Consiglio di Stato, sez. V, 28 gennaio 2019, n. 697
1.È possibile configurare un’ipotesi di responsabilità precontrattuale a carico della stazione appaltante nel caso in cui quest’ultima, dopo aver indetto una gara ed essersi in seguito avveduta di motivi ostativi, abbia proseguito nella gestione della procedura senza informare i partecipanti, per poi revocare l’aggiudicazione. Il danno, in tal caso, non è causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela (annullamento ovvero revoca), ma trova la sua causa nella condotta omissiva tenuta dall’amministrazione nella gestione della complessiva serie amministrativa.
2. Anche se per le ipotesi di responsabilità precontrattuale è da ritenere ammissibile anche il ristoro della perdita di chance, tale possibilità è limitata alle sole occasioni di guadagno alternative cui l’operatore leso avrebbe potuto attingere in assenza del contegno dannoso dell’amministrazione, mentre non è ammesso il ristoro della chance intesa come pura e semplice possibilità di conseguire i guadagni connessi all’esecuzione del contratto non stipulato; invero, laddove si ammettesse tale forma di ristoro della chance di guadagno, ne risulterebbe travolto il generale principio secondo cui, nelle ipotesi di responsabilità precontrattuale, non è ammesso il ristoro delle occasioni di guadagno connesse all’esecuzione del contratto mai stipulato.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1863 del 2018, proposto da Operazione S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Ausiello, con domicilio eletto presso il suo studio in Casalnuovo Di Napoli, via Arcora, 110/Palazzo Gecos
contro
Siena Casa S.p.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Mariani, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Conciliazione, 10;
Comune di Colle di Val D’Elsa non costituito in giudizio
per la riforma della sentenza del T.A.R. della Toscana, Sezione I, n. 187/2018
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Siena Casa S.p.A;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2018 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Antonio Melucci, in sostituzione dell’avvocato Ausiello, e l’avvocato Marco Mariani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
La CO.GE.DI. s.r.l. – a cui oggi, in forza di un contratto di affitto di ramo d’azienda, è subentrata l’odierna appellante OperAzione s.r.l. – nel gennaio 2013 era risultata aggiudicataria della gara, indetta da Siena Casa s.p.a. – società pubblica costituita dai Comuni della provincia di Siena a seguito dello scioglimento delle Aziende Territoriali per l’Edilizia residenziale -, per l’affidamento dei lavori di recupero architettonico e funzionale del fabbricato “ex Branconi”, ubicato in Colle Val d’Elsa (Si), nel quale si sarebbero dovuti realizzare nove alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Non avendo mai proceduto alla stipula del contratto d’appalto, l’aggiudicazione veniva revocata in autotutela da Siena Casa s.p.a. nel marzo del 2017, motivata con il fatto che, dopo essere tardivamente entrata in possesso dell’immobile, la Società appaltante ne aveva accertato lo stato di grave degrado, che ne rendeva necessaria la messa in sicurezza dell’immobile, prima della realizzazione dei lavori originariamente appaltati.
Con ricorso n. 518 del 2017, la società OperAzione s.r.l. impugnava innanzi al T.A.R. Toscana – Firenze il provvedimento di revoca, censurandolo sulla scorta di due doglienze, evidenziando la carenza dei presupposti di cui all’art. 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, in relazione alla palese carenza di adeguata motivazione, carenza di istruttoria e di affidamento ingenerato, unitamente ai plurimi profili di eccesso di potere cui era affetto il provvedimento di revoca.
Il T.A.R. adito, con sentenza n. 187 del 2 febbraio 2018, in parziale accoglimento del ricorso, condannava Siena Casa s.p.a. a corrispondere alla OperAzione s.r.l., a titolo di risarcimento dei danni da responsabilità precontrattuale, una somma di euro 2.418,85.
Con ricorso in appello (nrg. 1863 del 2018), la società OperAzione s.r.l. ha impugnato la sentenza in questione, deducendo:
1) Error in judicando – Violazione e distorta applicazione dell’art. 21-quinquies della L. n. 241/1990, in relazione all’art. 3 L. cit. – Motivazione apparente e contraddittoria – Erronea presupposizione di fatto e diritto – Perplessità – Violazione del decisum nomofilattico n. 8/2017;
2) Error in judicando e procedendo – Violazione dei principi in materia di risarcimento in forma equivalente per illegittimità procedimentale – Riconoscimento del risarcimento danni dell’interesse positivo in termini di lucro cessante e danno emergente – Omessa pronuncia – Motivazione apparente-erronea e iniqua;
3) Error in judicando – Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di responsabilità precontrattuale e di interesse negativo. – Violazione del principio nomofilattico Ad. Plen. N. 6/2005. – Motivazione erronea- iniqua-perplessa- sviata e contraddittoria.
Si è costituita in giudizio Siena Casa s.p.a., la quale ha concluso chiedendo di respingere il ricorso in appello perché inammissibile, irricevibile e comunque infondato.
Alla pubblica udienza del 20 dicembre 2018, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla società OperAzione s.r.l., attiva nel settore dei lavori, avverso la sentenza del T.A.R. della Toscana con cui è stato accolto (ma solo in parte e in misura ritenuta non soddisfacente) il ricorso dalla stessa proposto al fine di ottenere il ristoro del danno cagionato dalla Siena Casa s.p.a. in relazione a una complessa vicenda originata da una procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla ristrutturazione di un edificio in Colle Val d’Elsa (SI).
2. Con il primo motivo di appello la OpeAzione lamenta che erroneamente il primo Giudice abbia omesso di rilevare i numerosi profili di difetto di motivazione che viziavano il provvedimento di revoca del 29 marzo 2017 in relazione ai presupposti di cui all’articolo 21-quinquies della l. 241 del 1990.
In particolare il primo Giudice
– avrebbe erroneamente ritenuto che il mero mutamento dello stato dei luoghi (per come sinteticamente indicato nel provvedimento impugnato) giustificasse in modo adeguato la disposta revoca e che il contegno serbato nel corso dell’intera vicenda dalla Siena Casa s.p.a. giustificasse soltanto la riconduzione della vicenda nell’ambito della responsabilità precontrattuale dell’amministrazione;
– avrebbe erroneamente affermato che, nel bilanciamento fra i diversi interessi in gioco, l’interesse pubblico alla rimozione dell’aggiudicazione prevalesse rispetto all’affidamento risposto dall’aggiudicatario alla stipula del contratto e alla successiva esecuzione dei lavori (e tale lacuna risulterebbe tanto più grave in considerazione della valenza generale che il principio del legittimo affidamento riveste anche in ambito eurounitario);
– avrebbe omesso di adeguatamente considerare che la modifica della situazione di fatto posta a fondamento dell’impugnata revoca fosse imputabile alla stessa Siena Casa la quale aveva omesso per circa tre anni di attivarsi per entrare nella disponibilità dell’immobile, in tal modo contribuendo a determinare lo stato di degrado posto a fondamento della disposta revoca;
– avrebbe erroneamente omesso di considerare che un puro e semplice ripensamento circa la satisfattività delle lavorazioni non potesse ex se giustificare la revoca (e che, comunque, non potesse giustificarla senza aver adeguatamente valutato l’interesse dell’aggiudicataria alla realizzazione delle lavorazioni);
– avrebbe omesso di considerare che, stante il notevole lasso di tempo decorso dalla disposta aggiudicazione (del gennaio 2013), l’eventuale revoca avrebbe richiesto una motivazione particolarmente approfondita (inter alia) in ordine: i) alle ragioni del mutamento dello stato dei luoghi e al concorso arrecato dall’appellata a tale mutamento; ii) alle ragioni della mancata vigilanza dell’opera ; iii) alle ragioni del silenzio a lungo serbato da Siena Casa sull’esito della vicenda amministrativa; iv) alle ragioni che avevano indotto Siena Casa a disporre l’integrale revoca dell’aggiudicazione, senza valutare opzioni alternative (come, ad esempio, l’approvazione di varianti al progetto inizialmente messo a gara).
2.1. Il motivo è nel complesso infondato.
2.2. Si osserva in primo luogo al riguardo che l’appellante sembra porre sostanzialmente sullo stesso piano l’antidoverosità del contegno serbato dall’appellata Siena Casa nel corso della vicenda amministrativa (con i connessi risvolti risarcitori) e la legittimità della disposta revoca.
Tenendo invece distinti – come è necessario – i due piani, emerge che del tutto condivisibilmente il primo Giudice abbia (da un lato) censurato i numerosi e rilevanti errores sottesi al contegno serbato dalla Siena Casa – traendone le necessarie conseguenze anche ai fini risarcitori – e (dall’altro) abbia ritenuto comunque sussistenti i presupposti per disporre in modo legittimo la revoca dell’affidamento.
E’ infatti evidente che sia ben possibile far derivare conseguenze risarcitorie in danno dell’amministrazione dalla (legittima) adozione di un provvedimento di revoca, così come è possibile che la revoca di un atto amministrativo possa risultare legittima e giustificata anche se sia stata la stessa amministrazione a dare luogo ai presupposti legali della revoca (e in disparte i connessi profili risarcitori che devono essere esaminati in base a coordinate normative in parte diverse da quelle di cui all’articolo 21-quinquies della l. 241 del 1990).
Per quanto riguarda in particolare il primo dei citati aspetti deve qui essere richiamato il condiviso orientamento secondo cui è possibile configurare un’ipotesi di responsabilità precontrattuale a carico della stazione appaltante la quale, dopo aver indetto una gara ed essersi in seguito avveduta di motivi ostativi prosegua nella gestione della procedura senza informare i partecipanti, per poi revocare l’aggiudicazione.
Il danno, in tal caso, non è causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela (annullamento ovvero revoca), ma trova la sua causa nella condotta omissiva tenuta dall’amministrazione nella gestione della complessiva serie amministrativa (in tal senso: Cons. Stato, IV, 20 febbraio 2014, n. 790).
2.3. Prendendo comunque le mosse dalla questione relativa alla legittimità del provvedimento di revoca (e riservando al prosieguo le questioni risarcitorie), il Collegio rileva che condivisibilmente il primo Giudice abbia ravvisato nel caso in esame i presupposti per l’adozione dell’atto di ritiro ai sensi dell’articolo 21-quinquies della l. 241 del 1990.
Deve infatti rilevarsi che lo stato di gravissimo degrado in cui versava l’immobile al momento in cui la Siena Casa ne aveva nuovamente acquisito la disponibilità (dicembre 2016) e la necessità di metterlo in sicurezza prima di eseguirvi qualunque altro intervento risultava del tutto incompatibile con la realizzazione degli interventi di mera ristrutturazione edilizia che erano stati aggiudicati all’appellante.
Nella situazione data (e anche al fine di salvaguardare l’incolumità pubblica) era dunque quel radicale “mutamento della situazione di fatto” al ricorrere del quale l’articolo 21-quinquies della l. 241 del 1990 legittima l’adozione di un provvedimento di revoca.
La gravità e serietà delle ragioni poste a fondamento della disposta revoca giustificava (anche in ragione delle richiamate esigenze di interesse pubblico) l’adozione dell’atto di ritiro, rendendo recessivo (il pur comprensibile) affidamento riposto dall’appellante alla realizzazione degli interventi di ristrutturazione inizialmente messi a gara.
Del resto, anche a voler tenere nella massima considerazione l’evidente interesse dell’appellante a realizzare comunque tali interventi, è evidente che essi (quand’anche in concreto realizzabili nella situazione data) non avrebbero arrecato alcuna utilità concreta alla stazione appaltante (che avrebbe comunque dovuto procedere a realizzare radicali interventi di messa in sicurezza prima di ristrutturare e rendere nuovamente utilizzabili i locali), in tal modo comportando a suo carico un onere finanziario del tutto ingiustificato.
2.4. Si osserva ancora che l’indubbio concorso causale apportato dalla Siena Casa al verificarsi dello stato di degrado dell’immobile può certamente rilevare ai fini risarcitori (e a tali fini è stato apprezzato dal T.A.R.), ma tale circostanza non può elidere la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per disporre il provvedimento di ritiro di cui al più volte richiamato articolo 21-quinquies.
2.5. Si osserva infine che (in disparte i più volte richiamati profili risarcitori) non ha invece fondamento giuridico la tesi dell’appellante OperAzione secondo cui la stazione appaltante (piuttosto che disporre la revoca dell’aggiudicazione) avrebbe potuto limitarsi a disporre una variante progettuale, in tal modo consentendo comunque la realizzazione degli interventi necessari da parte dell’appellante medesima.
La tesi non può trovare accoglimento in quanto l’invocata assegnazione di un appalto oggettivamente diverso da quello originariamente messo a gara avrebbe presentato insormontabili ostacoli di ordine giuridico, stante l’evidente e oggettiva diversità fra l’utilitas posta a base della procedura ad evidenza pubblica e quella che l’appellante aspirava (e in modo postumo) a vedersi assegnare senza alcuna nuova procedura evidenziale.
2.5. Il primo motivo di appello deve dunque essere respinto.
3. Con il secondo motivo di appello la OperAzione, sul presupposto dell’illegittimità del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione, lamenta che il primo Giudice non abbia accolto la domanda risarcitoria finalizzata al ristoro i) dell’interesse positivo (nella forma del lucro cessante); ii) della perdita di chance connessa all’esecuzione della commessa; iii) del danno curriculare (connesso alla mancata acquisizione dell’esperienza professionale connessa all’esecuzione dell’appalto).
Il motivo è nel complesso infondato in quanto la sua intera articolazione prende le mosse da un dato (quello dell’illegittimità della disposta revoca) che, per le ragioni dinanzi esaminate, risulta destituito di fondamento.
Ne consegue che non può trovare accoglimento alcuna delle (tre) domande formulate in via gradata dall’appellante e volte ad ottenere i) il risarcimento in forma specifica del danno connesso alla mancata stipula ed esecuzione del contratto; ii) il risarcimento per equivalente connesso all’attività provvedimentale illegittima, ovvero iii) il ristoro del danno da contatto sociale qualificato (in quanto connesso – ancora una volta – al ritenuto carattere illegittimo dell’attività provvedimentale realizzata dalla stazione appaltante).
4. Con il terzo motivo di appello la OperAzione chiede la riforma del capo della sentenza con cui (pur essendo stata accolta la domanda finalizzata ad ottenere il ristoro del danno da responsabilità precontrattuale della stazione appaltante – nei limiti quindi del solo interesse negativo -), tale danno è stato quantificato nella ridottissima somma di euro 2.418,85.
In tal modo decidendo il T.A.R. non solo avrebbe erroneamente omesso di ammettere alcune delle voci di danno connesse al lamentato interesse negativo (per un totale preteso di euro 12.577,58), ma inoltre avrebbe – del pari erroneamente – omesso di riconoscere il ristoro del danno da perdita di chance connessa alla stipula del contratto e alla sua esecuzione.
Secondo l’appellante, in particolare, non sarebbe stato possibile negare tale voce di danno stante l’orientamento giurisprudenziale che riconduce all’ambito del c.d. ‘interesse negativo’ anche la perdita di chance.
E tale conclusione sarebbe necessaria sia se si aderisse alla tesi della c.d. ‘chance ontologica’, sia se si aderisse alla diversa tesi della c.d. ‘chance eziologica’.
4. Il motivo è infondato, salvo quanto fra breve si dirà in ordine al quantum del disposto risarcimento.
4.1. La sentenza in oggetto è meritevole di puntuale conferma laddove ha stabilito che il contegno serbato da Sina Ambiente nel corso della vicenda integra gli estremi della responsabilità precontrattuale per avere la stazione appaltante determinato (con una condotta colposamente negligente) il ritardo nella consegna degli immobili che ne ha causato il deperimento sino a giustificare la revoca in autotutela per radicale mutamento della situazione fattuale.
In particolare è meritevole di conferma il passaggio in cui si afferma che, a seguito dell’aggiudicazione, l’amministrazione non si è curata di agire al fine di consentire la consegna dell’immobile, in tal modo determinando un inevitabile deterioramento del fabbricato (circostanza, questa, che si sarebbe certamente potuta evitare usando la diligenza esigibile in capo a un operatore professionale).
4.2. Per quanto riguarda il quantum del danno risarcibile la sentenza in epigrafe è parimenti meritevole di conferma per avere richiamato il più che consolidato orientamento secondo cui mentre per i danni da mancata aggiudicazione essi sono parametrati al c.d. interesse positivo e consistono nell’utile netto ritraibile dal contratto, oltre che nei pregiudizi di tipo curriculare e all’immagine commerciale della società, ingiustamente privata di una commessa pubblica, nel caso di responsabilità precontrattuale i danni sono limitati al solo interesse negativo, ravvisabile nel caso delle procedure ad evidenza pubblica nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, V, 27 marzo 2017, n. 1364; id., IV, 20 febbraio 2014, n. 790; id., V, 6 marzo 2013, n. 1357).
4.3. Vero è, quindi, che per le ipotesi di responsabilità precontrattuale la giurisprudenza amministrativa ha ammesso anche il ristoro della perdita di chance (in tal senso – inter alia – la sentenza Ad. Plen. 5 settembre 2005, n. 6, in più occasioni richiamata dall’appellante); ma è anche vero che la giurisprudenza ha limitato tale possibilità alle sole occasioni di guadagno alternative cui l’operatore leso avrebbe potuto attingere in assenza del contegno dannoso dell’amministrazione, mentre non è ammesso il ristoro della chance intesa come pura e semplice possibilità di conseguire i guadagni connessi all’esecuzione del contratto non stipulato.
E’ evidente al riguardo che, laddove si ammettesse (secondo le richieste dell’appellante) tale forma di ristoro della chance di guadagno, ne risulterebbe travolto il generale principio secondo cui, nelle ipotesi di responsabilità precontrattuale, non è ammesso il ristoro delle occasioni di guadagno connesse all’esecuzione del contratto mai stipulato (i.e.: il c.d. ‘interesse positivo’).
4.4. Per quanto riguarda, poi, il ristoro dei benefìci connessi alla ulteriori e diverse occasioni di guadagno che l’appellante avrebbe potuto conseguire se non fosse stata impegnata nelle inutili trattative con la stazione appaltante, il primo Giudice ha condivisibilmente rilevato che la OperAzione non abbia fornito al riguardo alcuna allegazione o prova.
E un siffatto onere gravava sulla ricorrente in base al consolidato orientamento secondo cui il pregiudizio per perdita di chance di aggiudicazione di un appalto pubblico (nelle ipotesi in cui è ammesso, quali quelle che qui rilevano) consiste in un danno patrimoniale relativo alla perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo secondo una valutazione ex ante collegata al momento in cui il comportamento illegittimo ha inciso su tale possibilità. La perdita di chance si configura quindi come danno attuale e risarcibile, sempre che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni. Ne consegue, altresì, che alla mancanza di tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ. diretta a fronteggiare l’impossibilità di provare non l’esistenza del danno risarcibile, bensì del suo esatto ammontare. In altri termini, la perdita di chance di rilievo risarcitorio, in quanto entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione e non mera aspettativa di fatto o generiche ed astratte aspirazioni di lucro, deve correlarsi a dati reali, senza i quali risulta impossibile il calcolo percentuale di possibilità delle concrete occasioni di conseguire un determinato bene (in tal senso: Cons. Stato, III, 31 agosto 2011, n. 4892).
4.5. Per quanto riguarda, infine, il ristoro delle voci di danno connesse all’inutile partecipazione alla procedura, la sentenza in epigrafe risulta parimenti meritevole di conferma per la parte in cui (punto 21.3 della motivazione) ha puntualmente indicato le voci di costo di cui l’appellante aveva fornito puntuale prove, escludendo dal ristoro le altre (con particolare riguardo alle spese di trasferta, che costituiscono la parte preponderante degli oneri invocati dall’appellante e non ammessi al ristoro).
Non può essere condiviso l’argomento dell’appellante secondo cui la stessa avrebbe puntualmente individuato ed allegato già in primo grado le ulteriori voci di costo non ammesse a ristoro (il riferimento va in particolare agli allegati 14 e 15 della produzione in primo grado).
Si osserva in contrario che, dall’esame dei richiamati allegati 14 e 15, emerge che il primo Giudice abbia puntualmente ammesso a ristoro le voci di costo ivi giustificate e che abbia escluso quelle non contemplate nell’ambito dei richiamati allegati.
5. Per le ragioni esposte il ricorso in epigrafe deve essere respinto.
Il Collegio ravvisa gusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Guida alla lettura
Com’è noto, la responsabilità precontrattuale tutela l'interesse all'adempimento, l'interesse del soggetto a non essere coinvolto in trattative inutili, a non stipulare contratti invalidi o inefficaci e a non subire inganni in ordine ad atti negoziali. L'interesse protetto in tema di responsabilità precontrattuale è quello della libertà negoziale. Il codice civile all’art. 1337 sancisce l'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. L’art. 1338 c.c. sancisce la responsabilità della parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa d'invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte. In tal caso il responsabile è tenuto a risarcire il danno che l'altra parte ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto.
Come ha precisato più volte la giurisprudenza amministrativa, la responsabilità precontrattuale è quindi riconducibile agli effetti giuridici previsti dall’art. 1337 c.c. per condotte contrarie ai canoni di buona fede e correttezza nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto.
Affinché possa ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale, è necessario, però, che le trattative siano giunte ad uno stadio avanzato ed idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che, inoltre, la controparte pubblica cui si addebita la responsabilità le abbia interrotte senza un giustificato motivo; e infine che pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.
L’amministrazione è, quindi, tenuta a rispettare oltre alle norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), anche le norme generali dell’ordinamento civile. E’ quanto precisato dal Consiglio di Stato in Adunanza plenaria nella sentenza del 4 maggio 2018, n. 5, in cui si sottolinea che l’amministrazione deve agire con lealtà e correttezza.
Ad avviso dell’Adunanza plenaria l’interpretazione del dovere di correttezza rappresenta una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale che trova il suo principale fondamento nell’art. 2 della Costituzione (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188), poiché mira a tutelare non la conclusione del contratto, ma la libertà di autodeterminazione negoziale, a prescindere dall’esistenza di una formale “trattativa” di cui all’art. 1337 c.c.
La conferma di tale soluzione sta nel danno risarcibile, che, secondo un consolidato orientamento, non è mai commisurato alle utilità che sarebbero derivate dal contratto un sottoscritto, ma al c.d. interesse negativo a non subire indebite interferenze nell’esercizio della libertà negoziale (o, eventualmente, al c.d. interesse positivo virtuale, calcolato sulla differenza di utilità rispetto a quanto effettivamente percepito).
La violazione del dovere di correttezza può far quindi nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo dell’impresa lesa, ma sulla libertà di autodeterminazione negoziale di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illecite frutto dell’altrui scorrettezza (Cons. Stato, sez. VI, 6 febbraio 2013, n. 633; id., sez. IV, 6 marzo 2015, n. 1142; id., A.P., 5 settembre 2005, n. 6)
Di qui la possibilità che una responsabilità da comportamento scorretto sussista nonostante la legittimità del provvedimento amministrativo che conclude il procedimento.
In tale contesto, va richiamata anche la sentenza della sez. VI, 6 marzo 2018, n. 1457, che ha espressamente evocato un modello di pubblica amministrazione, come si è andato evolvendo nel diritto vivente, permeato dai principi di correttezza e buona amministrazione, desumibili dall’art. 97 Cost..
L’Adunanza plenaria ha affermato, quindi, che “nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, i doveri di correttezza e buona fede sussistono, anche prima e a prescindere dell’aggiudicazione, nell’ambito in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento”.
Può pertanto configurarsi la responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione, a prescindere dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva e senza che possa riconoscersi rilevanza alla circostanza che la scorrettezza maturi anteriormente alla pubblicazione del bando oppure intervenga nel corso della procedura di gara.
L’Adunanza plenaria, ha precisato poi che affinché nasca la responsabilità dell’amministrazione non è sufficiente che il privato dimostri la propria buona fede soggettiva (ovvero che egli abbia maturato un affidamento incolpevole circal’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere conseguenti attività economicamente onerose), ma occorrono gli ulteriori seguenti presupposti:
a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà;
b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo;
c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione.
L’affidamento incolpevole del privato deve essere valutato tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e sempre considerando che il dovere di correttezza è un dovere reciproco e grava, quindi, anche sul privato.
A titolo esemplificativo, gli aspetti in grado di condizionare il giudizio, sull’esistenza dei sopra richiamati presupposti della responsabilità, sono:
a) il tipo di procedimento di evidenza pubblica che viene in rilievo (tenendo conto dei margini di discrezionalità di cui dispone la stazione appaltante);
b) lo stato di avanzamento del procedimento rispetto al momento in cui interviene il ritiro degli atti di gara;
c) il fatto che il privato abbia partecipato al procedimento e abbia, dunque, quanto meno presentato l’offerta (in assenza della quale le perdite eventualmente subite saranno difficilmente riconducibili a comportamenti scorretti);
d) la conoscenza o, comunque, la conoscibilità, secondo l’onere di ordinaria diligenza da parte del privato dei vizi (di legittimità o di merito) che hanno determinato l’esercizio del potere di autotutela, tenuto conto che non può considerarsi incolpevole l’affidamento che deriva dalla mancata conoscenza della norma imperativa violata;
e) la c.d. affidabilità soggettiva del privato partecipante al procedimento (ad esempio, con verifica dei requisiti per partecipare alla gara di cui lamenta la mancata conclusione). (A.P. 5 maggio 4/2018).
Quanto, poi, alla perdita di chance, è necessario condurre l’analisi dell’istituto sulla base della non autonomia giuridica, come situazione giuridica suscettibile di tutela extracontrattuale, della c.d. chance, cioè l’aspettativa di conseguire un determinato bene o risultato.
L’espressione è mutuata dal diritto francese e ad essa ricorre la giurisprudenza interna più recente al fine di consentire il risarcimento del danno futuro, in modo difforme dall’esperienza normativa tradizionale, sotto l’aspetto economico e non delle conseguenze future di una condotta lesiva dell’interesse del privato.
La rilevanza o meno dell’interesse del privato non va collocata sul piano della qualificazione d’ingiustizia, ma su quello della quantificazione del danno, configurandosi pertanto non come figura peculiare del danno ingiusto in quanto involge la lesione di un situazione soggettiva che non può essere la chance medesima.
Il danno da perdita di chance si verifica tutte le volte in cui il venir meno di un’occasione favorevole cioè la perdita della possibilità di conseguire un risultato utile a causa dell’adozione di un atto illegittimo da parte della P.A. determina una lesione del diritto all’integrità del proprio patrimonio. E’ necessario rammentare che la sussistenza di questa categoria giuridica è dovuta soprattutto all’elaborazione giurisprudenziale e la sua sussumibilità sotto le voci risarcitorie, dopo alcune incertezze non solo dottrinarie ma giurisprudenziali, è ammessa a tutta evidenza.
Se, infatti, oltre un ventennio fa, le varie pronunce di merito non attribuivano alcuna rilevanza giuridica a questa fattispecie risarcitoria, sostenendo che “non è risarcibile il danno derivante da perdita di chance, in quanto trattasi di un danno meramente potenziale non sicuramente dimostrato e come tale non suscettibile di valutazione né di liquidazione equitativa”, oggi la giurisprudenza riconosce che la c.d. perdita di chance costituisce un’ipotesi di danno patrimoniale futuro.
La perdita di chance quindi è risarcibile a condizione che il danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, la presenza di un rapporto causale tra il danno e la ragionevole probabilità del verificarsi in futuro del danno medesimo e accerti quindi la realizzazione in concreto delle condizioni al fine di raggiungere il risultato sperato e ostacolato dal comportamento illecito di cui il danno appare conseguenza diretta ed immediata.
La giurisprudenza più recente ha chiarito che non è sufficiente che la situazione del titolare dell’interesse legittimo si configuri come perdita di chance, intesa come possibilità di conseguire un risultato favorevole, trattandosi di un mero interesse di fatto e quindi non meritevole di tutela.
Per quanto concerne i profili di liquidabilità del danno non è sufficiente la probabilità che esso si verifichi, essendo necessario che esso sia concretamente prodotto. Pertanto, in ipotesi di attività della P.A. di carattere discrezionale, l’eventuale risarcimento del danno può essere disposto solo dopo che l’amministrazione abbia riesercitato il proprio potere e riconosciuto il bene della vita in origine negato. La perdita di chance come conseguenza di un provvedimento illegittimo della P.A. merita una particolare attenzione sotto il profilo della sua valutazione nella applicazione dei principi della giurisprudenza amministrativa applicabili nelle diverse fattispecie sotto il profilo della lesione di un interesse legittimo qualificato.
Essa richiama i principi della giurisprudenza ordinaria in tema di risarcimento del danno derivante sia da responsabilità contrattuale sia extracontrattuale. La chance è qualificata come un bene giuridico autonomo integrante il patrimonio del soggetto ed è risarcibile qualora sussista la lesione di un interesse giuridicamente tutelato e la pretesa di risarcimento abbia come oggetto non un danno futuro e quindi incerto ma un danno attuale derivante dalla perdita di un’occasione favorevole. La lesione della chance quindi comporta un danno emergente valutabile in relazione alla probabilità perduta anziché al vantaggio sperato.
Si assume così a sostegno del risarcimento del danno il valore dell’utilità correlata al risultato finale applicando dei parametri ad hoc al fine di conseguire il risarcimento medesimo. Non sarebbe invece ravvisabile un risarcimento nell’ipotesi in cui l’attività rinnovatoria derivante dall’annullamento giurisdizionale dell’atto configuri il soddisfacimento dell’interesse del ricorrente, spettando alla P.A. ampi margini di manovra di carattere discrezionale e, dunque, la possibilità dell’adozione di un altro provvedimento legittimo.
Per quanto riguarda la possibilità che il giudice possa accordare il danno secondo equità si deve rammentare che il potere discrezionale del giudice di liquidare il danno ex art. 1226 c.c. non libera la parte dal produrre in giudizio mezzi probatori circa la sussistenza del danno stesso, al fine di consentire che l’apprezzamento equitativo sia limitato e volto alla sua particolare funzione di colmare le lacune che possono sorgere relativamente alla esatta determinazione del danno.
Al fine di accertare se si tratta di attività riconducibili alla sfera giuridica privatistica oppure pubblicistica non è bastevole accertare se l’attività si esplichi esternamente secondo gli istituti privatistici; infatti occorre valutare se essa sia svolta da funzionari pubblici e se sia volta a perseguire le finalità pubbliche demandate all’amministrazione pubblica e comunque costituisca attuazione dei piani di impiego dell’ente.