Cons. Stato, Sez. III, 21 settembre 2018, n. 5489
1. Su di un piano generale, l’accordo quadro, per sua natura, è connotato in senso trilatero, concorrendo a comporne la struttura soggettiva, da un lato, l’Amministrazione stipulante (nella specie, la Regione Lazio) e l’impresa offerente, dall’altro lato, i soggetti pubblici beneficiari della fornitura da esso contemplata e dai quali promanano, nella fase esecutiva dell’accordo, i cd. ordinativi di acquisto: ebbene, se l’accordo quadro può considerarsi “rigido”, per quanto riguarda i soggetti stipulanti, a diversa conclusione deve pervenirsi con riferimento ai beneficiari della fornitura da esso veicolata, la cui individuazione attiene alle finalità dell’accordo quadro e, in quanto tale, è suscettibile di subire modifiche durante il periodo di efficacia dello stesso (entro i limiti, essenzialmente quantitativi, di cui si dirà infra), senza che ne risulti tradita o depotenziata l’originaria matrice concorrenziale, insita nelle regole di trasparenza e par condicio che ne hanno contrassegnato il procedimento di aggiudicazione.
2. La platea dei soggetti beneficiari dell’accordo quadro non attiene alla sua (immodificabile) struttura soggettiva, ma alla sfera finalistica del suddetto strumento contrattuale: sì che la stessa si presta naturalmente ad essere adattata (eventualmente in chiave integrativa) alle sopravvenute esigenze dell’Amministrazione, assumendo rilievo, al fine di verificare il rispetto dei limiti della variante contrattuale ed in base alla disciplina vigente rationetemporis, la sola necessità di non superare il quinto del prezzo contrattuale complessivo originario.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2036 del 2018, proposto da
MundipharmaPharmaceuticals s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Simone Cadeddu, Alfredo Cincotti e Jacopo Nardelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Simone Cadeddu in Roma, via Flaminia n. 133;
contro
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Stefania Ricci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Marcantonio Colonna n. 27;
Presidenza del Consiglio dei Ministri e Commissario ad acta per la Sanità per la Regione Lazio, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domiciliano ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti
ASL Roma 2, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Dell’Orso e Massimo Micheli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Francesco Dell’Orso in Roma, via Filippo Meda n. 35;
Hospira Italia s.r.l., non costituita in giudizio;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Pfizer Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Alvise Vergerio Di Cesana, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere Marzio n. 3;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 00528/2018, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della ASL Roma 2 e del Commissario ad acta per la Sanità per la Regione Lazio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 settembre 2018 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati Simone Cadeddu, Alfredo Cincotti, Jacopo Nardelli, Stefania Ricci, Francesco Dell'Orso, Massimo Micheli, Alvise Vergerio Di Cesana e l'Avvocato dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. La società appellante commercializza il farmaco biosimilare “Remsina”, analgesico basato sulla sostanza attiva “Infliximab”, il quale per lungo tempo è stato liberamente acquistato da alcune strutture private convenzionate con la Regione Lazio, ovvero dal Policlinico Gemelli, dal Campus Biomedico e dall’Istituto Dermopatico dell’Immacolata, per essere poi rimborsato dal Servizio Sanitario Regionale del Lazio.
2. Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, definito in chiave reiettiva dal T.A.R. Lazio con la sentenza appellata, essa ha impugnato il provvedimento del Commissario ad acta per la realizzazione degli obiettivi di risanamento finanziario previsti nel piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario del Lazio n. U00070 del 3 marzo 2017, con il quale è stato invece stabilito di includere i farmaci di cui al “flusso Farmed” (tra cui rientra anche il medicinale in questione) nell’ordinario sistema di centralizzazione degli acquisti, con il conseguente obbligo per le predette strutture private accreditate di rifornirsi, per l’approvvigionamento del medicinale basato sul principio attivo “Infliximab”, presso la ASL Roma 2, che distribuisce a tale scopo il farmaco “Inflectra”, prescelto in esito alla gara svoltasi nel 2016 per il fabbisogno delle Aziende sanitarie pubbliche regionali, di cui si è resa aggiudicataria Hospira Italia s.r.l..
3. Il T.A.R., premesso che il themadecidendum aveva ad oggetto la dedotta violazione dell’art. 106 del decreto legislativo n. 50 del 2016, in quanto - alla stregua delle allegazioni attoree - il precedente contratto di fornitura avrebbe subito una modifica sostanziale per effetto della notevole estensione soggettiva delle aziende tenute a rifornirsi mediante il sistema di centralizzazione degli acquisiti, così eludendo l’obbligo della Regione di indire una nuova gara per l’individuazione del fornitore del suddetto medicinale, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso in conseguenza della omessa notifica all’effettivo controinteressato (Pfizer Italia s.r.l.), essendo stato instaurato il contraddittorio nei confronti della sola Hospira Italia s.r.l., originaria aggiudicataria ma non più fornitrice del farmaco de quo all’Azienda sanitaria alla data di adozione del provvedimento impugnato in primo grado.
In proposito il T.A.R., pur dando atto che nel provvedimento impugnato non vengono espressamente menzionate né la Hospira Italia s.r.l. né la Pfizer Italia s.r.l. (succeduta, come si è detto, nei diritti di commercializzazione del farmaco de quo già facenti capo alla originaria aggiudicataria), ma soltanto il nominativo del medicinale di cui l’Azienda sanitaria dovrebbe approvvigionarsi, per le tre predette strutture convenzionate, “tramite le procedure di legge attuate dalla Regione Lazio” e dunque “sulla base degli esiti delle gare regionali”, ha ritenuto che “sarebbe stato onere della parte ricorrente, sulla base di un semplice ed ordinario criterio di diligenza comunemente applicato in tema di identificazione del controinteressato effettivo, verificare quale fosse il soggetto titolare – al momento della adozione del DCA 3 marzo 2017 e non certamente al momento della definizione delle procedura di gara del 2016 – dei diritti di commercializzazione dello specifico farmaco”: ciò anche attingendo alla nota EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) adottata in data 16 febbraio 2017 ed al relativo riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP), in cui si riportava chiaramente, alla pag. 56, che i suddetti diritti erano stati trasferiti a Pfizer Italia s.r.l., anche tenuto conto che si tratta di “vicende societarie che qualificati operatori del settore quali quelli presenti nell’odierno giudizio, sempre sulla base di un ordinario e non sproporzionato criterio di diligenza, dovrebbero ritenere normalmente realizzabili e dunque largamente prevedibili”.
4. Mediante i motivi di appello, la società appellante contesta la statuizione di inammissibilità recata dalla sentenza appellata e ripropone, in vista del loro accoglimento, la domanda di annullamento e quella risarcitoria formulate in primo grado.
5. Si sono costituite in giudizio, per opporsi all’accoglimento dell’appello, l’appellata Regione Lazio, l’ASL Roma 2 e la Presidenza del Consiglio dei Ministri; è inoltre intervenuta ad opponendum, nella dichiarata qualità di controinteressato pretermesso, Pfizer Italia s.r.l..
6. Venendo alle valutazioni del giudice adito, deve preliminarmente ribadirsi che è controversa la legittimità del provvedimento (decreto del Commissario ad acta del 3 marzo 2017, n. U00070), avente ad oggetto “Centralizzazione degli acquisti e modalità di erogazione di farmaci utilizzati dalle Strutture Accreditate Convenzionate Policlinico Agostino Gemelli, Campus Biomedico, Istituto Dermopatico dell’Immacolata”) con il quale l’autorità commissariale laziale è intervenuta, nell’ottica contenitiva della spesa sanitaria, sul sistema distributivo dei farmaci, prevedendo in particolare l’incremento della distribuzione diretta dei farmaci da parte delle aziende unità sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del servizio sanitario regionale, contemplata dall’art. 8 d.l. n. 347/2001, facendo a tal fine applicazione dell’art. 1, comma 68, l.r. n. 14/2008, ai sensi del quale “le aziende unità sanitarie locali, le aziende ospedaliere e gli altri enti del servizio sanitario regionale delegano alla centrale acquisti regionale gli acquisti centralizzati per specifiche categorie di beni e servizi, quali farmaci, vaccini, presidi medicochirurgici e altri beni e servizi individuati con decreto del Commissario ad acta per il piano di rientro dal disavanzo sanitario”.
In particolare, mediante il citato provvedimento commissariale, dato atto che “i costi di acquisto dei farmaci di cui al flusso Farmed, destinati a pazienti non ricoverati, sono rendicontati dalle strutture sanitarie erogatrici e ribaltati sulle Aziende Sanitarie di residenza dei medesimi assistiti come previsto dalle norme di compensazione intra ed extra regionale” ed al fine di “garantire altresì la non difficoltosa reperibilità dei farmaci” in distribuzione diretta da parte dei “numerosi pazienti delle grandi strutture ospedaliere private sopraindicate”, ritenuto pertanto necessario “mettere in atto un processo di centralizzazione per gli acquisti di specifiche categorie di farmaco, individuate nell’elenco allegato al presente atto (Allegato 1), erogate dalle Strutture Accreditate Convenzionate”, è stato disposto: 1) “di includere i farmaci di cui al flusso Farmed, meglio indicati nell’allegato 1 (tra i quali quello commercializzato dalla parte appellante: n.d.e.), nell’ordinario sistema di legge di centralizzazione degli acquisti e di copertura di spesa disposto per i farmaci a distribuzione diretta”; 2) “di individuare la ASL Roma 2 quale Azienda capofila ai fini delle funzioni di distribuzione diretta del fabbisogno di cui all’All 1”; 3) “di disporre che la ASL Roma 2 deleghi l’attività di erogazione al paziente del farmaco in distribuzione diretta alle Strutture private accreditate Policlinico Agostino Gemelli, Campus Biomedico e Istituto Dermopatico dell’Immacolata”; 4) di demandare ad apposito Protocollo operativo tra la ASL Roma 2 e le strutture private accreditate di cui sopra le modalità operative (Allegato 2) atte ad agevolare: la trasmissione da parte delle Strutture di cui sopra alla ASL RM 2 della opzione da parte del paziente in cura per la consegna del farmaco presso la loro sede; 5) l’approvvigionamento del farmaco da parte della ASL RM 2 tramite le procedure di legge attuate dalla Regione Lazio, secondo il fabbisogno indicato dalle Strutture in conseguenza delle scelte di cui al punto precedente; 6) l’appropriato recapito del farmaco alle Strutture di cui sopra ai fini della consegna al paziente; 7) ogni altra attività necessaria all’avvio e al miglior funzionamento di quanto qui disposto”.
Va altresì evidenziata, in quanto posto dalle parti al centro delle rispettive allegazioni, la previsione dell’Allegato 2, laddove, con riferimento agli “Obiettivi del progetto”, prevede, alla lett. c), “acquisto delle specialità medicinali selezionate sulla base degli esiti delle gare regionali e degli accordi negoziali AIFA”.
7. Tanto premesso quanto all’oggetto della controversia, deve subito rilevarsi che l’infondatezza dei motivi di appello inerenti al merito del giudizio consente di prescindere dalla disamina, alla luce dei medesimi pertinenti motivi e delle contrapposte deduzioni delle parti resistenti, della questione di ammissibilità del gravame, posta dal T.A.R. a fondamento della pronuncia appellata (sulla scorta della mancata notificazione del ricorso all’”effettivo controinteressato”, identificato dal giudice di primo grado nella società Pfizer Italia s.r.l.): infondatezza che preclude altresì la rimessione della causa al giudice di primo grado ai fini della integrazione del contraddittorio nei confronti della società Pfizer Italia s.r.l., ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., richiesta in via subordinata dalla parte appellante, non avendovi essa alcun concreto interesse.
8. Ebbene, al fine di apprezzare l’infondatezza dei motivi di ricorso, così come riproposti con l’atto di appello, occorre muovere da una constatazione preliminare: l’accordo quadro stipulato dalla centrale di committenza regionale ovvero, più in generale ed a monte, gli atti della gara a conclusione della quale esso è stato sottoscritto, non sono caratterizzati (né, quindi, rigidamente delimitati), da un punto di vista soggettivo, dalla identità (tipologica o individuale) degli enti sanitari legittimati ad (rectius, onerati di) avvalersi del relativo sistema di acquisto centralizzato al fine di approvvigionarsi del farmaco basato sul principio attivo “Infliximab” in vista della sua successiva distribuzione diretta.
Già sulla scorta di tale rilievo preliminare può cogliersi, in nuce, l’infondatezza della tesi, patrocinata dalla parte appellante, secondo cui la modifica in senso ampliativo della platea dei soggetti tenuti ad acquisire il farmaco suindicato (mediante l’inserimento tra essi, accanto alle Aziende sanitarie pubbliche originariamente previste, delle strutture private accreditate Policlinico Agostino Gemelli, Campus Biomedico e Istituto Dermopatico dell’Immacolata) integrerebbe una non consentita variazione soggettiva del contratto originario, la quale avrebbe imposto l’espletamento di una specifica ed autonoma procedura di gara.
Invero, su di un piano generale, l’accordo quadro, per sua natura, è connotato in senso trilatero, concorrendo a comporne la struttura soggettiva, da un lato, l’Amministrazione stipulante (nella specie, la Regione Lazio) e l’impresa offerente, dall’altro lato, i soggetti pubblici beneficiari della fornitura da esso contemplata e dai quali promanano, nella fase esecutiva dell’accordo, i cd. ordinativi di acquisto: ebbene, se l’accordo quadro può considerarsi “rigido”, per quanto riguarda i soggetti stipulanti, a diversa conclusione deve pervenirsi con riferimento ai beneficiari della fornitura da esso veicolata, la cui individuazione attiene alle finalità dell’accordo quadro e, in quanto tale, è suscettibile di subire modifiche durante il periodo di efficacia dello stesso (entro i limiti, essenzialmente quantitativi, di cui si dirà infra), senza che ne risulti tradita o depotenziata l’originaria matrice concorrenziale, insita nelle regole di trasparenza e par condicio che ne hanno contrassegnato il procedimento di aggiudicazione.
Tale conclusione vale, in primo luogo ed a fortiori, laddove l’incremento dei soggetti beneficiari della fornitura convogliata dall’accordo quadro non determini lo sforamento del volume prestazionale indicato negli atti di gara; ma a non diversa conclusione, sebbene subordinatamente alla verifica del rispetto delle specifiche condizioni contemplate dalle pertinenti disposizioni, deve pervenirsi con riguardo all’ipotesi in cui l’ampliamento soggettivo della fornitura disciplinata dall’accordo quadro si traduca nel suo allargamento dimensionale.
9. In via di ulteriore affinamento della cornice giuridico-fattuale da cui desumere l’esito della controversia, deve premettersi che la parte appellante non contesta la decisione, consacrata con il provvedimento impugnato, di sottoporre alle procedure centralizzate di acquisto l’acquisizione del farmaco de quo, anche se destinato alla dispensazione diretta ad opera delle suindicate strutture private accreditate: essa lamenta piuttosto, ed esclusivamente, che le Amministrazioni appellate hanno utilizzato la procedura di gara precedentemente espletata, conclusasi con l’aggiudicazione della fornitura alla società Hospira Italia s.r.l., avvenuta con determina in data 20 settembre 2016, prot. n. G10534, piuttosto che indire un nuovo procedimento di gara.
E’ dubbio, deve incidentalmente osservarsi, che il pregiudizio lamentato, nei termini appena illustrati, trovi la sua origine provvedimentale diretta nel decreto regionale impugnato e non, piuttosto, nel “modo” in cui le Amministrazioni appellate hanno ritenuto di darvi esecuzione: non si evincono invero da esso univoci elementi nel senso che il nuovo sistema di acquisizione individuato ai fini dell’approvvigionamento dei farmaci destinati ad essere dispensati dalle menzionate strutture private accreditate debba trovare applicazione attingendo agli esiti delle gare già espletate ovvero presupponga l’indizione di nuovi procedimenti di gara.
Tuttavia, non solo ragioni (processuali) di prevalenza della formula decisoria della infondatezza (su quella, eventuale, della inammissibilità, che a quei dubbi si correlerebbe), ma anche la conformità della seconda opzione interpretativa ai canoni di legittimità dell’azione amministrativa, cui si è già accennato in linea generale e sulla quale si dirà ancora infra, induce a ritenere che l’avvalimento della gara già espletata, ai fini dell’acquisizione dei farmaci destinati alla dispensazione mediante le predette strutture private accreditate, costituisca un esito “naturale”, imposto anche da intuitive esigenze di economia procedimentale ed efficienza amministrativa, del provvedimento impugnato (oltre che della corretta applicazione degli istituti de quibus).
10. Chiarito, come si è fatto sub 8, che l’estensione soggettiva dei soggetti beneficiari dell’accordo quadro incontra (in primo luogo) limiti di ordine quantitativo, deve osservarsi che la parte appellante non formula alcuna censura intesa a dimostrare che l’inserimento delle citate strutture private accreditate, tra i soggetti dispensatori del farmaco de quo obbligati ad approvvigionarsi mediante il sistema centralizzato di acquisizione, abbia determinato il superamento dei limiti quantitativi contemplati dagli atti della gara conclusasi con l’aggiudicazione dell’accordo quadro alla società Hospira Italia s.r.l. ovvero che l’eventuale superamento di quei limiti non sia conforme ai parametri di cui all’art. 311, comma 4, d.P.R. n. 207/2010 (applicabile rationetemporis alla gara suindicata ed espressamente richiamato dai relativi atti: cfr. art. 1 del capitolato tecnico), a mente del quale “nei casi previsti al comma 2, la stazione appaltante può chiedere all’esecutore una variazione in aumento o in diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza di un quinto del prezzo complessivo previsto dal contratto che l’esecutore è tenuto ad eseguire, previa sottoscrizione di un atto di sottomissione, agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto originario senza diritto ad alcuna indennità ad eccezione del corrispettivo relativo alle nuove prestazioni”.
Del resto, a dimostrazione del rapporto di continenza ravvisabile tra il quantitativo oggetto di gara, incrementato di un quinto ai sensi della norma citata, ed il fabbisogno delle suddette strutture private accreditate, viene in rilievo la nota prot. n. 100446 del 13 giugno 2017 del Direttore della U.O.C. Procedure di Acquisto e Contratti della ASL Roma 2, versata in atti dall’Azienda resistente e non contestata dalla parte appellante, nella parte in cui chiarisce che il fabbisogno delle strutture sanitarie private è economicamente stimabile – sulla base della spesa storica riferita all’anno 2016 – in € 696.000,00, ossia un importo nettamente inferiore al “quinto del prezzo complessivo previsto dal contratto che l'esecutore è tenuto ad eseguire”, pari per il lotto n. 132, relativo al principio attivo “Infliximab”, ad € 9.429.120,00.
Sul punto, peraltro, non può omettersi di osservare che la stessa parte appellante, con successiva memoria, ha puntualizzato che non è suo intento contestare che il contratto di Hospira abbia subito modifiche sotto il profilo quantitativo.
11. Come già rilevato, le censure di parte appellante si appuntano sul fatto che il provvedimento impugnato avrebbe introdotto una variazione sostanziale, di carattere soggettivo, nel contratto originario, contravvenendo ai limiti di modificabilità, mediante variante, del medesimo.
I così prospettati motivi di appello, come accennato, non sono meritevoli di accoglimento.
Come si è detto, infatti, la platea dei soggetti beneficiari dell’accordo quadro non attiene alla sua (immodificabile) struttura soggettiva, ma alla sfera finalistica del suddetto strumento contrattuale: sì che la stessa si presta naturalmente ad essere adattata (eventualmente in chiave integrativa) alle sopravvenute esigenze dell’Amministrazione, assumendo rilievo, al fine di verificare il rispetto dei limiti della variante contrattuale ed in base alla disciplina vigente rationetemporis, la sola necessità di non superare il quinto del prezzo contrattuale complessivo originario.
Nella fattispecie in esame, del resto, tale conclusione risulta avvalorata dal fatto che gli atti della gara hanno riguardo, in termini ampi, alle “Aziende Sanitarie e Ospedaliere della Regione Lazio”: formula che si presta a ricomprendere, senza eccessive forzature, le menzionate strutture private accreditate, tanto più in quanto sostanzialmente assimilabili, come si evince dal provvedimento impugnato, ad ospedali pubblici (“tutte strutture che non solo per la loro completa e complessa organizzazione sono da tempo inserite nella rete dei presidi ma anche da sempre sono state recepite nel comune - sic! - dell’utenza e della comunità anche professionale laziale come si trattasse di ospedali pubblici”): ciò senza considerare che il ruolo di azienda capofila per la dispensazione del farmaco de quo ai pazienti delle tre strutture accreditate in parola è stato attribuito, dal provvedimento impugnato, alla ASL Roma 2, in tal modo salvaguardando comunque l’originaria destinazione dell’accordo quadro a sovvenire alle esigenze delle Aziende sanitarie pubbliche (anche se in veste di deleganti quelle private).
Da questo punto di vista, anzi, non risulta del tutto condivisibile la deduzione di parte appellante secondo cui, nella specie, sarebbe stato mutato il numero dei destinatari della fornitura originaria, “che sono gli effettivi acquirenti dei farmaci in questione, essendo legittimati ad inoltrare direttamente ad Hospira ordinativi di fornitura”: la deduzione, se è rispondente ai fatti del procedimento laddove evidenzia che il provvedimento impugnato ha determinato il mutamento dei beneficiari ultimi della fornitura originaria, lo è meno – o meglio non lo è affatto – laddove assume che i nuovi destinatari avrebbero la facoltà di indirizzare direttamente ordini di acquisto all’impresa fornitrice, essendo piuttosto insito nel sistema di acquisizione delineato dal decreto commissariale impugnato che siffatti ordini siano formulati dall’Azienda (Roma 2) capofila, nella veste di ente delegante le strutture private accreditate ai fini della dispensazione diretta del farmaco in discorso.
12. Quanto poi all’ulteriore presupposto oggettivo legittimante il ricorso alla variante, rappresentato, ex art. 311, comma 2, lett. a) d.P.R. n. 207/2010, dalla sussistenza di “esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari”, deve osservarsi che le stesse sono indubbiamente individuabili nello stesso contenuto dispositivo (complessivamente analizzato) del provvedimento regionale impugnato, oltreché nelle disposizioni normative da esso richiamate (come in primo luogo l’art. 1, comma 68, della legge regionale n. 14 del 2008, espressamente richiamato nelle premesse del provvedimento, ai sensi del quale “gli enti del servizio sanitario regionale delegano alla centrale acquisti regionale gli acquisti centralizzati per specifiche categorie di beni e servizi, quali farmaci, vaccini, presidi medico-chirurgici e altri beni e servizi”), laddove estende il sistema centralizzato di acquisizione ai farmaci dispensati in forma diretta dalle citate strutture private accreditate: profilo, questo, costituente il presupposto dell’estensione contrattuale di cui viene predicata l’illegittimità ed in ordine al quale, come si è detto, nessuna puntuale censura viene articolata dalla parte appellante.
A tale riguardo, non convince nemmeno l’assunto di parte appellante secondo cui non sarebbe predicabile l’imprevedibilità delle circostanze giustificative del ricorso alla variante, trattandosi di un processo di riorganizzazione del sistema di acquisto in ambito regionale che trova le proprie radici nelle modifiche normative nel tempo sopravvenute ed in un’analisi, risalente al 2015, del fenomeno degli acquisti effettuati dalle strutture private accreditate: basti in senso contrario osservare che un conto sono le disposizioni astratte di legge, un altro la loro concreta attuazione, la quale sola è in grado di influire sull’attività concreta della P.A. ed è suscettibile, quindi, di effettiva valutazione in termini di prevedibilità/imprevedibilità, ai fini applicativi della norma suindicata.
13. Quanto poi alla tesi secondo cui occorrerebbe avere riguardo, al fine di verificare la legittimità della variante, alle previsioni di cui all’art. 106 d.lvo n. 50/2016 (che la stessa parte appellante, peraltro, dichiara corrispondere alle disposizioni previgenti), dovendo gli artt. 310 e 311 d.P.R. n. 207/2010 ritenersi abrogate per effetto dell’art. 217, comma 1, lett. u) d.lvo cit., deve osservarsi che la predetta disposizione abrogatrice deve essere coordinata con la previsione di cui all’art. 216, comma 1, d.lvo n. 50/2016, ai sensi del quale “fatto salvo quanto previsto nel presente articolo ovvero nelle singole disposizioni di cui al presente codice, lo stesso si applica alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore…”: del resto, a riprova di tale conclusione, non può non cogliersi l’inaccettabilità pratica della deduzione di parte appellante, intesa a sottolineare che nella lexspecialis della fornitura originaria “non erano presenti clausole che consentissero in maniera chiara, precisa e inequivocabile, di modificare il contratto liberamente e senza condizioni, purché entro i limiti del c.d. quinto d’obbligo”, come richiesto dall’art. 106 d.lvo n. 50/2016, non potendo evidentemente esigersi, alla data della indizione della gara, il rispetto di prescrizioni non ancora vigenti nell’ordinamento.
14. Infondata, infine, è la censura intesa a lamentare il mancato intervento del RUP: anche ammesso che la norma che lo prevede (art. 106, comma 1, d.lvo n. 50/2016) sia applicabile, per la sua valenza procedimentale, alla fattispecie in esame, deve rilevarsi che dal frontespizio del decreto commissariale impugnato risulta, insieme alle firme dell’estensore Carocci, del Dirigente d’Area Lombardozzi e del Direttore Regionale Panella, anche la sottoscrizione della dott.ssa Alessandra Mecozzi, Responsabile del Procedimento.
15. L’infondatezza dell’appello, nei suoi profili di merito, impone quindi la reiezione del ricorso di primo grado.
16. La peculiarità dell’oggetto della controversia giustifica infine la compensazione delle spese di giudizio sostenute dalle parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), respinge l’appello, come in epigrafe proposto, relativamente alle censure di merito, così come, per l’effetto, il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Spese del giudizio di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Guida alla lettura
La questione affrontata dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento è relativa alla tutela della concorrenza nell’ambito degli accordi quadro disciplinati dall’art. 54 del D.lgs. 50/2016, ossia se la stazione appaltante possa estendere l’accordo quadro anche a soggetti beneficiari diversi da quelli originariamente individuati al momento della conclusione del medesimo, senza per questo necessariamente indire una nuova procedura di aggiudicazione.
La Soc. Mundipharma srl commercializzava un farmaco che per lungo tempo veniva acquistato da alcune strutture private convenzionate con la Regione Lazio, dietro poi successivo rimborso da parte del Servizio Sanitario Regionale.
Il Commissario ad acta per il risanamento del deficit del settore sanitario regionale includeva tale farmaco nel sistema di centralizzazione acquisti, ossia in un Accordo Quadro che precedentemente la Regione Lazio aveva aggiudicato alla Soc. Hospira srl, con la conseguenza di obbligare a rifornirsi esclusivamente presso tale Società non soltanto le predette strutture private convenzionate ma anche tutte le altre strutture aderenti all’Accordo stesso.
La Soc. Mundipharma srl sostiene quindi quanto segue:
- a seguito dell’inglobamento della fornitura del farmaco nell’ambito del sistema di centralizzazione acquisti (Accordo Quadro), è stato esteso l’ambito soggettivo delle strutture private accreditate beneficiarie di tale fornitura;
- per effetto di ciò, la Società aggiudicataria del medesimo Accordo - Hospira srl – ha ottenuto un arricchimento non previsto dallo stesso Accordo;
- di conseguenza la Regione avrebbe dovuto indire una procedura nuova, in quanto l’inglobamento sopra citato ha determinato,ex art. 106 del D.lgs. 50/2016, una modifica sostanziale dell’oggetto del contratto di cui all’Accordo.
Il Consiglio di Stato respinge la domanda avanzata dalla Soc. Mundipharma, affermando che l’Accordo Quadro deve considerarsi rigido per quanto riguarda l’individuazione dei soggetti stipulanti, ma elastico per ciò che attiene alla designazione dei beneficiari, ossia degli utenti finali delle prestazioni in esso contenute, e, pertanto, che ben la stazione appaltante può estendere gli effetti dell’accordo anche ad utenti diversi da quelli identificati ab origine: tutto ciò a condizione che non venga superato il limite di 1/5 del prezzo contrattuale iniziale, in quanto, ove ciò accadesse, si renderebbe obbligatorio attivare una nuova procedura, a tutela della concorrenza.
L’art. 54 del D.lgs. 50/2016 affronta il problema della tutela della concorrenza stabilendo, al comma 4 lett. c), che “se l’accordo quadro non contiene tutti gli elementi che disciplinano la prestazione dei lavori, dei servizi e delle forniture”, la stazione appaltantedeve riaprire “il confronto competitivo tra gli operatori economici parti dell'accordo quadro”.
L’ipotesi contemplata dalla norma riguarda il caso in cui risulti che la stazione appaltante, al momento di stipulare l’Accordo Quadro con più operatori economici, non aveva descritto, in maniera puntuale e dettagliata, tutte le prestazioni oggetto del futuro contratto. Quindi, l’obbligo di una nuova procedura concorrenziale sussiste essenzialmente quando viene accertato, successivamente alla conclusione dell’Accordo Quadro, che l’oggetto del contratto è divenuto, a seguito di nuove valutazioni di opportunità fatte dalla stazione appaltante, più ampio di quello posto a base dell’accordo stesso.
L’ampliamento dell’oggetto del contratto, siccome determina a beneficio delle Imprese stipulanti un arricchimento ulteriore rispetto a quello inizialmente programmato, potrebbe suscitare un legittimo interesse anche per altre Imprese le quali avevano deciso di non aderire all’accordo medesimo in quanto ritenuto in quel momento non sufficientemente conveniente in termini di costi/benefici, e quindi comporta per la stazione appaltante l’obbligo di attivare una nuova procedura nella quale coinvolgere anche altre Imprese.
Il principio sotteso alla norma è quello secondo cui non è possibile modificare in corsa – ossia in sede di esecuzione del contratto – le condizioni di partenza, quando tale modifica riveste un carattere sostanziale, ossia comporta un mutamento radicale dell’oggetto dell’appalto, senza che vi sia una riapertura al mercato, in quanto senza tale riapertura l’ampliamento delle prestazioni configurerebbe sostanzialmente “un affidamento diretto mascherato” di un contratto ex novo (ossia: nuove prestazioni) in favore dell’aggiudicatario dell’accordo quadro.
Ora si tratta di vedere se il principio sancito dall’art. 54 comma 4 lett. c) del D.lgs. 50/2016 – ossia nuova procedura concorrenziale nel caso di modifica dell’oggetto del contratto – sia applicabile anche quando a subire una modifica sono non già le condizioni contrattuali, ovvero la qualità e quantità delle prestazioni, bensì è il numero dei soggetti utilizzatori finali di tali prestazioni.
Se la ragione per la quale una nuova procedura si impone è evitare all’aggiudicatario dell’accordo quadro di conseguire, a svantaggio delle altre Imprese operanti nel mercato, un’utile superiore a quello corrispondente alle prestazioni inizialmente stabilite, allora si dovrebbe ritenere che tale esigenza si manifesti non solo quando vi è stato un ampliamento dell’oggetto del contratto, ma anche quando è aumentata la platea degli utilizzatori finali: infatti, è anche in questo secondo caso che l’aggiudicatario dell’accordo quadro ottiene un arricchimento non previsto dal contratto originario; l’unica differenza è che nel primo caso (ossia:ampliamento dell’oggetto del contratto) tale arricchimento è qualitativo, ovvero legato al tipo di prestazioni da eseguire, mentre nel secondo caso (ossia:ampliamento della platea degli utilizzatori finali) è quantitativo, ovvero commisurato al numero degli utenti.
Allora, assimilate queste due ipotesi, si dovrebbe ritenere che l’obbligo di una nuova riapertura al mercato si imponga anche quando la stazione appaltante abbia deciso di estendere l’elenco dei soggetti fruitori del lavoro/servizio/fornitura oggetto dell’accordo quadro, che è appunto il caso di cui alla sentenza in commento.
Di conseguenza, alla luce di ciò, la soluzione adottata dal Consiglio di Stato appare lesiva del principio di concorrenza.
In tal senso sembra deporre anche l’art. 33 comma 1 della Direttiva UE 24/2014, il quale definisce l’accordo quadro come “un accordo concluso tra una o più amministrazioni aggiudicatrici e uno o più operatori economici allo scopo di definire le clausole relative agli appalti da aggiudicare durante un dato periodo, in particolare per quanto riguarda i prezzi e, se del caso, le quantità previste”. Il fatto che l’accordo quadro debba “definire” le “quantità previste” pare indurre a ritenere che debba essere necessariamente indicato nell’accordo stesso, e quindi non possa essere modificato in un momento successivo (se non attraverso una nuova procedura concorrenziale), il “numero” degli utenti finali delle prestazioni contrattuali: infatti le “quantità” possono essere “previste” solo nella misura in cui si abbia già una conoscenza del “numero” delle esigenze da soddisfare.
E allora, se il “numero” degli utenti finali deve essere necessariamente già “definito” (e non, semplicemente, “indicato”) nell’accordo quadro, ciò vuol dire che qualsiasi modifica successiva di tale numero deve, inderogabilmente, passare attraverso una nuova procedura concorrenziale.
Tuttavia, un’interpretazione meno rigida dell’art. 33 comma 1 della Direttiva UE 24/2014 suggerirebbe, in riferimento alla necessità che l’accordo quadro definisca le quantità previste, di attribuire una certa rilevanza all’inciso “se del caso…”.
Mentre l’obbligo di definizione dei “prezzi” si configura come inderogabile, l’obbligo di definizione delle “quantità” – e quindi del “numero” degli utenti finali – è, per così dire, “relativo”, ossia la previa quantificazione del fabbisogno è comunque suscettibile di modifiche, ossia può essere effettuata ma può anche non essere effettuata nell’accordo quadro e quindi in tale secondo caso può essere differita ad un momento successivo, senza per questo necessariamente dover passare attraverso una nuova riapertura al mercato.
Peraltro, una simile tesi, seppur giustamente attenta alla formulazione letterale della norma, non appare inconfutabile, in quanto definire preventivamente – ossia nell’accordo quadro – “i prezzi” presuppone stabilire preventivamente proprio le “quantità”: minore sarà la quantità da soddisfare più basso sarà il prezzo (se la domanda diminuisce, l’appaltatore non avrà necessità di sostenere maggiori spese per gli approvvigionamenti e quindi non avrà bisogno di richiedere un aumento del corrispettivo dell’appalto), maggiore sarà la quantità e più alto sarà il prezzo (se la domanda aumenta, l’appaltatore, per contenere l’inflazione da domanda, sarà portato chiedere un aumento del prezzo dell’appalto). Quindi, in realtà, se nell’accordo quadro “i prezzi” devono essere preventivamente definiti, stesso discorso varrà per le “quantità”.
Quindi, neanche l’interpretazione letterale sopra esposta sembra sfuggire al principio secondo cui l’ampliamento della platea degli utenti finali dell’appalto comporta l’obbligo di una nuova procedura.
A ciò va aggiunto che, ai sensi dell’art. 106 comma 4 lett. b) del D.lgs. 50/2016, una modifica del contratto deve considerarsi “sostanziale”, e quindi tale da determinare l’obbligo di una nuova procedura, quando “cambia l'equilibrio economico del contratto o dell'accordo quadro a favore dell'aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale”.
L’equilibrio economico tra costi e benefici – inteso come necessità che l’appaltatore non ricavi, dall’esecuzione del contratto, un utile superiore a quello concordato con la stazione appaltante - costituisce un valore da mantenere inalterato, ossia non assoggettabile a modifiche rilevanti, non soltanto quando si tratta di un contratto tra una stazione appaltante ed un appaltatore, ma anche in riferimento all’Accordo Quadro, ossia ad un contratto concluso da una Centrale di Committenza con un appaltatore ai fini della sottoscrizione di specifici contratti di appalto con tante distinte stazioni appaltanti.
Quindi, il fatto che l’Accordo Quadro sia un contratto aperto a successive adesioni delle stazioni appaltanti interessate, non significa che l’aggiudicatario di tale contratto possa conseguire un arricchimento notevolmente eccedente la misura del corrispettivo stabilito dall’Accordo stesso, in quanto occorre sempre mantenere l’equilibrio tra i costi che l’appaltatore deve sostenere per la gestione del contratto e gli utili da questo derivanti, laddove sia i costi che i benefici erano già stati predeterminati nell’Accordo. Nel momento in cui questo equilibrio subisce una modifica di rilevante entità, nel senso che i benefici diventano assai maggiori di quelli originariamente convenuti, e ciò per effetto di un ampliamento della cerchia degli utilizzatori finali delle prestazioni oggetto dell’appalto, ecco che l’appaltatore viene a conseguire un beneficio maggiore rispetto a quello preventivato, e lo fa sottraendo sostanzialmente agli altri operatori economici una consistente quota di mercato: infatti più sono le stazioni appaltanti che aderiscono all’Accordo Quadro, minore sarà la quota di libero mercato nella quale anche gli altri operatori del settore possano coltivare la speranza di divenire anch’essi aggiudicatari a seguito di gare di appalto bandite autonomamente da altri Enti pubblici.
Per tutti i motivi sopra esposti, la soluzione adottata dal Consiglio di Stato non appare essere rispettosa dei principi di concorrenza.