Consiglio Stato, Sez. IV, 15 luglio 2019, n. 4950.- Rimessione all'Adunanza Plenaria

 Ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., si sottopongono  all’Adunanza plenaria i seguenti quesiti: a) se il giudicato civile che impone l’obbligo di restituire un’area al proprietario da parte dell’Amministrazione occupante sine titulo, precluda o meno l’emanazione di un atto di imposizione di una servitù di passaggio, con il mantenimento del diritto di proprietà in capo al suo titolare; b) se la formazione del giudicato interno - sulla statuizione del TAR per cui il giudicato civile consente l’attivazione di un ordinario procedimento espropriativo – imponga nella specie di affermare che sussiste anche il potere dell’Amministrazione di imporre la servitù di passaggio ex art. 42 bis, comma 6, t.u. n. 327 del 2001; c) se la preclusione del ‘giudicato restitutorio’ sussista anche quando la sentenza (nella specie, del giudice civile) non abbia espressamente precluso l’esercizio dei poteri previsti dall’art. 42 bis per adeguare lo stato di fatto a quello di diritto; d) se la preclusione del ‘giudicato restitutorio’ sussista solo in relazione ai giudicati formatisi dopo la pubblicazione della sentenza della Adunanza Plenaria n. 2 del 2016, ovvero anche in relazione ai giudicati formatisi in precedenza.

Il d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) distingue tra le opere ancora da realizzare, per le quali va seguito il procedimento ordinario secondo le fasi previste dall’art. 8, e quelle già realizzate, per le quali è prevista una possibile procedura semplificata ai sensi dell’art. 42 bis.

Rileva il giudice remittente che il ‘giudicato restitutorio’ esclude l’attivazione e la conclusione del procedimento volto a disporre l’acquisizione ‘in proprietà’, mentre non sembra precludere l’eventuale imposizione di una misura diversa quale quella di una servitù. Tuttavia, nella fattispecie, il giudice di primo grado con la sentenza impugnata è pervenuto a conclusioni in ordine alle quali il Collegio pone dubbi interpretativi che involgono importanti questioni di massima, di qui la rimessione ai sensi dell’art. 99, comma 1, del c.p.a.

Conseguentemente, con l’ordinanza in esame si chiede di valutare ulteriori diversi aspetti sulla portata del giudicato restitutorio non affrontati in precedenza dall’Adunanza Plenaria. In particolare, con la sentenza n. 2 del 2016 l’Adunanza Plenaria ha enunciato il principio secondo il quale ‘l’atto di acquisizione’ non può essere emanato ‘in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato’.

Invero, ricorda la Sezione remittente, in tema di tutela spettante per il caso di occupazione sine titulo del fondo da parte dell’Amministrazione, sin dal 1983 si sono susseguiti orientamenti giurisprudenziali nazionali, che si sono rilevati contrastanti con i principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Anche dopo l’entrata in vigore degli artt. 42 bis e 43 del testo unico n. 327 del 2001 vi sono state ulteriori incertezze circa la stabilità del quadro normativo, sopite finalmente con la sentenza n. 71 del 2015 della Corte costituzionale e la successiva citata sentenza n. 2 del 2016 dell’Adunanza Plenaria, in base alle quali si è affermato che il ‘giudicato restitutorio’ preclude l’emanazione del provvedimento di ‘acquisto della proprietà’ ai sensi dell’art. 42 bis.

Senonché la presente remissione solleva ulteriori questioni in un settore in cui è quanto mai complesso riuscire a bilanciare i complessi interessi contrapposti, pubblici e privati.

LEGGI L'ORDINANZA

Pubblicato il 15/07/2019

N. 04950/2019 REG.PROV.COLL.

N. 08185/2018 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

Sull’appello n. 8185 del 2018, proposto dalla s.n.c. Ristorante Parco Hotel di Giustozzi Giuseppe & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro Lucchetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti, n. 11;

 

contro

I signori Mario Belloni e Rina Belloni, rappresentati e difesi dagli avvocati Luca Forte e Fabio Monachesi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

del Comune di Pollenza, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche n. 520/2018, resa tra le parti;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Mario Belloni e Rina Belloni;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2019 il pres. Luigi Maruotti e uditi per le parti gli avvocati Alessandro Lucchetti e Luca Forte;

 

1. Il Comune di Pollenza:

- in data 18 febbraio 1978, ha concluso con il dante causa degli appellati un ‘compromesso condizionato di vendita’, seguito dal contratto di vendita e dal pagamento del prezzo;

- ha cominciato a possedere l’area oggetto del presente giudizio, sulla quale ha realizzato un parcheggio aperto al pubblico, la viabilità di servizio della zona (in cui si trovano anche una chiesa e una caserma dei carabinieri), la messa a dimora di piante di alto fusto e alcuni gradoni per mettere in sicurezza l’area in pendenza.

Le opere sono state realizzate in conformità all’allora vigente programma di fabbricazione, che ha destinato l'area in parte a parcheggio ed in parte a verde pubblico (v. la relazione del responsabile del procedimento, allegata all’atto impugnato in primo grado).

Su un terreno adiacente al parco pubblico, è stato realizzato il ristorante-hotel, di cui è titolare la società appellante.

L’accesso al parco pubblico ed al ristorante attualmente avviene tramite la preesistente strada comunale ‘del Cassero’ e anche con la viabilità realizzata su una parte del terreno di proprietà dei ricorrenti in primo grado, oggetto del presente giudizio.

2. Con la sentenza n. 874 del 2014 (non impugnata e sulla quale si è formato il giudicato), la Corte d’appello di Ancona – in riforma della sentenza di primo grado del tribunale civile di Macerata n. 1085 del 2009 – ha accolto le domande proposte dai ricorrenti in primo grado, ha dichiarato la nullità del contratto di vendita (per genericità dell’oggetto) ed ha ordinato al Comune di restituire l’area.

Nel corso di questo giudizio, non è stata depositata tale sentenza, la cui statuizione di restituzione dell’area – posta dal TAR a base della sentenza appellata - non è però controversa tra le parti.

3. Dopo il deposito della sentenza della Corte d’appello, l’Amministrazione ha segnalato ai proprietari che con la stipula del contratto dichiarato nullo si era formato un suo ‘affidamento’, ‘confermato peraltro dal regolare pagamento di quanto pattuito’, ed ha formulato una proposta di acquisto (per l’importo di 70.000 euro, considerato congruo dalla Agenzia per il Demanio), rifiutata dai proprietari (che hanno chiesto un corrispettivo di 500.000 euro).

4. Con la delibera n. 3 del 2016 (impugnata in primo grado), il consiglio comunale – nel richiamare l’approfondita relazione del responsabile del procedimento - ha ricostruito le vicende che hanno condotto alla trasformazione urbanistica dell’area e i ripetuti contatti intercorsi tra le parti ed ha emanato un atto di ‘dichiarazione di pubblica utilità e di imposizione di una servitù di passaggio pedonale e carrabile, da esercitarsi anche con mezzi di trasporto in favore del Comune di Pollenza, quale titolare del fondo dominante’, ai sensi dell’art. 42 bis del testo unico sugli espropri n. 327 del 2001.

Tale atto di imposizione della servitù:

- ha per oggetto le particelle distinte al catasto ai numeri 72 e 73 del foglio 10;

- ha dichiarato la pubblica utilità per la superficie complessiva di 3.780 metri quadrati, indicando il Comune di Pollenza quale titolare del fondo dominante;

- ha imposto la ‘servitù di passaggio pedonale, carrabile da esercitarsi anche con mezzi di trasporto’ per una superficie complessiva di 480 metri quadrati;

- ha rilevato che per la morfologia dei luoghi non si può ampliare la preesistente strada comunale ‘del Cassero’ (anche perché circondata da cipressi secolari) ed ha ravvisato l’interesse pubblico alla imposizione della servitù di passaggio, per consentire la prosecuzione dell’uso pubblico dell’area, avente tale destinazione da più di trenta anni, e in particolare per consentire l’agevole accesso al confinante parco pubblico ed al ristorante adiacente.

5. Col ricorso di primo grado n. 145 del 2016 (proposto al TAR per le Marche e notificato al Comune ed alla società ora appellante, quale controinteressata), i proprietari originari ricorrenti hanno impugnato la delibera n. 3 del 2016, deducendo che:

a) il giudicato di cui alla sentenza della Corte d’appello di Ancona precluderebbe l’esercizio dei poteri previsti dall’art. 42 bis del testo unico;

b) si tratterebbe di una vicenda privatistica, sicché non potrebbe un atto amministrativo incidere sulle trattative aventi per oggetto la vendita dell’area;

c) l’atto di acquisizione sarebbe illegittimo, per mancato rispetto delle regole sulla partecipazione procedimentale e per inadeguata motivazione.

6. Il TAR, con la sentenza n. 520 del 2018, ha accolto il ricorso, ha annullato l’atto impugnato ed ha compensato tra le parti le spese del giudizio.

In particolare, il TAR:

a) ha richiamato il principio enunciato dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 2 del 2016, per il quale ‘l’atto di acquisizione’ non può essere emanato ‘in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato’;

b) ha ritenuto che tale principio si applichi anche quando vi sia ‘un giudicato restitutorio non nascente da una procedura espropriativa’;

c) ha osservato che l’art. 42 bis sarebbe applicabile ‘solo a vicende in cui la P.A. agisce nella sua veste di autorità, sia pure senza un valido titolo (ab origine o per sopravvenuta scadenza o annullamento degli atti del procedimento espropriativo) e non anche nelle ipotesi in cui il rapporto fra il privato e l’amministrazione nasce e si sviluppa sul versante privatistico’, non potendo l’Amministrazione – ‘che agisce in veste di contraente privato – ‘mutare in corso di rapporto la natura del potere speso, perché ciò attribuirebbe alla parte pubblica un privilegio confliggente quantomeno con gli artt. 3 e 42 Cost.’:

d) ha aggiunto che, ‘quando il rapporto giuridico fra privato e amministrazione nasce e si sviluppa sul versante civilistico, debbono applicarsi solo le regole del diritto privato’, con la conseguenza che il Comune non potrebbe avvalersi dello ‘strumento pubblicistico extra ordinem’ previsto dal medesimo art. 42 bis;

e) ha concluso nel senso che è ‘fatta salva invece la possibilità di aprire ex novo un ordinario procedimento espropriativo, con tutte le garanzie procedimentali che il d.P.R. n. 327 del 2001 riconosce al soggetto espropriando’.

7. Con l’appello indicato in epigrafe, la società controinteressata in primo grado ha dedotto che avrebbe un pregiudizio dalla restituzione dell’area agli originari ricorrenti (e dalla conseguente cessazione del suo uso pubblico), perché il suo ristorante-albergo diventerebbe altrimenti raggiungibile solo con la strada comunale ‘del Cassero’, di per sé stretta e trafficata, in quanto utilizzata intensamente per la viabilità ordinaria.

La società appellante ha dedotto che:

a) l’art. 42 bis si applicherebbe anche quando il giudice civile abbia dichiarato la nullità di un contratto di vendita o di un contratto preparatorio;

b) l’atto emesso ex art. 42 bis nella specie si sarebbe basato su una diffusa ed adeguata motivazione dell’interesse pubblico prevalente;

c) la sentenza della Corte d’appello giustificherebbe l’applicabilità del medesimo art. 42 bis.

8. Gli appellati si sono costituiti in giudizio ed hanno richiamato le censure sulle quali il TAR non si è pronunciato, chiedendo che l’appello sia respinto.

9. In data 29 marzo 2019, la società appellante ha depositato copia della delibera n. 5 del 6 febbraio 2019, con cui il consiglio comunale di Pollenza ha adottato una variante al piano urbanistico ed ha approvato il progetto definitivo riguardante la sistemazione del parcheggio e della strada in questione, con l’attivazione del relativo procedimento espropriativo.

10. Con memoria depositata in data 20 aprile 2019, gli appellati hanno anch’essi rilevato che è stato avviato il procedimento espropriativo ed hanno eccepito l’improcedibilità dell’appello proposto dalla società.

11. Ritiene il Collegio che l’eccezione di improcedibilità dell’appello vada respinta.

La società appellante è stata intimata nel giudizio di primo grado quale controinteressata in senso tecnico (su tale qualificazione non vi è stata alcuna contestazione nel corso dei due gradi del giudizio)

A seguito dell’accoglimento del ricorso originario, sussiste la sua legittimazione – neppure contestata – ad impugnare la sentenza che ha comportato la sua soccombenza (con l’annullamento di un atto per sé favorevole).

Inoltre, contrariamente a quanto dedotto dagli appellati, continua a sussistere il suo perdurante interesse alla accoglimento dell’appello, poiché in tal caso riprenderebbe effetti l’atto di imposizione della servitù e diventerebbe stabile il relativo assetto degli interessi.

12. Ciò posto, ritiene la Sezione che vada sottoposta all’esame della Adunanza Plenaria la questione se, nella specie, rilevi il principio da essa enunciato con la sentenza n. 2 del 2016 e, dunque, se le statuizioni contenute nella sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 874 del 2014 abbiano precluso l’esercizio del potere previsto dall’art. 42 bis, comma 6, del testo unico sugli espropri.

13. Ad avviso del Collegio, per l’accoglimento dell’appello si potrebbero ritenere innanzitutto non condivisibili le considerazioni del TAR, sopra sintetizzate al § 6, alle lettere c) e d).

13.1. Per la sentenza appellata:

- l’art. 42 bis consentirebbe l’emanazione del provvedimento di ‘acquisizione’ solo qualora vi sia stato un procedimento espropriativo e questo non si sia concluso o si sia concluso con un provvedimento poi annullato dal giudice amministrativo;

- se dopo la stipula di un contratto nullo l’Amministrazione ha realizzato opere utilizzate dalla collettività, ‘il rapporto giuridico fra privato e amministrazione nasce e si sviluppa sul versante civilistico’ e ‘debbono applicarsi solo le regole del diritto privato’.

13.2. Al riguardo, va osservato preliminarmente che per la sentenza appellata l’atto impugnato in primo grado avrebbe disposto l’‘acquisizione della proprietà’, mentre in realtà esso ha disposto l’imposizione di una servitù di passaggio, ai sensi del comma 6 dell’art. 42 bis.

Va inoltre osservato che la parte appellata non ha formulato una specifica censura per il fatto che il Comune abbia imposto una servitù e non abbia acquisito il bene ‘in proprietà’, sicché per la determinazione dell’oggetto del giudizio rilevano gli specifici effetti prodotti dall’atto impugnato, nonché la mancata contestazione della determinazione di imporre la servitù, in luogo della acquisizione.

13.3. Ciò precisato, nel rimettere le relative decisioni all’esame dell’Adunanza Plenaria, ritiene il Collegio di osservare che si può dissentire dalle osservazioni con cui il TAR ha ravvisato nella specie una vicenda di mero rilievo privatistico, su cui non potrebbe ‘interferire’ il potere pubblicistico.

L’art. 42 bis del testo unico sugli espropri (come l’originario art. 43, dichiarato incostituzionale) si applica testualmente ad ogni caso in cui – per qualsiasi ragione – un bene immobile altrui sia utilizzato dall’Amministrazione per scopi di interesse pubblico.

Hanno un rilievo decisivo i due primi commi del medesimo art. 42 bis.

L’atto di acquisizione:

- per il comma 1, può essere emanato dalla ‘autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità’;

- per il comma 2, ‘può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio’, ovvero ‘anche durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento’ di tali atti.

Ad avviso del Collegio, si può affermare come dal comma 1 emerga che i presupposti fondanti il potere di acquisizione siano unicamente due, cioè l’avvenuta modifica del bene immobile e la sua utilizzazione per scopi di interesse pubblico.

Il legislatore non ha invece attribuito rilievo alle circostanze che hanno condotto alla occupazione sine titulo e alla riconducibilità di tali circostanze a vicende di natura privatistica o pubblicistica.

Tale considerazione non solo è coerente con la considerazione che l’art. 42 bis ha inteso introdurre una ‘normativa di chiusura’, ma è corroborata dal comma 2 (corrispondente al comma 2 dell’originario art. 43), il cui testo non ha previsto alcuna deroga ed è stata redatto con espressioni volte ad escludere una eventuale interpretazione restrittiva del comma 1.

Infatti, la parola ‘anche’ evidenzia la natura meramente esemplificativa dei casi indicati dal comma 2, che si possono considerare quelli statisticamente più frequenti (con l’introduzione in materia della giurisdizione esclusiva, per le controversie sorte dopo l’entrata in vigore della legge n. 205 del 2000).

13.4. Peraltro, per escludere un mero rilievo ‘privatistico’ della vicenda, va sottolineato come l’Amministrazione – con la stipula del contratto poi dichiarato nullo – abbia attuato le previsioni dell’allora vigente programma di fabbricazione, sicché il medesimo contratto aveva sostanzialmente la natura di accordo di cessione del bene espropriando, attuativo dello strumento urbanistico con la dichiarata volontà dell’allora proprietario.

13.5. Ad avviso del Collegio, si potrebbe dissentire anche dalle osservazioni del TAR, secondo le quali il potere previsto dall’art. 42 bis non sarebbe esercitabile, quando vada si incidere su un ‘rapporto privatistico’ e vi siano trattative per l’alienazione del bene.

Tali osservazioni innanzitutto sembrano urtare con i dati testuali sopra riportati dell’art. 42 bis (che non ha escluso l’esercizio del potere di acquisizione quando pendano trattative tra le parti).

Inoltre, esse non risultano coerenti con i principi di buon andamento e di economicità, oltre che con esigenze di coerenza del sistema.

Quando è attivato un procedimento ablatorio, l’Amministrazione ben può esplorare l’ipotesi di concludere un contratto di acquisto (o un accordo di cessione), per prevenire contenziosi.

Ed è del tutto coerente con le finalità dei procedimenti ablatori la possibilità che l’Amministrazione decida di avvalersi del proprio potere pubblicistico, dopo aver constatata l’indisponibilità del proprietario o la inaccoglibilità della sua richiesta in rapporto al valore oggettivo del bene.

Tali considerazioni riguardano non solo il procedimento espropriativo ante operam o quello che si deve concludere dopo la realizzazione delle opere, ma anche il procedimento semplificato previsto dall’art. 42 bis.

Del resto la giurisprudenza – quando constata l’occupazione sine titulo e dichiara l’obbligo dell’Amministrazione di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto – richiama costantemente la possibilità che essa eserciti proprio il potere previsto dall’art. 42 bis, qualora non sia concluso un contratto di acquisto (v. il § 5.3. della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 2016, sulla possibilità di concludere un ‘accordo transattivo’, in assenza del quale può essere emanato il provvedimento previsto dall’art. 42 bis).

Tali considerazioni rilevano anche quando l’occupazione sia divenuta sine titulo solo dopo che vi sia stata la dichiarazione di nullità di un contratto.

14. Circa la ratio decidendi della sentenza impugnata sintetizzata alle lettere a) e b) del § 6, osserva il Collegio che effettivamente l’Adunanza Plenaria (con la sentenza n. 2 del 2016, che ha richiamato quanto enunciato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 71 del 2015) ha rilevato come l’atto di acquisizione ex art. 42 bis non possa essere emanato ‘in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato’.

Si deve pertanto verificare se il principio così formulato rilevi in concreto nel presente giudizio.

15. Ad avviso del Collegio (che comunque ha ritenuto opportuno pronunciare la presente ordinanza), la fattispecie in esame non sembra corrispondere alla ipotesi astratta presa in considerazione dalla citata sentenza dell’Adunanza Plenaria e, comunque, alcune circostanze rendono peculiare il caso in esame.

16. Per quanto riguarda l’ambito del principio enunciato dalla sentenza n. 71 del 2015, la Corte Costituzionale:

- al § 6.5., ha rilevato che l’art. 43 del testo unico (dichiarato incostituzionale per eccesso di delega) aveva dato luogo ad un ‘contrasto interpretativo’ sulla decorrenza degli effetti dell’atto di acquisizione ed ha constatato che l’art. 42 bis abbia disposto ‘che l’acquisto della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione avvenga ex nunc’;

- al § 6.9.1., ha evidenziato che il ‘carattere non retroattivo’ dell’acquisto ‘impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene’.

La Corte Costituzionale ha quindi preso in considerazione l’ipotesi statisticamente più frequente, disciplinata dal comma 1 sull’‘acquisto della proprietà’, per evidenziare come un tale provvedimento non possa caducare il ‘giudicato restitutorio’.

La sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 2016, nel richiamare i principi enunciati dalla Corte, si è riferita anch’essa alla emanazione dell’atto di acquisizione ‘in proprietà’.

17. Sennonché, come sopra osservato ai §§ 4 e 13.2., nella specie il Comune di Pollenza non ha disposto l’acquisizione ‘in proprietà’ dell’area, ma ha emanato un atto riconducibile al comma 6 dell’art. 42 bis, per il quale ‘le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale’.

Pur se le parti e la sentenza impugnata non hanno evidenziato tale aspetto della controversia, ciò sembra avere un decisivo rilievo, poiché il Comune ha mantenuto ferma (ed ha riconosciuto) la titolarità del diritto di proprietà in capo agli appellati e – nel contemperare gli interessi in conflitto – ha imposto la servitù per una parte delimitata dell’area, in ragione dello specifico interesse pubblico, riferito alla migliore utilizzabilità del ‘fondo dominante’ (costituito dal vicino parco pubblico), oltre che alla razionalità dell’assetto viario, per l’accesso alla chiesa ed alla caserma dei carabinieri.

18. Una ulteriore peculiarità ‘processuale’ della vicenda consegue ad una ulteriore statuizione contenuta nella sentenza appellata, che ha espressamente ammesso come sia ‘fatta salva invece la possibilità di aprire ex novo un ordinario procedimento espropriativo, con tutte le garanzie procedimentali che il d.P.R. n. 327 del 2001 riconosce al soggetto espropriando’.

18.1. Tale statuizione non è stata impugnata in via incidentale dagli appellati, sicché si è formato il giudicato interno (in senso affermativo) sulla questione se, per il caso di formazione del giudicato sulla illegittimità dell’atto n. 3 del 2016, il Comune possa comunque attivare il ‘procedimento ordinario d’esproprio’ (ciò che peraltro è avvenuto, con la citata delibera consiliare n. 5 del 6 febbraio 2019), con l’acquisizione del bene al patrimonio comunale e non con l’imposizione di una servitù.

18.2. Osserva al riguardo il Collegio che, in linea di principio, il testo unico n. 327 del 2001 si ispira ai seguenti principi:

- per le opere da realizzate de futuro, va seguito il procedimento ordinario, distinto nelle varie fasi individuate dall’art. 8;

- per le opere già realizzate, può essere seguito il procedimento semplificato, previsto dall’art. 42 bis.

18.3. Da tali disposizioni, sembra risultare evidente che il ‘giudicato restitutorio’ di certo dovrebbe escludere l’attivazione e la conclusione del procedimento volto a disporre l’acquisizione ‘in proprietà’, ma di per sé può giustificare la diversa misura della imposizione di una servitù.

Potrebbero dunque risultare intrinsecamente contraddittorie le statuizioni del TAR, che da un lato ha affermato che la sentenza della Corte d’appello di Ancona abbia precluso l’emanazione di un provvedimento ex art. 42 bis (ciò che è stato contestato con l’atto d’appello), mentre dall’altro – con una statuizione su cui si invece è formato il giudicato interno – ha espressamente consentito l’attivazione e la conclusione dell’ordinario procedimento espropriativo (che di per sé mira alla realizzazione de futuro delle opere e non alla loro sanatoria).

18.4. Si potrebbe dunque ritenere che la formazione di tale giudicato interno, per un principio di coerenza e di simmetria, imponga di ritenere accoglibile la tesi della società appellante, secondo cui il Comune ben poteva emanare il provvedimento previsto dall’art. 42 bis (beninteso, dal comma 6).

19. All’esame dell’Adunanza Plenaria, si sottopongono dunque i seguenti quesiti:

- se il giudicato civile, sull’obbligo di restituire un’area al proprietario da parte dell’Amministrazione occupante sine titulo - precluda o meno l’emanazione di un atto di imposizione di una servitù di passaggio, col mantenimento del diritto di proprietà in capo al suo titolare;

- se la formazione del giudicato interno - sulla statuizione del TAR per cui il giudicato civile consente l’attivazione di un ordinario procedimento espropriativo volto all’acquisto della proprietà – imponga di affermare che sussiste anche il potere dell’Amministrazione di imporre la servitù di passaggio ex art. 42 bis, comma 6.

20. Il Collegio sottopone un ulteriore quesito – logicamente connesso - all’Adunanza Plenaria.

21. Esso riguarda la questione se la preclusione del ‘giudicato restitutorio’ sussista anche quando la sentenza (del giudice civile) non abbia espressamente precluso – per la estraneità della questione rispetto all’oggetto del giudizio - l’esercizio dei poteri previsti dall’art. 42 bis per adeguare lo stato di fatto a quello di diritto.

21.1. Sotto il profilo sostanziale, l’art. 42 bis, commi 1 e 6, hanno attribuito ad extra il potere di adeguare lo stato di fatto a quello di diritto, in presenza dei due presupposti oggettivi individuati dal comma 1: non vi è nel testo legislativo alcun limite ‘in negativo’ all’esercizio di tale potere.

Sotto il profilo processuale, il ‘giudicato restitutorio’ va individuato in relazione al petitum ed al decisum: se nel giudizio conclusosi con tale giudicato non vi è stata la domanda volta ad ottenere una pronuncia preclusiva dell’esercizio del potere e se la sentenza non si è pronunciata in tal senso preclusivo, si potrebbe ritenere comunque applicabile la normativa specificamente prevista dal legislatore per consentire l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto.

In altri termini, si può ritenere che si possa ritenere sussistente il ‘giudicato restitutorio’ solo quando la relativa sentenza abbia ritenuto di escludere l’applicabilità della normativa pubblicistica, introdotta dal legislatore proprio per consentire l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto.

21.2. D’altra parte, la questione è simile a quella che avviene quando il giudice amministrativo annulla gli atti del procedimento ablatorio.

Non v’è dubbio che proprio a seguito di tale annullamento si possano esercitare i poteri previsti dall’art. 42 bis: allo stesso modo, il giudice civile – nell’emettere unicamente le statuizioni prettamente civilistiche conseguenti alla declaratoria della nullità del contratto - non va ad incidere sull’ambito di applicabilità del medesimo articolo.

21.3. Dalla articolata casistica che si è verificata in materia, emerge che in alcuni casi le sentenze civili e quelle amministrative hanno disposto la restituzione del bene, senza porsi (o potersi porre, nel periodo del vuoto normativo poi colmato con l’art. 42 bis) la questione della portata imperativa delle disposizioni contenute nell’art. 43 o nell’art. 42 bis (a seconda delle date della pubblicazione delle sentenze) e dunque senza escludere espressamente l’esercitabilità del potere ab extra attribuito dalla legge: in questa logica, la sentenza della Corte d’appello di Ancona si è occupata della nullità del contratto di vendita e delle conseguenze previste dal codice civile, senza affermare l’inapplicabilità dell’art. 42 bis.

21.4. Pertanto, il Collegio ritiene di sollevare la questione ‘interpretativa’ sul se il principio enunciato con la sentenza n. 2 del 2016 sia applicabile ai soli casi in cui il ‘giudicato restitutorio’ sia caratterizzato dalla espressa statuizione sulla inapplicabilità dell’art. 42 bis (ciò che dovrebbe affermarsi sia per considerazioni di ordine processuale, sia per il proprio ambito di applicazione dell’art. 42 bis), ovvero anche ai casi in cui l’ordine di restituzione sia stato emesso – come nella specie, dal giudice civile - senza alcun richiamo alla normativa pubblicistica applicabile in materia.

22. Il Collegio ritiene poi di formulare un quesito ‘subordinato’, sulla possibilità che l’Adunanza Plenaria – qualora ritenga di affermare che si sia in presenza nella specie di una sentenza tale da comportare un ‘giudicato restitutorio preclusivo’ - ‘moduli la portata temporale’ della regola affermata dalla precedente sentenza n. 2 del 2016.

22.1. In tema di tutela spettante per il caso di occupazione sine titulo del fondo da parte dell’Amministrazione, sin dal 1983 si sono susseguiti orientamenti giurisprudenziali nazionali, che si sono rilevati contrastanti con i principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (per i relativi richiami, v. la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 2016, § 5.2.).

Anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 43 del testo unico vi sono state ulteriori incertezze circa la stabilità del quadro normativo (non sopite malgrado questa Sezione – con le sentenze n. 5830 e n. 2582 del 2007 - avesse segnalato la damnatio memoriae delle prassi rivelatesi in contrasto con la giurisprudenza della CEDU) e a sua volta l’art. 42 bis del testo unico è stato oggetto di ulteriori incertezze sulla sua portata applicativa (non sopite malgrado questa Sezione – con le citate sentenze e con la sentenza n. 6351 del 2011 – abbia individuato le tecniche della tutela effettiva spettante al proprietario).

22.2. Solo con la sentenza n. 71 del 2015 della Corte Costituzionale e con la sentenza n. 2 del 2016 dell’Adunanza Plenaria, si è affermato che il ‘giudicato restitutorio’ preclude l’emanazione del provvedimento di ‘acquisto della proprietà’ ai sensi dell’art. 42 bis.

Fino a quando non si è affermata tale regola, la prassi amministrativa e quella giurisprudenziale pacificamente ritenevano che gli unici presupposti per l’emanazione dell’atto di acquisizione (o di imposizione della servitù) fossero quelli previsti dalla legge, cioè l’avvenuta modifica del bene immobile e la sua utilizzazione per scopi di interesse pubblico, e che non vi fossero preclusioni derivanti da precedenti giudicati.

22.3. Ove si superino in senso ‘negativo’ le questioni sopra sollevate, si chiede pertanto all’Adunanza Plenaria se nella specie si possa delimitare sul piano temporale l’applicazione della regula iuris da essa enunciata con la sentenza n. 2 del 2016 (similmente a quanto è già avvenuto in tema di beni culturali, avendo delimitato l’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 13 del 2017, la portata temporale di una regula iuris in tema di tutela dei beni culturali) e cioè se si possa affermare che la regola sul rilievo preclusivo del ‘giudicato restitutorio’ rilevi ‘solo per il futuro’ e cioè per i giudicati formatisi solo successivamente.

Infatti, il ‘giudicato restitutorio’ – disposto dalla sentenza della Corte d’appello di Ancona nel 2014 – si è formato prima della enunciazione del principio di diritto da parte dell’Adunanza Plenaria, e dunque quando il Comune di Pollenza – anche per l’assenza di una statuizione del giudice civile sulla impossibilità di esercitare i poteri pubblicistici – non poteva percepire la gravità delle conseguenze che sarebbero derivate dal suo passaggio in giudicato.

Parafrasando le osservazioni di cui al § 6 della sentenza n. 13 del 2017, vi sarebbe una ‘notevole compromissione’ degli interessi pubblici coinvolti – oltre che una lesione del legittimo affidamento dell’Amministrazione - se si dovesse ritenere che ai giudicati restitutori ‘antecedenti’ alle statuizioni della Adunanza Plenaria vada attribuito un rilievo assolutamente preclusivo dell’esercizio del potere previsto dall’art. 42 bis, col conseguente obbligo dell’Amministrazione di restituire ineluttabilmente le aree, previa la loro restitutio in integrum.

Come rilevato dalla sentenza n. 13 del 2017, può rilevare il principio di certezza del diritto, per il quale si può limitare “la possibilità per gli interessati di far valere la norma giuridica come interpretata, se vi è il rischio di ripercussioni economiche o sociali gravi, dovute, in particolare, all’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base di una diversa interpretazione normativa, sempre che risulti che i destinatari del precetto erano stati indotti ad un comportamento non conforme alla normativa in ragione di una obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni”.

In materia di occupazione sine titulo (e in un settore nel quale per varie ragioni è esploso il contenzioso) solo la citata sentenza della Corte Costituzionale ha fugato i dubbi interpretativi sulla legittimità costituzionale dell’art. 42 bis ed ha sottolineato il rilievo ostativo del ‘giudicato restitutorio’, al quale ha operato il suo richiamo l’Adunanza Plenaria.

E’ pertanto comprensibile che prima di tali pronunce le Amministrazioni – per lo più indotte a non emettere il provvedimento di acquisizione dal timore di non incorrere in responsabilità e dalla scarsità delle risorse economiche - non abbiano avuto nemmeno adeguata contezza dell’impatto innovativo delle ‘nuove’ disposizioni e delle preclusioni che sarebbero state desunte in sede interpretativa (e che non sono state desunte in precedenza, in base al dato testuale della legge).

23. In conclusione, nella consapevolezza della importanza delle questioni coinvolte e del loro evidente carattere di massima, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del c.p.a., il Collegio ritiene di formulare i seguenti quesiti all’Adunanza Plenaria, la cui soluzione è determinante per la definizione del giudizio:

a) se il giudicato civile, sull’obbligo di restituire un’area al proprietario da parte dell’Amministrazione occupante sine titulo, precluda o meno l’emanazione di un atto di imposizione di una servitù di passaggio, col mantenimento del diritto di proprietà in capo al suo titolare;

b) se la formazione del giudicato interno - sulla statuizione del TAR per cui il giudicato civile consente l’attivazione di un ordinario procedimento espropriativo – imponga nella specie di affermare che sussiste anche il potere dell’Amministrazione di imporre la servitù di passaggio ex art. 42 bis, comma 6.

c) se la preclusione del ‘giudicato restitutorio’ sussista anche quando la sentenza (nella specie, del giudice civile) non abbia espressamente precluso l’esercizio dei poteri previsti dall’art. 42 bis per adeguare lo stato di fatto a quello di diritto;

d) se la preclusione del ‘giudicato restitutorio’ sussista solo in relazione ai giudicati formatisi dopo la pubblicazione della sentenza della Adunanza Plenaria n. 2 del 2016, ovvero anche in relazione ai giudicati formatisi in precedenza.

L’Adunanza Plenaria valuterà se definire il secondo grado del giudizio o se formulare i principi di diritto ritenuti rilevanti, con la restituzione degli atti alla Sezione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), previa reiezione della eccezione di improcedibilità dell’appello, deferisce alla Adunanza Plenaria l’esame dell’appello n. 8185 del 2018.

Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'Adunanza Plenaria.

Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2019, con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente, Estensore

Luca Lamberti, Consigliere

Daniela Di Carlo, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere