Consiglio di Stato, Sez. V, ord. 7 gennaio 2019, n. 138

Ulteriore contributo sulla rimessione della questione  alla Corte di Giustizia

L’ordinanza in esame affronta la questione nella materia dell’affidamento di un servizio di igiene urbana alla società in house di un comune; tale società è controllata congiuntamente da più amministrazioni.

La predetta pronuncia induce a soffermarsi sulle problematiche che, negli anni passati e recenti, hanno caratterizzato la difficile scelta che le pubbliche amministrazioni hanno dovuto compiere nel settore dei servizi pubblici locali.

Infatti la decisione poteva confluire su due differenti opzioni:

  • ricorso all’esterno per l’affidamento dei servizi, nel rispetto del primario principio europeo del favor partecipationis di tutti gli operatori economici nell’ambito di una procedura di gara;
  • possibilità di ricorrere al conseguimento di uguali risultati da parte di propri organismi interni operanti in regime di in house.

Si da atto ai giudici del supremo Consesso di aver analizzato, in modo puntuale e dettagliato, la normativa, europea e nazionale, che regolamenta la materia in esame.

Nello specifico il Collegio contrappone l’ispirazione “libertaria” delle disposizioni europee rispetto alla disciplina”rigorista” espressa dalle norme nazionali.

Infatti se in base ad un determinato plesso normativo (Considerando 5 ed articolo 12 della direttiva 2014/24/UE, nonché art. 2 della direttiva 2014/23/UE), l’amministrazione  è  libera di acquisire i beni, servizi e forniture solo se il ricorso all’in house non sia più  percorribile, dall’altro gli articoli 5 e 192 del d.lgs.50/2016, nel considerare opzione secondaria e residuale il ricorso al regime dell’autoproduzione, elencano in modo puntiglioso ( art.192,comma 2,d.lgs.50/2016) due specifiche condizioni:

  • una dettagliata motivazione in merito alle condizioni che hanno escluso l’esternalizzazione;
  • quali benefici la collettività otterrà con il ricorso all’in house.

In realtà queste due nette contrapposizioni tra normativa europea e disciplina sostanziale hanno evidenziato come la realtà italiana sia stata connotata da conflitti interpretativi proprio nel campo dell’autoproduzione di servizi in ambito locale.

Indubbiamente tutte le leggi, sostanziali e procedurali, operanti ex post non hanno portato ad una semplificazione del settore. Probabilmente la soluzione potrebbe essere trovata nella predisposizione di una specifica disposizione da individuare in fase ex ante; tentativo, peraltro, già provato nel passato.

Infatti gli enti pubblici, per ricorrere all’in house, dovevano valutare l’esistenza di caratteristiche del territorio che non permettessero un utile ricorso al mercato, sottoponendo questa conclusione al vaglio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. L’aspetto problematico risiede nel fatto che mentre gli stessi enti sono sempre obbligati ad effettuare la predetta valutazione, gli stessi non sono più onerati dalla richiesta del prescritto parere preventivo da parete  della suddetta Autorità.

A tal proposito si rammenta un interessante studio compiuto dall’Istituto Bruno Leoni[1].

Lo studio afferma in particolare che, in assenza di controlli ex ante ed ex post, “le relazioni che dovrebbero giustificare l’affidamento a società in house... mostrano spesso numerose e importanti lacune rispetto a quanto previsto dalla legge”.

Per ovviare a tale questione il suddetto documento ricalca l’importanza che l’ente interessato debba effettuare una procedura competitiva aperta “esplorativa”, prima che lo stesso possa affidare servizi in house.

Di qui la formulazione di una proposta, molto simile all’avviso esplorativo per manifestazione d’interesse previsto dal codice degli appalti (d.lgs.50/2016, art.36, comma 2, lett.b)). In particolare gli enti affidanti-si legge nel documento- “dovrebbero pubblicare un avviso per ciascuna attività di servizio pubblico, invitando gli operatori economici interessati e in possesso dei requisiti necessari a presentare manifestazioni di interesse per la sua gestione”.

Nella pratica le analisi teoriche previste dall’attuale normativa, spesso molto lacunose e fuorvianti, verrebbero necessariamente sostituite da un”avviso al mercato”, più pratico ed operativo.

 Infatti nella realtà   sarebbe sufficiente che un operatore economico effettuasse una sola manifestazione d’interesse tale da costringere l’amministrazione interessata a giustificare la scelta di non avviare una procedura competitiva.

Sempre secondo il predetto istituto tale comportamento dovrebbe determinare contestualmente la drastica riduzione di complessi ed articolati ricorsi giurisdizionali  davanti ai Tribunali amministrativi regionali. In più le stazioni appaltanti, proprio sulla base della predetta indagine, conoscerebbero meglio il mercato di riferimento e la presenza reale di più operatori economici potenzialmente interessati all’assegnazione del servizio..

In considerazione di quanto sopra rappresentato si deve ritenere che l’ordinanza in esame sia di particole importanza in quanto la stessa pronuncia solleva la delicata questione del conflitto di apparati (europeo e nazionale) che potrebbe realizzarsi nel settore in argomento .

Riprova di tutto questo risiede nel fatto che, a distanza di pochi giorni dalla suddetta pronuncia, è stata rimessa alla Corte di giustizia, dal Consiglio di Stato, l’identica tematica sull’affidamento in house, ex art. 192, comma 2, del Codice dei contratti sempre dal Consiglio di Stato, l’identica tematica sull’affidamento in house, ex art. 192, comma 2, del Codice dei contratti (Cons. St., sez. V, ord., 14 gennaio 2019, n. 293 – Pres. Severini, Est. Contessa).


[1] Servizi pubblici locali e concorrenza: una “relazione” complicata di Giacomo Lev Mannheimer.