Sommario: 1. Premessa. 2. Il fondamento della responsabilità della pubblica amministrazione. 3. Le due forme di responsabilità precontrattuale: pura e spuria. 4. Le nuove frontiere della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione. 5. Conclusioni.

 

 

  1. Premessa.

 

Questo studio intende in via preliminare mettere in luce il contesto attuale riguardante il diritto amministrativo, ed in particolare i rapporti tra le pubbliche amministrazioni e gli amministrati, perché ogni trattazione di un qualsiasi argomento dello stesso non può, a parere di chi scrive, prescindere dall’analisi della realtà.

La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione riflette le sorti dell’omologo istituto di diritto comune[1]. È evidente come la forza della perfezione concettuale tipica del diritto privato << si impone anche negli altri settori perché fornisce un linguaggio formalizzato idoneo a organizzare razionalmente la conoscenza giuridica dei fenomeni. In altri termini, gli strumenti concettuali del diritto privato hanno costituito la base per elaborare anche quelli del diritto pubblico e amministrativo, nonostante la progressiva e sempre più intensa elaborazione di istituti speciali nellambito delle esperienze di diritto amministrativo >>[2]. Ciò nonostante, anche quando l’amministrazione esercita le proprie competenze per mezzo degli strumenti tipici del diritto privato non può dirsi che stia esercitando autonomia privata in senso proprio[3], dal momento che l’attività amministrativa è sempre funzionalizzata[4] e ciò basta per distinguere nettamente l’autonomia privata dei privati dall’autonomia privata dell’amministrazione.

Le autonomie proprie dell’amministrazione, secondo una impostazione che, seppur classica, è ancora attuale, indicano gli spazi di valutazione soggettiva necessari per poter apprezzare le situazioni nel caso concreto, laddove non tutte sono prevedibili in astratto e in generale dalla legge, << al fine di massimizzare linteresse pubblico >>[5]. Nell’esercizio del potere pubblico inteso nell’accezione tradizionale ovvero il potere unilaterale, autoritativo e tipico, questo ambito di autonomia dell’amministrazione prende il nome di discrezionalità e << lattività giuridica posta in essere nel suo esercizio ha i connotati della funzione >>[6].

L’elemento della “funzionalizzazione” è fondamentale in materia di diritto amministrativo.

Tanto premesso, è stato di recente autorevolmente affermato[7] che oggi il vero diritto privato sarebbe il diritto amministrativo inteso come diritto dell’intera società, e non più, quindi, come il diritto della pubblica amministrazione. Quanto affermato poggia sulla considerazione che le discipline ruotanti attorno al Diritto Amministrativo appaiono sempre più estese a ogni aspetto della vita dei singoli e della collettività; molta parte della disciplina amministrativa delle attività private viene elaborata a seguito di procedimenti partecipati << nei quali si realizza un confronto cooperativo tra i titolari di interessi privati e i portatori di quelli pubblici >>[8]; il diritto amministrativo tende sempre più a originarsi dal basso così come, storicamente nella tradizione romanistica, è stato elaborato il diritto privato a seguito dell’opera di sistemazione e razionalizzazione svolta dai giureconsulti delle esigenze e degli interessi manifestati dalla società e non tanto come un’imposizione dall’alto e dall’esterno[9].

Tali preliminari considerazioni sono in grado di fotografare i tempi odierni. Si pensi, ad esempio, alla tutela amministrativa dei consumatori affidata in linea generale all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e, a date condizioni ed entro certi limiti, alle Autorità di regolazione di settore. In applicazione delle discipline in materia di pratiche commerciali scorrette e di clausole vessatorie, si è istituita una specifica funzione amministrativa tutoria di determinate categorie di soggetti privati ritenute deboli nella loro attività negoziale con altri soggetti privati ritenuti in posizione di forza sul mercato[10].

Specularmente a questo fenomeno, deve evidenziarsi la tendenza sempre più marcata all’uso da parte della pubblica amministrazione di modelli consensuali anche nel momento in cui esercita un potere pubblico nella sua accezione tradizionale di attività unilaterale, autoritativa e tipica[11].

L’attività consensuale[12] della pubblica amministrazione gode di una perdurante attualità all’interno del dibattito sulla distinzione tra pubblico e privato nel diritto amministrativo[13].

Da sempre la pubblica amministrazione si avvale degli strumenti tipici del diritto privato come i contratti, le obbligazioni, i diritti reali, le società, seppure seguendo discipline speciali che escludono che l’amministrazione possa essere considerata titolare di autonomia privata nella medesima accezione propria dell’autonomia che riguarda i privati. Ma il diverso fenomeno cui si allude indica la tendenza a conferire peculiare rilevanza al consenso dei soggetti privati con i quali l’amministrazione entra in contatto nell’esercizio delle proprie competenze, andando ben oltre la tradizionale prospettiva della teoria non negoziale del provvedimento amministrativo[14].

Ne deriva la consapevolezza che il diritto privato ha mutuato alcuni strumenti di natura tipicamente amministrativa e conosce la presenza sempre più pervasiva della regolazione amministrativa, sia in funzione di supporto e tutela delle autonomie private, si pensi ai soggetti ritenuti deboli oppure, all’opposto, in funzione di limite all’autonomia privata quando questa trasmodi in esercizio di potere privato abusivo.

D’altro canto, il diritto amministrativo si serve sempre più degli strumenti privatistici e, in particolar modo, dà sempre maggior rilievo al consenso dei privati interessati dall’azione amministrativa autoritativa.

Nel quadro attuale, e pur sempre mutevole, l’amministrazione, oltre ad agire secondo il tradizionale schema pubblicistico autoritativo, << adotta sempre più modelli nei quali il consenso dei privati ha un ruolo importante; inoltre, applica, da sempre, gli strumenti propri del diritto privato >>[15], pur residuando un’irriducibile differenza di fondo tra la nozione di autonomia privata dei privati e quella di autonomia privata dell’amministrazione.

A fronte di tale rilevante tendenza, non appare contestata la possibilità, come anche l’utilità se si vuole, per le amministrazioni pubbliche di avvalersi di tecniche e mezzi di azione propri dell’ordinamento dei privati[16].

Maggiormente discussa continua invece ad essere la questione degli effettivi limiti – anche costituzionali – rispetto all’ingresso e all’utilizzo di simili strumenti nell’ordinamento amministrativo; << e, soprattutto, la questione del grado e del livello di necessario adattamento (o di snaturamento) delle tecniche privatistiche allorché le stesse siano messe al servizio dei pubblici poteri >>[17].

Il fenomeno descritto investe anche la responsabilità della pubblica amministrazione, dal momento che il binomio “responsabilità aquiliana – responsabilità contrattuale” è un modello generale che si specializza già nel diritto privato (si pensi alla tutela rafforzata del consumatore).

Ancora, l’estensione delle regole generali sulla responsabilità civilistica al danno cagionato dalla pubblica amministrazione deve necessariamente tenere in dovuta considerazione qual è il modo di manifestarsi dell’azione pubblica, ossia il procedimento amministrativo, che in tempi odierni, come si è già evidenziato, è significativamente partecipato dal privato, al punto che la responsabilità della pubblica amministrazione pare, come si vedrà nelle pagine successive, sempre più riconducibile al modello della responsabilità da “contatto sociale”.

 

  1. Il fondamento della responsabilità della pubblica amministrazione.

 

In un primo momento si escludeva la possibilità che una condotta pubblica fosse sottoposta ai principi della culpa in contrahendo, facendo leva, in particolare, sulla presunzione di correttezza del comportamento tenuto dai soggetti pubblici, sull’inammissibilità di un sindacato del Giudice Ordinario sulle scelte discrezionali della pubblica amministrazione, sulla non ipotizzabilità di un affidamento meritevole di tutela del privato in ordine alla stipula del contratto, tenuto conto della disciplina di matrice pubblicistica cui è sottoposta l’intera attività contrattuale dei soggetti pubblici.

La tipologia di interesse che si persegue, la modalità discrezionale e la presunzione di correttezza che caratterizza l’agere pubblico, infatti, rappresentavano un valido ostacolo alla configurabilità in capo al soggetto pubblico di una responsabilità precontrattuale.

Fondamentalmente, la ragione di tale esclusione si fondava sul postulato che durante la fase di formazione del contratto la posizione del privato viene a configurarsi esclusivamente quale interesse legittimo nei confronti dei pubblici poteri, mentre la pubblica amministrazione, nel suo agire iure privatorum, esercita comunque un potere discrezionale e, per tale ragione, era ritenuta capace di un comportamento insindacabile, cioè di determinarsi liberamente, senza vincoli, fino all’approvazione del contratto. Con tale argomentazione si escludeva la possibilità di una responsabilità della pubblica amministrazione, godendo questa di una posizione di “libertà”, di autodeterminazione, per mezzo dell’esercizio della discrezionalità amministrativa, finalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico.

Tuttavia in Costituzione della vecchia amministrazione autoritaria non vi è traccia e, come affermato in dottrina, nessuna base costituzionale hanno i vecchi istituti che di quella concezione possono considerarvi derivazione[18].

In Costituzione sono piuttosto presenti principi opposti, riguardo all’amministrazione come << funzione servente gli interessi della collettività >>[19] cui provvede con imparzialità, secondo la legge e ne deve assicurare il buon andamento. Solo in qualche caso, sulla base di specifiche disposizioni di legge è previsto l’esercizio di poteri autoritari.

Si può affermare che nel sistema costituzionale, corroborato sul punto dal diritto europeo, emerge piuttosto una concezione dell’amministrazione paritaria; cioè << una amministrazione nella quale lesercizio dei poteri autoritativi […] è leccezione e non la regola, limitata ai casi espressamente previsti, a loro volta limitati alla stretta necessità >>[20]. Questo vuol dire che laddove il risultato pratico dell’azione amministrativa possa essere raggiunto senza l’esercizio della autorità, lo strumento paritario debba in principio essere preferito; in principio, anche a fronte dell’esigenza del buon andamento, che necessita piuttosto della partecipazione e del consenso che dell’autorità (c.d. demarchia[21]). Questa impostazione, peraltro, risulta, come è stato affermato, notevolmente accentuata in virtù dell’ingresso nel testo costituzionale del principio di sussidiarietà (art. 118), << segnatamente laddove impone di fare spazio ai cittadini nellesercizio diretto di attività di interesse generale >>[22].

La responsabilità della pubblica amministrazione, nel nostro ordinamento, rinviene il suo fondamento costituzionale nell’articolo 28, in base al quale i funzionari e i dipendenti dello Stato sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative degli atti compiuti in violazione dei diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.

Nella costruzione dei Costituenti, il riconoscimento della responsabilità degli apparati pubblici, alla luce del dato testuale e della collocazione sistematica del disposto normativo, era un istituto predisposto per rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, in specie le libertà civili. Tale prospettiva ha, pertanto, in un primo momento, comportato una differenziazione netta tra le posizioni giuridiche lese dall’agire della pubblica amministrazione, riconducibile per molto tempo all’interpretazione dominante: riconoscimento fin da subito della risarcibilità dei danni cagionati da lesioni di diritti soggettivi, non altrettanto per quanto riguardava gli interessi legittimi.

Questa impostazione, inoltre, come per ogni istituto della scienza del diritto amministrativo, ruotava attorno alla funzionalizzazione dell’attività amministrativa, tesa necessariamente al perseguimento dell’interesse pubblico, pur esplicandosi, come nel caso in questione, mediante il ricorso a moduli privatistici. La tensione pubblicistica dell’attività privata della pubblica amministrazione ha indotto la giurisprudenza più tradizionale ad escludere l’estensibilità agli enti pubblici della culpa in contrahendo.

A sostegno della tesi più restrittiva l’assunto che, anche dopo l’individuazione del contraente, la pubblica amministrazione rimane titolare di un vero e proprio potere discrezionale in ordine alla valutazione circa la convenienza e la rispondenza all’interesse pubblico del contratto che si accinge a stipulare: il privato, quindi, non avrebbe vantato alcun diritto soggettivo risarcibile nei confronti dell’amministrazione, ma soltanto un interesse legittimo al corretto esercizio del suo potere discrezionale. Tale posizione di chiusura è stata superata dalla giurisprudenza a partire dagli anni Sessanta. Si è osservato, infatti, che l’osservanza dei canoni di correttezza e buona fede nelle trattative è cosa ben diversa rispetto alla legittimità e alla convenienza dell’azione amministrativa: l’accertamento della buona fede della pubblica amministrazione, pertanto, rientra nei poteri del giudice, la cui indagine verte unicamente sull’adempimento del dovere civilistico di agire da corretto contraente.

Se, quindi, l’impostazione tradizionale faceva leva sulla presunta correttezza del comportamento tenuto dai soggetti pubblici, sull’inammissibilità di un sindacato del G.O. sulle scelte discrezionali della P.A., sulla non ipotizzabilità di un affidamento meritevole di tutela del privato in ordine alla stipula del contratto, la giurisprudenza, nei primi anni Sessanta, iniziò a superare queste presunzioni concettuali, recependo quell’insegnamento della miglior dottrina secondo cui, ai fini della responsabilità precontrattuale, ciò che si chiede al giudice non è di valutare la correttezza della condotta dell’amministratore, bensì quella del contraente[23].

Aprendo, quindi, alla possibilità che un soggetto pubblico, sia pure nel perseguimento dell’interesse pubblico, possa agire come un soggetto privato, si ammetteva la riconducibilità all’istituto della responsabilità centrale nell’estrinsecarsi dei rapporti giuridici privatistici[24].

La giurisprudenza amministrativa ha così esteso, come sostenuto in dottrina, il paradigma della responsabilità precontrattuale di origine civilistica a tutte quelle fattispecie che vedono la pubblica amministrazione in veste di contraente. Più nello specifico, si perviene alla convinzione secondo cui se da un lato la responsabilità precontrattuale è certamente da escludere nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione agisce come soggetto in posizione autoritaria, dall’altro non può non ammettersi la riconducibilità alle fattispecie di cui agli articoli 1337 e 1338 c.c. di tutte quelle condotte afferenti alle cosiddette trattative private.

In una fase successiva, si è registrato in giurisprudenza[25] un ulteriore mutamento interpretativo: avallando le critiche avanzate in dottrina, si è affermato come anche nel caso in cui la pubblica amministrazione adotti una procedura ad evidenza pubblica è possibile scorgere uno spazio applicativo della responsabilità precontrattuale, a patto però che tra le parti si sia configurato un rapporto personalizzato.

La giurisprudenza, nell’ottica di una lettura sempre più garantista del diritto amministrativo, apre ad una responsabilità precontrattuale anche nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione agisce come soggetto pubblico, e dunque in una posizione di potere, ma limita tale possibilità alla fase finale della procedura di scelta del contraente privato, e cioè a quella fase che vede il soggetto privato, sul piano dinamico, lasciare la posizione di mero partecipante alla gara per assumere quella di parte contrattuale. È solo dal momento dell’aggiudicazione, quindi, che la pubblica amministrazione è tenuta all’osservanza di quei canoni comportamentali che sorreggono la responsabilità di cui all’articolo 1337 del Codice Civile.

Come evidenziato in dottrina, detta tesi trovava autorevole fondamento giurisprudenziale in quelle decisioni che ritenevano che prima della scelta del contraente, nella fase in cui gli interessati non hanno ancora la qualità di futuri contraenti, ma soltanto quella di partecipanti alla gara e vantano esclusivamente una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione, non potesse configurarsi una responsabilità precontrattuale. Prima dell’aggiudicazione, cioè, gli interessati sarebbero soltanto dei partecipanti al procedimento amministrativo, in quanto tali legittimati soltanto a pretendere la legittimità degli atti compiuti[26]

Anche tale orientamento, tuttavia, è stato oggetto di severe critiche: il Consiglio di Stato[27], infatti, ha affermato che sebbene il procedimento ad evidenza pubblica sia dotato di una doppia natura, i due momenti fattuali, quello pubblicistico e quello privatistico, devono essere letti in un rapporto di successione logica, in cui ogni elemento non gode di vita propria ma rappresenta la logica conseguenza del suo predecessore, in quanto tali tutti insieme tendenti alla stipulazione del contratto.

Sulla base di ciò risulta evidente che ogni singolo provvedimento è dotato della forza necessaria a generare un legittimo affidamento nel terzo contraente, tale per cui nello svolgimento di quella attività volta alla ricerca e alla scelta del contraente l’amministrazione è tenuta non solo a rispettare le regole dettate dall’interesse pubblico, ma anche i canoni di correttezza di cui all’articolo 1337 del Codice Civile[28].

Come affermato in dottrina, non rileva che la scorrettezza comportamentale si sia verificata prima o dopo l’aggiudicazione definitiva, poiché la matrice costituzionale del generale dovere di buona fede è tale da imporre la lettura unitaria della procedura pubblica di scelta del contraente[29].

Ancora, al fine di ammettere la configurabilità della responsabilità precontrattuale anche nella fase che precede l’aggiudicazione, la giurisprudenza ha attribuito agli atti della procedura di evidenza pubblica una valenza anche privatistica. Il privato, dunque, è contemporaneamente titolare sia dell’interesse legittimo al regolare svolgimento della procedura pubblica, sia del diritto soggettivo al corretto svolgimento delle trattative prenegoziali. Egli è pertanto abilitato ad esercitare due differenti azioni: quella impugnatoria, avente ad oggetto la legittimità degli atti di gara, ovvero quella risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale.

 

  1. Le due forme di responsabilità precontrattuale: pura e spuria.

 

I casi di responsabilità della pubblica amministrazione per atti illegittimi commessi nella fase che precede il perfezionamento del vincolo contrattuale si sono notevolmente ampliati a seguito, da un lato, del riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi con la imprescindibile sentenza n. 500/1999 e, dall’altro, per il crescente interesse del diritto comunitario per la materia dei contratti pubblici, per i quali oggi è dettata una dettagliata disciplina, la cui violazione, al pari di quella di norme interne, può condurre a fenomeni risarcitori da parte della pubblica amministrazione in veste di stazione appaltante.

Tanto si verifica sia nel caso di danni cagionati da comportamenti scorretti nel corso della procedura, violativi degli obblighi privatistici di lealtà, correttezza e diligenza, come riconducibili agli articoli 1337 e 1338 c.c. (c.d. responsabilità precontrattuale pura[30]: si pensi alla violazione dell’obbligo di informazione ovvero alla gara bandita senza avere i fondi e, quindi, in un momento successivo revocata) che in quello di danni connessi a provvedimenti illegittimi che, essendo intervenuti nel corso della procedura, sono lesivi di interessi legittimi (si pensi al caso del provvedimento di esclusione dalla gara o dell’aggiudicazione illegittima in favore di una impresa concorrente: siamo nel perimetro della c.d. responsabilità precontrattuale spuria). Ovvio che la natura di detta ultima forma di responsabilità della P.A. per lesione degli interessi legittimi dei concorrenti rimane profondamente diversa, come evidenziato da autorevole studioso, rispetto a quella precontrattuale in senso stretto. Più nello specifico: il privato che deduce la responsabilità da provvedimento illegittimo precontrattuale della P.A. non intende far valere la violazione del principio di buona fede oggettiva di cui all’articolo 1337 del Codice Civile, bensì il pregiudizio che un provvedimento amministrativo illegittimo arreca all’interesse legittimo pretensivo al conseguimento del bene della vita, rappresentato dall’aggiudicazione, o meglio, dalla stipulazione del contratto e del relativo utile. In tal caso, non sarebbe configurabile una responsabilità precontrattuale in senso ontologico, quanto piuttosto in senso cronologico e ciò in quanto la responsabilità della pubblica amministrazione precede la stipula del contratto.

La responsabilità precontrattuale “spuria”, infatti, designa l’obbligazione risarcitoria avente ad oggetto i danni cagionati dall’adozione di provvedimenti illegittimi nel corso della serie procedimentale di evidenza pubblica: essa, dunque, involge l’esercizio non corretto del potere pubblicistico di stampo autoritativo, con la conseguente lesione di interessi legittimi. Si tratta, pertanto, di una forma di responsabilità solo cronologicamente connessa alle trattative precontrattuali, ma ontologicamente assai diversa da quella derivante dalla violazione del canone di buona fede prenegoziale.

La responsabilità precontrattuale “pura”, invece, si configura in caso di violazione dei canoni comportamentali privatistici posti dagli articoli 1337 e 1338 c.c. In tali ipotesi, pertanto, il soggetto pubblico non adotta provvedimenti illegittimi ma tiene comportamenti illeciti. Oggetto di denuncia non sono cioè i singoli provvedimenti atomisticamente considerati, ma la condotta complessiva. Si pensi al caso della revoca legittima ma tardiva di una gara per mancanza ab origine di fondi: il provvedimento, in sé considerato, è legittimo, tuttavia si inserisce in una condotta complessiva violativa dei canoni di correttezza e buona fede.

Le due forme di responsabilità precontrattuale si differenziano, quindi, per natura e presupposti; diverso è, peraltro, il danno risarcibile nelle due fattispecie.

Il contraente che lamenta la lesione del suo interesse legittimo al corretto svolgimento della gara, infatti, fa valere l’interesse positivo corrispondente al guadagno che gli sarebbe derivato dalla conclusione del contratto, mentre, l’aggiudicatario che abbia confidato senza sua colpa nella validità della procedura o nell’esistenza dei fondi per la stipula del contratto, può far valere solo l’interesse negativo pari alle spese sostenute per la sua partecipazione alla gara e nella perdita di altre occasioni contrattuali sfuggite a causa dell’inutile coinvolgimento nella procedura illegittima.

La diversa natura delle due forme di responsabilità precontrattuale ha implicazioni anche in tema di giurisdizione. In caso di responsabilità spuria, per la quale la giurisdizione non potrà che radicarsi in capo al Giudice Amministrativo ai sensi dell’articolo 7 c.p.a., viene in rilievo un’ipotesi di cattivo uso del potere pubblico, naturaliter devoluta alla giurisdizione amministrativa di legittimità.

Qualche dubbio in più è emerso a riguardo della responsabilità precontrattuale pura.

Le incertezze pretorie al centro del dibattito tradizionale, in linea di massima orientato verso la giurisdizione del Giudice Amministrativo, sono state definitivamente superate dall’articolo 133, co. 1 lett. e), c.p.a., a mente del quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo le controversie “relative a procedure di affidamento di pubblici lavori […] ivi incluse quelle risarcitorie”.

Se ne deduce che le controversie in materia di responsabilità precontrattuale, appartenendo al genus di quelle “risarcitorie”, sono soggette alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.

Va soggiunto che, lungi dal costituire un approdo ormai pacifico della giurisprudenza, detta ricostruzione è stata messa in dubbio da tre recenti ordinanze “gemelle” delle Sezioni Unite che hanno affermato che la domanda di risarcimento del danno subito a seguito del ritiro in autotutela di un precedente provvedimento illegittimo ampliativo, con conseguente frustrazione dell’affidamento ingenerato nel destinatario del provvedimento, è di pertinenza della giurisdizione ordinaria.

 

  1. Le nuove frontiere della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione.

 

Il Supremo Consesso amministrativo ha affermato che in materia di contratti pubblici si è in presenza di una formazione necessariamente progressiva del contratto, che si sviluppa secondo lo schema dell’offerta al pubblico, dove si registra un primo contatto con una pluralità di possibili contraenti. Non è perciò possibile scindere il momento di sviluppo del procedimento negoziale, limitando l’applicazione delle regole di responsabilità precontrattuale alla fase in cui il contatto sociale viene qualificato con l’aggiudicazione del contratto. Pertanto anche la condotta anteriore a tale momento temporale deve sottostare alle disposizioni di cui all’articolo 1337 del Codice Civile.

Se durante la fase formativa del contratto la pubblica amministrazione viola quel dovere di lealtà e correttezza ponendo in essere comportamenti che non garantiscono l’affidamento della controparte in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa risponde per responsabilità precontrattuale[31].

La giurisprudenza prevalente, tuttavia, continua a delimitare la fase in cui può sorgere un ragionevole affidamento in capo al privato, tale da integrare un interesse meritevole di tutela, a quella successiva all’aggiudicazione. Si continua, infatti, a ritenere che la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, essendo connessa alla violazione delle regole di condotta tipiche della formazione del contratto, non può che riguardare fatti svoltisi in tale fase, non potendo, per contro, configurarsi anteriormente alla scelta del contraente, allorché gli aspiranti a tale posizione sono solo partecipanti ad una gara e, come tali, titolari di un mero interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione. È stato peraltro osservato[32] che l’estensione alle procedure di affidamento di contratti pubblici dei principi e delle regole in materia di responsabilità precontrattuale comporta che l’amministrazione aggiudicatrice intanto può ritenersi soggetta alle conseguenze derivanti dall’articolo 1337 c.c. in quanto la gara sia giunta ad uno stadio tale da avere ingenerato nel concorrente la ragionevole aspettativa di conseguire l’aggiudicazione e dunque la stipulazione del contratto. In altri termini, occorre che quest’ultimo veda leso un affidamento consolidato in ordine alla favorevole conclusione della procedura di gara, solo con l’aggiudicazione definitiva può, però, dirsi sorto un affidamento meritevole di tutela e risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale poiché la sua offerta, individuata come la migliore dalla commissione di gara, è stata ritenuta tale anche dalla stazione appaltante.

Va dato atto, a questo punto, degli ultimi arresti della giurisprudenza in tema di natura giuridica della responsabilità precontrattuale. Quanto sin qui argomentato si è basato sull’assunto di fondo, affermato quasi costantemente dalla giurisprudenza prevalente, civilistica e non, che ascrive alla responsabilità precontrattuale natura aquiliana. Tale conclusione è indotta, come affermato in dottrina, dall’assenza di un pregresso rapporto obbligatorio tra le parti, unico elemento che, se inadempiuto, può determinare il sorgere di una responsabilità contrattuale (rievocando gli elementi di diritto romano: obligatio ex contractu, dove il termine “contratto” esprime un’obbligazione fondata su di un accordo). Ne deriva, quindi, la qualificazione della responsabilità come aquiliana, con le relative conseguenze in materia di prescrizione e di riparto dell’onere della prova.

Tuttavia, nella giurisprudenza più recente della Cassazione, è emerso un trend diverso, un indirizzo che, se confermato, potrebbe rivoluzionare l’intera materia della responsabilità precontrattuale anche sul versante della scienza del diritto amministrativo.

La Cassazione, in alcuni arresti, ha qualificato la responsabilità in esame come contrattuale da “contatto sociale”, la quale scaturisce dalla violazione di uno specifico e preesistente rapporto obbligatorio rappresentato dall’esistenza di trattative in stato avanzato.

Stando alla rivoluzionaria ricostruzione, sempre più centrale nel dibattito odierno riguardante la branca del diritto privato, quindi trapiantandola nel settore del diritto amministrativo, lo specifico rapporto, fonte della responsabilità da contatto, sarebbe rappresentato dalla relazione che si instaura tra la pubblica amministrazione e il partecipante alla gara; relazione che è idonea a produrre specifici obblighi comportamentali in capo alle parti, ai senti dell’articolo 1173 del codice civile.

Deve infine tenersi conto dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza alle nuove disposizioni dettate dal Codice del processo e, ancor prima, dal Codice dei contratti pubblici.

Secondo taluni[33] l’espresso riconoscimento al Giudice Amministrativo del potere di caducare il contratto stipulato a seguito di una procedura ad evidenza pubblica illegittima, escluderebbe ogni residuo potere in capo alla pubblica amministrazione di rimuovere l’atto in autotutela. Ne conseguirebbe, pertanto, una responsabilità squisitamente contrattuale, di matrice civilistica, in quanto il comportamento dell’Amministrazione che rimuove in autotutela un atto inerente la procedura pubblicistica dopo la stipula del contratto si risolverebbe nell’illegittimo esercizio del diritto di recesso di cui al Codice Civile.

Tale tesi, tuttavia, è avversata da chi sostiene che il riconoscimento normativo di uno specifico potere giudiziale di conoscere della sorte del contratto non osta all’esercizio del potere di rimozione in autotutela della pubblica amministrazione, la quale conserva intatto il potere di annullare l’aggiudicazione di un appalto pubblico anche dopo la stipulazione del contratto, con la conseguente caducazione automatica dei relativi effetti negoziali[34]. Il riconoscimento del potere di intervento in secondo grado sugli atti della procedura di gara, implica evidentemente l’affermazione di un diverso tipo di responsabilità in capo alla pubblica amministrazione, la quale sarà tenuta a corrispondere all’aggiudicatario l’indennizzo di cui all’articolo 21 –quinquies, L. n. 241/1990; in caso di esercizio illegittimo del potere di autotutela, invece, l’amministrazione risponderà dei danni subiti a titolo di responsabilità aquiliana da illegittimo esercizio del potere pubblicistico[35].

 

  1. Conclusioni.

 

L’evoluzione dell’istituto della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione dimostra il progressivo scardinamento della tradizionale divisione del diritto, quale strumento utilizzato da un’organizzazione per regolare la vita sociale, in pubblico (regolante i rapporti tra Stato o enti pubblici ed i privati, quando i primi agiscono in posizione di supremazia) e privato (regolante i rapporti interindividuali tra privati che si muovono in condizioni di parità).

Questo perché il rapporto tra privato e pubblica amministrazione potrebbe paragonarsi a quello intercorrente tra i privati durante le trattative per la stipulazione di un contratto, da cui discenderebbe per entrambi, quindi anche per la pubblica amministrazione, in una originaria posizione di supremazia, il dovere di comportarsi secondo buona fede.

Tutto ciò contribuisce, in virtù dell’avvicinamento del diritto pubblico al diritto privato, al progressivo superamento della concezione di “soggetto autoritario” della pubblica amministrazione.  Invero, il dogma dell’immunità della pubblica amministrazione si supera, anche in punto di responsabilità precontrattuale, sulla base di imprescindibili principi costituzionali che regolano l’attività amministrativa: il precetto dell’articolo 28 della Costituzione, che consacra al più alto livello della gerarchia delle fonti un principio la cui portata non autorizza manovre ermeneutiche capaci di escludere detta responsabilità, capace di innovare e stravolgere il tessuto normativo previgente; l’articolo 97 della Costituzione, che prevede il dovere della pubblica amministrazione di perseguire l’imparzialità e il buon andamento, nella cui cornice si collocano i doveri di buona fede e di correttezza che si impongono quali principi istituzionali del comportamento delle amministrazioni pubbliche; l’articolo 113 della Costituzione, che formalizza una tutela giurisdizionale indefettibile per il privato nei confronti degli atti della pubblica amministrazione.

 

 

 

 

 

 

[1] Tra gli altri: G.M. RACCA, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione tra autonomia e correttezza, Napoli, 2000; A.G. DIANA, La responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione, Padova, 2000; E. LIUZZO, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, Milano, 1995.

[2] A. LALLI, Pubblico e privato: le tendenze di lungo periodo e la recente disciplina in materia di società partecipate dai pubblici poteri, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, 7 (2016), 315.

[3] A. LALLI, Pubblico e privato: le tendenze di lungo periodo e la recente disciplina in materia di società partecipate dai pubblici poteri, cit., 317.

[4] V. CERULLI IRELLI, Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011, 10 e ss.

[5] A. LALLI, ibidem.

[6] A. LALLI, ibidem.

[7] S. CASSESE, L. TORCHIA, Diritto amministrativo. Una conversazione, Bologna, 2014, 37 e ss.

[8] A. LALLI, Pubblico e privato: le tendenze di lungo periodo e la recente disciplina in materia di società partecipate dai pubblici poteri, cit., 319.

[9] A. LALLI, ibidem.

[10] A. LALLI, Pubblico e privato: le tendenze di lungo periodo e la recente disciplina in materia di società partecipate dai pubblici poteri, cit., 321.

[11] A. LALLI, Pubblico e privato: le tendenze di lungo periodo e la recente disciplina in materia di società partecipate dai pubblici poteri, cit., 322.

[12] A. MOLITERNI, Amministrazione consensuale e diritto privato, Napoli, 2016.

[13] M. D’ALBERTI, Diritto amministrativo e diritto privato: nuove emersioni di una questione antica, in Riv. trim. dir. pubbl., 2012, 1019 ss.

[14] F.G. SCOCA, La teoria del provvedimento dalla sua formazione alla legge sul procedimento, in Dir. amm., 1995, 1 e ss.

[15] A. LALLI, Pubblico e privato: le tendenze di lungo periodo e la recente disciplina in materia di società partecipate dai pubblici poteri, cit., 325.

[16] V. CERULLI IRELLI, Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011.

[17] A. MOLITERNI, Pubblico e privato nellattività negoziale della p.a., in Rivista italiana per le scienze giuridiche, 7 (2016), 333.

[18] V. CERULLI IRELLI, Diritto pubblico e privato nella pubblica amministrazione (profili generali e costituzionali), in Rivista italiana per le scienze giuridiche, 7 (2016), 267.

[19] V. CERULLI IRELLI, Diritto pubblico e privato nella pubblica amministrazione (profili generali e costituzionali), cit., 268.

[20] V. CERULLI IRELLI, ibidem.

[21] F. BENVENUTI, Per un diritto amministrativo paritario, in AA. VV., Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, 1975.

[22] V. CERULLI IRELLI, ibidem.

[23] M. NIGRO, Lamministrazione tra diritto pubblico e diritto privato, in Foro it., 1961, 462 ss., il quale acutamente osserva che a venire in considerazione non è la valutazione circa la correttezza dell’agire dei pubblici poteri sotto il profilo del perseguimento o meno del pubblico interesse, perché, ai fini della responsabilità precontrattuale, a venire in gioco è, piuttosto, il comportamento della Pubblica Amministrazione quale corretto contraente.

[24] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2017, 304.

[25] Si veda Cass. civ., Sez. Un., 12 maggio 2008, n. 11656.

[26] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, cit., 305.

[27] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1797; Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5611; Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 2014, n. 142.

[28] Quanto detto è stato confermato anche da Cons. Stato, Sez. V, 2 maggio 2017, n. 1979: il comportamento di una Pubblica Amministrazione che, dopo ladozione dellaggiudicazione definitiva, ha omesso di addivenire, senza offrire alcuna plausibile giustificazione, alla stipula del relativo contratto, integra un comportamento contrario ai generali doveri di correttezza e di buona fede, i quali, come riconosciuto da una giurisprudenza ormai pacifica, trovano applicazione, nonostante la loro derivazione privatistica (cfr. art. 1337 c.c.), anche nellambito del procedimento amministrativo, a maggior ragione se si tratta di un procedimento di evidenza pubblica finalizzato alla stipula di un contratto. La responsabilità in esame è una responsabilità da comportamento (amministrativo) scorretto, non da provvedimento illegittimo: essa nasce dalla violazione di norme (come si è detto di derivazione privatistica) che hanno ad oggetto il comportamento della pubblica amministrazione, non linvalidità del procedimento. La responsabilità precontrattuale, pertanto, sussiste anche a prescindere dallinvalidità provvedimentale, perché il danno che il privato lamenta non discende dal provvedimento, ma dal comportamento tenuto dallAmministrazione (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. VI, 1 febbraio 2013, n. 633). A differenza di quanto ritenuto dal Comune, la responsabilità precontrattuale non richiede, quindi, come presupposto lillegittimità provvedimentale. In ordine allelemento soggettivo della colpa, deve, in primo luogo, rilevarsi come, secondo la tesi prevalente nella più recente giurisprudenza (da ultimo Cass. civ., Sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188), la responsabilità precontrattuale integra una ipotesi di responsabilità c.d. contrattuale da inadempimento di unobbligazione di protezione (di lealtà e correttezza) che nasce, ex lege, in conseguenza del contatto sociale che si instaura tra le parti nel corso della trattativa precontrattuale. Conf. anche Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1797; Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2016, n. 1599; Cons. Stato, Sez. III, 15 aprile 2016, n. 1532.

[29] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, cit., 306.

[30] Ricondotta dalla più recente giurisprudenza alla responsabilità contrattuale da contatto sociale. Si veda sul punto: Cass., Sez. I, 20 dicembre 2011, n. 27648.

[31] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, cit., 307.

[32] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2015, n. 1864.

[33] Cfr. Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2011, n. 391; T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, 27 gennaio 2011, n. 154.

[34] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5786; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 14 novembre 2013, n. 1534, Cons. Stato, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4440.

[35] Sulla questione ha preso posizione l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 20 giugno 2014, n. 14, secondo cui Il potere di revoca dellaggiudicazione non può essere esercitato dalla p.a., una volta intervenuta la stipula del contratto di appalto, che chiude la fase pubblicistica ed apre quella negoziale, caratterizzata da tendenziale parità tra le parti. Di conseguenza, negli appalti di lavori pubblici in caso di sopravvenuti motivi di opportunità, la p.a. può recedere dal contratto, secondo la speciale previsione di cui allart. 134 del codice degli appalti, con le conseguenze indennitarie ivi previste.