Cons. Stato, sez. VI, 2 dicembre 2019, n. 8219

L’art. 115 d.lgs. n. 163/2006 è una norma imperativa che si sostituisce di diritto ad eventuali pattuizioni contrarie (o mancanti) nei contratti pubblici di appalti di servizi e forniture ad esecuzione periodica o continuativa, configurandosi pertanto come norma inderogabile da parte della stazione appaltante.

Presupposto per l’applicazione della norma di cui all’ art. 115 cit. è che vi sia stata mera proroga e non un rinnovo del rapporto contrattuale, consistendo la prima nel solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario mentre il secondo scaturisce da una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse se non più attuali, essendo in questo caso intervenuti tra le parti atti successivi al contratto originario con cui, attraverso specifiche manifestazioni di volontà, sia stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto identico a quello originario, senza avanzare alcuna proposta di modifica del corrispettivo.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3625 del 2014, proposto da
Ditta Fulgens di De Noia Domenico in persona dell'Omonimo Titolare, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giosafatte Mezzina, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Studio Zacheo in Roma, via Brescia n.29;
Fulgens di De Noia Domenico non costituito in giudizio;

contro

Istituto Tecnico Commerciale Statale G.Del'Olio, Ufficio Scolastico Regionale Quale Articolazione del Ministero dell'Istruzione dell'Universitàe della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) n. 00692/2013, resa tra le parti, concernente accertamento corresponsione somme spettanti a seguito della revisione dei prezzi contrattuali - parziale difetto di giurisdizione

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Istituto Tecnico Commerciale Statale G.Del'Olio e di Ufficio Scolastico Regionale Quale Articolazione del Ministero dell'Istruzione dell'Universitàe della Ricerca;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 26 novembre 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Andrea Barletta in delega dell'avv. Mezzina;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 692 del 2013 con cui il Tar Bari aveva in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla medesima impresa al fine di ottenere una serie di riconoscimenti: del diritto ad ottenere la corresponsione dal 1° gennaio 2000 ad aprile 2007 delle somme spettanti a seguito della revisione dei prezzi contrattuali, come previsto dall'art. 44 comma 4 e segg. della legge 23 dicembre 1994 n. 724, in esecuzione del contratto di appalto del 16.4.1997 n. 43177 di Rep., stipulato con la Provincia di Bari, avente ad oggetto l'affidamento del servizio biennale di pulizia, conduzione e manutenzione impianti tecnologici e giardinaggio delle proprietà immobiliari della struttura Scolastica (Polivalente) di Bisceglie, Via Giuliani; del diritto ad ottenere il riconoscimento e la corresponsione dell’importo corrispettivo del mancato guadagno (lucro cessante), a seguito dell’eliminazione dal novero delle attività contrattuali del servizio di conduzione e manutenzione degli impianti tecnologici e giardinaggio; del diritto ad ottenere il riconoscimento e la corresponsione per il periodo dal 2001 al 2006 di una mensilità pari a €. 6.950,43 (IVA esclusa) per il mese di agosto di ciascun anno; del diritto ad ottenere il riconoscimento e la corresponsione degli interessi di mora (compensativi) per il ritardo nel pagamento delle fatture per un importo complessivo di €. 1664,14.

All’esito del giudizio di prime cure il Tar respingeva la domanda di revisione qualificando i successivi rapporti contrattuali in termini di rinnovo e non di proroga e dichiarava il difetto di giurisdizione sulle restanti domande.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante impugnava il capo di sentenza con cui il Tar ha denegato il riconoscimento del compenso revisionale e formulava il seguente motivo di appello: erroneità della sentenza nella parte in cui qualifica le proroghe intervenute fra la ricorrente e la p.a. come rinnovi contrattuali.

La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza di smaltimento del 26 novembre 2019 la causa passava in decisione.

2. La controversia si concentra sul profilo, in diritto, della qualificazione dei rapporti susseguitisi nel tempo all’originario affidamento in termini di proroga ovvero di rinnovo contrattuale.

3. In generale, come noto, l’art. 6 della legge 24 dicembre 1993 n. 537, come sostituito dall’art. 44, quarto comma, della legge 23 dicembre 1994 n. 724, relativa ai contratti pubblici, stabiliva che: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6.”.

Il contenuto di tale norma è stato successivamente sostituito con l’analogo disposto di cui all’art. 115 D.Lgs. n. 163 del 2006.

4. Come affermato dalla prevalente giurisprudenza, l’art. 115 cit. è una norma imperativa che si sostituisce di diritto ad eventuali pattuizioni contrarie (o mancanti) nei contratti pubblici di appalti di servizi e forniture ad esecuzione periodica o continuativa, configurandosi pertanto come norma inderogabile da parte della stazione appaltante.

Va pertanto ribadito (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 27 agosto 2018, n. 5059) che in materia di appalti pubblici, presupposto per l'applicazione della norma di cui all' art. 115 cit. - secondo cui tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo - è che vi sia stata mera proroga e non un rinnovo del rapporto contrattuale, consistendo la prima nel solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall'atto originario mentre il secondo scaturisce da una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l'integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse se non più attuali, essendo in questo caso intervenuti tra le parti atti successivi al contratto originario con cui, attraverso specifiche manifestazioni di volontà, sia stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto identico a quello originario, senza avanzare alcuna proposta di modifica del corrispettivo.

4. Premessa l’applicazione di tale regola giuridica, analogamente ad altri precedenti della sezione (cfr. in specie sentenza n. 3478 del 2019) dall’analisi della documentazione versata in atti emerge come nel caso di specie non risulti alcuna attività qualificabile in termini di “nuova negoziazione”.

Già sul piano formale la stessa p.a. qualificava gli atti di conferma del rapporto contrattuale anche per i periodi successivi in termini di “proroga”, con una terminologia che, pur non vincolando in astratto il giudice (come reputato dal Tar), costituisce un elemento non indifferente, il cui superamento presuppone la dimostrazione della sussistenza di elementi di rinegoziazione.

E sul versante sostanziale sono questi ultimi a non emergere, nel caso di specie.

Infatti, quelle che la stessa sentenza (al pari della p.a. deliberante) chiama proroghe negoziali, avvenivano alle medesime condizioni sia di prestazioni che di costi, con ciò trovando piena conferma l’assenza di una specifica negoziazione, presupposta dall’orientamento prevalente sopra richiamato al fine di concludere in termini di rinnovo.

Parimenti irrilevante è la tesi relativa alla permanenza della piena possibilità per la ditta ricorrente di non accettare le nuove condizioni negoziali o insistere per un rinnovo che permettesse una rinegoziazione del prezzo; infatti, se per un verso anche in caso di proroga permanere in astratto la libertà di scelta di accettare o meno lo stesso prolungamento di contratto in capo all’impresa, per un altro verso proprio l’assenza di insistenze per la rinnovazione che permettesse una rinegoziazione conferma ulteriormente la fondatezza della prospettazione di parte appellante, la quale nella sostanza (oltre che nella forma) ha accettato le proroghe contrattuali proposte dalla p.a..

5. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello è fondato e va accolto; per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado nella parte relativa al riconoscimento del compenso revisionale.

Sussistono giunti motivi, anche a fronte delle peculiarità della controversia, per procedere alla compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma parziale della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado nella parte relativa al riconoscimento del compenso revisionale.

Spese compensate del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019

 

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

Con la pronuncia in commento la VI Sezione del Consiglio di Stato si concentra sul profilo della qualificazione dei rapporti susseguitisi nel tempo all’originario affidamento in termini di proroga ovvero di rinnovo contrattuale.

Come noto, l’art. 6 della legge 24 dicembre 1993 n. 537, come sostituito dall’art. 44, comma 4, della legge 23 dicembre 1994 n. 724, relativo ai contratti pubblici, stabiliva che “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6.”

Con l’avvento del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/20006) la predetta prescrizione normativa è stata sostituita dall’analogo disposto di cui all’art. 115 Cod. contr. pubb.

La norma da ultimo citata è stata oggetto di numerose indagini pretorie atte a individuare la natura della stessa: al riguardo si è pacificamente affermata la natura imperativa della disposizione che si sostituisce di diritto ad eventuali pattuizioni contrarie (o mancanti) nei contratti pubblici di appalti di servizi e forniture ad esecuzione periodica o continuativa, configurandosi pertanto come norma inderogabile da parte della stazione appaltante.

Al riguardo potrebbe essere rilevante ricordare che la qualificazione in termini di norma imperativa di una prescrizione di legge può desumersi da una serie di indici emergenti dalla stessa disposizione: primariamente la terminologia utilizzata (la norma imperativa prescrive infatti, in modo perentorio l’affermazione di determinati precetti giuridici); secondariamente la norma va considerata imperativa allorquando essa enuncia un principio di rilievo costituzionale, magari altresì affermato da ulteriori disposizioni inserite nel sistema normativo valutato nel suo complesso; ancora, la norma inderogabile contiene spesso in sé ipotesi derogatorie alla sua applicazione, le quali trovano ragione giustificativa proprio nella generica imperatività del precetto sancito dalla disposizione che, dunque, al di là delle ipotesi ex lege disciplinate, deve necessariamente trovare applicazione.

Premesso quanto sopra, va ribadito come in materia di appalti pubblici presupposto di applicabilità dell’art. 115 cit. - secondo cui “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5” - è che vi sia una mera proroga e non un rinnovo del rapporto contrattuale.

A differenza del rinnovo, infatti, che scaturisce da una nuova negoziazione con il medesimo soggetto e che può concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse se non più attuali - essendo in questo caso intervenuti tra le parti atti successivi al contratto originario con cui, attraverso specifiche manifestazioni di volontà, sia stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto identico a quello originario, senza avanzare alcuna proposta di modifica del corrispettivo - la proroga consiste nel solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario (ex multis Cons. Stato, sez. III, 27 agosto 2018, n. 5059).

La sentenza oggetto del presente commento, invero, riafferma principi più volte espressi dalla giurisprudenza amministrativa, in specie quanto a imperatività della norma di cui al più volte citato art. 115 cod. contr. pubb., in quanto tale non suscettibile di essere derogata in via pattizia e, dunque, integratrice della volontà negoziale difforme secondo il meccanismo dell’inserzione automatica di cui agli artt. 1419, comma 2 e 1339 c.c. (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2003, n. 3373)

La giurisprudenza (da ultimo Cons. Stato, sez. III, 19 giugno 2018, n. 3768; Id., 9 gennaio 2017 n. 25) si è inoltre soffermata sulla finalità dell’istituto, individuata, da un lato, nella salvaguardia dell’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2295; Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2008, n. 3994), dall’altro, di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato, sez. III,  4 marzo 2015 n. 1074; Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 2014 n. 2052; Id.,19 giugno 2009 n. 4079).

Inoltre la più volte citata previsione di cui all’art. 115 d.lgs. 163/2006 è stata scrutinata in relazione al rapporto intercorrente tra la stessa e la revisione dei prezzi previsti dall’art. 1664, comma 1 c.c., finendosi per affermare che la previsione di revisione prezzi di natura pubblica va considerata speciale rispetto a quella privatistica, con la conseguenza per cui nell’ambito dei contratti pubblici non può applicarsi la normativa civilistica, la quale ha chiara natura dispositiva, la stessa essendo rimessa alla volontà delle parti.

In chiusura non può non rilevarsi come, nel nuovo Codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 50/2016) la revisione del prezzo non è obbligatoria per legge, come invece nella previgente disciplina (applicabile ratione temporis alla presente controversia), ma opera solo se prevista dai documenti di gara. Ciò comporta l’inapplicabilità della giurisprudenza, già richiamata, sulla natura imperativa e sull’inserimento automatico delle clausole relative alla revisione prezzi e alla loro sostituzione delle clausole contrattuali difformi.

Ulteriore differenza tra la disciplina recata tra i due codici si rinviene in ordine all’applicabilità della revisione prezzi anche ai “settori speciali”, esclusa nel regime recato dal d.lgs. n. 163/2006 ed ora ammessa dall’art. 106 d.lgs. n. 50/2016.