Corte di giustizia UE, 19.06.2019 n. C-41/18
1. L’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico, assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce all’amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d’appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce. [rif. art. 80 d.lgs. n. 50/2016].
SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
19 giugno 2019 ( *1 )
«Rinvio pregiudiziale – Appalti pubblici – Direttiva 2014/24/UE – Articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g) – Aggiudicazione di appalti pubblici di servizi – Motivi facoltativi di esclusione dalla partecipazione a una procedura d’appalto – Grave illecito professionale che rende dubbia l’integrità dell’operatore economico – Risoluzione di un precedente contratto per via di carenze nella sua esecuzione – Contestazione in giudizio che impedisce all’amministrazione aggiudicatrice di valutare l’inadempimento contrattuale fino alla conclusione del procedimento giudiziario»
Nella causa C‑41/18, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale amministrativo regionale della Campania (Italia), con ordinanza del 22 novembre 2017, pervenuta in cancelleria il 22 gennaio 2018, nel procedimento Meca Srl contro Comune di Napoli, nei confronti di:
Sirio Srl,
LA CORTE (Quarta Sezione), composta da M. Vilaras, presidente di sezione, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente della Corte, D. Šváby (relatore), S. Rodin e N. Piçarra, giudici, avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona, cancelliere: R. Schiano, amministratore, vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 dicembre 2018, considerate le osservazioni presentate:
per il Comune di Napoli, da A. Andreottola e A. Cuomo, avvocati;
per la Sirio Srl, da L. Lentini e C. Sito, avvocati;
per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da C. Colelli e C. Pluchino, avvocati dello Stato;
per il governo ungherese, da G. Koós, Z. Fehér e A. Pokoraczki, in qualità di agenti;
per la Commissione europea, da G. Gattinara, P. Ondrůšek e L. Haasbeek, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 marzo 2019,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE (GU 2014, L 94, pag. 65).
2
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Meca Srl e il Comune di Napoli (Italia) in merito alla decisione del Comune di Napoli di autorizzare la Sirio Srl a proseguire la sua partecipazione a una gara d’appalto.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3
I considerando 101 e 102 della direttiva 2014/24 così recitano:
«(101)
Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero continuare ad avere la possibilità di escludere operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili, per esempio a causa di violazioni di obblighi ambientali o sociali, comprese le norme in materia di accessibilità per le persone con disabilità, o di altre forme di grave violazione dei doveri professionali, come le violazioni di norme in materia di concorrenza o di diritti di proprietà intellettuale. È opportuno chiarire che una grave violazione dei doveri professionali può mettere in discussione l’integrità di un operatore economico e dunque rendere quest’ultimo inidoneo ad ottenere l’aggiudicazione di un appalto pubblico indipendentemente dal fatto che abbia per il resto la capacità tecnica ed economica per l’esecuzione dell’appalto.
Tenendo presente che l’amministrazione aggiudicatrice sarà responsabile per le conseguenze di una sua eventuale decisione erronea, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora, prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori, possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l’operatore economico ha violato i suoi obblighi, inclusi quelli relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali, salvo disposizioni contrarie del diritto nazionale. Dovrebbero anche poter escludere candidati o offerenti che in occasione dell’esecuzione di precedenti appalti pubblici hanno messo in evidenza notevoli mancanze per quanto riguarda obblighi sostanziali, per esempio mancata fornitura o esecuzione, carenze significative del prodotto o servizio fornito che lo rendono inutilizzabile per lo scopo previsto o comportamenti scorretti che danno adito a seri dubbi sull’affidabilità dell’operatore economico. Il diritto nazionale dovrebbe prevedere una durata massima per tali esclusioni.
Nell’applicare motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità. Lievi irregolarità dovrebbero comportare l’esclusione di un operatore economico solo in circostanze eccezionali. Tuttavia, casi ripetuti di lievi irregolarità possono far nascere dubbi sull’affidabilità di un operatore economico che potrebbero giustificarne l’esclusione.
(102)
Tuttavia, è opportuno consentire che gli operatori economici possano adottare misure per garantire l’osservanza degli obblighi volte a porre rimedio alle conseguenze di reati o violazioni e a impedire efficacemente che tali comportamenti scorretti si verifichino di nuovo. Tali misure potrebbero consistere, in particolare, in misure riguardanti il personale e l’organizzazione quali la rottura di tutti i rapporti con le persone o con le organizzazioni coinvolte nel comportamento scorretto, in misure adeguate per la riorganizzazione del personale, nell’attuazione di sistemi di rendicontazione e controllo, nella creazione di una struttura di audit interno per verificare la conformità e nell’adozione di norme interne di responsabilità e di risarcimento. Qualora tali misure offrano garanzie sufficienti, l’operatore economico interessato non dovrebbe più essere escluso solo sulla base di tali motivi. Gli operatori economici dovrebbero avere la possibilità di chiedere che siano esaminate le misure adottate per garantire l’osservanza degli obblighi ai fini di una possibile ammissione alla procedura di aggiudicazione. Occorre tuttavia lasciare agli Stati membri la facoltà di determinare le esatte condizioni sostanziali e procedurali applicabili in tali casi. Essi dovrebbero essere liberi, in particolare, di decidere se consentire alle singole amministrazioni aggiudicatrici di effettuare le pertinenti valutazioni o affidare tale compito ad altre autorità a livello centrale o decentrato».
4
L’articolo 57 della medesima direttiva, intitolato «Motivi di esclusione», così dispone:
«(...)
4. Le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere(…) oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni:
(...)
c)
se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità;
(...)
g)
se l’operatore economico ha evidenziato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di un precedente contratto di appalto pubblico, di un precedente contratto di appalto con un ente aggiudicatore o di un precedente contratto di concessione che hanno causato la cessazione anticipata di tale contratto precedente, un risarcimento danni o altre sanzioni comparabili;
(...)
5. Le amministrazioni aggiudicatrici escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura qualora risulti che l’operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 2.
Le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere oppure gli Stati membri possono esigere che le amministrazioni aggiudicatrici escludano un operatore economico in qualunque momento della procedura qualora risulti che l’operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui al paragrafo 4.
6. Un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4 può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d’appalto.
A tal fine, l’operatore economico dimostra di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito, di aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.
Le misure adottate dagli operatori economici sono valutate considerando la gravità e le particolari circostanze del reato o dell’illecito. Se si ritiene che le misure siano insufficienti, l’operatore economico riceve una motivazione di tale decisione.
Un operatore economico escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto o di aggiudicazione delle concessioni non è autorizzato ad avvalersi della possibilità prevista a norma del presente paragrafo nel corso del periodo di esclusione derivante da tale sentenza negli Stati membri in cui la sentenza è effettiva.
7. In forza di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e nel rispetto del diritto dell’Unione, gli Stati membri specificano le condizioni di applicazione del presente articolo. In particolare essi determinano il periodo massimo di esclusione nel caso in cui l’operatore economico non adotti nessuna misura di cui al paragrafo 6 per dimostrare la sua affidabilità. Se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera i cinque anni dalla data della condanna con sentenza definitiva nei casi di cui al paragrafo 1 e i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi di cui al paragrafo 4».
Diritto italiano
5
L’articolo 80, comma 5, lettera c), del decreto legislativo del 18 aprile 2016, n. 50 – Codice dei contratti pubblici (Supplemento ordinario alla GURI n. 91 del 19 aprile 2016; in prosieguo: il «Codice dei contratti pubblici»), così dispone:
«Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’articolo 105, comma 6, qualora:
(...)
c)
la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione;
(...)».
Procedimento principale e questione pregiudiziale
6
Il Comune di Napoli ha indetto una gara d’appalto per l’aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi avente ad oggetto la refezione scolastica per l’anno scolastico 2017/2018. L’appalto in questione era suddiviso in dieci lotti, ciascuno dei quali corrispondeva a una municipalità del Comune di Napoli.
7
Dall’ordinanza di rinvio risulta che, per l’anno scolastico precedente, la Sirio aveva concluso con il comune di Napoli un contratto per la fornitura del servizio di refezione scolastica riguardante due lotti, il quale è stato risolto, nel maggio 2017, per via di casi di intossicazione alimentare dovuti alla presenza di colibatteri all’interno dei cibi somministrati in una mensa scolastica.
8
A tale riguardo, in seguito ad analisi effettuate dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania (ARPAC) su campioni di cibo conservati dalla direzione scolastica interessata, le quali hanno confermato la presenza di colibatteri, in particolare nel brasato di manzo, l’appalto pubblico di refezione scolastica, per l’anno scolastico 2016/2017, è stato aggiudicato alla Meca, che era stata classificata seconda all’esito della procedura relativa alla gara d’appalto organizzata per l’aggiudicazione dell’appalto pubblico in questione.
9
Nell’ambito della sua partecipazione alla gara d’appalto menzionata al punto 6 della presente sentenza, la Sirio ha espressamente dichiarato che, «[c]on determina (...) del 29/6/2017 il Comune di Napoli (...) ha pronunciato la risoluzione del contratto (...) del 9/5/2017 per un caso di tossinfezione alimentare» e che tale risoluzione contrattuale è stata contestata in sede giudiziaria dinanzi al Tribunale di Napoli (Italia).
10
Con verbale del 1o agosto 2017, l’amministrazione aggiudicatrice ha autorizzato la Sirio a proseguire la sua partecipazione alla gara d’appalto in questione per il lotto per il quale essa aveva presentato un’offerta. La Meca ha contestato la partecipazione della Sirio alla medesima gara d’appalto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania (Italia), senza attendere l’adozione della decisione del Comune di Napoli di aggiudicazione dell’appalto di cui al procedimento principale, avvenuta il 7 novembre 2017 e con la quale l’appalto è stato aggiudicato alla Sirio.
11
La Meca ritiene che la Sirio non avrebbe dovuto essere autorizzata a proseguire la procedura di aggiudicazione di appalto poiché il contratto concluso dalla medesima con il Comune di Napoli, ai fini della fornitura di un servizio di refezione scolastica per l’anno scolastico 2016/2017, era stato risolto da quest’ultimo a seguito di un’intossicazione alimentare di alunni e del personale scolastico.
12
A sostegno del ricorso dinanzi al giudice del rinvio, la Meca contesta al Comune di Napoli il fatto di non aver effettuato alcuna valutazione sulla gravità dell’inadempimento della Sirio nell’ambito dell’esecuzione dell’appalto pubblico di refezione scolastica, per l’anno scolastico 2016/2017, a dispetto dell’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici che lo autorizza a dimostrare «con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità». Secondo la Meca, la contestazione da parte della Sirio, dinanzi a un giudice civile, della risoluzione del contratto per la fornitura di servizi menzionato al punto 7 della presente sentenza non può privare l’amministrazione aggiudicatrice di tale prerogativa. Pertanto, in considerazione del verificarsi di un’intossicazione alimentare nel maggio 2017, il Comune di Napoli non avrebbe dovuto ammettere automaticamente la partecipazione della Sirio alla gara d’appalto di cui al procedimento principale.
13
Sia il Comune di Napoli sia la Sirio ritengono, al contrario, che il ricorso proposto da quest’ultima dinanzi al Tribunale di Napoli impedisse all’amministrazione aggiudicatrice di effettuare una qualsivoglia valutazione sulla sua affidabilità.
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Il giudice del rinvio rileva che la tesi del Comune di Napoli e della Sirio non è destituita di fondamento, poiché, secondo la giurisprudenza dei giudici italiani, dall’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici si desume che l’offerente che ha mostrato carenze nell’esecuzione di un precedente appalto pubblico deve essere ammesso a partecipare a una gara d’appalto successiva se ha proposto un ricorso, ancora pendente, contro la risoluzione contrattuale avvenuta a seguito delle medesime carenze.
15
Il giudice del rinvio ritiene che il diritto dell’Unione possa tuttavia ostare a una disposizione nazionale quale l’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici. Tale disposizione porterebbe infatti a privare di effetto il motivo di esclusione facoltativa ivi previsto, dal momento che il potere discrezionale dell’amministrazione aggiudicatrice è azzerato in caso di contestazione in giudizio di una precedente risoluzione contrattuale. Orbene, sebbene la Corte non abbia ancora avuto l’occasione di interpretare l’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24, dalla giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 45, paragrafo 2, della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU 2004, L 134, pag. 114), disposizione che l’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 ha abrogato, risulterebbe che il diritto dell’Unione respinge qualsiasi automatismo in materia di decisione di esclusione facoltativa per grave illecito professionale, atteso che una simile decisione deve necessariamente tenere conto del principio di proporzionalità.
16
Reciprocamente, i principi di proporzionalità e di effettività dovrebbero proibire qualsiasi automatismo in caso di impossibilità di escludere un operatore economico. Pertanto, impedendo all’amministrazione aggiudicatrice di effettuare una valutazione motivata in ordine alla gravità dell’illecito professionale all’origine della risoluzione di un precedente contratto per il motivo che la risoluzione del medesimo è contestata dinanzi a un giudice civile, l’articolo 80, comma 5, del Codice dei contratti pubblici violerebbe i succitati principi e, quindi, la direttiva 2014/24. Secondo il giudice del rinvio, infatti, l’articolo 57, paragrafo 4, lettera g), della direttiva in questione non richiederebbe in alcun modo una statuizione definitiva, e dunque giudiziaria, della responsabilità dell’aggiudicatario.
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Dalla sentenza del 13 dicembre 2012, Forposta e ABC Direct Contact (C‑465/11, EU:C:2012:801) risulterebbe inoltre che un «illecito professionale» costituisce un motivo di esclusione quando presenta caratteristiche di oggettiva gravità. Orbene, secondo il diritto italiano, l’esito della partecipazione a una gara d’appalto sarebbe subordinato a un evento di natura potestativa, ossia la decisione di impugnare in sede giurisdizionale la risoluzione di un precedente contratto.
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Infine, la normativa italiana sarebbe altresì incompatibile con le finalità esposte al considerando 102 della direttiva 2014/24, che ha introdotto il meccanismo «per garantire l’osservanza degli obblighi» degli offerenti. L’ammissione automatica a concorrere derivante dalla contestazione in giudizio in materia civile della risoluzione di un precedente contratto scoraggerebbe infatti l’adozione di misure per garantire l’osservanza degli obblighi da parte delle imprese quand’anche esse siano necessarie per evitare la ripetizione dei comportamenti che hanno determinato tale risoluzione.
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Stante quanto precede, il Tribunale amministrativo regionale della Campania ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, di cui al [Trattato FUE], ed i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, la proporzionalità e la effettività, di cui alla direttiva [2014/24], nonché la disposizione di cui all’art. 57 comma 4 lettere c) e g) di detta Direttiva, ostino all’applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana derivante dall’art. 80 comma 5 lettera c) del [Codice dei contratti pubblici], secondo la quale la contestazione in giudizio di significative carenze evidenziate nell’esecuzione di un pregresso appalto, che hanno condotto alla risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto, preclude ogni valutazione alla stazione appaltante circa l’affidabilità del concorrente, sino alla definitiva statuizione del giudizio civile, e senza che la ditta abbia dimostrato la adozione delle misure di self cleaning volte a porre rimedio alle violazioni e ad evitare la loro reiterazione».
Sulla questione pregiudiziale
Osservazioni preliminari
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In primo luogo, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che l’importo dell’appalto di cui al procedimento principale è pari a EUR 1127660 e che supera, di conseguenza, la soglia di EUR 750000 prevista all’articolo 4, lettera d), della direttiva 2014/24 per gli appalti pubblici di servizi aventi ad oggetto servizi specifici elencati all’allegato XIV della stessa direttiva. Ne consegue che la direttiva in questione è applicabile al procedimento principale e che la questione posta dal giudice del rinvio deve essere valutata esclusivamente alla luce delle disposizioni della medesima direttiva.
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In secondo luogo, all’udienza tenutasi dinanzi alla Corte, il governo italiano ha affermato che l’interpretazione dell’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici, esposta dal giudice del rinvio nella domanda di pronuncia pregiudiziale, non corrisponderebbe più al nuovo stato del diritto italiano.
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Nondimeno, in una situazione in cui sembrano sussistere divergenze in merito alla normativa nazionale applicabile, da una giurisprudenza costante emerge che, nell’ambito del procedimento pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE, non spetta alla Corte precisare le disposizioni nazionali rilevanti applicabili nel procedimento principale. Un simile compito spetta esclusivamente al giudice del rinvio che, nel definire il contesto giuridico interno, lascia alla Corte la possibilità di fornire tutti gli elementi di interpretazione rientranti nel diritto dell’Unione che consentano al giudice del rinvio di valutare la conformità di una normativa nazionale con la normativa dell’Unione (sentenza del 26 giugno 2008, Burda, C‑284/06, EU:C:2008:365, punto 39).
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Premesso ciò, è sulla base degli elementi di fatto e di diritto quali risultano dall’ordinanza di rinvio che occorre rispondere alla questione posta dal giudice del rinvio.
Nel merito
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Con la questione posta, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24 debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico, assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce all’amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d’appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce.
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In primo luogo, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 32 delle conclusioni, il testo dell’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 è sufficientemente simile a quello dell’articolo 45, paragrafo 2, della direttiva 2004/18, disposizione da esso abrogata, da consentire che l’interpretazione richiesta dal giudice del rinvio si ispiri alla giurisprudenza della Corte relativa a quest’ultima disposizione.
26
In tal senso, quando è stata chiamata a interpretare i motivi facoltativi di esclusione, come quelli previsti all’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d) o g), della direttiva 2004/18, le uniche disposizioni che non comportavano alcun rinvio al diritto nazionale, la Corte si è basata sull’articolo 45, paragrafo 2, secondo comma, della medesima direttiva, in forza del quale gli Stati membri precisano, nel rispetto del diritto dell’Unione, le condizioni di applicazione del suddetto paragrafo 2, per circoscrivere più rigorosamente il potere discrezionale di tali Stati e definire, a sua volta, la portata della causa facoltativa di esclusione controversa (v., in particolare, sentenza del 13 dicembre 2012, Forposta e ABC Direct Contact, C‑465/11, EU:C:2012:801, punti da 25 a 31).
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A tale riguardo, è innegabile che la direttiva 2014/24 restringe il potere discrezionale degli Stati membri. Mentre infatti il rinvio alle legislazioni e alle normative nazionali era previsto in cinque dei sette casi di cui all’articolo 45, paragrafo 2, della direttiva 2004/18, adesso, tra i nove casi contemplati all’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24, solo il caso menzionato al punto b) di tale paragrafo 4 contiene un simile rinvio.
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In secondo luogo, ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24, «[l]e amministrazioni aggiudicatrici possono escludere (…) oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura di appalto un operatore economico in una delle (...) situazioni [previste da tale disposizione]». Dal testo della disposizione in questione risulta quindi che il compito di valutare se un operatore economico debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto è stato affidato alle amministrazioni aggiudicatrici, e non a un giudice nazionale.
29
In terzo luogo, la facoltà di cui dispone qualsiasi amministrazione aggiudicatrice di escludere un offerente da una procedura di aggiudicazione di appalto è destinata in modo particolare a consentirle di valutare l’integrità e l’affidabilità di ciascuno degli offerenti, come dimostrano l’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), nonché il considerando 101 della direttiva 2014/24.
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Come ha sottolineato l’avvocato generale ai paragrafi 42 e 43 delle conclusioni, infatti, questi due motivi di esclusione si basano su un elemento essenziale del rapporto tra l’aggiudicatario dell’appalto e l’amministrazione aggiudicatrice, vale a dire l’affidabilità del primo, sulla quale si fonda la fiducia che vi ripone la seconda. In tal senso, il considerando 101, primo comma, della direttiva in parola prevede che le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere gli «operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili», mentre il suo secondo comma prende in considerazione, nell’esecuzione degli appalti pubblici precedenti, «comportamenti scorretti che danno adito a seri dubbi sull’affidabilità dell’operatore economico».
31
In quarto luogo, ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 5, della direttiva 2014/24, le amministrazioni aggiudicatrici devono poter escludere un operatore economico «in qualunque momento della procedura» e non solo dopo che un organo giurisdizionale ha pronunciato la sua sentenza, il che costituisce un indizio ulteriore della volontà del legislatore dell’Unione di consentire all’amministrazione aggiudicatrice di effettuare la propria valutazione sugli atti che un operatore economico ha commesso o omesso di compiere prima o durante la procedura di aggiudicazione di appalto, in uno dei casi previsti all’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva in questione.
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Infine, se un’amministrazione aggiudicatrice dovesse essere automaticamente vincolata da una valutazione effettuata da un terzo, le sarebbe probabilmente difficile accordare un’attenzione particolare al principio di proporzionalità al momento dell’applicazione dei motivi facoltativi di esclusione. Orbene, secondo il considerando 101 della direttiva 2014/24, tale principio implica in particolare che, prima di decidere di escludere un operatore economico, una simile amministrazione aggiudicatrice prenda in considerazione il carattere lieve delle irregolarità commesse o la ripetizione di lievi irregolarità.
33
Risulta quindi chiaramente, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 35 e 36 delle conclusioni, che il potere discrezionale degli Stati membri non è assoluto e che, una volta che uno Stato membro decide di recepire uno dei motivi facoltativi di esclusione previsti dalla direttiva 2014/24, deve rispettarne gli elementi essenziali, quali ivi previsti. Precisando che gli Stati membri specificano «le condizioni di applicazione del presente articolo»«nel rispetto del diritto dell’Unione», l’articolo 57, paragrafo 7, della direttiva 2014/24 osta a che gli Stati membri snaturino i motivi facoltativi di esclusione stabiliti in tale disposizione o ignorino gli obiettivi o i principi ai quali è ispirato ciascuno di detti motivi.
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Orbene, com’è stato rilevato al punto 28 della presente sentenza, dal testo dell’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 risulta che il legislatore dell’Unione ha inteso affidare all’amministrazione aggiudicatrice, e a essa soltanto, nella fase della selezione degli offerenti, il compito di valutare se un candidato o un offerente debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto.
35
È sulla base delle considerazioni suesposte che occorre rispondere al giudice del rinvio.
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Come emerge dall’ordinanza di rinvio, l’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici autorizza un’amministrazione aggiudicatrice a escludere da una procedura d’appalto un operatore economico qualora, in particolare, essa dimostri, con mezzi adeguati, in primo luogo, che lo stesso operatore si è reso colpevole di gravi illeciti professionali tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità; in secondo luogo, che i medesimi gravi illeciti professionali, che possono risultare da significative carenze verificatesi nell’esecuzione di un precedente appalto pubblico, hanno dato luogo alla risoluzione del contratto concluso dal medesimo con l’amministrazione aggiudicatrice, a una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni e, in terzo luogo, che tale risoluzione non è stata contestata in giudizio o è stata confermata all’esito di un giudizio.
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È evidente che una disposizione nazionale quale l’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici non è idonea a preservare l’effetto utile del motivo facoltativo di esclusione previsto dall’articolo 57, paragrafo 4, lettera c) o g), della direttiva 2014/24.
38
Il potere discrezionale che l’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 conferisce all’amministrazione aggiudicatrice è infatti paralizzato dalla semplice proposizione da parte di un candidato o di un offerente di un ricorso diretto contro la risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico di cui era firmatario, quand’anche il suo comportamento sia risultato tanto carente da giustificare tale risoluzione.
39
Inoltre, una norma come quella prevista all’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici non incoraggia manifestamente un aggiudicatario nei cui confronti è stata emanata una decisione di risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico ad adottare misure riparatorie. Sotto tale profilo, una regola di questo tipo può essere in contrasto con le prescrizioni di cui all’articolo 57, paragrafo 6, della direttiva 2014/24.
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Invero, la succitata direttiva ha carattere innovativo, in particolare nella misura in cui istituisce, all’articolo 57, paragrafo 6, il meccanismo delle misure riparatorie (self-cleaning). Tale meccanismo, che si applica agli operatori economici non esclusi da una sentenza definitiva, tende a incoraggiare un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui all’articolo 57, paragrafo 4, della medesima direttiva a fornire prove del fatto che le misure da esso adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo facoltativo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non deve essere escluso dalla procedura d’appalto. A tal fine, l’operatore economico deve dimostrare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito, di aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.
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A tale proposito, le misure riparatorie evidenziano, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 44 delle conclusioni, l’importanza attribuita all’affidabilità dell’operatore economico, elemento che permea i motivi di esclusione relativi alla situazione soggettiva dell’offerente.
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Tenuto conto di quanto precede, occorre rispondere alla questione posta dichiarando che l’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione impedisce all’amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d’appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce.
Sulle spese
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Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
L’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico, assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce all’amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d’appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce.
Guida alla lettura.
Ai sensi dell’art. 80 comma 5 lett. c- ter) deve essere escluso “l'operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa”.
Pertanto, le situazioni in presenza delle quali può essere disposta l’esclusione sono due:
o la avvenuta risoluzione del contratto per inadempimento oppure la condanna al risarcimento del danno.
Esaminiamo la prima.
La norma non dice che la risoluzione del contratto per inadempimento deve necessariamente essere avvenuta giudizialmente: non si parla di risoluzione giudiziale.
La stazione appaltante, con una Determina, ha disposto di dichiarare risolto il contratto a seguito dell’inadempimento, in conformità a quanto previsto nel Capitolato.
Pertanto è sufficiente, ai fini dell’esclusione da parte della (nuova) stazione appaltante, il provvedimento di risoluzione adottato dalla (vecchia) stazione appaltante: non è richiesto che una successiva sentenza abbia confermato la legittimità di quest’ultimo.
Ed anche se l’appaltatore del vecchio contratto (e partecipante alla procedura per il nuovo contratto) ha impugnato dinanzi al Giudice il provvedimento di risoluzione e tale giudizio è ancora pendente, la sostanza non cambia: l’art. 80 comma 5 lett. c- ter) non dice che, in caso di impugnazione del suddetto provvedimento di risoluzione (e quindi di pendenza di giudizio), il concorrente non può essere escluso dalla nuova procedura; pertanto quest’ultimo può essere legittimamente escluso.
La CGUE, invece, afferma il principio per cui se il concorrente ha impugnato il provvedimento di risoluzione del precedente contratto di appalto di cui esso è stato parte presso altra stazione appaltante, la (nuova) stazione appaltante è comunque libera di valutare l’affidabilità del concorrente e quindi non è tenuta ad escludere quest’ultimo. La ratio di tale principio è soprattutto questa: solo dopo che la sentenza abbia accertato la legittimità del provvedimento di risoluzione, sarà possibile per la (nuova) stazione appaltante escludere il concorrente.
Si tratta, quindi, di vedere fino a che punto il principio affermato dalla CGUE possa realmente considerarsi compatibile con l’art. 80 comma 5 lett. c- ter) del D.lgs. 50/2016, il quale, lo si ribadisce, prevede che, anche nel caso in cui il concorrente abbia eventualmente impugnato il provvedimento di risoluzione adottato dalla precedente stazione appaltante, la (nuova) stazione appaltante possa comunque escludere il concorrente stesso.
Nel caso di specie la CGUE ha assunto quale parametro l’art. 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE, il quale prevede i seguenti motivi di esclusione:
“se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità” (lett. C)
“se l’operatore economico ha evidenziato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di un precedente contratto di appalto pubblico, di un precedente contratto di appalto con un ente aggiudicatore o di un precedente contratto di concessione che hanno causato la cessazione anticipata di tale contratto precedente, un risarcimento danni o altre sanzioni comparabili” (lett. G);
Come si può vedere, anche la norma comunitaria (lett. G) – esattamente come l’art. 80 comma 5 lett. c- ter) del D.lgs. 50/2016 – ritiene sufficiente, ai fini dell’esclusione, il fatto che il precedente contratto sia stato risolto dalla (vecchia) stazione appaltante a causa delle carenze accertate, e non richiede che la legittimità del provvedimento di risoluzione sia stata accertata da una sentenza.
Quindi – e questo è l’aspetto anomalo della vicenda – la CGUE utilizza l’art. 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE – il quale non richiede, ai fini dell’esclusione del concorrente, una sentenza la quale abbia accertato l’effettiva responsabilità per l’inadempimento – per affermare il principio opposto, ovvero quello per cui proprio il fatto che il giudizio sia ancora pendente (e che quindi non vi sia stata ancora la sentenza) impedisce alla (nuova) stazione appaltante di disporre l’esclusione.
Pertanto la decisione della CGUE appare contraddittoria rispetto alla norma comunitaria dalla stessa richiamata.
Detto questo, appare opportuno, in linea generale, distinguere tra le varie cause di risoluzione:
● se il Capitolato diceva che la stazione appaltante poteva dichiarare la risoluzione a seguito della gravità dell’inadempimento, e rimetteva all’insindicabile giudizio della stessa stazione la facoltà di stabilire i caratteri della gravità (caratteri quindi non tipizzati all’inizio), allora quel che è grave secondo il parere dell’Ente potrebbe essere considerato come non grave (o comunque come inadempienza riparabile) dall’appaltatore, il quale potrebbe (legittimamente) sostenere che nel caso di specie non vi è stata una gravità tale da giustificare la risoluzione (l’appaltatore ha fatto un errore ma questo, secondo le regole della comune esperienza del settore, non era tale da causare l’interruzione dell’impianto e da determinare quindi la risoluzione).
In questo caso, sembrerebbe effettivamente che la (nuova) stazione appaltante, prima di escludere l’Impresa, debba attendere quanto meno la sentenza di primo grado.
E poco conta il fatto che l’impresa abbia sottoscritto per accettazione anche la clausola del Capitolato per effetto della quale appunto l’Ente si riservava di qualificare l’inadempimento come “grave” in base ad un proprio apprezzamento discrezionale: infatti, simile clausola altro non è che espressione del generale principio sancito dall’art. 1455 c.c. a norma del quale “Il contratto non si può risolvere se l' inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza”; quindi non si tratta di una facoltà che l’Ente si è unilateralmente attribuito nel Capitolato e che è stata sottoscritta per accettazione dall’impresa; si tratta di un principio contenuto in una norma di legge, che si applica a prescindere dall’avvenuta accettazione del Capitolato.
● se il Capitolato diceva che la stazione appaltante poteva dichiarare la risoluzione in casi specificamente indicati (p.es. mancato rispetto di un determinato termine oppure per consegna di una merce diversa da quella richiesta oppure per un vizio particolare), allora effettivamente l’inadempienza dell’appaltatore è tale, proprio perché tipizzata, da legittimare pienamente la decisione della stazione appaltante di risolvere il contratto, e di conseguenza altrettanto legittima a quel punto appare la scelta della (nuova) stazione appaltante di escludere l’Impresa stessa per tale motivo.
E quindi in tal caso, siccome la risoluzione operata dalla (vecchia) stazione appaltante deve considerarsi legittima, sarà legittimo anche il provvedimento con il quale la (nuova) stazione appaltante abbia escluso l’impresa.
Esaminiamo la seconda.
L’art. 80 comma 5 lett. c- ter) parla di “condanna al risarcimento del danno”.
Essa non prevede che tale condanna debba essere passata in giudicato: di conseguenza l’esclusione per le carenze nell’esecuzione del precedente appalto può essere disposta anche a seguito di una condanna di primo grado.
Ciò posto, si tratta di vedere se il principio in base al quale è sufficiente, ai fini dell’esclusione, anche una sentenza non passata in giudicato, è coerente con la restante disciplina contenuta nell’art. 80 del Codice riguardo alle cause di esclusione.
Il comma 1 richiede, in relazione ai reati ivi elencati, il passaggio in giudicato.
Il comma 5 lett. c- quater) richiede, in relazione al grave inadempimento dell’appaltatore nei riguardi dei subappaltatori, il passaggio in giudicato.
Il comma 7 prevede che la causa di esclusione non si applichi nel caso in cui l’appaltatore abbia risarcito, oppure si sia impegnato a risarcire, il danno conseguente al reato (od all’illecito) accertato a seguito di una sentenza definitiva (quindi passata in giudicato).
Quindi, come si può vedere, in gran parte le cause di esclusione previste dall’art. 80 hanno ad oggetto sentenze definitive.
Di conseguenza, la previsione del comma 5 lett. c- ter, in base alla quale per l’esclusione è sufficiente anche una sentenza di primo grado, appare alquanto discutibile, soprattutto alla luce del comma 7: quest’ultimo stabilisce che il concorrente, per evitare di essere escluso, deve aver posto in essere comportamenti riparatori a seguito di una condanna definitiva; quindi la definitività della condanna, se è richiesta ai fini della non applicabilità della causa di esclusione (comma 7), dovrebbe essere richiesta anche per l’applicabilità della stessa (comma 5 lett. c- ter), e ciò per una questione di intrinseca coerenza; non si può dire “il concorrente può essere escluso anche a seguito di condanna in primo grado” (comma 5 lett. c- ter) e poi dire “il concorrente, per non essere escluso, deve aver riparato il danno accertato con sentenza passata in giudicato”.
Di conseguenza, l’art. 80 comma 5 lett. c- ter) del D.lgs. 50/2016 dovrebbe essere modificato nel senso di prevedere che, anche per le carenze avvenute nell’esecuzione di un precedente appalto, la condanna deve essere stata definitiva, ossia: la (nuova) stazione appaltante potrà escludere il concorrente solo quando questi abbia impugnato il provvedimento di risoluzione adottato dalla (vecchia) stazione appaltante e tale impugnazione sia stata respinta con sentenza passata in giudicato.
In tal caso (ma solo in tal caso) acquisterebbe validità il principio adottato dalla CGUE, la quale ritiene che la semplice pendenza del giudizio volto ad accertare la legittimità della risoluzione adottata dalla stazione appaltante non sia sufficiente a consentire alla (nuova) stazione appaltante di escludere l’impresa.
Pertanto, allo stato attuale, la soluzione adottata dalla CGUE si pone in contrasto con l’art. 80 comma 5 lett. c- ter) del D.lgs. 50/2016 anche per quanto attiene all’ipotesi della condanna risarcitoria.
Infine, un’ ultima considerazione.
La decisione della CGUE sarebbe in piena sintonia con il diritto nazionale solo se quest’ultimo riconoscesse, all’impugnazione proposta dall’impresa, un effetto sospensivo del provvedimento di risoluzione adottato dalla (vecchia) stazione appaltante, ossia se l’impugnativa impedisse alla (nuova) stazione appaltante di escludere l’impresa dalla procedura fino a quando non sarà emessa la sentenza, stabilendo il principio in base al quale solo nel caso in cui la sentenza respinga l’impugnazione e quindi confermi la legittimità della risoluzione, l’impresa potrebbe essere esclusa dalla nuova procedura.
Ebbene, non sembrerebbe che il diritto nazionale contempli simile effetto sospensivo.
Nel D.lgs. 104/2010 l’effetto sospensivo dell’impugnazione è riconosciuto espressamente solo nel caso di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata (artt. 98, 121); non è stabilito alcun principio in base al quale l’impugnazione, da parte dell’appaltatore, del provvedimento di risoluzione del contratto, è tale da produrre effetti anche nei confronti di una successiva procedura nella quale il medesimo appaltatore rivesta la qualità di concorrente, nel senso di impedire alla (nuova) stazione appaltante di escluderlo per il fatto appunto dell’avvenuta risoluzione del precedente contratto.
Quindi, la soluzione adottata dalla CGUE, secondo la quale la suddetta impugnativa sarebbe idonea ad impedire alla (nuova) stazione appaltante di escludere l’impresa, non è conforme né al disposto dell’art. 80 comma 5 lett. c- ter) del D.lgs. 50/2016 né al Codice del Processo Amministrativo (D.lgs. 104/2010).