Consiglio di Stato, sez. V, 2 agosto 2018, n. 4780
L’estensione anche in questo giudizio degli effetti di tali pronunce del Tribunale amministrativo di Bari deriva dall’applicazione dei consolidati principi in materia di annullamento degli atti regolamentari elaborati dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui la portata della pronuncia demolitoria di questa categoria di atti amministrativi, a carattere generali e contenente disposizioni inscindibili sul piano sostanziale, ha efficacia erga omnes, perché altrimenti dovrebbe ammettersi un’ultrattività degli stessi al giudicato di annullamento.
La nozione di compenso rende impraticabile la soluzione adottata dal Comune di Bari con il regolamento annullato e con l’atto applicativo adottato nei confronti dell’odierna appellante, secondo cui l’opera prestata quale membro della commissione giudicatrice darebbe alla professoressa Ricci diritto ad un’indennità meramente compensativa dell’impegno richiesto per lo svolgimento dell’incarico onorario, svincolata dalla qualità e dall’importanza delle prestazioni svolte nell’ambito dello stesso.
Guida alla lettura
La sezione quinta del Consiglio di Stato nella sentenza in rassegna fornisce risposta a due quesiti emersi in sede di ricorso.
Il Collegio, infatti, da un lato ribadisce l’orientamento giurisprudenziale secondo cui le sentenze di annullamento dei regolamenti hanno efficacia erga omnes e non soltanto tra le parti del giudizio, rappresentando giudicato esterno nelle controversie che abbiano ad oggetto la lesione di interessi legittimi derivante dai regolamenti e dai conseguenti atti attuativi, mentre dall’altro traccia l’actio finium regundorum relativa alla discrezionalità di cui dispone l’amministrazione nello stabilire i compensi spettanti ai commissari di gara che non siano dipendenti della stessa.
Per comprendere compiutamente le statuizioni rese dal Collegio è opportuno ripercorrere brevemente la vicenda giudiziaria in oggetto.
La ricorrente, una professoressa architetto, a seguito dell’espletamento delle funzioni di componente di una commissione giudicatrice, agiva in giudizio nei confronti dell’amministrazione procedente, impugnando il provvedimento di determinazione del compenso e il presupposto regolamento avente ad oggetto “l’indennità di presenza per la partecipazione alle commissioni giudicatrice per appalti e concessioni di lavori, opere, servizi e forniture”, in applicazione del quale il Comune di Bari aveva liquidato in € 268,58 le competenze dovute per la partecipazione alla commissione di gara.
La ricorrente nell’impugnare gli atti relativi al suo compenso, lamentava l’irrisorietà dello stesso e la necessità che lo stesso fosse parametrato sulle tariffe professionali e non in base alla mera discrezionalità della pubblica amministrazione.
Il Tribunale adito rigettava il ricorso della professoressa architetto, ritenendo da un lato che la ricorrente non avesse censurato la mancata determinazione del compenso all’atto di nomina, e dall’altro che non trattandosi di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, la ricorrente fosse “esposta alle determinazioni di carattere discrezionale di quest’ultima quanto alla disciplina del trattamento economico”.
La professoressa architetto impugnava la sentenza del TAR Puglia sede di Bari, riproponendo le medesime censure del primo grado.
In particolare, la professoressa sostiene di avere diritto ad un compenso non simbolico e lesivo del decoro professionale, e che l’indennizzo avrebbe dovuto essere commisurato sulla base delle tariffe professionali.
A sostegno dei propri assunti, la difesa della ricorrente, richiama l’art. 92 comma 3 del D.P.R. 554/1999, secondo cui al momento della nomina della commissione di gara deve essere determinato il compenso, sottolineandone la funzione corrispettiva dello stesso.
In secondo luogo, la ricorrente ha sostenuto di non essere onerata all’impugnazione dell’atto di nomina, poichè tale atto rinvia per il pagamento del compenso ad una determinazione dirigenziale.
Infine, la professoressa evidenziava che il regolamento comunale relativo alla determinazione dei compensi era stato già annullato in separato giudizio, con effetto anche nel giudizio in oggetto.
La sezione quinta del Consiglio di Stato accoglieva parzialmente il ricorso presentato, riformando la sentenza di primo grado.
In primo luogo, i Giudici di Palazzo Spada, accoglievano la tesi della ricorrente concernente l’efficacia esterna delle pronunce di regolamento relative ai regolamenti.
Sul punto, giova, innanzitutto, ricordare la natura giuridica dei regolamenti.
Come è noto, infatti, i regolamenti sono atti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente normativi.
Acclarata la natura ibrida dei regolamenti, la giurisprudenza amministrativa è compatta nel ritenere che, trattandosi di atti soggettivamente amministrativi, gli stessi sono soggetti al normale regime impugnatorio, ma con alcune precisazioni.
Infatti, per costante giurisprudenza, la sentenza costitutiva di annullamento di un regolamento amministrativo, in quanto atto generale ed astratto, ne procura l’eliminazione dall’ordinamento con effetti erga omnes ed ex tunc, derogando alla regola generale recata dall’art. 2909 c.c., secondo cui “la sentenza fa stato tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa”.
In particolare, il carattere generale ed indivisibile dell’atto normativo non consente il frazionamento del suo contenuto, trovando applicazione il principio dell’efficacia ultra partes della pronuncia caducatoria generalmente applicato agli atti a contenuto inscindibile.
Inoltre, l’estensione soggettiva del giudicato risponde ad istanze di certezza giuridica, garantendo che l’atto normativo, dichiarato illegittimo, non sia più applicato dalla PA essendo la sua natura, sostanzialmente unitaria, incompatibile con un’applicazione limitata ad alcuni destinatari.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, richiamando la giurisprudenza granitica sul punto, ritiene che anche nel caso quo le precedenti sentenze di annullamento abbiano efficacia esterna, con conseguente estensione automatica del giudicato relativo al regolamento.
In secondo luogo, il Consiglio di Stato prende posizione sulla misura della remunerazione stabilita discrezionalmente dalla pubblica amministrazione.
Sul punto, il Collegio, accogliendo le domande della ricorrente, ha statuito che una remunerazione inadeguata degli incarichi onorari è contraria al principio fondamentale di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., posto che in tal modo viene scoraggiata l’appetibilità di tali incarichi per le professionalità maggiormente qualificate, ritenendo, pertanto, l’indennità meramente compensativa offerta dalla pubblica amministrazione palesemente irrisoria e lesiva della dignità professionale del professionista.
Nell’argomentare sul punto, i Giudici di palazzo Spada, valorizzano l’art. 92 comma 3 del D.P:R. 554/1999, relativo agli appalti di lavori pubblici, statuendo che il termine “compenso” ivi contenuto presupponga un trattamento economico che, seppur rimesso alla discrezionalità della pubblica amministrazione, posto che non si tratta di un lavoro alle dipendenze della stessa, non può essere disgiunto da elementi di corrispettività rispetto alle prestazioni svolte.
Precisa, sul punto, la quinta sezione del Consiglio di Stato, che la norma contenuta nel d.p.r. sopra richiamato, è applicabile anche agli appalti di servizi, non essendoci ragioni per un trattamento deteriore delle commissioni giudicatrici di procedure di affidamento in tale settore dei contratti pubblici.
In definitiva, quindi, il Consiglio di Stato, aderendo all’attuale orientamento giurisprudenziale relativo agli incarichi esterni conferiti dalla p.a. e precisamente in materia di appalti di servizi ha concluso statuendo che: “E’ dunque rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione di determinare il trattamento economico, fermo restando che questo potere di apprezzamento nel caso di specie non può condurre a valori sensibilmente discosti dalle tariffe professionali corrispondenti alla natura, all’importanza e al pregio dell’attività svolta dal funzionario onorario”, posto che comporterebbe una palese violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 della Costituzione.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3151 del 2010, proposto da
Manuela Ricci, rappresentata e difesa dall’avvocato Giacomo Valla, con domicilio eletto presso lo studio Placidi s.r.l., in Roma, via Tortolini 30;
contro
Comune di Bari, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Rosa Cioffi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Roberto Ciociola, in Roma, viale delle Milizie 2;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) n. 245/2010, resa tra le parti, concernente la liquidazione compenso per incarico di componente di commissione di gara
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari;
Visti tutti gli atti e i documenti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 luglio 2018 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati De Luca, per delega di Valla, e Pappalepore, per delega di Cioffi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’architetto professoressa Manuela Ricci propone appello contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – sede di Bari in epigrafe, con cui è stato respinto il suo ricorso per l’annullamento degli atti adottati dal Comune di Bari per la determinazione del suo compenso quale componente della commissione giudicatrice della procedura di affidamento di uno studio di fattibilità per la costituzione di una società di trasformazione urbana per la riqualificazione delle aree del lungomare di Bari, negli ambiti territoriali di cui alla deliberazione del consiglio comune n. 280 del 29 ottobre 2001.
2. La professoressa Ricci ha in particolare impugnato il provvedimento di determinazione del compenso (nota prot. n. 142829 del 17 novembre 2003) e il presupposto regolamento avente ad oggetto «l’indennità di presenza per la partecipazione alla commissioni giudicatrici per appalti e concessioni di lavori, opere, servizi e forniture» (delibera del consiglio comunale di Bari n. 6 del 20 gennaio 1998), in applicazione del quale il Comune di Bari aveva liquidato in € 268,58 le competenze dovute per la partecipazione alla commissione di gara. La ricorrente ha anche proposto una domanda di accertamento del diritto al compenso secondo la tariffa professionale degli architetti, quantificato in € 8.653,23, oltre agli accessori di legge.
3. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso.
Il giudice di primo grado ha innanzitutto affermato che la posizione giuridica azionata in giudizio ha consistenza di interesse legittimo, come affermato da questa Sezione con sentenza n. 1087 del 26 marzo 2009, di annullamento della declinatoria di giurisdizione inizialmente resa dal Tribunale amministrativo di Bari sulla presente controversia (sentenza 26 febbraio 2004, n. 891). In ragione di ciò il giudice di primo grado ha escluso che la professoressa Ricci potesse «far riferimento alle tariffe professionali».
4. Di seguito, il Tribunale ha rilevato che le censure relative alla mancata determinazione del compenso nell’atto di nomina della commissione non potevano essere esaminate (determinazione n. 81 del 12 giugno 2003), perché la ricorrente non aveva impugnato tale provvedimento.
5. Quindi, il giudice di primo grado ha statuito che la qualità di componente di un organo straordinario della pubblica amministrazione, quale la commissione di gara, e la conseguente qualità di funzionario onorario così assunta, comporta che la persona investita delle relative funzioni non può vantare alcun rapporto contrattuale l’amministrazione medesima, e che la stessa è esposta alle determinazioni di carattere discrezionale di quest’ultima quanto alla disciplina del trattamento economico.
6. Infine il Tribunale ha dato atto che la professoressa Ricci non aveva impugnato nemmeno l’atto con cui il Comune di Bari aveva impegnato la spesa di € 5.000,00 per la liquidazione dei compensi per i commissari, in applicazione del citato regolamento concernente l’indennità di presenza per la partecipazione alla commissioni giudicatrici per appalti e concessioni di lavori, opere, servizi e forniture, di cui alla delibera consiliare n. 6 del 20 gennaio 1998.
7. Nel proprio appello la professoressa Ricci contesta tali statuizioni e ripropone le domande già azionate in primo grado. La ricorrente censura anche la condanna alle spese di giudizio inflittale dal Tribunale amministrativo, nella misura di € 4.000,00.
8. Per resistere all’appello si è costituito il Comune di Bari.
DIRITTO
1. La professoressa Ricci ribadisce nel proprio appello di avere diritto ad un «compenso» non simbolico e lesivo del decoro professionale, come l’«indennità» liquidatale dal Comune di Bari con gli atti impugnati. La ricorrente sostiene che tale compenso deve essere conforme alla tariffa professionale di architetto ed adeguato all’attività svolta in qualità di membro della commissione di gara per una procedura di selezione di un progetto del valore di oltre 400 mila euro, la quale ha richiesto sette riunioni ed un impegno complessivo di 40 ore.
2. A fondamento dei propri assunti l’appellante pone l’art. 92, comma 3, dell’allora vigente decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554 (Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni), secondo cui al momento della nomina della commissione di gara deve essere determinato «il compenso». Secondo la professoressa Ricci l’impiego di questo termine allude ad una «funzione corrispettiva della prestazione in denaro dovuta dall’Amministrazione», pur nell’ambito di una facoltà di determinazione di carattere discrezionale. La professoressa Ricci precisa inoltre che la norma regolamentare in questione, pur riferita agli appalti di lavori pubblici, è espressiva di una regola di carattere generale applicabile anche alle procedure di affidamento di appalti di servizi soggetti all’allora vigente decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 (Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi), quale quella per la quale era stata nominata membro della commissione giudicatrice.
3. Con un distinto ordine di censure la professoressa Ricci contesta di essere onerata di impugnare il proprio atto di nomina, dal momento che nella misura in cui per il pagamento del compenso rinvia ad «apposita determinazione dirigenziale», tale provvedimento non può essere ritenuto lesivo dei propri interessi. Del pari l’appellante ritiene che non abbia inciso sulla propria sfera giuridica l’atto con cui il Comune di Bari impegnato la spesa complessiva per il pagamento dei membri della commissione di gara.
4. Da ultimo, la professoressa Ricci ha evidenziato (e ribadito nei propri scritti conclusionali) che il regolamento comunale di cui alla delibera consiliare n. 6 del 20 gennaio 1998 è stato annullato in separati contenziosi (sentenze del Tribunale amministrativo di Bari in data 3 novembre 2009, nn. 2590 e 2591, passate in giudicato), con effetto anche nel presente giudizio.
5. Le censure così sintetizzate sono fondate nei termini che seguono.
6. In primo luogo è corretta la tesi dell’efficacia “esterna” delle citate pronunce di annullamento del regolamento concernente «l’indennità di presenza per la partecipazione alla commissioni giudicatrici per appalti e concessioni di lavori, opere, servizi e forniture» adottato dal Comune di Bari con la più volte richiamata delibera consiliare n. 6 del 20 gennaio 1998.
L’estensione anche in questo giudizio degli effetti di tali pronunce del Tribunale amministrativo di Bari deriva dall’applicazione dei consolidati principi in materia di annullamento degli atti regolamentari elaborati dalla giurisprudenza amministrativa (di recente riaffermata da Cons. Stato, VI, 16 marzo 2018, n. 1686), secondo cui la portata della pronuncia demolitoria di questa categoria di atti amministrativi, a carattere generale e contenenti disposizioni inscindibili sul piano sostanziale, ha efficacia erga omnes, perché altrimenti dovrebbe ammettersi un’ultrattività degli stessi al giudicato di annullamento.
7. In contrario a quanto ora precisato il Comune di Bari sostiene (in memoria conclusionale) che la professoressa Ricci «non ha mai chiesto al Comune di procedere anche in suo favore secondo i principi ivi enunciati, avendo piuttosto manifestato con il presente ricorso in appello di avere interesse ad un compenso parametrato secondo le tariffe professionali».
8. Sennonché sin dal ricorso di primo grado l’odierna appellante ha domandato l’annullamento del regolamento comunale (indicato nell’epigrafe e specificamente censurato nella narrativa dell’atto introduttivo del giudizio), per poi coltivare tale impugnazione anche nel presente grado d’appello. Pertanto, accertato così il rispetto del principio della domanda, l’estensione nel presente giudizio del giudicato di annullamento di tale regolamento, emesso all’esito dei separati contenziosi (proposti dagli altri membri della stessa commissione), consegue quale effetto automatico. Per esso non è quindi richiesta un’apposita domanda in via amministrativa, tanto più nella pendenza di una domanda giurisdizionale quale quella poc’anzi descritta, mentre in quest’ultima sede è sufficiente l’allegazione del giudicato esterno.
8. Del pari fondate sono le censure rivolte nel presente appello alle statuizioni con cui il Tribunale amministrativo ritenuto ostativa all’accoglimento delle domande dell’odierna appellante la mancata impugnazione degli atti di nomina della commissione giudicatrice e di impegno di spesa per il pagamento delle competenze dei relativi componenti.
9. Come infatti deduce la professoressa Ricci entrambi questi atti non sono lesivi dei propri interessi.
In particolare, il primo rinvia ad una successiva determinazione, poi adottata, in applicazione del più volte citato regolamento, con la nota di prot. n. 142829 del 17 novembre 2003, ritualmente impugnata unitamente all’atto regolamentare presupposto. Il secondo costituisce atto contabile interno del procedimento di spesa dell’ente pubblico, destinato a vincolare gli stanziamenti di bilancio per obbligazioni giuridicamente vincolanti assunte da quest’ultimo nei confronti di terzi, rispetto al quale questi soggetti sono indifferenti.
10. Nel merito sono fondati gli assunti della professoressa Ricci volti a sostenere che l’impiego del termine «compenso» nell’art. 92, comma 3, d.P.R. n. 554 del 1999 presuppone un trattamento economico del membro della commissione giudicatrice che seppur rimesso in concreto alle determinazioni discrezionali dell’amministrazione, in conformità alla qualità di funzionario onorario assunto con la nomina in tale organo straordinario dell’amministrazione medesima, non può andare completamente disgiunto da elementi di corrispettività rispetto alle prestazioni svolte.
11. Più precisamente, in linea con quanto affermato dal Tribunale amministrativo di Bari nei separati contenziosi definiti con le sopra citate sentenze del 3 novembre 2009, nn. 2590 e 2591, la nozione di compenso rende impraticabile la soluzione adottata dal Comune di Bari con il regolamento annullato e con l’atto applicativo adottato nei confronti dell’odierna appellante, secondo cui l’opera prestata quale membro della commissione giudicatrice darebbe alla professoressa Ricci diritto ad un’indennità meramente compensativa dell’impegno richiesto per lo svolgimento dell’incarico onorario, svincolata dalla qualità e dall’importanza delle prestazioni svolte nell’ambito dello stesso. Tanto più ciò deve essere affermato nel caso di specie, in cui la liquidazione cui il Comune di Bari è pervenuto è palesemente irrisoria e lesiva della dignità professionale dell’odierna appellante.
12. Ad ulteriore sostegno di quanto finora affermato va poi sottolineato – in linea con quanto deduce la professoressa Ricci - che una remunerazione inadeguata degli incarichi onorari è contraria al principio fondamentale di buon andamento della pubblica amministrazione, sancito dall’art. 97 della Costituzione, nella misura in cui scoraggia l’appetibilità di tali incarichi per le professionalità private maggiormente qualificate e meglio in grado di assolvere alle funzioni pubblicistiche ad essi sottese.
13. Deve poi essere condiviso l’ulteriore rilievo secondo cui la norma contenuta nell’art. 92, comma 3, d.P.R. n. 554 del 1999 per i lavori pubblici è applicabile anche agli appalti di servizi: innanzitutto per un ragione logica, ricavabile dall’assenza di ragioni per un trattamento deteriore delle commissioni giudicatrici di procedure di affidamento in tale settore dei contratti pubblici; in secondo luogo per una ragione di carattere testuale, desumibile dal richiamo al regolamento di cui al poc’anzi richiamato decreto presidenziale da parte dell’art. 26, comma 14, d.lgs. n. 157 del 1995 per i concorsi di progettazione.
14. Per altro verso rispetto, deve evidenziarsi che l’impiego del termine «compenso» pur connotando in senso commutativo la disciplina del trattamento economico del componente della commissione di gara, e così suffragando le aspettative di quest’ultimo a ricevere una remunerazione adeguata, non caratterizza il rapporto con l’amministrazione per una corrispettività piena, nel senso valevole per le prestazioni d’opera professionale di cui agli artt. 2222 e ss. del codice civile (in cui è infatti impiegato il termine «corrispettivo»). A ciò osta anche l’immedesimazione organica nell’amministrazione derivante dall’assunzione della qualità di funzionario onorario con la nomina a membro di una commissione di gara per l’affidamento di un contratto pubblico. Il prestigio così acquisito può infatti essere considerato elemento un che arricchisce la posizione personale e la sua considerazione nell’ambiente professionale e nella società in generale, in ragione del quale è giustificato un trattamento economico non pienamente allineato con i rapporti inter-privati di prestazione d’opera ai sensi dell’art. 2222 cod. civ. poc’anzi richiamato.
15. E’ dunque rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione di determinare il trattamento economico, fermo restando che questa potere di apprezzamento nel caso di specie non può condurre a valori sensibilmente discosti dalle tariffe professionali corrispondenti alla natura, all’importanza e al pregio dell’attività svolta dal funzionario onorario; né tanto meno a negare il rimborso delle spese vive sostenute per l’espletamento dell’incarico.
16. I rilievi ora svolti ostano all’accoglimento della domanda di accertamento del diritto al compenso nella misura derivante dall’applicazione delle attività svolte dall’odierna appellante alla tariffa professionale degli architetti.
17. In conclusione, l’appello deve essere accolto nei termini sopra esposti.
Per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, deve essere accolto il ricorso della professoressa Ricci ed annullati gli atti con esso impugnati.
18. Le spese del doppio grado di giudizio (restano così assorbite le censure svolte nell’appello contro la liquidazione degli onorari fatta dal giudice di primo grado) sono regolate secondo soccombenza e liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado accoglie il ricorso della professoressa Manuela Ricci ed annulla gli atti con esso impugnati.
Condanna il Comune di Bari a rifondere a quest’ultima le spese del doppio grado di giudizio, liquidate complessivamente in € 5.000,00, oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio, Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere