Cons. Stato, sezione VI, 5 novembre 2018, 6227 - Rimessione Corte di Giustizia dell'Unione europea
La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea afferma costantemente che il principio della certezza del diritto, che ha per corollario quello del legittimo affidamento, esige che una normativa che comporta conseguenze svantaggiose per i privati sia chiara e precisa e che la sua applicazione sia prevedibile per gli amministrati (Corte di Giustizia UE, Sez. III, 12 dicembre 2013, n. 362). In questa ottica, l’applicazione retroattiva di una disposizione nazionale, che sia priva di una ragionevole giustificazione, contrasta con il suddetto principio. […] Si chiede alla Corte di fornire la corretta interpretazione dei principi e delle norme europee sopra riportati al fine di stabilire se essi consentono un’interpretazione retroattiva dei criteri di determinazione dell’entità dei rimborsi spettanti agli ex concessionari con incidenza su pregressi rapporti negoziali ovvero se tale applicazione sia giustificata, anche alla luce del principio di proporzionalità, dall’esigenza di tutelare altri interessi pubblici, di rilevanza europea, afferenti all’esigenza di consentire una migliore tutela dell’assetto concorrenziale del mercato di riferimento unitamente alla maggiore protezione degli utenti del servizio che potrebbero subire, indirettamente, gli effetti di un’eventuale maggiorazione delle somme spettanti agli ex concessionari.
SENTENZA
Pubblicato il 05/11/2018
N. 06227/2018REG.PROV.COLL.
N. 00524/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 524 del 2017, proposto da:
Ascopiave s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Ferla, Tiziana Sogari, Addolorata Detta Doris Mansueto, con domicilio eletto presso lo studio Macchi Di Cellere Gangemi Studio Legale in Roma, via Giuseppe Cuboni n. 12;
Bim Belluno Infrastrutture s.p.a., Centria S.r.l., Retipiu' s.r.l., Pasubio Distribuzione Gas s.r.l. - Unipersonale, Pasubio Group s.p.a., Unigas Distribuzione s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Stefano Ferla, Tiziana Sogari, Addolorata Detta Doris Mansueto, con domicilio eletto presso lo studio Doris Avv. Mansueto in Roma, via G. Cuboni, n. 12;
contro
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro pro tempore, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero per gli Affari Regionali e le Autonomie, non costituito in giudizio;
nei confronti
Comune di Altivole, Comune di Belluno, Comune di Calenzano, Comune di Villaga, Comune di Treviglio, Casagrande Cristina, Vesprini Costantino non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza 17 ottobre 2016, n. 10341 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione III-ter
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dello Sviluppo Economico e di Presidenza del Consiglio dei Ministri;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 settembre 2018 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Stefano Ferla e Paola De Nuntis dell'Avvocatura Generale dello Stato.
FATTO
1.– Le società indicate in epigrafe sono società a partecipazione pubblica locale, derivanti anche dalla trasformazione di aziende speciali o consortili.
Dette società sono titolari, prevalentemente, di affidamenti diretti del servizio di distribuzione del gas naturale, attribuiti prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164.
Per tutte le società la scadenza anticipata ex lege dei suddetti affidamenti è intervenuta, al più tardi, il 31 dicembre 2010.
Esse hanno impugnato, innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ricorso principale, le linee guida adottate con decreto ministeriale 22 maggio 2014, n. 74951, «su criteri e modalità applicativa per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale».
In particolare, sono stati prospettati plurimi motivi (per violazione delle norme riportate nella parte in diritto), tra i quali assumono, in questa fase, valenza pregiudiziale quelli con cui si deduce l’illegittimità delle linee guida nella parte in cui prevedono, sussistendo determinati presupposti, che i criteri da esse stabiliti per la determinazione del valore del rimborso prevalgono rispetto alla volontà delle parti quale fissata, in un tempo anteriore, nel contratto, con conseguente violazione dei principi della certezza del diritto, tutela dell’affidamento e irretroattività degli atti amministrativi.
Le stesse parti, con ricorso per motivi aggiunti hanno impugnato il decreto del Ministero dello Sviluppo economico e il Ministero per gli affari regionali e le autonomie 20 maggio 2015, n. 106, prospettando anche in questo caso plurimi motivi, tra i quali quello con cui si assume l’illegittimità di tale decreto in quanto esso introdurrebbe norme incidenti su antecedenti rapporti convenzionali consolidati, con violazione dei principi di certezza del diritto, affidamento e irretroattività delle norme giuridiche, oltre che di ragionevolezza e proporzionalità.
2.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 17 ottobre 2016, n. 10341, ha dichiarato improcedibile il ricorso principale e ha respinto il ricorso per motivi aggiunti.
3.– Le società ricorrenti in primo grado ha proposto appello, riproponendo i motivi prospettati in primo grado.
3.1.– Si è costituita in giudizio l’amministrazione statale, chiedendo il rigetto dell’appello.
4.– L’appello è stato deciso all’esito dell’udienza pubblica del 20 settembre 2018.
Nel corso dell’udienza il difensore delle società appellanti ha fatto presente che questa Sezione, con decisione 5 dicembre 2017, n. 5736, ha disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea sulla medesima questione interpretativa che rileva in questa sede. Ha chiesto, pertanto, per potere esercitare il diritto ad interloquire innanzi alla Corte di Giustizia, che analogo rinvio venga disposto in relazione a tale controversia.
DIRITTO
1.– La questione posta all’esame del Collegio attiene ai criteri per la determinazione del valore del rimborso spettante ai gestori del servizio di distribuzione del gas naturale, le cui concessioni sono state dichiarate cessate in via anticipata ex lege al fine di consentire il successivo affidamento con procedura di gara.
2.– Questa Sezione, con decisione 5 dicembre 2017, n. 5736, ha sollevato questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Avendo gli appellanti chiesto, come indicato nella parte in fatto, di potere partecipare al giudizio in sede europea, questa Sezione ritiene opportuno sollevare questione pregiudiziale anche in relazione alla controversia in esame.
A tale fine, si riporta di seguito la motivazione già contenuta nella citata decisione n. 5736 del 2017 di queste Sezione.
3.– In via preliminare è necessario ricostruire il quadro normativo rilevante.
3.1.– Il settore del gas è stato investito da ampi processi di liberalizzazione economica: cd. concorrenza nel mercato.
Il diritto europeo impone, infatti, che le attività economiche vengano svolte in modo da assicurare la libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali. Si ammette una eccezione a questa regola soltanto nel caso in cui l’applicazione delle norme a tutela della concorrenza possano ostacolare l’adempimento della «specifica missione» affidata alle imprese incaricate della gestione di quelli che vengono definiti servizi di interesse economico generale (art. 106 Trattamento sul funzionamento dell’Unione europea). Si tratta di una attività economica “conformata” da obblighi di servizio che hanno lo scopo di indirizzare quella determinata attività a tutela di utenti che, in mancanza di un intervento pubblico regolatorio, non potrebbero usufruire, a prezzi accessibili e non discriminatori, quella determinata prestazione.
La regolazione economica di tali settori è dettata oltre che da norme imperative anche da atti amministrative che la legge attribuisce ad Autorità amministrative indipendenti: nella specie, Autorità per l’energia elettrica, il gas e il settore idrico, istituita con legge 14 novembre 1995, n. 481 Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità (Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità).
Nella fase di scelta del soggetto gestore del servizio è necessario inoltre seguire procedure di garanzia e cioè procedure di gara: cd. concorrenza per il mercato.
Questi principi, nel settore del gas naturale, hanno trovato un ulteriore sviluppo applicativo a livello di fonti derivate con l’adozione delle seguenti direttive: 96/92/CE recante «Norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica»; 98/30/CE recante «Norme comuni per il mercato interno del gas naturale»; 2003/55/CE, recante «Norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 98/30/CE».
La normativa interna di attuazione è contenuta nel decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, che è stato, nel tempo, oggetto di plurime modificazioni alcune delle quali imposte dal diritto europeo.
L’art. 1 dispone che: i) «nei limiti delle disposizioni del presente decreto le attività di importazione, esportazione, trasporto e dispacciamento, distribuzione e vendita di gas naturale, in qualunque sua forma e comunque utilizzato, sono libere» (comma 1); ii) «resta in vigore la disciplina vigente per le attività di coltivazione e di stoccaggio di gas naturale, salvo quanto disposto dal presente decreto» (comma 2).
Il Titolo II disciplina (artt. 3-7) l’attività di approvvigionamento, che ricomprende «importazione» (capo I) e «coltivazione» di idrocarburi (capo II).
Il Titolo III disciplina (artt. 8-10) l’attività di trasporto e dispacciamento, che è qualificata come attività di interesse pubblico (art. 8, comma 1). Si prevede che: «Le imprese che svolgono attività di trasporto e dispacciamento sono tenute ad allacciare alla propria rete gli utenti che ne facciano richiesta ove il sistema di cui esse dispongono abbia idonea capacità, e purché le opere necessarie all'allacciamento dell'utente siano tecnicamente ed economicamente realizzabili in base a criteri stabiliti con delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas» (art. 8, comma 2)
Il Titolo IV disciplina (artt. 11-13) l’attività di stoccaggio del gas natura in giacimenti o unità geologiche profonde, che «è svolta sulla base di concessione, di durata non superiore a venti anni, rilasciata dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato ai richiedenti che abbiano la necessaria capacità tecnica, economica ed organizzativa e che dimostrino di poter svolgere, nel pubblico interesse, un programma di stoccaggio» rispondente ai requisiti indicati nel decreto stesso (art. 11)
Il Titolo V disciplina (artt. 14-21) l’attività di distribuzione e vendita.
La prima, che rileva in questa sede, è qualificata dall’art. 14 quale «attività di servizio pubblico». La stessa norma dispone che: i) «Il servizio è affidato esclusivamente mediante gara per periodi non superiori a dodici anni»; ii) «Gli enti locali che affidano il servizio, anche in forma associata, svolgono attività di indirizzo, di vigilanza, di programmazione e di controllo sulle attività di distribuzione, ed i loro rapporti con il gestore del servizio sono regolati da appositi contratti di servizio, sulla base di un contratto tipo predisposto dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas ed approvato dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto».
3.2.– In questo ambito si inserisce il successivo art. 15 il quale reca «Regime di transizione nell'attività di distribuzione».
A) L’art. 15, comma 5, nella versione originaria, prevedeva che:
- «Per l'attività di distribuzione del gas, gli affidamenti e le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché quelli alle società derivate dalla trasformazione delle attuali gestioni, proseguono fino alla scadenza stabilita», fissata in cinque anni a decorrere dal 31 dicembre 2000 (ovvero sei o sette qualora ricorrono determinati presupposti previsti dal comma 7 dell’articolo in esame);
- «Gli affidamenti e le concessioni in essere per i quali non è previsto un termine di scadenza o è previsto un termine che supera il periodo transitorio, proseguono fino al completamento del periodo transitorio stesso»;
- «In quest'ultimo caso, ai titolari degli affidamenti e delle concessioni in essere è riconosciuto un rimborso, a carico del nuovo gestore ai sensi del comma 8 dell'art. 14, calcolato nel rispetto di quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti e, per quanto non desumibile dalla volontà delle parti, con i criteri di cui alle lettere a ) e b ) dell'art. 24 del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578. Resta sempre esclusa la valutazione del mancato profitto derivante dalla conclusione anticipata del rapporto di gestione».
A.1.) Il richiamato art. 24 del regio decreto n. 2578 del 1925, a sua volta, nell’ambito di una disciplina relativa al riscatto dei Comune di servizi dati in concessione, dispone che occorre tenere in considerazioni i seguenti criteri:
a) «valore industriale dell'impianto e del relativo materiale mobile ed immobile, tenuto conto del tempo trascorso dall'effettivo cominciamento dell'esercizio e dagli eventuali ripristini avvenuti nell'impianto o nel materiale ed inoltre considerate le clausole che nel contratto di concessione siano contenute circa la proprietà di detto materiale, allo spirare della concessione medesima»;
b) «anticipazioni o sussidi dati dai comuni, nonché importo delle tasse proporzionali di registro anticipate dai concessionari e premi eventualmente pagati ai comuni concedenti, sempre tenuto conto degli elementi indicati nella lettera precedente».
B) L’art. 16-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, ha previsto che, «al fine di garantire al settore della distribuzione di gas naturale maggiore concorrenza e livelli minimi di qualità dei servizi essenziali, i Ministri dello sviluppo economico e per gli affari regionali e le autonomie locali, sentita la Conferenza unificata e su parere dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, individuano (…) i criteri di gara e di valutazione dell'offerta per l'affidamento del servizio di distribuzione di gas (….), tenendo conto in maniera adeguata, oltre che delle condizioni economiche offerte, e in particolare di quelle a vantaggio dei consumatori, degli standard qualitativi e di sicurezza del servizio, dei piani di investimento e di sviluppo delle reti e degli impianti».
B.1.) In attuazione di tale decreto-legge è stato adottato il decreto ministeriale 12 novembre 2011, n. 226, il cui art. 5, nella versione originaria, prevedeva che:
«Il valore di rimborso ai titolari degli affidamenti e concessioni cessanti, per i quali non e' previsto un termine di scadenza o e' previsto un termine di scadenza naturale che supera la data di cessazione del servizio prevista nel bando di gara del nuovo affidamento, viene calcolato in base a quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti, conformemente a quanto previsto nell'articolo 15, comma 5, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n.164, e sue modificazioni, in particolare per i casi di cessazione anticipata del contratto rispetto alla scadenza naturale» (comma 2);
«Nel caso in cui la metodologia di calcolo del valore di rimborso ai titolari di cui al comma 2 non sia desumibile dai documenti contrattuali, incluso il caso in cui sia genericamente indicato che il valore di rimborso debba essere a prezzi di mercato, si applicano i criteri di cui alle lettere a) e b) dell'articolo 24, comma 4, del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578, con le modalità specificate nei commi da 5 a 13, limitatamente alla porzione di impianto di proprietà del gestore, che, alla scadenza naturale dell'affidamento, non sia prevista essere trasferita in devoluzione gratuita all'Ente locale concedente» (comma 3).
C) L’art. 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, dispone che - al fine di facilitare lo svolgimento delle gare per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas e di ridurre i costi per gli enti locali e per le imprese - «il Ministero dello sviluppo economico può emanare linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale, in conformità con l'articolo 5 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 12 novembre 2011, n. 226».
D) L’art. 1, comma 16, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, ha modificato l’art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 164 del 2000, sostituendo, per la disciplina degli aspetti non disciplinati dalle medesime convenzioni o contratti, il riferimento ai criteri di cui alle lettere a) e b) dell'articolo 24 del r.d. n. 2578 del 1925 con il riferimento «alle linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso di cui all'articolo 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69». Si è aggiunto, inoltre, che: «In ogni caso, dal rimborso di cui al presente comma sono detratti i contributi privati relativi ai cespiti di località, valutati secondo la metodologia della regolazione tariffaria vigente». In definitiva, per i profili non disciplinati convenzionalmente, i criteri non sono più quelli di cui al r.d. del 1925, ma quelli di cui alle linee guida.
E) Il decreto ministeriale 22 maggio 2014, n. 74951, ha approvato le «linee guida su criteri e modalità applicativa per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale».
F) Il decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, ha apportato una ulteriore modifica all’art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 164 del 2000, stabilendo che il rimborso è calcolato nel rispetto di quanto disposto nelle convenzioni e nei contratti, «purché stipulati prima della data di entrata in vigore» del d.m. n. 226 del 2011.
G) Il decreto ministeriale 20 maggio 2015, n. 106, ha modificato il d.m. n. 226 del 2011 e in particolare l’art. 5, stabilendo che:
- il criterio di determinazione convenzionale opera «purché i documenti contrattuali siano stati stipulati prima dell'11 febbraio 2012 e contengano tutti gli elementi metodologici, quali le voci di prezzario applicabili alle diverse tipologie di cespiti da applicare allo stato di consistenza aggiornato e il trattamento del degrado fisico, incluse le durate utili per le diverse tipologie di cespiti, per il calcolo e per la verifica del valore di rimborso anche da parte dell'Autorità» (comma 2);
- nel caso in cui la metodologia di calcolo del valore di rimborso «non sia desumibile da documenti contrattuali stipulati prima dell'11 febbraio 2012, inclusi i casi in cui sia genericamente indicato che il valore di rimborso debba essere calcolato in base al regio decreto 15 ottobre 1925 n. 2578, senza precisare la metodologia, o debba essere valutato a prezzi di mercato», si applicano le modalità specificate nei commi da 5 a 13 dello stesso art. 5, «limitatamente alla porzione di impianto di proprietà del gestore che, alla scadenza naturale dell'affidamento, non sia prevista essere trasferita in devoluzione gratuita all'Ente locale concedente, con le modalità operative specificate nelle linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso».
Il comma 2-bis dell’art. 5 prevede, inoltre, che, «indipendentemente da quanto contenuto nei documenti contrattuali, vengono detratti i contributi privati relativi ai cespiti di località, relativi alla porzione di impianto di proprietà del gestore uscente che non sia ceduta all'ente locale concedente a devoluzione gratuita, valutati in base alla metodologia della regolazione tariffaria vigente, ed assumendo le vite utili dei cespiti».
4.– La questione pregiudiziale che deve essere esaminata è quella, posta con l’atto di appello unitamente ad altre censure, della compatibilità delle norme, sopra riportate, con il principio europeo di certezza dei rapporti giuridici e di tutela dell’affidamento.
D’analisi della normativa esaminata emerge come vi siano due esigenze contrapposte da tutelare: da una parte, aprire il mercato alla concorrenza nella fase di scelta del gestore di distruzione del gas; dall’altra parte, tenere in considerazione i rapporti già sorti e l’affidamento che ne è conseguito in capo agli operatori economici del settore.
La finalità del regime transitorio è quella proprio di contemperare le due esigenze contrapposte sopra riportate. La Corte Costituzionale ha rilevato come sia «tutt’altro che manifestamente irragionevole che il regime transitorio sia determinato dal legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, tenendo conto, nel regolare il passaggio delle situazioni preesistenti in base ad un regime all’epoca valido in Italia, delle esigenze dello stesso principio di libertà di iniziativa economica e della libertà di concorrenza» (Corte Cost. n. 413 del 2012).
In questo contesto, si inserisce l’ulteriore questione relativa alla entità dei rimborsi che devono essere corrisposti ai precedenti concessionari il cui rapporto, protratto in via transitoria per la durata indicata nella normativa riportata, è stato risolto in via anticipata.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea afferma costantemente che il principio della certezza del diritto, che ha per corollario quello della tutela del legittimo affidamento, esige che una normativa che comporta conseguenze svantaggiose per i privati sia chiara e precisa e che la sua applicazione sia prevedibile per gli amministrati (Corte giustizia UE, sez. III, 12 dicembre 2013, n. 362). In questa ottica, l’applicazione retroattiva di una disposizione nazionale, che sia priva di una ragionevole giustificazione, contrasta con il suddetto principio.
La stessa Corte di Giustizia, con riferimento allo specifico settore del regime transitorio, ha affermato che «il principio della certezza del diritto non soltanto consente, ma altresì esige che la risoluzione di siffatta concessione sia corredata di un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili sia dal punto di vista delle esigenze del servizio pubblico, sia dal punto di vista economico» (sentenza 17 luglio 2008, n. 347).
Nella specie, le disposizioni normative che si sono succedute nel tempo hanno inciso sul criterio di determinazione dei rimborsi.
In particolare, nell’impianto regolatorio iniziale, costituito dall’art. 15 del d.lgs. n. 164 del 2000 e dal d.m. n. 226 del 2011, nelle rispettive versioni originarie, i criteri di determinazione dei rimborsi erano determinati avendo riguardo ai criteri che le parti avevano contrattualmente sancito, e in mancanza di essi, dai criteri di cui al r.d. n. 2578 del 1925.
Le successive disposizione di legge (decreti-legge n. 69 e 145 n. 145 del 2013 e decreto-legge n. 91 del 2014) nonché i relativi atti di attuazione (decreti ministeriali n. 74951 del 2014 e n. 106 del 2015) hanno inciso su entrambi i profili sono riportati. In particolare: i) con riferimento ai criteri convenzionali essi operano se sono stati stipulati prima dell'11 febbraio 2012 e abbiamo un determinato contenuto in relazione ad alcuni elementi metodologici; ii) con riferimento ai criteri suppletivi legali, si è sostituito il riferimento a quelli contenuti nel r.d. n. 2578 del 1925 con quelli contenuti nelle linee guida.
5.– Alla luce di quanto esposto, si impone un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia al fine di stabilire quale sia la corretta interpretazione dei principi e delle norme europee rilevanti nella presente controversia.
In particolare, si chiede alla Corte di stabilire, anche in relazione a tale controversia, di fornire la corretta interpretazione dei principi e delle norme europee sopra riportate al fine di stabilire se essi consentono una applicazione retroattiva dei criteri di determinazione dell’entità dei rimborsi spettanti agli ex concessionari con incidenza su pregressi rapporti negoziali ovvero se tale applicazione sia giustificata, anche alla luce del principio di proporzionalità, dall’esigenza di tutelare altri interessi pubblici, di rilevanza europea, afferenti all’esigenza di consentire una migliore tutela dell’assetto concorrenziale del mercato di riferimento unitamente alla maggiore protezione degli utenti del servizio che potrebbero subire, indirettamente, gli effetti di un eventuale maggiorazione delle somme spettanti agli ex concessionari .
6.– La risoluzione dell’indicata questione di compatibilità europea ha valenza pregiudiziale rispetto all’esame degli altri motivi prospettati dall’appellante
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, non definitivamente pronunciando, sospende il giudizio e rinvia la causa alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per la risoluzione della questione pregiudiziale indicata nella parte motiva della presente decisione.
Le spese processuali verranno determinate all’esito della definizione del giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2018 con l'intervento dei magistrati:
Sergio Santoro, Presidente
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
Francesco Mele, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Guida alla lettura
La questione rimessa alla Corte di Giustizia riguarda la normativa nazionale, recata dal D. Lgs. 164/2000 e ss.mm. e ii., di attuazione delle direttive comunitarie nn. 96/92/CE; 98/30/CE e 2003/55/CE, in materia di liberalizzazione dell’attività di distribuzione e vendita del gas naturale. In particolare, il D. Lgs. 164/2000, in attuazione del principio comunitario di tutela della concorrenza, ha introdotto nell’ordinamento interno l’obbligo di individuare l’operatore economico al quale il sevizio in questione viene affidato, mediante procedura selettiva di evidenza pubblica (art. 14). Il successivo art. 15 ha inoltre fissato un limite temporale di prosecuzione dell’efficacia delle concessioni in essere al tempo dell’entrata in vigore del decreto.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva già avuto modo di precisare, con riferimento al D Lgs. n. 164/2000, che la disciplina transitoria introdotta dalla normativa nazionale era chiamata a dare attuazione ad alcuni principi comunitari fondamentali. In primis, il principio di certezza del diritto il quale: “esige, segnatamente, che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare qualora esse possano comportare conseguenze sfavorevoli in capo ai singoli e alle imprese”. Inoltre, detta normativa avrebbe dovuto consentire “alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili sia dal punto di vista delle esigenze del servizio pubblico, sia dal punto di vista economico”. (Corte di Giustizia UE, Sez. II, 17 luglio 2008 n. 247).
In tale occasione, la Corte si era occupata della normativa transitoria de qua sotto il profilo del prolungamento della pregressa efficacia delle concessioni in essere. Nel caso oggi in esame, la disciplina del D. Lgs. 164/2000 viene invece in rilievo sotto altro profilo, quello della quantificazione del ristoro economico spettante al precedente concessionario a fronte dell’anticipata risoluzione del rapporto, e posto a carico del nuovo gestore. La Sezione remittente ipotizza, sulla base di una valutazione che era già stata posta all’attenzione della Corte di Giustizia con la Sentenza n. 5736 del 5 dicembre 2017 della medesima Sez. VI, che tale diverso aspetto, per come disciplinato dalla legislazione interna, possa essere oggetto di un conflitto con i principi comunitari.
L’evoluzione delle disposizioni che riguardano tale rimborso, di seguito ricostruita per sommi capi, determinava infatti un progressivo restringimento dell’area di operatività della volontà negoziale, e recava inoltre norme suppletive, alle quali fare ricorso nei casi di non applicabilità delle clausole fissate dall’autonomia privata delle parti, via via più penalizzanti per il concessionario preesistente.
La formulazione originaria del D. Lgs. 164/2000, stabiliva che i rimborsi, posti a carico del nuovo gestore (art. 14), dovessero essere determinati secondo quanto stabilito negozialmente dalle parti. In mancanza della disciplina contrattuale, supplivano i criteri legali previsti dal R.D. 2578/1925.
Con il D.L. 145/2013 (art. 1 comma 16) si modificava il D. Lgs. 164/2000 prevedendo che, in mancanza di criteri contrattualmente fissati dalle parti per la quantificazione del rimborso spettante per la cessazione anticipata della concessione, si sarebbe dovuto fare riferimento alle linee guida per la quantificazione individuate con apposito decreto ministeriale (come da D.L. 69/2013). Con il decreto ministeriale 74951/2014 venivano approvate tali linee guida, da applicare dunque, in difetto di criteri negoziali, in luogo degli indici di cui al R.D. 2578/1925.
Successivamente, con il D.L. 91/2014 e con il d.m. 106/2015 si stabiliva che i criteri negoziali non avrebbero più trovato un’applicazione generalizzata, ma avrebbero operato solo se contenuti in contratti sottoscritti antecedentemente all’11 febbraio 2012, e purché riportassero alcuni elementi di calcolo specificamente individuati.
I reiterati interventi normativi conducevano pertanto a un notevole restringimento dell’ambito di rilevanza della volontà negoziale delle parti. Nella formulazione vigente, la relativa operatività viene infatti a essere assoggettata a limiti temporali (solo contratti antecedenti al febbraio 2012) e contenutistici (solo ove siano specificati i parametri individuati dal d.m. 106/2015). Inoltre, ove non possa farsi luogo all’applicazione degli indicati criteri di fonte contrattuale, le disposizioni suppletive non sono più costituite dal R.D. del 1925, ma dalle linee guida ministeriali, le quali escludono dal calcolo voci che erano rilevanti secondo lo norme previgenti.
La Sezione remittente individua nella disciplina della quantificazione del rimborso, e soprattutto nella retroattività sancita per la relativa applicazione, la presenza di un possibile conflitto con i principi di certezza del diritto e di proporzionalità, già posti in rilievo dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 2008.
Premette il Consiglio di Stato che il principio di certezza del diritto e di legittimo affidamento, che del primo costituisce indefettibile corollario, secondo la definizione fatta propria dalla Corte di Giustizia, impongono la chiarezza di formulazione e la prevedibilità di applicazione da parte dei destinatari, di una normativa interna che comporti conseguenze pregiudizievoli rispetto a una fattispecie preesistente. Sorge allora il dubbio che tali caratteri di certezza, ma soprattutto di prevedibilità, non siano presenti nella normativa in materia di subentro nei rapporti concessori nel settore del gas. Essa prevede infatti l’efficacia retroattiva di disposizioni che rendono inapplicabili, in molti casi (in relazione ai limiti temporali e contenutistici sopra individuati) gli accordi contrattuali stipulati dalle parti e che, nel contempo, recano norme suppletive (da utilizzare in luogo di quelle negoziali) meno favorevoli per la parte privata rispetto a quelle previgenti (stante la specificata irrilevanza di alcuni valori economici, antecedentemente considerati).
La normativa oggetto di analisi risulta dunque pregiudizievole per il privato sotto un duplice punto di vista.
In primis, in quanto l’equilibrio tra i contrapposti interessi della parte pubblica e di quella privata, raggiunto e cristallizzato nella clausola contrattuale oggetto della comune volontà, ha un margine di applicazione sempre più ristretto. Da un assetto normativo inziale, ove il frutto dell’autonomia negoziale delle parti era sempre applicabile, salvo che risultasse mancante, si è infatti addivenuti a un diverso approdo disciplinare, nel quale la volontà comune delle parti, anche laddove esistente, non è sempre applicabile, potendo la relativa operatività essere esclusa per le ragioni temporali (data del contratto) o oggettive (contenuto minimo della clausola) dettate dalle disposizioni da ultimo introdotte.
Secondariamente, il pregiudizio risiede nella circostanza che, in difetto di operatività della volontà negoziale delle parti (perché mancante o perché non efficace in relazione ai limiti di cui sopra), saranno applicabili, in luogo dei criteri di quantificazione recati dal Regio decreto del 1925 (originariamente da utilizzare in difetto di determinazione contrattuale), i parametri introdotti dalle linee guida, significativamente più restrittivi, sotto il profilo economico, per il vecchio concessionario.
Trattandosi dunque di normativa sfavorevole per i due aspetti qui evidenziati, secondo i criteri ermeneutici enucleati dalla Corte, essa, in ossequio ai principi di certezza del diritto e tutela dell’affidamento, non dovrebbe poter essere applicata retroattivamente.
Nel caso di specie, invece, l’applicazione retroattiva viene prevista. E ciò, rileva il Consiglio di Stato, senza che sia riscontrabile una ragionevole giustificazione a quella che costituisce una deroga al principio di certezza e legittimo affidamento. Con conseguente dubbia consonanza della normativa interna rispetto alla disciplina comunitaria.
Altro principio rispetto al quale il Giudice remittente esamina la compatibilità della normativa nazionale è quello di proporzionalità, in virtù del quale, in sintesi, ove sussista una pluralità di soluzioni possibili e parimenti idonee a tutelare l’interesse pubblico, occorre scegliere quella che meno sacrifica l’interesse privato. La Corte, nella pronuncia del 2008, aveva evidenziato come la normativa transitoria dovesse operare un contemperamento tra le esigenze economiche del privato e quelle dell’interesse pubblico.
Nel caso affrontato dalla pronuncia del Consiglio di Stato oggi in esame, la possibile tensione con tale principio emerge riguardo all’eventualità che la notevole compressione posta in essere ad opera delle norme interne sulla posizione economica del precedente concessionario possa non essere proporzionalmente giustificata dalla necessità di tutelare il principio di concorrenza, al quale la normativa di recepimento è ispirata.
La Sezione remittente dà in ogni caso atto che, oltre al principio di concorrenza, la necessità di tutelare la posizione del privato trova un ulteriore motivo di contemperamento, costituito da ragioni di natura consumeristica. In sostanza, l’eventuale incremento del rimborso spettante al precedente concessionario, gravando il relativo onere economico sul nuovo soggetto erogatore del servizio, potrebbe prevedibilmente tradursi in un incremento tariffario applicato dal nuovo gestore nei confronti dell’utente finale del servizio. La necessità di evitare tale traslazione del costo in danno del consumatore, o quanto meno di contenerne la portata, costituisce un ulteriore interesse pubblico idoneo, in termini di proporzionalità, a controbilanciare il sacrificio economico e negoziale imposto al precedente concessionario.
Sulla scorta di quanto precede, laddove il vaglio relativo al principio di proporzionalità parrebbe più facilmente poter evolvere verso un esito positivo, in ragione della pluralità e rilevanza degli interessi pubblici contrapposti a quello del privato, maggiori e più persistenti perplessità residuano rispetto alla compatibilità della disciplina interna con il principio di certezza del diritto e il corollario della tutela dell’affidamento.