi programmatici e alle esigenze pubbliche di cui la medesima si fa portatrice[9].

Per l’effetto, l’amministrazione, chiamata a valutare se la proposta incontra o meno il pubblico interesse[10] perseguito, gode di discrezionalità amministrativa. Anzi, il leitmotiv delle valutazioni dall’amministrazione procedente, nell’ambito delle procedure di project financing, è proprio la presenza di discrezionalità, sia di tipo tecnico (in relazione alle complesse valutazioni inerenti gli aspetti economico – finanziari, progettuali e ambientali delle proposte), che di tipo amministrativo (con riferimento agli apprezzamenti circa la rispondenza all’interesse pubblico e alla scelta fra le diverse opzioni a tal fine percorribili, ivi compresa la c.d. “opzione zero”).

La giurisprudenza amministrativa ha più volte confermato che la scelta di ammettere da parte dell’amministrazione di ammettere nei propri strumenti di programmazione la proposta dell’operatore economico, anche se procedimentalizzata, è un’attività soggetta ad ampissima discrezionalità amministrativa in quanto l’amministrazione è chiamata a eseguire una comparazione fra interesse pubblico e interessi privati che si frappongono alla realizzazione del primo, ove solo la soddisfazione dell’interesse pubblico giustifica l’adozione della proposta formulata dall’operatore-promotore[11],.

Sulla scia di tali pronunce, si è consolidato il principio a mente del quale il project financing è un procedimento avente natura tipicamente discrezionale e, segnatamente, si è affermato che, essendo la prima fase del project financing «non soggetta, in generale, alle regole rigorose di una vera e propria gara, in quanto si caratterizza per una maggiore elasticità e libertà da formalismi», ne deriva che l’amministrazione esercita in tale fase “un alto grado” ovvero il “massimo margine” di discrezionalità se non, addirittura, “una valutazione di merito” ed “una scelta eminentemente politica”.

Alla stregua di quanto precede, si è altresì ribadito che, nel caso della scelta del promotore, anche dopo la dichiarazione di pubblico interesse della proposta del privato e l’individuazione del promotore, l’amministrazione non può dirsi tenuta a dare corso alla procedura di gara per l’affidamento della relativa concessione dal momento che gli interessi privati rimangono, per così dire, sullo sfondo, non essendosi ancora entrati nella fase della procedura pubblica di selezione finalizzata a consentire alle imprese interessate il conseguimento del sostanziale bene della vita, costituito dalla aggiudicazione di una pubblica commessa[12].

  1. Project financing: non vi è responsabilità precontrattuale se non si è giunti all’aggiudicazione definitiva.

Assunta piena contezza circa la natura eminentemente discrezionale che connota tale procedimento, occorre più specificamente soffermarsi sull’atteggiarsi del legittimo affidamento, ingenerato o meno, nel promotore, dall’amministrazione procedente, ovvero, in via principale, determinare fino a che momento procedimentale può l’amministrazione aggiudicatrice esercitare il c.d. ius poenitendi rispetto alle sue originarie determinazioni, senza incorrere in ipotesi di responsabilità precontrattuale. In altre parole, qual è il termine ultimo entro cui l’amministrazione può emendare l’orientamento precedentemente assunto in relazione alla realizzazione di una specifica opera pubblica (evidentemente, in un primo momento, ritenuta dall’ente realizzabile mediante il ricorso alla finanza di progetto) senza minare il legittimo affidamento, meritevole di tutela giuridica?

Invero, un orientamento risalente ravvisava l’elemento scriminante nella dichiarazione d’interesse pubblico: a partire da tale atto formale il soggetto proponente, infatti, acquisiva, una posizione differenziata e qualificata, ossia si ingenerava un legittimo affidamento in capo al proponente, che poteva essere frustrato da una condotta dell’amministrazione aggiudicatrice non conforme ai canoni di correttezza e buona fede, secondo i dettami dell’art. 1337 c.c.[13].

Aderendo a tale chiave ricostruttiva, si riteneva che la circostanza per cui l’Ente agisse per porre al riparo l’interesse pubblico non precludeva il sorgere di un affidamento nel privato coinvolto, posto che la discrezionalità amministrativa incontrava un limite invalicabile nell’obbligo di buona fede rispetto alla controparte designata nel corso dell’iter procedimentale, sicché andavano in ogni caso valutati i comportamenti colposi tenuti dall’amministrazione.

Difatti, anche a carico dell’amministrazione grava l'obbligo giuridico sancito dalla predetta disposizione codicistica di comportarsi secondo buona fede, la quale deve sempre ispirare il comportamento delle parti durante lo svolgimento delle trattative, perché con l'instaurarsi delle medesime sorge un rapporto di affidamento che l'ordinamento ritiene meritevole di tutela[14].

Trattasi di una responsabilità che può “sussistere anche in presenza di atti di autotutela (revoca, annullamento, diniego di stipula o di approvazione) pienamente legittimi, ove assistiti dai presupposti per la loro emanazione, e va pertanto tenuta distinta dalla responsabilità per lesione di un interesse legittimo, che, pur facendo anch'essa capo ai canoni della correttezza e della buona fede (cfr. Cass. n. 500/99) ha come presupposto, non unico, ma comunque necessario, un vizio di legittimità dell'atto amministrativo”. In concreto, tale responsabilità deriva non già da un provvedimento amministrativo, bensì da un comportamento privatistico, il quale, non essendo espressione diretta del potere pubblico, risulta quindi indipendente dalla eventuale legittimità dei provvedimenti dell’amministrazione; esso postula unicamente la contrarietà a lealtà e correttezza e l’imputabilità a titolo di dolo o colpa.

Al riguardo, si osserva che, affinché possano dirsi integrati gli estremi della responsabilità di cui all’art. 1337 c.c., occorre che siano soddisfatte le seguenti condizioni: una condotta, tenuta da una parte in fase di formazione del contratto, oggettivamente contraria a lealtà e correttezza e soggettivamente imputabile a quest’ultima a titolo di dolo o colpa; la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale dell’altra parte, in conseguenza della citata condotta contraria a buona fede;  un danno-conseguenza, corrispondente alle spese sostenute in fase di formazione del contratto o al mancato guadagno derivante dalla rinuncia ad altre favorevoli occasioni contrattuali. 

Per quanto in passato siano sorte delle perplessità in ordine alla possibilità di ascrivere alla pubblica amministrazione condotte antitetiche rispetto agli obblighi di buona fede di cui all’art. 1337 c.c. nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti regolate dal diritto pubblico, l’orientamento più recente della giurisprudenza ha optato per la pacifica applicabilità dell’art. 1337 c.c. anche a tali fattispecie. In particolare, i dubbi circa l’applicabilità dell’art. 1337 c.c. erano principalmente imputabili alla circostanza che la fase di formazione del contratto pubblico e, in particolare, quella di scelta del contraente della amministrazione presenta dei significativi tratti di specialità rispetto alla trattativa tra privati[15].

Difatti, l’amministrazione è destinataria di una autonomia limitata e funzionale, alla stregua della quale la sua volontà contrattuale si consacra una volta concluso un procedimento amministrativo caratterizzato da una fase istruttoria e da una decisoria, culminante nella adozione di un provvedimento amministrativo che autorizza la stipulazione di un dato contratto con un dato soggetto, esternando le ragioni per cui tale decisione assicura il migliore perseguimento dell’interesse pubblico.

Alla luce di tale circostanza, un risalente orientamento giurisprudenziale escludeva la configurabilità di una responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, ogniqualvolta quest’ultima fosse stata gravata dall’obbligo di selezionare il suo contraente tramite una procedura di evidenza pubblica e avesse rispettato la relativa disciplina di diritto pubblico.

Sennonché, da detto orientamento si è discostato quello più recente, accolto anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[16].

Si è così concluso che può darsi una violazione dell’obbligo di buona fede a prescindere dal rispetto delle norme di diritto pubblico che regolano la procedura di scelta del contraente, con conseguente configurabilità di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. anche in presenza di un’azione amministrativa legittima sul piano del diritto amministrativo.

In aperta discontinuità con il summenzionato indirizzo ermeneutico, in tema di responsabilità dell’amministrazione nei confronti del promotore, la giurisprudenza si è, in seguito, assestata sull’orientamento che ritiene, al contrario, prevalente l’interesse pubblico e tende a non riconoscere il legittimo affidamento del promotore. Nondimeno, si è ritenuto che anche una volta intervenuta la selezione del soggetto promotore, l’amministrazione aggiudicatrice non è tenuta a dare corso alla procedura di gara, essendo libera di scegliere attraverso apprezzamenti attinenti al merito amministrativo e non sindacabili in sede giurisdizionale, se per la tutela dell'interesse pubblico risulta più conveniente affidare il progetto per la sua esecuzione, rinviare la sua realizzazione ovvero non procedere affatto.

Da ciò ne discende l’enunciazione del principio a mente del quale non si configura alcuna responsabilità precontrattuale in capo al soggetto pubblico, in caso di revoca della dichiarazione di pubblico interesse della proposta, posto che l’Amministrazione può discrezionalmente operare una valutazione di merito circa la perduranza dell’interesse pubblico perseguito. 

In altri termini, il soggetto la cui proposta sia stata dichiarata di pubblico interesse, pertanto, “non acquisisce alcun diritto pieno all'indizione della procedura, ma una mera aspettativa, condizionata dalle valutazioni di esclusiva pertinenza dell'amministrazione in ordine all'opportunità di contrattare sulla base della medesima proposta[17]”.

Il Consiglio di Stato, è di recente pervenuto alla medesima conclusione, valorizzando, ancora una volta, l’ampio margine di manovra all'azione dell’amministrazione nella gestione dei delicati rapporti con il soggetto promotore[18]. In particolare, nel caso di specie, i giudici amministrativi, ancorandosi all’univoca giurisprudenza del Consiglio di Stato, hanno escluso la configurabilità di qualsiasi forma di responsabilità contrattuale o precontrattuale in capo al Comune, “non essendo mai giunti a una fase della procedura tale da costituire un distinto ed autonomo rapporto potenzialmente idoneo a essere fonte di responsabilità contrattuale, essendosi la procedura arrestata con il venir meno della compatibilità urbanistica”.

Difatti, ai fini della configurabilità di tale ipotesi di responsabilità non è sufficiente che il privato comprovi la propria buona fede soggettiva, ossia un affidamento incolpevole nella scelta di compiere attività economicamente onerose, ma occorre che siffatto affidamento sia stato offeso da una condotta dell'ente che, valutata nel suo complesso, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza, e sia imputabile all'amministrazione in termini di colpa o dolo.

In tale sede decisionale, i giudici di Palazzo Spada hanno escluso l’insorgere di una responsabilità in capo all’amministrazione, non essendo siffatto tipo di responsabilità, ad avviso del supremo consesso, configurabile finché la procedura è in corso, presupponendo un rapporto personalizzato tra la stazione appaltante e l'aspirante a contrarre.

Di qui, la sopracitata pronuncia ha avvalorato, ancora una volta, nell’ambito degli istituti che cristallizzano un rapporto di cooperazione pubblico-privata, il ruolo fondamentale e decisivo dell’ente pubblico, che può dispiegare pienamente la propria autonomia organizzativa, decisionale e, quindi, la propria discrezionalità amministrativa fino alla stipula del contratto. In tale prospettiva, il promotore risulta essere titolare di una mera aspettativa, subordinata a incisive e sostanziali valutazioni di esclusiva pertinenza dell’amministrazione procedente in ordine all’opportunità di contrattare sulla base di quella medesima proposta. Orbene, tale aspettativa, ad avviso dei giudici amministrativi, non è “giuridicamente tutelabile rispetto alle insindacabili scelte dell’amministrazione” e, conseguentemente, la posizione di vantaggio del soggetto privato acquisita mediante la dichiarazione di pubblico interesse trova la propria ragion d’essere “solo all’interno della gara una volta che la decisione di affidare la concessione sia stata assunta”.

Invero, non si può negare come il principio in base al quale l’amministrazione possa revocare senza che sorga alcun onere di indennizzo nei confronti del proponente, ampiamente caldeggiato dalla giurisprudenza, presti il fianco a censure sotto plurimi profili.

Anzitutto è di immediata comprensione come lo scudo elevato dalla giurisprudenza in favore delle pubbliche amministrazioni possa determinare l’allontanamento dei potenziali investitori e il tramonto definitivo dello strumento del project financing. A maggior ragione riguardando il project financing opere particolarmente complesse, tale “presa di posizione” potrebbe disincentivare definitivamente un serio impegno dell’imprenditoria privata nella realizzazione di importanti infrastrutture e opere pubbliche attraverso un rilevante investimento di risorse economiche.

A ciò si aggiunga che trattasi di un procedimento che già di per sé comporta l’assunzione da parte del soggetto promotore privato di ingenti rischi (economici, imprenditoriali e politici) e rispetto al quale non vi è alcuna certezza di un esito utile.

Per tale ragione, se le legittime aspettative risultano ancor meno tutelate che in passato, stante il riconoscimento in capo all’amministrazione di una discrezionalità potenzialmente illimitata e sostanzialmente insindacabile, è evidente che si potrebbe incidere in modo definitivo e inderogabile sul successo e l’affermazione di tale modello di partenariato.

Non solo. La giurisprudenza amministrativa deve essere sensibilizzata al tema della tutela dei diritti soggettivi dei privati lesi da atti e comportamenti della pubblica amministrazione. Si rammenta, in tal senso, che l’articolo 2 Cost. consacra il c.d. «contatto sociale[19]» quale fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale scaturiscono obblighi di buona fede, di protezione e di informazione. L’avvio delle trattative è, quindi, fatto idoneo a far sorgere l’obbligo di comportarsi secondo i canoni di correttezza e buona fede: difatti, dal contatto, così creatosi, sorge, l’obbligo di portare a termine la prestazione, confidando, il privato, legittimamente, nella professionalità e diligenza della controparte.

Pertanto, non vi è dubbio che, instaurato un procedimento amministrativo, in capo alle parti sorgano degli obblighi, la cui lesione non può escludere l’obbligo risarcitorio.

  1. La divergenza tra i buoni propositi e la realtà di mercato: considerazioni finali alla luce dell’assetto attuale

Il coinvolgimento dei capitali privati per il soddisfacimento delle necessità pubbliche costituisce una soluzione ottimale per la realizzazione di grandi infrastrutture, ma, fino ad ora, tale strumento ha rappresentato un elenco di buone intenzioni che stentano a decollare, incontrando ingenti difficoltà nel trasformarsi in interventi concreti. A tal proposito, si segnala il permanere di molteplici criticità, tra le quali i tempi troppo lunghi e incerti che caratterizzano i procedimenti attraverso cui si realizzano progetti in Partenariato Pubblico Privato (“P.P.P.”); oltre agli elevati rischi politico-amministrativo dovuti alle frequenti modifiche dei progetti; e all’inadeguatezza dei contratti sottoscritti, che causa l’insorgere di contenziosi che rallentano lo sviluppo delle iniziative. Del resto, è difficile realizzare opere in P.P.P. senza equity, senza sufficiente remuneratività degli investimenti, senza tempi e costi certi, senza allocazione ottimale dei rischi fra i vari soggetti, e, soprattutto, senza l'accettazione anche da parte dell'operatore – Stato delle regole che valgono per tutti.

Di qui, il rischio che i ritardi, la scarsa concorrenza, e le inefficienze amministrative lascino sfuggire le enormi potenzialità insite negli strumenti di cooperazione pubblico-privato, non solo nell’ambito della realizzazione di opere pubbliche ma anche in tema di erogazione di servizi per la collettività.

Con riferimento al P.P.P. a livello europeo si è recentemente espressa la Corte dei Conti Europea che, sulla base dell’esame di diversi progetti infrastrutturali di grandi dimensioni, ha dichiarato che “per attuare con successo i progetti P.P.P è necessario disporre di capacità amministrative non indifferenti, che possono scaturire solo da quadri istituzionali e normativi adeguati e da una lunga esperienza nell’attuazione dei progetti P.P.P.”.

La Corte ha constatato che attualmente tali capacità esistono solo in un numero limitato di Stati membri dell’UE. La situazione non corrisponde quindi all’obiettivo dell’UE di dare esecuzione alla maggior parte dei fondi UE tramite progetti a finanziamento misto, tra cui i PPP.

Al termine della sua analisi, la Corte ha formulato, quindi, le seguenti raccomandazioni:

  • non promuovere un ricorso più intenso e diffuso ai PPP fino a quando le problematiche individuate non saranno state risolte e le seguenti raccomandazioni attuate con successo;
  • mitigare l’impatto finanziario dei ritardi e delle rinegoziazioni sui costi del PPP sostenuti dal partner pubblico;
  • basare la scelta dell’opzione PPP su valide analisi comparative riguardanti le migliori opzioni di appalto;
  • stabilire politiche e strategie per i PPP;
  • perfezionare il quadro UE per una migliore efficacia dei progetti PPP.

[1] Tra i principali interventi in materia di partenariato pubblico privato deve annoverarsi il “Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni”, COM (2004) 327 definitivo, emanato dalla Commissione Europea il 30 aprile 2004. Secondo la Commissione Europea: «un PPP è una partnership tra il settore pubblico e il settore privato con lo scopo di realizzare un progetto o un servizio tradizionalmente fornito dal settore pubblico», in cui il privato “fornisce (i) capitali aggiuntivi; (ii) capacità di gestione e di attuazione; (iii) valore aggiunto per il consumatore e il pubblico in generale; (iv) migliore individuazione delle esigenze/bisogni e l'uso ottimale delle risorse».

Secondo la più recente definizione contenuta nel Regolamento (UE) n. 549/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013, relativo al “Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell’Unione Europea”, i PPP sono “contratti a lungo termine stipulati tra due unità, sulla base dei quali un’unità acquisisce o costruisce una o più attività, le gestisce per un determinato periodo e quindi le cede a una seconda unità. Tali accordi sono normalmente stipulati tra un’impresa privata e un’amministrazione pubblica, ma non sono escluse altre combinazioni: ad esempio, una società pubblica da una parte e un’istituzione senza scopo di lucro privata dall’altra”.

[2] La definizione tradizionale di project financing generalmente viene attribuita a P. K. Nevitt, che lo descrisse come una particolare forma di finanziamento, ove il finanziatore fa affidamento sui flussi di reddito prodotti dall’impresa finanziata, per la remunerazione del capitale investito.

[3] Autorità di vigilanza, atto di regolazione del 18 luglio 2000, n. 34.

[4] La finanza di progetto, che ha trovato la sua genesi nei paesi di common law, ha incontrato l’interesse di numerosi studiosi, che si sono concentrati sulla compatibilità e trasponibilità di tale modello nell’ordinamento italiano, interrogandosi solo negli anni più recenti sugli aspetti anche qualificatori dell’operazione in questione. Sul punto, si veda P. Carrière, Project financing. Profili di compatibilità con l’ordinamento giuridico italiano, Cedam, Padova, 1999, p. 33; S. Presilia, Il project financing. Profili di compatibilità generale con l’ordinamento giuridico italiano alla luce della sua tradizionale diffusione nei paesi di origine anglosassone, in Nuova Rassegna, 2004, p. 2108.

[5] Le principali caratteristiche di tale innovativo strumento di cooperazione tra settore pubblico e operatori economici, riconducibile all’ambito degli strumenti del partenariato pubblico-privato, rispettivamente sono: l’attenzione degli investitori sul progetto e non sull’impresa che dovrà realizzarlo: di qui il nome “finanza di progetto”; la valutazione del progetto principalmente in base alla sua capacità di generare flussi di cassa; la costituzione di un’apposita Società di progetto con il fine di isolare i flussi di cassa dalle altre attività degli azionisti; la centralità della fase di gestione dell'opera che costituisce elemento di primaria importanza in quanto soltanto una gestione efficace e qualitativamente elevata consente di generare i flussi di cassa necessari a soddisfare banche ed azionisti; il processo di negoziazione tra i diversi soggetti coinvolti in merito alla ripartizione dei rischi dell'iniziativa tra i diversi partecipanti.

[6] Sul punto, l’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici, nella determinazione 18 luglio 2000, n. 34, in www.autoritalavoripubblici.it., ha affermato che “il project financing non è uno strumento adatto a tutte le iniziative che richiedono elevati investimenti, ma solo a quelle dotate di un rapporto di leva tale da rendere l’iniziativa affidabile, prescindendo dalle garanzie e dall’equilibrio economico-finanziario dei suoi promotori. L’iniziativa viene, pertanto, valutata esclusivamente o prevalentemente sulla base dei profitti che può generare.”

[7] In particolare, le prime operazioni di finanza di progetto sono state realizzate a seguito della liberalizzazione del mercato della produzione dell'energia elettrica.

[8] In particolare, il D.Lgs. 163/2006 ha previsto l’utilizzo del project financing anche per i servizi, ma solo nei limiti di compatibilità e secondo le modalità contemplate nel regolamento di attuazione del Codice (art. 152, comma 3); in aggiunta, ha altresì consentito la realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo del permesso di costruire, indipendentemente dall’esistenza di profili di gestione pubblica. In seguito, il D. Lgs. n. 152/2008 ha rivisto ulteriormente la disciplina della finanza di progetto, ripristinando il diritto di prelazione in favore del promotore, e prevedendo una pluralità di procedure per stimolare il concorso di capitali privati. Per project financing si intendeva un risultato che poteva essere raggiunto attraverso molteplici modalità: il modello della gara unica previo bando e senza prelazione e il modello di project financing su iniziativa del privato (previo avviso) con tre procedure alternative.

[9] Detto procedimento viene delineato agli art. 183 commi 15-19 del Codice Appalti e rispettivamente prevede che «Gli operatori economici possono presentare alle amministrazioni aggiudicatrici proposte relative alla realizzazione in concessione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità, incluse le strutture dedicate alla nautica da diporto, non presenti negli strumenti di programmazione approvati dall’amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente. … L’amministrazione aggiudicatrice valuta, entro il termine perentorio di tre mesi, la fattibilità della proposta. A tal fine l’amministrazione aggiudicatrice può invitare il proponente ad apportare al progetto di fattibilità le modifiche necessarie per la sua approvazione. Se il proponente non apporta le modifiche richieste, la proposta non può essere valutata positivamente. Il progetto di fattibilità eventualmente modificato è inserito negli strumenti di programmazione approvati dall’amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente ed è posto in approvazione con le modalità previste per l’approvazione di progetti; il proponente è tenuto ad apportare le eventuali ulteriori modifiche chieste in sede di approvazione del progetto; in difetto, il progetto si intende non approvato. Il progetto di fattibilità approvato è posto a base di gara, alla quale è è invitato il proponente. … Se il promotore non risulta aggiudicatario, può esercitare, entro quindici giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione, il diritto di prelazione e divenire aggiudicatario se dichiara di impegnarsi ad adempiere alle obbligazioni contrattuali alle medesime condizioni offerte dall’aggiudicatario”.

[10] Ex multis Cons. St., Sez. V, 21 giugno 2016, n. 4177.

[11] Sul punto si rinvia a Cons. St., Ad. Plen. 15 aprile 2010, n. 2155. Di recente la giurisprudenza ha altresì ribadito che l’Amministrazione “in fase di scelta del promotore di un project financing, gode di ampissima discrezionalità, sindacabile unicamente per manifesta illogicità o incongruità o travisamento dei fatti” (TAR Toscana, Sez. I, 28 febbraio 2018 n. 328).

[12] ex multis, Cons.St., Sez. V, 18 gennaio 2017, n. 207.

[13]Sul punto si veda TAR Campania, Napoli, Sez. I, 4 marzo 2013, n. 1233.

[14] Sul punto si rinvia a Cass. SS.UU., sent. n. 11656/2008.

[15] Il privato gode di una vera e propria libertà contrattuale, intesa, in particolare, come libertà di scegliere il fine contrattuale; diversamente, l’esplicarsi dell’autonomia contrattuale dell’amministrazione non è libero, nella misura in cui persegue le finalità pubblicistiche stabilite dalla legge. A comprova di ciò, l’art. 30 del D.Lgs. n. 50/2016 stabilisce che, in sede di affidamento e stipulazione di contratti riguardanti lavori, servizi o forniture, l’amministrazione deve garantire l’interesse pubblico alla qualità delle prestazioni, nel rispetto dei principi di economicità, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza e pubblicità.

[16] Quest’ultima, muovendo dalla circostanza che l’amministrazione ha sia una capacità di diritto pubblico che una di diritto privato, derivante dall’art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241/1990 e dall’art. 20, comma 4, lett. f-bis) della L. n. 59/1997, ha rilevato che la fase di scelta del contraente dell’amministrazione, in realtà, presenta una natura “ambigua”, atteggiandosi, al contempo, sia come trattativa nella quale l’amministrazione, al pari di un privato, è soggetta al generale obbligo di buona fede prescritto dall’art. 1337 c.c., sia come procedimento amministrativo nel quale l’amministrazione, in quanto soggetto pubblico, è tenuta al rispetto di doveri stabiliti dalle norme di diritto pubblico, funzionali al corretto esercizio del potere amministrativo e al perseguimento delle finalità stabilite dalla legge.

[17] Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2016, n. 2719.

[18] Cons. Stato, sez. n. 6087/2019.

[19] La giurisprudenza nazionale ha fatto propria la teoria germanica del “contatto sociale”, recependola anche nell’ordinamento nazionale. In particolare, l’art. 1173 c.c. prevede tre tipologie di fonti delle obbligazioni: il contratto, il fatto illecito e ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità con l’ordinamento giuridico. Dalla predetta disposizione ne deriva che il rapporto obbligatorio può sorgere anche da fonti diverse dal contratto o dal fatto illecito, purché le medesime non siano contrarie all’ordinamento.