Tar Sardegna, sez. I, 16 gennaio 2019, n. 21.
1. La constatata presenza di false o omesse dichiarazioni rese dall'operatore economico in sede di partecipazione ad una procedura di evidenza pubblica da parte della Stazione Appaltante non impone a quest'ultima di disporre l'esclusione dell'impresa dalla gara, dovendo il provvedimento espulsivo conseguire al vaglio circa la gravità del precedente penale non dichiarato e l'incidenza dell'omissione o del falso sulla moralità professionale del concorrente.
2. L'aggiudicazione dell'appalto disposta dall'Amministrazione a favore di una ditta relativamente alla quale sia stata accertata la presenza di false o omesse dichiarazioni rese in sede di partecipazione inerenti a precedenti penali a proprio carico può essere annullata in autotutela solo nel rispetto dei presupposti, delle modalità e dei limiti fissati dall'art. 21 nonies comma 1 della L. 241/90.
Sull’autotutela esercitata oltre i 18 mesi:
conforme: CdS VI 30 marzo 2017, n. 3462
difforme: CdS sez. V, 27 giugno 2018, n. 3940; TAR Marche, 22 settembre 2017, n. 723; Tar Lazio, sez. II bis, 7 marzo 2017, n. 3215.
Sul falso innocuo:
Conformi: CdS., sez. VI, 22 novembre 2013, n. 5558; CdS., sez. V, 13 novembre 2015, n. 5192.
Difformi: CdS., sez. V, 12 dicembre 2018, n° 7025; CdS., sez. IV, 7 luglio 2016, n. 3034; Tar Toscana, 17.7.2018, n. 1041.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 768 del 2018, proposto da
Ditta Altea Claudina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Riccardo Caboni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Azienda Ospedaliero Universitaria di Cagliari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mauro Barberio, Stefano Porcu, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Porcu e Barberio Studio Legale in Cagliari, via Garibaldi n. 105;
Azienda Tutela Salute - Sardegna non costituita in giudizio;
nei confronti
Corisar S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sara Merella, Renato Margelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
della deliberazione n. 1009, adottata in data 27.9.2018, dal Direttore Generale dell'Azienda Ospedaliera Universitaria di Cagliari, con la quale è stata recepita la proposta di annullamento dell'aggiudicazione della S.C. Servizio Tecnico ed è stato disposto l'annullamento della presa d'atto dell'aggiudicazione di cui alla delibera del Direttore Generale dell'Azienda Ospedaliera di Cagliari n. 1122 del 18.11.2015 e conseguentemente la caducazione del Contratto Rep. 37/2016, nonché di dare atto che in funzione della costituzione della graduatoria approvata con la delibera dell'ASL n. 8 di Cagliari n. 1400 dell'8.8.2013, subentra in qualità di secondo classificato il concorrente CORISAR di Cabiddu Claudio e C., di avviare le procedure per il subentro del secondo classificato per il Lotto 2 e di affidare a tale ditta, in qualità di subentrante, i servizi relativi alle strutture dell'AOU di Cagliari;
- di ogni atto presupposto, connesso, consequenziale e comunque collegato, e per la dichiarazione di inefficacia del contratto, se stipulato tra l'amministrazione e la ditta controinteressata.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio della Azienda Ospedaliero Universitaria di Cagliari e di Corisar S.a.s.;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2018 il dott. Gianluca Rovelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con deliberazione n. 162 del 17.12.2007, l'Azienda Ospedaliero Universitaria di Cagliari, ha approvato uno schema di scrittura privata per disciplinare l'Unione d'Acquisto con l'Azienda ASL n. 8 di Cagliari e poi, con l'Atto Deliberativo n. 283 del 28.7.2009 del Direttore Generale dell'AOU di Cagliari, si è provveduto a delegare la suddetta ASL n. 8 di Cagliari all'espletamento della gara relativa al servizio di confezionamento e somministrazione pasti.
L'ASL n. 8 di Cagliari ha provveduto, quale capofila, ad espletare la gara relativa alla fornitura, in due Lotti, dei servizi relativi alla ristorazione per l'Azienda Sanitaria Locale di Cagliari e per l'Azienda Ospedaliero Universitaria di Cagliari, in unione d'acquisto, per un periodo di tre anni.
Con la delibera 1400 del giorno 8 agosto 2013 il Lotto 2, destinato alle necessità dell'Azienda Ospedaliero Universitaria di Cagliari, è stato aggiudicato alla ditta Altea Claudina per un importo complessivo triennale stimato pari a € 5.298.300,00 oltre agli oneri relativi alla sicurezza per rischi da interferenze per un importo pari a € 5.000,00 e all'IVA di legge.
Prima dell’avvio del servizio, l’AOU ha proceduto alle verifiche sul possesso dei requisiti, acquisendo anche il Certificato del casellario giudiziale della sig.ra Claudina Altea, titolare dell’omonima ditta, da cui risultavano precedenti penali.
L’AOU ha proceduto con la stipula del Contratto con l’aggiudicataria, da cui è poi seguito l’espletamento del servizio.
L’esecuzione del servizio ha avuto inizio il 1.6.2016 ed il termine previsto per la sua conclusione, dopo il triennio, è quello del 31.5.2019.
Espone la ricorrente che l’avvio del servizio è avvenuto con grande ritardo (di 5 anni dalla presentazione delle offerte del 2011 e 3 anni dall’affidamento), - soltanto a partire del giugno 2016 - per la precedente pendenza di ricorsi dinanzi al giudice amministrativo, avviati tutti dalla controinteressata ditta Corisar, che nel frattempo ha mantenuto in regime di proroga il servizio.
I giudizi si sono conclusi tutti favorevolmente per la ditta Altea.
Espone ancora la ricorrente che anche il presente contenzioso è originato dalla nuova segnalazione della ditta Corisar in ordine a vizi dell’offerta di gara presentata nel 2011 dalla ditta aggiudicataria, basati su circostanze di fatto già conosciute e valutate dall’AOU in fase di verifica del possesso dei requisit.
La ditta Corisar ha segnalato alla AOU come, all’interno dell’offerta della ditta Altea, fossero contenute delle dichiarazioni “false”, o comunque delle omissioni, di portata tale da determinare l’insorgere dell’obbligo di annullamento in autotutela della sua aggiudicazione.
In data 27.9.2018, l’AOU ha pubblicato la delibera di annullamento in autotutela respingendo le argomentazioni difensive della ditta Altea.
Avverso tale provvedimento è insorta la ricorrente deducendo le seguenti censure di seguito sintetizzabili:
1) violazione e falsa applicazione di legge, artt. 7 e 10 della l. 241/90, artt. 3, 97 e 111 della Costituzione per violazione dei principi di uguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, del giusto procedimento, nonché del diritto di difesa, di partecipazione, di accesso agli atti e di contraddittorio nel procedimento medesimo, art. 3 L. 241/90, difetto di motivazione, eccesso di potere, carenza dei presupposti;
2) violazione e falsa applicazione di legge, artt. 21 octies e 21 nonies della L. n. 241/90 sul potere di annullamento della p.a. entro un “termine ragionevole”, violazione dell’art. 97 della Costituzione e del principio di affidamento dei destinatari degli atti, art. 3 della L. 241/90 difetto di motivazione, per irragionevolezza rispetto alla precedente sua valutazione, sviamento ed eccesso di potere, contraddittorietà tra atti, illogicità manifesta, assenza dei presupposti;
3) violazione e falsa applicazione di legge, artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445/2000, art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, disciplinare di gara e capitolato speciale, sui requisiti di carattere generale, art. 3 L. n. 41/90 sotto altro profilo, perplessità della motivazione, per considerare l’atto impugnato come necessitato, eccesso di potere, carenza dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità e ingiustizia manifeste;
4) violazione e falsa applicazione di legge, art. 48 comma 3, d.lgs. 163/2006, violazione di legge in relazione al punto 3.2. del disciplinare di gara e punto 5.13 del capitolato speciale di gara sul requisito della capacità produttiva del centro cottura, eccesso di potere, grave carenza di istruttoria, carenza dei presupposti, travisamento dei fatti.
Concludeva per l’accoglimento del ricorso con conseguente annullamento dell’atto impugnato previa concessione di idonea misura cautelare.
Si costituivano l’Azienda ospedaliero universitaria di Cagliari e la controinteressata chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla udienza pubblica del 18 dicembre 2018 il ricorso veniva trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1. La complessa vicenda all’attenzione del Collegio merita anzitutto una compiuta ricostruzione delle censure che la ricorrente muove all’atto impugnato.
1.1. Con il primo motivo la ricorrente afferma quanto segue.
Il provvedimento impugnato è illegittimo per violazione dei principi regolatori del giusto procedimento amministrativo, come sanciti dalla L. 241/90.
1.2. Con il secondo motivo la ricorrente argomenta come segue.
Il provvedimento di annullamento in autotutela dell’aggiudicazione dell’appalto, avvenuto a tre anni dalla verifica del possesso dei requisiti, è illegittimo sotto un duplice profilo, l’uno legato al tempo trascorso e l’altro (connesso) alla irragionevolezza della motivazione.
Risulta per tabulas, infatti, come l’amministrazione avesse piena conoscenza sia delle dichiarazioni rese dalla concorrente Altea (presentate nel 2011), sia del contenuto del certificato del casellario (acquisito nel 2015) da cui risultavano le precedenti condanne della titolare della ditta aggiudicataria.
Risulta dallo stesso documento, come esso sia stato rilasciato all’AOU (su sua richiesta, doc. 10) nel 2015, durante la apposita fase di verifica dei requisiti di partecipazione.
L’amministrazione, quindi, aveva valutato, nella apposita fase, come la ditta potesse rimanere legittimamente aggiudicataria e svolgere il servizio e, difatti, ha stipulato il relativo contratto di affidamento.
Adesso, sulla base di nuove segnalazioni della ditta Corisar, di tali stessi elementi, che già conosceva, ossia che la Signora Altea nelle sue autodichiarazioni non aveva dato notizia di tali condanne, a distanza di 3 anni ha rivalutato la medesima questione, decidendo però stavolta in modo diametralmente opposto.
Il provvedimento di annullamento in autotutela dell’aggiudicazione è, secondo la ricorrente, adottato in violazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della L. 241/90.
1.3. Il terzo motivo contiene le seguenti argomentazioni.
Nella motivazione, il provvedimento impugnato, in sintesi, afferma che l’annullamento in autotutela fosse un atto necessitato, senza alternative possibili, posto che la mancata dichiarazione relativa alle condanne era attinente a requisiti di carattere generale della aggiudicataria.
Ma secondo la ricorrente, l’amministrazione non aveva più il potere di annullare in autotutela, che si era certamente esaurito visto il tempo trascorso dalla verifica dei requisiti (tre anni), considerato che era già a conoscenza degli elementi segnalati dalla ditta Corisar e che li aveva già valutati.
Ricorda ancora la ricorrente che, nel caso di specie, trova applicazione la disciplina del vecchio codice degli appalti (d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163) ed è dunque ad essa che si deve fare riferimento.
Sempre secondo la ricorrente, si deve concludere nel senso che la sig.ra Claudina Altea non avesse l’obbligo di dichiarare risalenti sentenze, per una serie di ragioni avvalorate dalla giurisprudenza o perlomeno da una parte di essa.
I due precedenti non citati erano i seguenti:
- il primo, del 1994 (ex art. 356 c.p.), riguardava l’aver fornito alcuni prodotti che non erano specificati nelle tabelle di cui al contratto, e difatti, afferma la ricorrente, considerata “la modesta offensività del fatto rispetto al buon funzionamento del servizio”, è stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena e la non menzione;
- il secondo, del 2001, era una contravvenzione, ex art. 5 lett. D) della L. 238/1962, poiché - in uno dei controlli - erano stati rinvenuti dei prodotti non ben conservati, ed anche in questo caso è stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Dopo aver citato numerosi precedenti giurisprudenziali, la ricorrente ricorda che la determinazione della stazione appaltante avrebbe dovuto essere adeguatamente motivata, mentre nel caso di specie è del tutto illogica ove afferma che la decisione di annullare in autotutela era priva di possibili alternative.
Le sentenze sono del 1994 e del 2001 e riguardano, sempre secondo la ricorrente, fatti di modestissima entità per i quali erano stati ottenuti dal giudice i benefici di legge, che possono essere considerati quasi “fisiologici” per chi si trova a dover garantire un servizio pubblico di tal fatta (ossia garantire migliaia di pasti al giorno, pranzo e cena per oltre trent’anni).
1.4. Il quarto motivo contiene le seguenti argomentazioni.
Secondo la ricorrente vi sarebbe la violazione dell’art. 48 del d.lgs. 163/2006, in quanto non era possibile il subentro della ditta Corisar per la mancanza del requisito della capacità produttiva disponibile del centro di cottura, richiesta nel disciplinare e nel capitolato speciale.
2. Descritte le censure che la ricorrente muove al provvedimento impugnato è ora utile individuare le questioni giuridiche che vengono sottoposte a questo Collegio.
Difatti, se si fa eccezione per il quarto motivo di ricorso, diretto a contestare i requisiti di Corisar per poter svolgere il servizio, i primi tre sono tutti diretti, sotto diversi profili, a contestare la legittimità del provvedimento di autotutela.
Essi possono quindi essere esaminati congiuntamente.
2.1. Le questioni poste sono le seguenti:
a) l’autotutela nei contratti pubblici con particolare riguardo all’esercizio di poteri autoritativi dopo la stipula contrattuale;
b) la rilevanza del “falso innocuo” nella presente fattispecie.
2.2. Partiamo da un punto fermo.
Nelle gare pubbliche il potere di annullamento in autotutela può ben venire esercitato al fine di garantire il ripristino della legalità, ma questa finalità non può integrare ex se, e tantomeno esaurire, l'ambito delle più ampie e articolate valutazioni che l'Amministrazione pubblica è chiamata ad operare, essendo invece imprescindibile una compiuta comparazione tra l'interesse pubblico e quello privato, oltre alla ragionevole durata del tempo intercorso tra l'atto illegittimo e la sua rimozione.
2.3. Ciò premesso, in ordine alla possibilità per l’amministrazione di provvedere all’annullamento dell’aggiudicazione dopo la stipula contrattuale, ha avuto modo di esprimersi il Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza 22 marzo 2017, n. 1310 che ha affermato principi del tutto condivisibili.
Vediamoli.
Intanto, anche se è vero che l’Amministrazione non può procedere alla revoca del contratto, di cui all’art. 21-quinquies della L. n. 241 del 1990, dopo la stipula dello stesso, sussiste tuttavia la possibilità dell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva anche dopo detta stipula, così come era previsto dall’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, ora abrogato. Un simile potere di annullamento in autotutela, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell’azione amministrativa anzitutto da parte della stessa Amministrazione procedente, deve quindi riconoscersi a questa anche dopo l’aggiudicazione della gara e la stipulazione del contratto, con conseguente inefficacia di quest’ultimo, e trova ora un solido fondamento normativo, dopo le recenti riforme della L. n. 124 del 2015, anche nella previsione dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. n. 241 del 1990, laddove esso si riferisce anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi comprensivi anche dell’affidamento di una pubblica commessa.
Il dies a quo per computare il termine di 18 mesi, previsto dall’art. 21-nonies, comma 1, della L. n. 241 del 1990, per il ritiro dell’atto amministrativo decorre dall’emanazione del provvedimento attributivo di un effettivo vantaggio economico, essendo questo il momento effettivo dal quale è possibile far decorrere tale termine, in quanto gli atti prodromici della procedura di gara non possono attribuire alcun vantaggio economico, concretizzatosi soltanto con la deliberazione, recante l’affidamento del servizio.
2.4. Il caso che ha esaminato il Consiglio di Stato nella sentenza sopra citata è significativo.
La Terza sezione nell’affermare il principio sopra riportato ha precisato che il termine di 18 mesi, deve farsi decorrere dalla effettiva adozione del provvedimento attributivo di un vantaggio economico, che, nel caso di specie, era costituito dalla deliberazione con la quale era stato affidato il servizio ed era stato approvato lo schema della relativa convenzione.
È solo quello, in effetti, il momento effettivo dal quale è possibile far decorrere tale termine, in quanto gli atti prodromici della procedura di gara non possono attribuire alcun vantaggio.
Se trasponiamo quindi i principi sopra riportati al caso qui esaminato, il termine dei 18 mesi dovrebbe farsi decorrere dal provvedimento di aggiudicazione definitiva.
2.5. Ma un altro punto della sentenza del Consiglio di Stato appare a questo Collegio estremamente significativo.
E’ il caso di riportarlo integralmente:
“4.4. Coglie nel segno anche l’ulteriore osservazione del T.A.R., secondo cui il lasso di tempo trascorso tra tale deliberazione e l’annullamento – 17 mesi e 6 giorni – risulta nel caso di specie ragionevole, in quanto il servizio di cui è causa non ha avuto nemmeno un principio di esecuzione e, inoltre, già prima dello stesso annullamento l’affidamento del servizio era stato revocato con la deliberazione n. 315 del 2015, circa cinque mesi dopo la sottoscrizione dell’accordo”.
E’ agevole evidenziare che il Consiglio di Stato ha considerato, al fine di valutare la ragionevolezza del termine entro cui esercitare l’autotutela, il fatto che il servizio non avesse avuto neanche un principio di esecuzione.
2.6. Se si confronta quella fattispecie con quella qui esaminata si rilevano subito due patologie:
a) la prima è che il termine dei diciotto mesi è stato abbondantemente superato;
b) la seconda è che non solo il contratto ha avuto esecuzione ma è stato quasi ultimato.
2.7. Vale la pena aggiungere ancora che questa Sezione è ferma nel ritenere che l'art. 21 nonies della legge n. 241/1990 e s.m.i., oltre a fissare un limite massimo di diciotto mesi per l'esercizio dell'autotutela, impone all'amministrazione di ricollegare l'atto di ritiro a ragioni di pubblico interesse attuali e ulteriori rispetto al mero contrasto con il dato normativo, nonché prevalenti sull'affidamento del privato e tali da rendere indispensabile l'intervento pur a notevole distanza di tempo dall'adozione dell'atto favorevole (T.A.R. Sardegna, sez. I, 28 marzo 2018, n. 297 che cita, Consiglio di Stato, Sez. VI, 31 agosto 2016, n. 3762; Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 giugno 2016 n. 2842; Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 settembre 2015 n. 4552).
La posizione di questo T.A.R. ha un fondamento scientifico preciso.
Secondo la migliore dottrina, affidamento legittimo e affidamento secondo buona fede sono figure diverse, per funzione e per struttura.
Nell'affidamento secondo buona fede, la fiducia riposta nell'altrui correttezza non assume rilevanza giuridica se non nel momento nel quale l'affidamento è stato deluso e chiede riparazione. Invece, la tutela dell'affidamento legittimo è congegnata in modo da prevenirne la delusione.
La fiducia del beneficiario del provvedimento favorevole sarà delusa soltanto se nel procedimento di secondo grado (come in questo caso è avvenuto) non viene assegnato il giusto peso all'interesse del medesimo a conservare il bene che gli era stato attribuito.
Inoltre, l’obbligo di buona fede-correttezza dell'amministrazione, che nel procedimento di primo grado non è distinguibile dall'osservanza dei doveri d'ufficio, nel procedimento di secondo grado deve essere ravvisato nell'obbligo di prestare la dovuta considerazione all'interesse del privato.
Tanto basterebbe per accogliere il ricorso.
Ma data la delicatezza della questione è bene approfondire ancora alcuni concetti.
3. La controinteressata ha sollecitato con una certa forza all’amministrazione il ricorso all’autotutela (documento 7 produzioni dell’amministrazione) citando il procedimento penale 1110/2013 pendente nei confronti di Altea Claudina.
Ebbene, ferme restando le valutazioni spettanti al Giudice penale sulla vicenda che coinvolge la titolare della ditta aggiudicataria, in ogni caso quelle valutazioni, riguardanti peraltro un procedimento pendente, non possono incidere su questo procedimento, né possono legittimare un intervento in autotutela così come effettuato.
Men che meno, come sostiene l’Amministrazione (aderendo alla prospettazione della Corisar) tale intervento era da considerarsi dovuto.
E’ vero il contrario e cioè che, in relazione agli elementi emersi, nessun intervento, semmai, era dovuto in una vicenda quale quella qui all’esame.
4. Intanto, come già si accennato, non vi è alcun obbligo di esaminare un’istanza di autotutela.
In termini generali, è ancora attuale quella giurisprudenza che afferma costantemente che la P.A. non è tenuta a riscontrare la sollecitazione con cui l'interessato invoca l'esercizio dell'autotutela per rimuovere un provvedimento a sé sfavorevole. Per principio pacifico, infatti, il potere di autotutela appartiene alla sfera di discrezionalità dell'Amministrazione, la quale non ha obbligo di provvedere in tal senso, neppure a fronte dell'istanza del privato che ne stimoli l'esercizio (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 29 maggio 2018, n.3530).
5. Come si evince dagli atti (documento 7 produzioni dell’Amministrazione) la Corisar “gestore uscente del servizio” aveva richiesto l’autotutela e manifestato all’amministrazione la volontà “in caso di inerzia” di far valere i propri diritti nelle sedi competenti.
Ma il potere dell’amministrazione era stato già esercitato e, lo si ribadisce, l’istanza volta all’autotutela inoltrata da un privato non concretizza in capo all’amministrazione alcun obbligo di provvedere. Che poi l’Amministrazione resistente abbia esaminato l’istanza (pur mal concludendo il procedimento) è questione che attiene alla sfera di discrezionalità della stessa.
Ma se non l’avesse fatto, alcuna omissione le sarebbe stata imputabile.
5.1. In punto di fatto, occorre rammentare che Corisar aveva già, almeno in un’altra occasione, chiesto di riaprire il procedimento di gara concluso e definito (anche in sede giurisdizionale) andando incontro a un esito sfavorevole dell’iniziativa.
Basta citare la sentenza di questo T.A.R. n. 298/2016 (resa tra le stesse parti) con la quale si precisava, fra l’altro, che a voler accogliere le tesi di Corisar “si consentirebbe di riaprire in qualunque momento, il termine per l’impugnazione degli atti di gara”.
Ed è quello che è avvenuto puntualmente in questo caso. Il servizio è in corso dal 1° giugno 2016 e Corisar ha ritenuto di poter rimettere in discussione l’esito della gara a servizio quasi concluso.
Che la pretesa sia del tutto infondata è evidente per tutte le ragioni finora esposte.
5.2. Peraltro, in sede di verifica dei requisiti, prodromica alla stipula contrattuale, il certificato del casellario giudiziale recante le condanne penali oggetto della presente vicenda controversa era stato già acquisito dall’Amministrazione a seguito della richiesta prot. 17863 del 30 novembre 2015 (documento 10 produzioni della ricorrente). La questione era quindi ben nota all’Amministrazione che ha comunque proceduto alla stipula contrattuale, evidentemente considerando non ostative le condanne menzionate nel certificato.
6. Ma per completezza veniamo anche al punto della contestata omissione della dichiarazione delle condanne penali da parte della Ditta Altea Claudina.
Anche su questo punto necessitano considerazioni in fatto e precisazioni in diritto.
In fatto occorre dire che l’avvio della gara risale al 2011. Si era, pertanto, in vigenza del precedente “codice dei contratti” (d.lgs. 163/2006).
La disposizione all’epoca applicabile per il controllo dei requisiti di ordine generale era l’art. 38 che così recitava:
“1. Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti:
(…) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18; l'esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata; l'esclusione e il divieto in ogni caso non operano quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima”.
Negli anni successivi all’entrata in vigore del d.lgs. 163/2006, in giurisprudenza si era creato un contrasto interpretativo in ordine all’obbligo di dichiarazione delle condanne penali.
Per un certo periodo (proprio quello concomitante alla gara per cui è causa) è stato molto seguito un filone giurisprudenziale che si potrebbe definire “sostanzialista” altrimenti definito del “c.d. falso innocuo”.
6.1. A questo Collegio preme precisare (onde non ingenerare equivoci) che l’utilizzo della locuzione “falso innocuo” nell’ambito di questo filone giurisprudenziale non è perfettamente coincidente con il concetto di “falso innocuo” consolidato nell’ambito della giurisprudenza della Cassazione penale.
La Cassazione descrive in modo plastico il concetto affermando che sussiste il “falso innocuo” quando l'infedele attestazione (nel falso ideologico) o la compiuta alterazione (nel falso materiale) sono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto e del suo valore probatorio e, pertanto, non esplicano effetti sulla sua funzione documentale, con la conseguenza che l'innocuità deve essere valutata non con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto, ma avendo riguardo all'idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica (decisione resa proprio in applicazione dell’art. 38 del d.lgs. 163 2006 con sentenza della sezione V, 26 maggio 2014, n.47601).
Meglio precisare dunque, che nella giurisprudenza amministrativa e, in special modo sulla questione dell’applicazione dell’art. 38 d.lgs. 163/2006, per “falso innocuo” si è intesa l’omissione di condanne penali nella dichiarazione resa sulla sussistenza dei requisiti di ordine generale, senza che tale omissione costituisse una lesione del bene giuridico protetto e cioè la effettiva sussistenza dei requisiti. Il tutto in considerazione del fatto che dovesse prevalere una visione “sostanzialistica” dell’art. 38 e cioè la sussistenza o meno dei requisiti per partecipare alla gara.
Anche di recente la giurisprudenza ha affermato che, “in relazione ad un una gara espletata nella vigenza dell’art. 38, lett. c), d.lg. 163 del 2006, può ancora trovare applicazione la teoria del “falso innocuo”, con la conseguenza che non si può escludere un concorrente per non aver dichiarato l’esistenza di un precedente penale definitivo a proprio carico, che in concreto non incida, secondo l’apprezzamento discrezionale della Stazione appaltante, sulla sua moralità” (T.a.r. Lombardia. Milano, sez. I, 2 luglio 2018, n.1635).
6.2. Possiamo allora domandarci come si esprimeva la giurisprudenza nel 2013 cioè ai tempi dell’aggiudicazione della gara alla ditta Altea.
Ebbene, il Consiglio di Stato con una copiosa giurisprudenza (seppure non del tutto condivisa da questo T.A.R.) affermava che “Laddove si applicasse in modo sostanzialmente automatico l'esclusione dalle gare di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), d.lg. 12 aprile 2006, n. 163, fuori dei casi previsti, ovvero a prescindere da ogni valutazione circa la gravità del comportamento colpevole del soggetto, il quadro ricostruttivo in tal modo delineato si porrebbe in contrasto con l'articolo 45, par. 2 della direttiva 2004/18/Ce, secondo cui può essere escluso dalla partecipazione alla gara ogni operatore economico quando il reato “incida” sulla sua moralità professionale (lett. c) oppure quando “non sia in regola” con gli obblighi contributivi (lett. e). L'art. 38 del codice dei contratti va dunque letto nel senso che costituiscono condizioni, perché l'esclusione consegua alla condanna, la gravità del reato e il riflesso dello stesso sulla moralità professionale dimodoché, al fine di apprezzare il grado di moralità del singolo concorrente, in applicazione del principio comunitario di proporzionalità, assumono rilevanza la natura del reato ed il contenuto del contratto oggetto della gara, senza eccedere quanto è necessario a garantire l'interesse dell'amministrazione di non contrarre obbligazioni con soggetti che non garantiscano l'adeguata moralità professionale, come ricorre nel caso di “falso innocuo”(ex multis, Consiglio di Stato sez. VI, 22 novembre 2013, n.5558).
Per inciso è agevole notare che la sentenza sopra citata è del novembre 2013, che essa richiama un precedente del 2010 (Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2010, n. 3560) e che il provvedimento di aggiudicazione è dell’8 agosto 2013, vale a dire nel mezzo del descritto filone giurisprudenziale.
6.3. Che la ditta aggiudicataria potesse essere in buona fede e che lo fosse la stazione appaltante nelle valutazioni fatte nel corso della verifica dei requisiti, in una situazione quale quella descritta, appare evidente.
6.4. Che poi la situazione descritta potesse legittimare, ad appalto quasi terminato, una rivalutazione sul possesso dei requisiti dell’aggiudicataria, in spregio ad ogni regola sui termini per l’impugnazione degli esiti della gara e in spregio ad ogni valutazione dell’interesse pubblico, è da escludere.
Costituisce infatti ius receptum il principio in base al quale non può esercitarsi l’autotutela per il solo interesse pubblico al ripristino della legalità violata.
7. Il ricorso è, per tutte le ragioni esposte, fondato e deve essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Le spese, visto il contesto in cui si è venuta a trovare l’Amministrazione e la complessità delle questioni interpretative causate dalla richiesta della controinteressata, possono essere compensate tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato.
Guida alla lettura
Con la sentenza in commento il TAR Sardegna, nel dichiarare l'illegittimità del provvedimento di annullamento d'ufficio dell'affidamento di un appalto aggiudicato al ricorrente oltre cinque anni prima, si sofferma sui presupposti e i limiti che governano il potere dell'autotutela decisoria e coglie l'occasione per delineare i contorni e l'operatività del cd. falso innocuo nelle gare d'appalto sotto la vigenza del D.Lgs 163/2006.
La vicenda attiene all'appalto per il servizio di confezionamento e somministrazione dei pasti presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria di Cagliari.
La ricorrente, dichiarata aggiudicataria con delibera dell'agosto 2013, aveva dato avvio al servizio -di durata triennale- nel giugno 2016.
Con deliberazione del settembre 2018 l'amministrazione, tuttavia, disponeva l'annullamento d'ufficio dell'affidamento, con conseguente caducazione del contratto e subentro dell'impresa collocata al secondo posto della graduatoria.
L'intervento in autotutela rappresentava l'esito dell'istruttoria avviata dall'Ente a seguito di una segnalazione presentata dall'impresa controinteressata (seconda in graduatoria) che, nell'evidenziare la presenza di dichiarazioni false o omesse dall'aggiudicataria rese in sede di partecipazione alla gara, assumeva come l'Amministrazione fosse tenuta ad annullare l'aggiudicazione.
La ricorrente insorgeva avverso il predetto atto di ritiro censurandolo sotto vari profili che, tuttavia, pongono prioritariamente all'attenzione del Collegio una questione di rilievo centrale: ovvero se il potere di autotutela assuma connotati di doverosità (sia con riguardo all'avvio del procedimento di secondo grado, sia con riguardo all'esito dello stesso) nel caso in cui venga formalmente segnalata all'Ente la presenza di dichiarazioni non veritiere concernenti i requisiti di carattere generale.
Il Tar Sardegna quindi esamina ad ampio spettro il tema dell'autotutela ribadendo alcuni principi meritevoli di approfondimento, anche alla luce del recente inserimento del comma 2 bis nell'art. 21 nonies della legge 241/90 ad opera della Legge 124/2015. Il citato comma, infatti, precisa che “i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza dei 18 mesi di cui al comma 1 (...) “.
Il Tar Sardegna, pertanto, evidenzia i profili di seguito riportati.
L'Ente appaltante aveva, in fase di verifica dei requisiti dichiarati, acquisito la documentazione dalla quale emergeva l'omessa dichiarazione dei precedenti penali da parte della ditta ricorrente; pertanto, il fatto che si fosse determinata a disporre l'aggiudicazione a favore di questa, dava evidenza della circostanza che tali precedenti erano stati valutati e ritenuti non ostativi al conseguimento dell'affidamento.
Il successivo invio all'Ente di una segnalazione da parte di un altro concorrente che, in ragione della predetta omissione, sollecitava l’Amministrazione all'intervento in autotutela, non determinava in capo a questa alcun obbligo di aprire un procedimento di secondo grado volto a rivisitare le decisioni assunte.
Al riguardo il Tribunale Sardo evidenzia come anche a tale fattispecie debba applicarsi il consolidato principio giurisprudenziale che qualifica come eminentemente discrezionale non solo l'esito del procedimento di autotutela avviato dalla P.A., ma anche la stessa decisione di aprire il relativo iter di riesame.
La facoltatività dell'avvio del procedimento di secondo grado risponde all'esigenza di preservare la stabilità e la certezza delle situazioni giuridiche e di scongiurare l’elusione dei termini decadenziali per l'impugnativa. Una nuova istruttoria che riesamini -seppur confermandolo- il contenuto di un atto divenuto inoppugnabile, consentirebbe all’interessato di aggredire il nuovo atto adottato a conclusione di questa.
Ancora, il Collegio giudicante ribadisce la necessità che l'intervento in sede di autotutela rappresenti il punto di approdo di un percorso che dia evidenza dell'interesse concreto e attuale all'annullamento del provvedimento di primo grado, non risultando sufficiente il mero riscontro della contrarietà dell'atto al paradigma normativo. Anche nel caso del mendacio non sussiste un interesse in re ipsa all'autoannullamento.
A tale proposito il Tribunale Sardo osserva come affidamento legittimo e affidamento secondo buona fede siano figure diverse. L’affidamento secondo buona fede si ricollega al dovere di generale correttezza che deve improntare l’operato della P.A. in ogni fase dell’azione amministrativa. Tale canone opera innanzitutto in termini di integrazione della disciplina che governa l’esercizio del potere e impone alla p.a. di comportarsi con lealtà e correttezza nel corso della conduzione dell’attività amministrativa. A tale dovere corrisponde una posizione di affidamento del privato che, però, nel procedimento di primo grado, “non è distinguibile dall’osservanza dei doveri d’ufficio” ed assume autonoma consistenza giuridica solo nel momento in cui tale canone viene violato, facendo sorgere in capo al privato un diritto alla rifusione dei danni eventualmente sofferti.
L'affidamento legittimo, invece, presuppone una situazione che si è definita nella realtà giuridica e trae origine dall’altrui pregresso contegno provvedimentale o comportamentale.
L’affidamento viene tradizionalmente qualificato come legittimo ove siano presenti cumulativamente tre elementi: il vantaggio che il terzo consegue dalla situazione giuridica, il fatto che l’utilità sia stata ottenuta in buona fede del beneficiario, ed infine il decorso di un significativo lasso temporale che consolidi la posizione di aspettativa. Le predette componenti sono tutte state positivamente scrutinate dal TAR stante che l’atto impugnato afferiva ad un procedimento di secondo grado incidente su un pregresso provvedimento di aggiudicazione, conseguito dall’impresa in buona fede (potendosi ritenere -anche sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale sul falso innocuo- che l’omessa dichiarazione dei precedenti penali non precludesse dell’aggiudicazione) e consolidatosi per effetto di un rilevante lasso temporale.
In un simile contesto il Tribunale Sardo rileva come dirimente il fatto che sia stato violato “l’obbligo di prestare la dovuta considerazione all’interesse del privato”, così ravvisando implicitamente il concreto esaurimento del potere allorquando la fiducia del cittadino sulla stabilità del provvedimento prevalga nella valutazione comparativa degli interessi sulla pretesa dell’amministrazione di rivedere la propria decisione.
L'excursus sull'autotutela tocca, infine, l'operatività del termine entro cui tale intervento deve ritenersi esperibile.
Il Collegio, infatti, rileva come non solo fosse ampiamente decorso il termine dei 18 mesi fissato dall'art. 21 nonies comma 1, ma evidenzia come l'intervento in autotutela fosse intempestivo anche perché operava quando l'esecuzione dell'appalto si stava concludendo e quindi in un momento in cui l'interesse attuale al ritiro dell'aggiudicazione si rivelava alquanto sfumato.
Neppure la pendenza di un procedimento penale nei confronti della titolare dell'impresa aggiudicataria, ad avviso del Tar Sardegna, può legittimare ex sé un intervento in autotutela adottato con le modalità censurate. Osserva il Collegio sul punto che “le valutazioni spettanti al giudice penale (…) non possono incidere su questo procedimento, né possono legittimare un intervento in autotutela così come effettuato”.
L’incidenza del decorso del tempo sull’esercizio del potere di autotutela rappresenta tematica ancora oggi oggetto di dibattito. Non mancano pronunce, infatti, che evidenziano che “l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio entro un termine preciso è strettamente correlato con la tutela dell'affidamento ingenerato nei destinatari degli atti ampliativi, (…) e che “occorre comunque tener conto dei casi connotati da specifiche peculiarità atte a sminuire o addirittura ad annientare l'esigenza di cui sopra, rispetto alle quali l'esercizio di tale potere esclusivamente entro il termine assoluto di diciotto mesi non potrebbe non rivelarsi incostituzionale per contrasto, tra gli altri, con l'art. 97 della Costituzione” (cfr. TAR Marche n° 723 del 2017, Tar Lazio 3215, sez. II bis 7 marzo 2017).
Il Tribunale sardo si sofferma, infine, sul rilievo della teoria del “falso innocuo” sulla vicenda in esame.
Secondo un recente orientamento, la tesi del “falso innocuo” “non può trovare applicazione nella materia degli appalti pubblici poiché il falso è innocuo quando non incide neppure minimamente sugli interessi tutelati, mentre nelle procedure di evidenza pubblica la completezza delle dichiarazioni già di per sé costituisce un valore da perseguire perché consente la celere decisione in ordine all'ammissione dell'operatore economico alla gara ed una dichiarazione inaffidabile, perché falsa o incompleta, è già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l'impresa meriti o meno di partecipare alla procedura competitiva” (cfr. Tar Toscana 17/07/2018, n. 1041.)
Il Tar Sardegna tuttavia valorizza opportunamente il fatto che l’omessa dichiarazione fosse ben nota all'amministrazione e questa avesse comunque proceduto alla stipula contrattuale “evidentemente considerando non ostative le condanne menzionate nel certificato”.
L’azienda ospedaliera, in altri termini, aveva ritenuto che tale omissione non incidesse sulla moralità professionale dell’impresa, ritenuta in possesso dei requisiti sostanziali di partecipazione, e per tale motivo aveva disposto l’aggiudicazione.
Il Collegio giudicante si richiama quindi al diverso orientamento interpretativo, peraltro coevo al provvedimento di aggiudicazione oggetto di autoannullamento, in base al quale “l'art. 38 del codice dei contratti va dunque letto nel senso che (…) in applicazione del principio comunitario di proporzionalità, assumono rilevanza la natura del reato ed il contenuto del contratto oggetto della gara, senza eccedere quanto è necessario a garantire l’interesse dell’amministrazione di non contrarre obbligazioni con soggetti che non garantiscano l’adeguata moralità professionale, come ricorre nel caso di falso innocuo” (cds.sez. VI 5558 del 22.11.2013).