Premessa

 

Il presente lavoro si propone di offrire al lettore una riflessione su tre principi che, in una ad altri, informano la procedura dell’affidamento delle forniture e dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni avendo un ruolo strategico: il principio di concorrenza e di rotazione in rapporto all’altro principio di economicità.

I primi due si trovano in rapporto di strumentalità nel senso che quello di rotazione è il mezzo, ossia, per l’appunto, lo strumento di presidio del primo e rispettivamente sono tesi a soddisfare l’esigenza di preservare la concorrenzialità fra le ditte e a inibire la rendita di posizione tramite la cristallizzazione dell’operatore economico del settore. Mentre quello di economicità semanticamente inteso come espressione sia temporale sia economica: nel senso della durata della procedura e della spesa.

Sottesi a questi tre principi vi sono tre norme costituzionali: l’art.41 relativo al diritto dell’iniziativa economica cui è correlato l’art.117 c.2 lett.2) relativo alla “tutela della concorrenza” quale  ambito oggettivo di “legislazione esclusiva” allo Stato e l’art.97 relativo al principio del “buon andamento”.

Il lavoro si propone di tentare una disamina del bilanciamento fra i diritti e principi costituzionali che si rinvengono nei tre principi oggetto della nostra attenzione.

Per il bilanciamento o ponderazione s’intende una tecnica argomentativa con la quale si cerca di dare una posizione di primazia a una norma quando vi sia la presenza di norme tutte valide e rilevanti per la fattispecie concreta, ovvero una pluralità d’interessi giuridicamente rilevanti tutti da tutelare come nel  nostro caso: l’interesse alla libertà dell’iniziativa economica in una all’interesse della tutela della concorrenza, l’interesse al “buon andamento” della pubblica amministrazione. Nell’assenza di un criterio assoluto predeterminato dal Legislatore, è compito, quindi, in via residuale, dell’interprete individuare quale interesse sia più rilevante e quindi prevalente rispetto ai restanti e se possibile cercare un bilanciamento fra questi. Se dunque i principi tendono a porre in rilievo ciò che essi rappresentano e nella loro compresenza, all’interno di una norma, evidenziano un’apparente conflittualità, allora la loro riconduzione a un equilibrato ordine, può essere raggiunto strutturandoli gerarchicamente. E’ un ordine che genera non solo dall’interpretazione testuale ma anche da quella sistematica del corpo normativo costituzionale quando uno degli interessi sottesi nella norma, in uno al dovere ivi imposto a terzi di rispettarli (come nelle procedure di affidamento di contratti pubblici), possa reclamare una tutela più intensa, rimanendo, ex adverso, nel suo valore assiologico se unitariamente sia costitutivo della norma.

Ciò si verifica quando gli interessi non omogenei, sovrapponendosi nella loro concretizzazione costituendo il tessuto della stessa norma, determinano conseguenze incompatibili alla presenza di certe fattispecie concrete. Il che accade, come nella specie, quando si rende necessario tutelare il diritto della libertà d’iniziativa economica privata dell’operatore economico tramite il principio di rotazione in tutela della concorrenza per l’affidamento di uno stesso servizio o di una stessa fornitura,  dall’altro l’interesse della pubblica amministrazione di salvaguardare il principio del “buon andamento” quale espressione del suo sotteso principio di economicità a garanzia dell’ interesse pubblico.

 

Principio di concorrenza

Il principio di concorrenza trova attuazione nel principio di rotazione che è, conseguentemente, come già detto, servente e strumentale rispetto al primo e deve quindi trovare applicazione nei limiti in cui non incida sul primo[1] ossia: sul numero dei partecipanti. Il principio di concorrenza nella sua esplicitazione semantica tende a un’apertura del mercato, in attuazione del principio comunitario di competenza e concorrenza, nella sua “valenza positiva di promotore dell’efficienza economica e organizzativa.[2]

Tale principio va inteso sia come fenomeno giuridico, che come fenomeno sociale. Il suo valore semantico sta significando una forma di mercato che è contrapposta al monopolio ovvero identificata come uno degli atteggiamenti che astrattamente può assumere l’iniziativa economica. Nella sua dimensione soggettiva il lemma “concorrenza” sta significando, che nel regime economico, a ciascun soggetto è assicurata la libertà d’iniziativa economica, mentre nella dimensione oggettiva,  essendo assicurata la presenza sul mercato di una pluralità di operatori economici, le condizioni di mercato non sono suscettibili di essere influenzate da uno qualsiasi di essi.

Con la riforma costituzionale del 2001[3] la “tutela della concorrenza” è divenuta oggetto di una disposizione espressa anche nella Costituzione italiana: essa è elencata fra le materie in cui lo Stato ha potestà legislativa esclusiva[4].

La libertà di concorrenza, da un lato integra la libertà d’iniziativa economica privata che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e, dall'altro, è diretta alla protezione della collettività, perché l'esistenza di una pluralità di imprenditori, in concorrenza tra loro, giova a migliorare la qualità dei prodotti e a contenere i prezzi.[5]

Nel pensiero dei Giudici di legittimità la concorrenza,  con le misure legislative di tutela, mira ad aprire al mercato, perseguendo così finalità di ampliamento delle imprese costituente una leva alle politiche economiche e a instaurare  assetti concorrenziali[6] eliminando l’ostacolo della cristallizzazione delle rendite, a beneficio degli altri operatori economici giovando così alla stessa “utilità sociale”.

 

Principio di rotazione

Nel contesto del principio di concorrenza s’innesta quello di rotazione, quale suo principio immanente di promozione, da intendersi quest’ultimo come razionalizzazione della regolazione alla partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici; capace, per tanto, di ridurre posizioni cristallizzate di rendita. Tant’è che già il precedente Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) sia all'art. 57, c.6, stabiliva che: “A) nella fase preliminare di selezione degli operatori economici da consultare, la stazione appaltante ove possibile individua tali soggetti sulla base d’informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economico finanziaria e tecnico organizzativa desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, e seleziona, sia all’art.125 per l’affidamento di lavori “in economia” statuiva che “Per lavori di importo pari superiore a 40.000 euro e fino a 200.000 euro, l'affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione,[…]”. Stessa disciplina era prevista, al successivo comma 11, per l’affidamento “in economia” di servizi e forniture.

L’attuale art.36 non ha fatto altro che confermare detto principio ritenuto quindi in rapporto coessenziale con l’ordinamento italiano.

Invero nell’art.36 c.1 si legge “L'affidamento e l'esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all'articolo 35 avvengono nel rispetto dei principi di cui agli articoli 30, comma 1, 34 e 42, nonché del rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti […]” e nell’art. 36 c.2 lett.b) si legge “per affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all'articolo 35 per le forniture e i servizi, mediante procedura negoziata[…] nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti”.

Da una lettura sistematica dei due commi si evince che il principio è applicabile sia nelle procedure relative al confronto tra più operatori economici, “mediante procedura negoziata previa consultazione” della stazione appaltante, ossia al momento degli “[…inviti]…”, così si esprime il comma 2 lett. b), sia nelle procedure con “[… affidamento…]”,  così si esprime il comma 1, da intendersi diretto, senza alcun confronto concorrenziale ai sensi del comma 2 lett.a), per  contratti il cui valore è pari o inferiore a 40.000 euro.

Il pensiero giurisprudenziale, formatosi in questo breve arco temporale a far tempo già dal 2016,  tende ad affermare che il principio di rotazione non ha una valenza precettiva assoluta nel senso di “vietare sempre e comunque, l'aggiudicazione all'affidatario del servizio uscente. Se, infatti, questa fosse stata la volontà del legislatore, sarebbe stato espresso il divieto in tal senso in modo assoluto[7] con un arresto giurisprudenziale[8] giusto il quale il Consiglio di Stato nel richiamare un’altra precedente sentenza[9], cui è stata data continuità nel 2018[10], ribadisce l’obbligatorietà del principio di rotazione per le gare di lavori, servizi e forniture negli appalti cd. “sotto soglia”.

Ciò trova la sua giustificazione nell’elemento teleologico sotteso al principio di rotazione. Vale a dire: “nella esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente (la cui posizione di vantaggio deriva soprattutto dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento), soprattutto nei mercati in cui il numero di agenti economici attivi non è elevato”.[11]

Tuttavia il Consiglio di Stato,[12] nel parere richiesto da ANAC per le riformulate linee guida n.4, chiarisce che “il principio di rotazione comporta in linea generale che l’invito all’affidatario uscente rivesta carattere eccezionale e debba essere adeguatamente motivato, avuto riguardo al numero ridotto di operatori presenti sul mercato, al grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero all’oggetto ed alle caratteristiche del mercato di riferimento (in tal senso, cfr. Cons. St., VI, 31 agosto 2017, n. 4125; Cons. St., V, 31 agosto 2017, n. 4142)”.

Pensiero poi confermato da ANAC[13] che ha puntualizzato, nel ripetere che resta fermo il principio di rotazione,  che l’affidamento o il reinvito al contraente uscente “hanno carattere eccezionale e richiedono un onere motivazionale più stringente“.

 

 

Principio di economicità

Tale principio informa l’azione amministrativa presidiandola quale principio generale da tempo e costituisce parte del suo Statuto come afferma l’art.1 della L.241/1990: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, d’imparzialità, di pubblicità e di trasparenza […]nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”. Nel loro insieme tali criteri rappresentano la concretizzazione del principio del “buon andamento” di cui si parlerà oltre.

Il principio di economicità va inteso, nell’ambito del procedimento amministrativo, riferibile anche alla procedura dell’affidamento dei contratti pubblici, nella sua espressione valoriale temporale ed economica. Anche nel caso in esame l’attenzione va soffermata su queste due espressioni in relazione alla spesa pubblica nel contesto più ampio di finanza pubblica nella quale l’entità della spesa assume un rilievo di particolare importanza e in relazione alla durata della procedura.

L’ economicità, nella sua prima accezione semantica, rappresenta l’esigenza di ridurre al minimo il costo delle risorse impiegate per una data attività, senza rinunciare a un livello di qualità adeguato. Lungo questa linea s’innestano gli esiti effettivi dell’azione amministrativa in cui il risparmio sulla spesa pubblica, in ragione della gestione delle risorse pubbliche sempre meno disponibili, costituisce una sua articolazione operativa.

Acquisiscono una posizione di primazia sotto il testé evidenziato profilo: l’adeguatezza delle strategie con le quali le amministrazioni operano ai fini delle loro azioni e gestioni, la sufficienza delle misure in concreto adottate per soddisfare l’esigenza di economicità dei mezzi rispetto ai risultati previsti. Le dinamiche così descritte costituiscono i cardini di un approccio alla gestione amministrativa tendente a valorizzare una congrua gestione della spesa incidente positivamente sull’efficienza e sull’economicità della spesa che, a sua volta, si riflette sul controllo finale dei risultati.

 

 Art.117 c.2 lett. e) Costituzione

La libera concorrenza è un principio  ordinatore della Comunità Europea e in quanto tale il Legislatore costituente nel 2001 ha inteso recepirlo nell’ordinamento italiano in modo tale che costituisca una delle leve della politica economica statale.

La materia “tutela della concorrenza”, va “ascritta”, per il suo stesso contenuto d’ordine generale, “all’area delle norme fondamentali di riforme economico-sociali, nonché delle norme con le quali lo Stato ha dato attuazione agli obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea”[14].

Avendo riguardo all’ordinamento europeo la locuzione “tutela della concorrenza”, comprende “le misure legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, in generale i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche”.[15] In tale ambito rientrano, concretamente, pure le disposizioni legislative volte ad assicurare la concorrenza nel mercato quali “le disposizioni legislative che perseguono il fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione di tali procedure in modo da assicurare «la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici» (sentenza n. 401 del 2007): si tratta, in sintesi, di interventi mirati a garantire la concorrenza “per il mercato”.[16]

Pertanto  la “tutela della concorrenza”  va anche intesa “in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o a instaurare assetti concorrenziali[17] su più diversi ambiti oggettivi, costituente quindi una materia “trasversale”[18] che interessa molteplici ambiti di competenza. Uno di questi è riconducibile alla disciplina dei contratti pubblici, nonché “al perfezionamento del vincolo negoziale e alla correlata sua esecuzione”[19] mirando, siffattamente, ad assicurare oltre la concorrenza “per il mercato”[20], anche “il rispetto dei principi generali di matrice comunitaria stabiliti nel Trattato”.[21]

Si  tratta di disposizioni che, “sul piano comunitario, e dunque anche sul piano dell’ordinamento dello Stato, tendono a tutelare essenzialmente i principi della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi (artt. da 28 a 32; da 34 a 37; da 45 a 54; da 56 a 66 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, già artt. da 23 a 31 e da 39 a 59 del Trattato che istituisce la Comunità europea)”.[22]

 

Art.41 Costituzione

In particolare, secondo quanto prevede l’articolo 41 Cost.[23] l’iniziativa economica è libera (primo comma) ma non può svolgersi in contrasto con «l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (secondo comma). La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (terzo comma).

Tale norma definisce il rapporto fra iniziativa economica e intervento dei poteri pubblici in senso “concorrenziale” al fine di rimuovere ogni residuo ostacolo verso l’istituzione di un sistema a economia regolata in cui sono richiamati principi anche a presidio della concorrenza e della libertà economica.

A maggior ragione, nel caso che qui si tratta, per l’attuazione degli obblighi di derivazione comunitaria come quelli concernenti l’attuazione della direttiva 23/24//25-2014 recepita nel Codice dei contratti e ancora prima quella recepita dal d.lgs.196/2006 abrogato.

Il sintagma “utilità sociale” svolge un ruolo centrale nel corpus della Costituzionale  con funzione limitativa, secondo la volontà dei costituenti verso l’iniziativa economica privata per regolarne i rapporti con la politica.

L’art. 41 nel coniugare la libertà d’iniziativa economica dei privati, con l’”utilità sociale” e “i fini sociali” di cui al comma 2 e 3, in un’interpretazione sistemica dei due sintagmi con quello del principio di libertà dell’iniziativa economica dei privati, questi, ai fini della loro nozione,  ”apparvero" in grado di comprendere ogni specie d’interesse pubblico”[24].

La giurisprudenza costituzionale ha precisato che le esigenze di utilità sociale devono essere bilanciate con il principio di concorrenza,[25] ribadendo la necessità che l'individuazione di tali esigenze “non appaia arbitraria” e che esse non siano perseguite dal legislatore mediante misure palesemente incongrue[26], fra queste quelle relative alle procedure di affidamento dei contratti pubblici.

 

Art.97 Costituzione

Il riferimento al principio del “buon andamento” di cui all’art.97 è connesso e conseguente al suo parametro costitutivo del criterio relativo al principio di economicità.

Il principio di “buon andamento”  dell’amministrazione è inteso quale: “vero cardine della vita amministrativa e quindi condizione dello svolgimento ordinato della vita sociale[27]. La funzione paradigmatica del principio di “buon andamento” si risolve in controllo della non arbitrarietà e non (manifesta) irragionevolezza delle leggi rispetto al fine stabilito dall’art. 97, primo comma, Cost.[28] Ne deriva che l’ambito di applicazione è quanto mai vasto estendendosi oltre l’amministrazione in senso stretto[29], riguarda il complessivo funzionamento della P.A.: non solo la fase organizzativa inziale[30] ma anche i relativi procedimenti[31], tanto più che ineludibile è il collegamento tra organizzazione e diritti.[32]

Il principio di “buon andamento” essendo una locuzione generica, con la funzione di una “bussola”, per un giusto orientamento dell’azione amministrazione al fine di raggiungere la meta dell’interesse pubblico, è necessario riempirlo di contenuti. Per tanto sul piano semantico è stato identificato, oltre che come obiettivo di tempestività o come esigenza generale di efficienza dell’azione amministrativa[33], anche come economicità di gestione e contenimento dei costi dei servizi pubblici,[34] ovvero come efficacia, trasparenza, legalità, integrità, correttezza, a lealtà e riterrei anche come utilità sociale.

Ne deriva che la riferibilità del “buon andamento”, lato sensu, all’attività amministrativa determina anche ambiti di sovrapposizione e concorrenza con altri valori costituzionali con i quali deve essere necessariamente bilanciato.

 

 

Conclusioni

Se si pone attenzione al testo delle disposizioni costituzionali esaminate, emerge che esse, sia esplicitamente, che implicitamente sono ispirate a esigenze di utilità sociale.

Il sintagma “utilità sociale” è  considerato  “norma elastica” o “clausola generale” o ancora un «principio valvola» o  “norma poliedrica” dell’ordinamento giuridico,  in modo da diventare un paradigma giuridico attraverso il quale regolare la situazione giuridica derivante dall’attività economica e non solo.

L’utilità sociale, dunque, come limite, ma anche come elemento rafforzativo oppure specificativo di altri diritti costituzionali ha il ruolo di frontiera oltre il quale quel diritto, quell’attività, quella procedura diventa illegittima.

L’utilità sociale è accomunata al “bene comune”[35]e quindi è un parametro che favorisce un’azione qualitativamente utile  da parte  di chi, oltre allo Stato, è chiamato a contribuire alla sua realizzazione permettendone il costante adeguamento al mutare dei tempi e delle leggi.

La Corte Costituzionale ha affermato che le ragioni riconducibili all’”utilità sociale” non devono

necessariamente risultare da esplicite dichiarazioni del legislatore”[36]e in seguito che l’utilità sociale va bilanciata con quella della concorrenza purché non appaia arbitraria.[37]

Il principio di concorrenza, seppure valore basilare del principio di libertà d’iniziativa economica, non riceve comunque, come ha ulteriormente affermato la Corte Costituzione[38], “dall’ordinamento una protezione assoluta potendo essere limitato al fine di consentire il soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti”.

Se dunque l’”utilità sociale” è una fonte poliedrica che contribuisce a dare significazione  a qualsiasi circostanza, fatto, procedura, formante il “bene comune”, su questa perimetrazione pare, per chi scrive, che s’innesti anche il rapporto fra i principi di rotazione-concorrenza e di economicità: cioè fra ciò che soddisfa la tutela della concorrenza nell’esercizio dell’iniziativa libera dell’attività economica e ciò che soddisfa il “buon andamento”.

Orbene  se l’utilità sociale in tali due ambiti contribuisce a tutelare gli interessi pubblici, per effetto, nel primo caso, di espressa previsione costituzionale di cui all’art.41, nell’altro di un’interpretazione degli elementi costitutivi del “buon andamento”, pur tuttavia il rispetto, in compresenza dei principi di rotazione-concorrenza ed economicità, appare arduo realizzarlo.

Invero dare un valore di primazia alla c.d. “utilità sociale” relativa alla tutela della concorrenza nei confronti della pur sempre “utilità sociale” del principio di economicità della spesa quale espressione del “buon andamento”, di fatto non garantirebbe l’interesse pubblico del risparmio della spesa pubblica, come, ex adverso, dare un valore di primazia all’”utilità sociale” del principio di economicità della spesa, non garantirebbe l’utilità sociale del principio di rotazione-concorrenza.

Sicché, è  il caso, come si  accennava in precedenza, di valutare quale dei principi che pur trovando il loro fondamento nell’utilità sociale, abbia una posizione di primazia rispetto all’altro, atteso che, come la giurisprudenza costituzionale ha affermato, il limite alla tutela della concorrenza non è assoluto.

Ritengo che si possa risolvere in un sindacato di ragionevolezza sul rispetto del limite della funzionalizzazione dell’attività amministrativa per il soddisfacimento dell’interesse pubblico che trova fondamento nel principio di economia della spesa, ai fini del contenimento dei costi, nella prospettiva di risanamento della spesa pubblica, costituente il sintagma del “buon andamento” unitamente all’altra dimensione temporale qualitativa performante il principio di economicità, nell’accezione greca, del lemma ”καιρός”, che si concilia con l’esigenza di efficacia dell’azione umana compiuta tempestivamente senza ritardo.

Tale tesi trova sostegno nel pensiero di ANAC[39] nelle parte in cui, in via esemplificativa per l’obbligo motivazionale in deroga al principio di rotazione, declina anche la circostanza della “competitività del prezzo offerto rispetto alla media dei prezzi praticati nel settore di mercato di riferimento”.

 

 

[1] TAR Firenze n.816/2007;

[2] Così G. Amato, Il mercato nella Costituzione, in “Quaderni costituzionali”, 1992

[3] L.Cost.n.3/2001;

[4] Art.117 c.2 lett.e);

[5] G. CORSO - V. LOPILATO, Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali,

    Milano, 2006, p. 5;

[6] C. Costituzionale n. 125/2014 con richiamo a sentenze: n80/2002006; n.175/2005; n.27/2004;

[7] TAR Venezia n.515/2017;TAR Napoli n.4981/2016;

[8] C.S. n. 5854/2017;

[9] C.S. n. 4125/2017;

[10] C-S- n.2078/2018;

[11] C.S. n.4125/2017;

[12] parere n.361/2018 espresso verso l’aggiornamento delle Linee Guida n.4 di ANAC successivamente alla novella apportata dal d.lgs.57/2017 al d.lgs.50/2016;

[13] Deliberazione ANAC n.206 del 1°marzo 2018 sui aggiornamento Linee Guida n.4/2016;

[14] C.Costituzionale n.144/2011;

[15] C.Costituzionale n.430/2007; n.45/2010;

[16] c.Costituzionale n.160/2009;

[17] C.Costituzionale n.14/2004;

[18] C.Costituzionale n.430/2007;

[19] C.Costituzionale n.45/2010;

[20] C.Costituzionale n.160/2009;

[21] C.Costituzionale n.160/2009;

[22] C.Costituzionale n.160/2009;

[23] Art. 41 c. “1. L’iniziativa economica privata è libera; 2. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; 3. La legge predetermina i programmi ed i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”;

[24] M.S.Giannini, Diritto pubblico dell’economia, bologna, Il Mulino,1992, p.176-177 citato in “Il principio di concorrenza nell’ordinamento italiano” M.De Benedetto in Rivista della Scuola Superiore dell’economia e della finanza

[25] C.Costituzionale n.386/1996;

[26] C.Costituzionale n.548/1990;

[27] C.Costituzionale n.123/1968;

[28] C.Costituzionale ex multis n.243/2005; 40/1998; n.8/1967 a cui derivano le altre

[29] C.Costituzionale n.86/1982;

[30] C.Costituzionale n.40/1998

[31] C.Costituzionale n.40/1998

[32] C.Costituzionale n. 383 del 1998: «Organizzazione e diritti sono aspetti speculari della stessa materia, l’una e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente. Non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l’organizzazione»;

[33] C.Costituzionale n.404/1997 e n.40/1998 (già richiamata in nota 4 e 5);

[34] C.Costituzionale n.60/1991 e n.356/1992;

[35] V.Pizzolato, Finalismo dello

 Stato e sistema dei diritti nella Costituzione italiana, Milano,1999, p.199;

[36] C.Costituzionale n.46/1963;

[37] C.Costituinale n.386/1996;

[38] C.Costituzionale n.279/2006 e ordinanza n.162/2009;

[39] Deliberazione ANAC n.206 del 1°marzo 2018 sui aggiornamento Linee Guida n.4/2016:(par.3.7 pag.7).