Si pubblica la seguente nota  in quanto si tratta di un tema che, per il suo carattere generale e trasversale, oltre che per l'attualità, viene in rilievo anche per la materia degli appalti.

1.  Trasparenza, pubblicità ed accesso, tre istituti complementari.

La trasparenza è un valore-chiave dell’ordinamento democratico, espressamente incluso, dall’art. 1 della legge n. 241/1990, tra i princìpi generali che regolano l’attività amministrativa, capace di coniugare l’efficienza nello svolgimento della funzione pubblica con le garanzie di tutela delle posizioni giuridiche degli amministrati[1].

Essa è, in due parole, “chiarezza e comprensibilità dell’azione amministrativa”[2].

Suoi corollari sono gli obblighi di pubblicità ed il diritto di accesso, quali strumenti approntati dall’ordinamento per garantire la trasparenza, intesa come fine dell’azione amministrativa, e realizzarla nel concreto.

La pubblicità si sostanzia in una serie di obblighi di informazione, cui l’amministrazione è tenuta a beneficio indiscriminato di tutti i consociati[3].

L’accesso consiste nel potere del singolo di ottenere l’ostensione di atti della pubblica amministrazione[4].

Quanto alla pubblicità, è da evidenziare come, talvolta, alla funzione di rendere conoscibile l’atto, si abbina quella di conferire allo stesso effetti legali: trattasi dei casi di pubblicità integrativa dell’efficacia o di pubblicità dichiarativa, o notizia (idonea, ad es., al decorso dei termini per la partecipazione ad una procedura di evidenza pubblica).

Tale forma di pubblicità, che dà luogo ad una presunzione di conoscenza degli atti, consentendo la produzione degli effetti di legge a partire dalla loro pubblicazione, pur se effettuata ora mediante il sito istituzionale (tramite l’albo pretorio on line o tramite altre sezioni predisposte ad hoc denominate, ad es., “avvisi e bandi” o “bandi di gara”), va mantenuta distinta da quella che si effettua nella sezione “amministrazione trasparente” del sito istituzionale ed ha lo scopo di rendere conoscibile l’attività delle amministrazioni e favorire il controllo da parte dei cittadini[5].

Riguardo alla prima, l’art. 32 della legge n. 69/2009 ha previsto che gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei rispettivi siti informatici, da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati.

Detta pubblicazione, tuttavia, non è sostitutiva di altre forme di pubblicità eventualmente prescritte dalla legge (quali, ad es., la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, sul B.U.R., sul foglio avvisi legali della Provincia, ecc..), sicché, in assenza di queste ultime, è inidonea a far decorrere i termini per l’impugnazione dell’atto[6].

Per anni, la massima, se non unica, ‘fonte’ giuridica del principio di trasparenza amministrativa è stata la legge n. 241/1990: perché essa, da un lato, ha previsto importanti ed innovative norme in tal senso, come quelle improntate a favorire la partecipazione procedimentale dei privati ed ad imporre l’obbligo di motivazione dei provvedimenti, mentre, dall’altro, mediante il riconoscimento del diritto all’accesso documentale, ha offerto finalmente tutela alle istanze di conoscenza dei documenti e degli atti adottati dalla pubblica amministrazione.

Sulla scia dei nuovi istituti introdotti, prima, dal d.lgs. n. 150/2009 e, dopo, dal d.lgs. n. 33/2013 (denominato, anche, “decreto trasparenza”), come modificato dal d.lgs. n. 97/2016, si è operata un’importante estensione dei confini della trasparenza, intesa oggi come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, come recita l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013[7].

Inoltre, in forza del comma 3 dello stesso articolo, le disposizioni sulla trasparenza di cui al d.lgs. n. 33/2013 sono state espressamente qualificate come “livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche”, garantito, quindi, sull’intero territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m), Cost., con conseguente vincolo di inderogabilità in pejus.

Di conseguenza, in questo rinnovato contesto, l’ampio diritto all’informazione ed alla trasparenza dell’attività delle amministrazioni resta temperato solo dalla necessità di garantire le esigenze di riservatezza, segretezza e tutela di determinati interessi pubblici e privati (come elencati nell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013), che diventano l’eccezione alla regola, conformemente alla struttura degli ordinamenti caratterizzati dal sistema FOIA, acronimo derivante dal Freedom of information act, che è la legge sulla libertà di informazione, adottata negli Stati Uniti il 4 luglio 1966.

 

2.  Trasparenza e prevenzione della corruzione. L’apparato sanzionatorio.

Come rimarcato dal parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto, la trasparenza, quale precondizione per ricostruire e rafforzare il rapporto di fiducia tra cittadino e poteri pubblici, si coniuga perfettamente con il contrasto alla corruzione.

Del resto, che vi sia una stretta interconnessione tra trasparenza e prevenzione della corruzione, è dimostrato dal fatto che il d.lgs. n. 97/2016 apporta rilevanti modifiche alla legge n. 190/2012, recante “disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.

In particolare, la novella affida all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) il compito – prima assegnato al Dipartimento della funzione pubblica – di adottare il piano nazionale anticorruzione, che ha come scopo proprio quello di coordinare l’attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, elaborate a livello nazionale e internazionale.

Il piano nazionale, che ha durata triennale e che viene aggiornato annualmente, rappresenta un atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni, per gli organismi di diritto pubblico e per le imprese pubbliche di cui all’articolo 2-bis, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013, ai fini dell’adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione.

Il d.lgs. n. 97/2016 interviene, inoltre, a meglio disciplinare le funzioni dei diversi soggetti chiamati a svolgere un ruolo di prevenzione della corruzione all’interno delle amministrazioni pubbliche e, in particolare, l’organo di indirizzo, il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza e l’organismo indipendente di valutazione.

Per quanto riguarda il responsabile della prevenzione della corruzione, preposto anche alla cura degli obblighi sulla trasparenza, individuato tra i dirigenti in servizio dall’organo di indirizzo (o, negli enti locali, nel segretario o nel dirigente apicale), si prevede che questi debba segnalare all’organo di indirizzo ed all’organismo indipendente di valutazione le disfunzioni inerenti all’attuazione delle misure in materia di prevenzione della corruzione ed in materia di trasparenza, indicando, altresì, agli uffici competenti all’esercizio dell’azione disciplinare, i nominativi dei dipendenti che non hanno attuato correttamente le misure in materia di prevenzione della corruzione ed in materia di trasparenza.

E’ altresì stabilito che, entro il 15 dicembre di ogni anno, il responsabile debba trasmettere, all’organismo indipendente di valutazione ed all’organo di indirizzo politico, una relazione recante i risultati dell’attività svolta, che dev’essere pubblicata nel sito web dell’amministrazione.

A tutela del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, si prevede che eventuali misure discriminatorie assunte in suo danno, per motivi collegati, anche indirettamente, allo svolgimento delle sue funzioni, vadano segnalate ad Anac, che può chiedere informazioni all’organo di indirizzo politico ed intervenire, formulando una richiesta di riesame del provvedimento di revoca dell’incarico.

Quanto all’organo di indirizzo politico, esso svolge, in subiecta materia, due importanti funzioni: la prima, attiene alla definizione degli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, che costituiscono contenuto necessario e parte integrante dei documenti di programmazione strategico-gestionale; la seconda, riguarda l’adozione, entro il 31 gennaio di ogni anno, del piano triennale per la prevenzione della corruzione, su proposta del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. Negli enti locali, l’approvazione del piano spetta alla giunta.

Infine, per quanto riguarda i compiti specifici e le funzioni dell’organismo indipendente di valutazione, si prevedono a suo carico due tipi di verifiche, nonché l’obbligo di riferire direttamente ad Anac sullo stato di attuazione delle misure di prevenzione della corruzione e della trasparenza.

La prima verifica è di coerenza dei piani triennali per la prevenzione della corruzione con gli obiettivi stabiliti nei documenti di programmazione strategico-gestionale, anche ai fini della validazione della relazione sulla performance.

La seconda verifica attiene, invece, ai contenuti della relazione sulla performance in rapporto agli obiettivi inerenti alla prevenzione della corruzione e alla trasparenza, potendo l’organismo chiedere al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza le informazioni e i documenti necessari per lo svolgimento del controllo e potendo altresì effettuare audizioni di dipendenti. Nella misurazione e valutazione della performance dei singoli funzionari, vanno considerati gli obiettivi connessi all’anticorruzione e alla trasparenza, ove stabiliti.

Attività ulteriori possano essere individuate nel piano triennale di prevenzione della corruzione, dove, principalmente, devono essere definite le modalità di monitoraggio del rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti e, altresì, le modalità di monitoraggio dei rapporti tra l’amministrazione e i soggetti che con la stessa stipulano contratti o che sono interessati a procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi economici di qualunque genere, anche verificando eventuali relazioni di parentela o affinità sussistenti tra i titolari, gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e i dirigenti e i dipendenti dell’amministrazione.

La violazione degli obblighi di pubblicazione, ovvero l’illegittimo rifiuto di istanze di accesso civico, comportano l’irrogazione delle sanzioni stabilite all’art. 45 e segg. del d.lgs. n. 33/2013.

In specie, il mancato rispetto dell’obbligo di pubblicazione costituisce illecito disciplinare (art. 45, comma 4) e, assieme all’illegittimo rifiuto di istanze di accesso civico, rappresenta una causa tipizzata di responsabilità dirigenziale, ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 165/2001 (e ciò anche ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio), nonché di responsabilità amministrativa per danno all’immagine dell’amministrazione (art. 46).

Tale responsabilità si estende, per omesso controllo, al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, il quale ne resta esente solo dimostrando che l’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile.

Una specifica responsabilità è infine prevista, dall’art. 47, a carico di chi, intraneo od estraneo alla P.A., abbia omesso la comunicazione di informazioni e di dati, obbligatori ai fini della pubblicazione sul sito, in merito alla propria situazione patrimoniale, o la abbia effettuata in maniera incompleta; essa consiste in una sanzione amministrativa pecuniaria, irrogata da Anac secondo le regole della legge n. 689/1981, opponibile dinanzi al giudice ordinario.

 

3.  Trasparenza e partecipazione.

Sempre il parere del Consiglio di Stato avverte come, al fine di assicurare effettività all’attuazione del principio di trasparenza, sia necessario “coniugare trasparenza e semplicità”.

La trasparenza, in quanto valore immanente all’ordinamento, deve rappresentare il “modo d’essere tendenziale dell’organizzazione dei pubblici poteri”, il parametro cui commisurare l’azione delle figure soggettive pubbliche, che consenta di trovare il ‘giusto’ punto di raccordo tra le esigenze di garanzia e di efficienza nello svolgimento dell’azione amministrativa.

Essa deve, così, diventare un ‘punto di confluenza’ dei princìpi giuridici, costituzionalmente posti, dell’azione amministrativa (dal buon andamento all’imparzialità, al rispetto del cd. ‘principio di legalità sostanziale’, al metodo di partecipazione democratica), dal quale derivano istituti giuridici, di tipo trasversale, che possono essere considerati come volti a realizzare la trasparenza.

In altri termini, se l’interesse pubblico – inteso tecnicamente come ‘causa’ dell’atto (e del potere) amministrativo – non può più essere rigidamente predeterminato e imposto, ma costituisce in concreto la risultante di un processo di formazione cui sono chiamati a partecipare sempre più attivamente i componenti della comunità, occorre anche ‘rendere visibile’ il modo di formazione dell’interesse medesimo, i soggetti che vi concorrono, le fasi del procedimento di formazione dell’atto, nonché ‘rendere conoscibili’ i dati di base, i presupposti da cui si muove, i modi di esercizio del potere, ivi comprese le risorse utilizzate.

Ciò al fine di realizzare l’aspirazione a una democrazia intesa come “regime del potere visibile” (secondo la definizione di Norberto Bobbio).

La trasparenza si pone, allora, non solo come forma di prevenzione dei fenomeni corruttivi, ma come strumento ordinario e primario di ri-avvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione, destinata sempre più ad assumere i contorni di una ‘casa di vetro’, nell’ambito di una visione più ampia dei diritti fondamentali sanciti dall’articolo 2 Cost., che non può prescindere dalla partecipazione ai pubblici poteri.

Nondimeno, è stato stigmatizzato come “a volte, in passato, l’esigenza di trasparenza è stata collegata ad oneri – regolatori, amministrativi, economici – ‘non necessari’ al perseguimento dello scopo.

Ciò ha indebolito, di fatto, il perseguimento dello scopo medesimo, creando piuttosto una sorta di ‘burocrazia della trasparenza’ che andava a sovrapporsi alla burocrazia già esistente, con risultati poco rilevanti per la tutela di questo valore fondamentale, ma con importanti effetti collaterali negativi, dall’incremento di oneri all’incentivazione degli stessi fenomeni corruttivi che si intendeva contrastare”.

 

4.  Accesso civico ed accesso documentale.

La disciplina del d.lgs. n. 33/2013 si aggiunge – e non sostituisce – a quella, più risalente, sull’accesso ai documenti (art. 22 e segg. della legge n. 241/1990), introducendo, anzitutto, una serie di obblighi di pubblicazione in capo all’amministrazione (art. 12 e segg.).

Viene così assicurata al cittadino la possibilità di conoscere l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, anche attraverso l’obbligo, a queste imposto, di pubblicare sui siti istituzionali, nella sezione denominata “amministrazione trasparente”, i documenti, i dati e le informazioni concernenti le scelte amministrative operate (artt. 12 e segg.), ad esclusione dei documenti per i quali è esclusa la pubblicazione, in base a norme specifiche, ovvero per ragioni di segretezza, secondo quanto indicato nello stesso decreto.

All’art. 5, vengono quindi previste due forme aggiuntive di accesso: l’accesso civico ‘semplice’ (comma 1), che riguarda le istanze del cittadino volte ad ottenere la pubblicazione di dati e documenti nella sezione “amministrazione trasparente”, quando essa è obbligatoria per legge ed è stata omessa; l’accesso civico ‘generalizzato’ (comma 2), che riguarda le istanze intese a conoscere documenti “ulteriori” rispetto a quelli da pubblicare obbligatoriamente.

Ovviamente, deve trattarsi di dati o documenti preesistenti, e non da formare[8].

L’introduzione dell’istituto dell’accesso civico generalizzato rappresenta senz’altro la novità principale apportata dal d.lgs. n. 97/2016, quale strumento chiaramente finalizzato a realizzare ancor più la trasparenza amministrativa, e cioè la comprensibilità e la conoscibilità, dall’esterno, dell’attività pubblica, in particolare da parte dei cittadini; comprensibilità e conoscibilità finalizzate, in particolare, a realizzare imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa ed a rendere chiare le scelte rivolte alla cura dell’interesse pubblico[9].

Tale controllo è funzionale a “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”, naturalmente senza travalicare i limiti previsti dal legislatore, posti a tutela di eventuali interessi pubblici o privati che potrebbero confliggere con la volontà di conoscere, espressa dal cittadino[10].

Nonostante alcuni punti di contatto di tipo ‘testuale’ tra la disciplina in tema di accesso ai documenti di cui alla legge n. 241/1990 e quella dell’accesso civico, quest’ultimo si pone su un piano diverso rispetto al primo, che è caratterizzato da un rapporto qualificato del richiedente con i documenti che si intendono conoscere, derivante proprio dalla titolarità di una posizione giuridica qualificata tutelata dall’ordinamento, in capo al soggetto richiedente.

Alla luce del dettato normativo, esiste una rilevante differenza tra ‘accesso ai documenti’ ed ‘accesso civico’, trattandosi di poteri che, pur condividendo lo stesso tipo di tutela processuale, non possono considerarsi sovrapponibili: il primo, infatti, è strumentale alla tutela degli interessi individuali di un soggetto, che si trova in una posizione differenziata rispetto agli altri cittadini, in ragione della quale ha il diritto di conoscere e di avere copia di un documento amministrativo; il secondo è azionabile da chiunque, senza la previa dimostrazione della sussistenza di un interesse attuale e concreto per la tutela di situazioni rilevanti, senza dover motivare la richiesta e con la sola finalità di consentire una pubblicità diffusa ed integrale dei dati che sono considerati dalle norme come pubblici e quindi conoscibili.

A tal proposito, le linee-guida Anac evidenziano come “tenere ben distinte le due fattispecie, è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi. Tale bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso ex lege n. 241/1990, dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti) ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni”[11].

La nuova normativa, dunque, non elimina, né rende privo di portata pratica l’accesso documentale o procedimentale, di cui all’art. 22 della legge n. 241/1990, che è azionabile soltanto da chi abbia un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, non consentendo la proposizione di istanze preordinate al controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni[12].

Donde, la natura “strumentale” e non “finale” dell’istituto, nel senso che la domanda ostensiva dev’essere necessariamente in posizione “servente” rispetto alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale (e non meramente emulativo o potenziale), connesso alla disponibilità dell’atto o del documento del quale si richiede l’accesso, e ciò anche quando l’accesso viene esercitato per l’esercizio del diritto di difesa in giudizio, dove la richiamata strumentalità va intesa in senso più ampio, in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante[13].

In tal modo, le disposizioni di cui all’art. 22 e segg. della legge n. 241/1990 finiscono per coniugare le esigenze di trasparenza e di garanzia di imparzialità dell’amministrazione con il bilanciamento riguardo ad interessi contrapposti, inerenti non solo alla riservatezza di altri soggetti coinvolti, ma anche al buon andamento dell’amministrazione, da salvaguardare rispetto a richieste pretestuose e defatiganti, ovvero introduttive di forme atipiche di controllo.

Ma anche l’istituto dell’accesso civico ‘generalizzato’ non è esercitabile in modo indiscriminato ed illimitato, trovando anzi precisi e tassativi limiti, a salvaguardia degli interessi, pubblici e privati, che possono essere messi in pericolo.

Ne consegue che, anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013, “permane un settore ‘a limitata accessibilità’, qualora la tipologia di dato o di documento non possa essere resa nota per il pericolo che ne provocherebbe la conoscenza indiscriminata, mettendo a repentaglio interessi pubblici ovvero privati”.

E proprio “in questo settore continuano ad applicarsi le più rigorose norme della legge n. 241/1990, sicché l’ostensione di quel dato e documento sarà resa possibile, solo in favore di una ristretta cerchia di interessati (tranne nelle ipotesi in cui è legislativamente escluso l’accesso documentale), secondo le tradizionali e più restrittive regole recate dalla legge n. 241/1990[14].

L’accesso documentale diventa così l’arma attraverso cui, eventualmente, acquisire informazioni, che non possono essere fornite tramite l’accesso civico ‘generalizzato’.

 

5.  Il procedimento di accesso civico. Le forme di tutela.

Per approfondire il quadro normativo di riferimento dell’accesso civico, occorre rifarsi, in primo luogo, alle linee-guida Anac n. 1309/2016, contenenti indicazioni operative per i soggetti destinatari di richieste di accesso generalizzato, con particolare riguardo all’attività di valutazione delle istanze da decidere, redatte tenendo conto dello spirito della norma, della necessità di motivare adeguatamente gli eventuali dinieghi e della protezione da assicurare in caso di coinvolgimento di dati personali.

I punti salienti della procedura delineata dall’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 sono i seguenti:

- l’esercizio del diritto di accesso civico non è sottoposto ad alcuna limitazione, quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente, è gratuito e non richiede motivazione;

- nei casi di accesso civico ‘generalizzato’, l’istanza va comunicata d’ufficio ad eventuali controinteressati;

- questi ultimi possono presentare una motivata opposizione all’accesso, entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione e, a tal fine, il termine per la decisione resta sospeso;

- il procedimento deve concludersi con provvedimento espresso e motivato, da adottarsi e comunicarsi al richiedente ed agli eventuali controinteressati, nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza;

- in caso di accoglimento della richiesta di accesso civico, l’amministrazione trasmette tempestivamente al richiedente i dati o i documenti richiesti, ovvero, nel caso di omessa pubblicazione obbligatoria, li pubblica sul sito, comunicandolo al richiedente;

- in caso di accoglimento della richiesta nonostante l’opposizione dei controinteressati, l’amministrazione, salvi i casi di comprovata indifferibilità, trasmette al richiedente i dati o i documenti richiesti non prima di quindici giorni, decorrenti dalla ricezione della comunicazione ai controinteressati medesimi;

- in caso di diniego parziale o totale all’accesso, ovvero in caso di mancata risposta allo scadere del termine per provvedere, il cittadino può attivare la speciale tutela amministrativa interna davanti al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, formulando un’istanza di riesame, che dev’essere decisa, con provvedimento motivato, entro il termine di venti giorni;

- in alternativa, per gli enti locali, può essere proposto ricorso al difensore civico, che si pronuncia entro trenta giorni dalla presentazione del ricorso. Se il difensore civico ritiene illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica all’amministrazione e ne informa il richiedente. Se l’ente non conferma il diniego o il differimento entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, l’accesso è ritenuto assentito;

- se l’accesso è negato o differito per la tutela di dati personali, il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ovvero il difensore civico, devono previamente sentire il Garante per la protezione dei dati personali, che si pronuncia nel termine di dieci giorni dalla richiesta;

- la richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza ed il ricorso al difensore civico possono essere presentati anche dal controinteressato, nel termine di quindici giorni dalla ricezione della comunicazione dell’avvenuto accoglimento della richiesta di accesso civico generalizzato (termine durante il quale l’atto di accoglimento, salvo non sia indifferibile, rimane inefficace);

- avverso la decisione dell’amministrazione o avverso quella del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, il richiedente l’accesso può proporre ricorso al giudice amministrativo ex art. 116 c.p.a. (“rito in materia di accesso ai documenti amministrativi”)[15];

- nel caso di ricorso al difensore civico, il termine per il ricorso del richiedente ex art. 116 c.p.a. decorre dalla comunicazione della decisione di quest’ultimo (se negativa, ovviamente).

Per quanto concerne la tutela giurisdizionale del controinteressato avverso il provvedimento di accoglimento dell’accesso civico generalizzato, nel silenzio dell’art. 5, deve ritenersi che essa spetti all’autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi dell’art. 152 del d.lgs. n. 196/2003 (codice in materia di protezione dei dati personali).

Rimanendo nell’ambito dei rimedi amministrativi, occorre rilevare con favore come il legislatore, a fini deflattivi ed acceleratori, abbia previsto un riesame “interno” (nei casi di diniego totale o parziale dell’accesso o di mancata risposta), a mezzo dell’intervento di un soggetto, il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, che svolge un ruolo fondamentale nell’ambito della disciplina di prevenzione della corruzione e nell’attuazione delle relative misure, non potendo tralasciarsi di considerare che la trasparenza amministrativa che si realizza anche attraverso lo strumento dell’accesso civico generalizzato rappresenta una delle misure più importanti di prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione.

Per altro, tale riesame è alternativo rispetto al ricorso da proporre ad un altro soggetto indipendente, tenuto ad assicurare il rispetto delle leggi in ambito locale, qual è il difensore civico.

Nel soffermarsi sul punto, la circolare n. 2/2017, con cui il Dipartimento della funzione pubblica ha stabilito i criteri di “attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato, c.d. FOIA”, sottolinea come la procedura di riesame “si discosta sia dalla norma che disciplina l’accesso ai documenti, che non prevede una procedura di tutela amministrativa interna, con la possibilità di chiedere il riesame a un altro soggetto appartenente alla stessa amministrazione, sia dalla disciplina in tema di obblighi di pubblicazione, per i quali è espressamente previsto dall’art. 5, comma 3, lett. d), che l’istanza vada inoltrata, già in prima battuta, direttamente al RPCT e non, come per l’accesso generalizzato, all’ufficio che detiene i dati, o all’URP o ad altro ufficio indicato discrezionalmente dall’amministrazione sul sito istituzionale (art. 5, comma 3, lett. a), b) e c)”[16].

Tale scelta viene spiegata perché, contrariamente a quanto previsto nella disciplina sull’accesso ai documenti, a fronte del silenzio dell’amministrazione sull’istanza di accesso civico ‘generalizzato’, non si realizza una fattispecie di silenzio significativo di segno negativo (silenzio-rigetto): l’art. 5 impone, infatti, l’obbligo all’amministrazione di pronunciarsi con provvedimento espresso e motivato, per cui l’eventuale ‘silenzio’ rappresenta una ‘mera inerzia’, un’ipotesi, cioè, di silenzio-inadempimento, che obbliga il cittadino a rivolgersi al giudice amministrativo, attivando il rito di cui all’art. 117 c.p.a. (e successivamente, in caso di diniego espresso ai dati o documenti richiesti, il rito sull’accesso ex art. 116 c.p.a.).

L’anzidetta soluzione, invero non argomentata circa le sue ragioni fondanti, sembra muovere dal testo dell’art. 116, comma 1, c.p.a. che, applicando il rito sull’accesso anche alle ipotesi di “tutela del diritto di accesso civico connessa all’inadempimento degli obblighi di trasparenza”, parrebbe escludere dal proprio alveo le fattispecie di silenzio su richieste di accesso civico ‘generalizzato’.

Queste ultime, infatti, non sarebbero direttamente connesse all’inadempimento degli obblighi di trasparenza, proprio perché riguardano l’ostensione di documenti o dati “ulteriori” rispetto alle stesse ipotesi di legge, dovendo operare, quindi, nei casi di silenzio, il diverso rito di cui all’art. 117 c.p.a., con tendenziale emissione di un ordine giurisdizionale di provvedere di tipo ‘neutro’, ossia aperto ad una futura soluzione amministrativa di segno sia positivo che negativo, da motivare sulla base della fattispecie concreta.

In tal modo, la tesi esposta finisce per distinguere, ai soli fini dell’opposizione al silenzio, i casi in cui difetta una qualsiasi forma di discrezionalità amministrativa (obblighi di pubblicazione ed accesso civico ‘semplice’), nei quali il giudice si limita a constatare la sussunzione, o meno, del documento o del dato non pubblicato all’interno delle ipotesi tassativamente predefinite dalla legge, dai casi in cui, viceversa, l’amministrazione esercita un minimo di discrezionalità (accesso civico ‘generalizzato’) ed in cui è precluso al giudice di pronunciarsi con riferimento ad un potere non ancora esercitato, ex art. 34, comma 2, c.p.a.

Detta interpretazione – affermata, sia pur apoditticamente, in sede giurisdizionale[17] – viene tuttavia autorevolmente avversata da chi sostiene, invece, che il rito da preferire, anche nell’ipotesi di silenzio su istanza di accesso civico ‘generalizzato’, sia quello sull’accesso, mediante proposizione di un’azione di accertamento, idonea a favorire l’esercizio dei più ampi e penetranti poteri cognitori e decisori affidati al giudice[18].

 

6.  Esclusioni e limiti all’accesso civico.

Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso devono essere motivati con riferimento ai casi ed ai limiti stabiliti dall’articolo 5-bis.

Tale norma identifica, innanzitutto, i divieti ‘assoluti’ di accesso (tassativamente descritti al comma 3, che riguardano i “casi di segreto di Stato” e gli “altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della legge n. 241/1990[19].

Il richiamo alle ipotesi di inaccessibilità di cui alla legge n. 241/1990 consente, quindi, di individuare un nucleo comune di segretezza, a tutela di interessi pubblici preminenti, che né l’accesso documentale, né l’accesso civico generalizzato possono scalfire.

L’esistenza di altri interessi di matrice pubblica, ma diversi dai precedenti, costituiscono, invece, altrettanti limiti di carattere ‘relativo’.

Si tratta dei beni protetti dal comma 1, ossia: a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico; b) la sicurezza nazionale; c) la difesa e le questioni militari; d) le relazioni internazionali; e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; g) il regolare svolgimento di attività ispettive.

A differenza del comma 3, gli interessi del comma 1 non consentono all’amministrazione di respingere sic et simpliciter l’istanza, ma la obbligano a compiere un ulteriore passaggio motivazionale, al fine di verificare se la richiesta ostensione potrebbe cagionare un pregiudizio “concreto” a quegli stessi interessi.

Solo in quest’ultima evenienza, l’accesso civico ‘generalizzato’ potrà essere negato.

Identica condizione di limite relativo, il comma 2 dell’art. 5-bis assegna alla tutela di specifici interessi privati, quali: a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) la libertà e la segretezza della corrispondenza; c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.

Anche in tal caso, in tanto si potrà negare l’accesso, in quanto sia dimostrata l’esistenza di un pregiudizio “concreto”: non, cioè, un pregiudizio qualsiasi, ma un pregiudizio legato al richiesto accesso, da un preciso nesso di causalità.

Questo concetto è bene espresso nelle linee-guida Anac, secondo cui, nel caso di divieto relativo, “non opera, come nel caso delle eccezioni assolute, una generale e preventiva individuazione di esclusioni all’accesso generalizzato, ma rinvia a una attività valutativa che deve essere effettuata dalle amministrazioni con la tecnica del bilanciamento, caso per caso, tra l’interesse pubblico alla disclosure generalizzata e la tutela di altrettanto validi interessi considerati dall’ordinamento. L’amministrazione, cioè, è tenuta a verificare, una volta accertata l’assenza di eccezioni assolute, se l’ostensione degli atti possa determinare un pregiudizio concreto e probabile agli interessi indicati dal legislatore”.

L’amministrazione, in altre parole, non può limitarsi a prefigurare il rischio di un pregiudizio generico e astratto, ma deve: a) indicare chiaramente quale – tra gli interessi elencati all’art. 5-bis, comma 1 e 2 – viene pregiudicato; b) valutare se il pregiudizio (concreto) prefigurato dipende direttamente dalla disclosure dell’informazione richiesta; c) valutare se il pregiudizio conseguente alla disclosure è un evento altamente probabile, e non soltanto possibile.

Per quanto concerne le istanze di accesso generalizzato relative ad atti contenenti dati personali, le citate linee-guida precisano, ancora, come l’ente destinatario “deve valutare, nel fornire riscontro motivato a richieste di accesso generalizzato, se la conoscenza da parte di chiunque del dato personale richiesto arreca (o possa arrecare) un pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali, in conformità alla disciplina legislativa in materia… In tale contesto, devono essere tenute in considerazione le motivazioni addotte dal soggetto controinteressato, che deve essere obbligatoriamente interpellato dall’ente destinatario della richiesta di accesso generalizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 33/2013. Tali motivazioni costituiscono un indice della sussistenza di un pregiudizio concreto, la cui valutazione però spetta all’ente e va condotta anche in caso di silenzio del controinteressato”[20].

Le linee-guida ricordano, infine, come “le comunicazioni di dati personali nell’ambito del procedimento di accesso generalizzato non devono determinare un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e libertà delle persone cui si riferiscono tali dati ai sensi dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dell’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della giurisprudenza europea in materia”.

Il richiamo espresso alla disciplina legislativa sulla protezione dei dati personali da parte dell’art. 5-bis, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 33/2013, comporta che, nella valutazione del pregiudizio concreto, si faccia riferimento ai princìpi generali sul trattamento e, in particolare, a quelli di necessità, proporzionalità, pertinenza e non eccedenza, in conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e del giudice amministrativo italiano, nonché al nuovo quadro normativo in materia di protezione dei dati introdotto dal regolamento (UE) n. 679/2016.

Il diniego dell’accesso non è quindi giustificato se, ai fini della protezione di tale interesse, è sufficiente il differimento dello stesso per la tutela degli interessi considerati dalla norma (art. 5-bis, comma 5).

I limiti operano quindi nell’arco temporale nel quale la tutela è giustificata in relazione alla natura del dato, del documento o dell’informazione di cui si chiede l’accesso.

Allo stesso modo, l’amministrazione deve consentire l’accesso parziale, utilizzando, se del caso, la tecnica dell’oscuramento di alcuni dati, qualora la protezione dell’interesse sotteso alla eccezione sia invece assicurato dal diniego di accesso di una parte soltanto di esso. In questo caso, l’amministrazione è tenuta a consentire l’accesso alle parti restanti (art. 5-bis, comma 4, secondo alinea).

Pertanto, la regola che ne consegue è che l’amministrazione è sempre tenuta a privilegiare la scelta che, pur non oltrepassando i limiti di ciò che può essere ragionevolmente richiesto, sia la più favorevole al diritto di accesso del richiedente.

Il principio di proporzionalità esige, infatti, che le deroghe non eccedano quanto è adeguato e necessario per raggiungere lo scopo perseguito[21].

Ulteriori indicazioni operative si rinvengono nella circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 2/2017.

In essa viene opportunamente precisato che, ai fini della trattazione delle istanze di accesso civico, la parte pubblica deve attenersi ad alcuni princìpi di fondo: 1) tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo; 2) minore aggravio possibile nell’esercizio del diritto: le amministrazioni non possono pretendere dal richiedente l’adempimento di formalità o oneri procedurali, ponendoli come condizioni di ammissibilità della domanda di accesso; 3) limite all’adozione di regolamenti, circolari o altri atti interni.

Sotto il primo aspetto, si rimarca come “nei sistemi FOIA, il diritto di accesso va applicato, tenendo conto della tutela preferenziale dell’interesse a conoscere. Pertanto, nei casi di dubbio circa l’applicabilità di una eccezione, le amministrazioni dovrebbero dare prevalenza all’interesse conoscitivo che la richiesta mira a soddisfare”.

In tal modo, l’amministrazione è tenuta a consentire l’accesso generalizzato, anche quando riguarda un numero cospicuo di documenti ed informazioni, a meno che la richiesta risulti manifestamente irragionevole, tale cioè da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell’amministrazione. Tali circostanze, adeguatamente motivate nel provvedimento di rifiuto, devono essere individuate secondo un criterio di stretta interpretazione, ed in presenza di oggettive condizioni suscettibili di pregiudicare in modo serio ed immediato il buon funzionamento dell’amministrazione. L’irragionevolezza della richiesta è manifesta soltanto quando è evidente che un’accurata trattazione della stessa comporterebbe per l’amministrazione un onere tale da compromettere il buon andamento della sua azione. Il carattere palese del pregiudizio serio e immediato al buon funzionamento dell’amministrazione va motivato in relazione ai criteri sopra indicati.

L’opportunità di una valutazione della ‘ragionevolezza’ della richiesta potrebbe apparire un controsenso, atteso che, a differenza della legge n. 241/1990, che esclude espressamente l’utilizzabilità del diritto di accesso per sottoporre l’amministrazione a un controllo generalizzato, il diritto di accesso generalizzato è riconosciuto proprio “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.

Tuttavia, risulta evidente che, anche l’istituto dell’accesso generalizzato, proprio perché attiene a dati o documenti “ulteriori” rispetto a quelli obbligatori, “non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alla predetta finalità [di tutela dei diritti dei cittadini e di promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa, n.d.a.] ed essere trasformato in una causa di intralcio al buon funzionamento dell’amministrazione. La valutazione dell’utilizzo secondo buona fede va operata caso per caso, al fine di garantire – in un delicato bilanciamento – che, da un lato, non venga obliterata l’applicazione dell’istituto, dall’altro lo stesso non determini una sorta di effetto boomerang sull’efficienza dell’amministrazione”[22].

Sotto il secondo aspetto, la circolare raccomanda come “l’amministrazione, prima di decidere sulla domanda, dovrebbe contattare il richiedente e assisterlo nel tentativo di ridefinire l’oggetto della richiesta entro limiti compatibili con i principi di buon andamento e di proporzionalità. Soltanto qualora il richiedente non intenda riformulare la richiesta entro i predetti limiti, il diniego potrebbe considerarsi fondato, ma nella motivazione del diniego l’amministrazione non dovrebbe limitarsi ad asserire genericamente la manifesta irragionevolezza della richiesta, bensì fornire una adeguata prova, in relazione agli elementi sopra richiamati, circa la manifesta irragionevolezza dell’onere che una accurata trattazione della domanda comporterebbe. I medesimi principi sono applicabili all’ipotesi in cui uno stesso soggetto (o una pluralità di soggetti riconducibili a un medesimo ente) proponga più domande entro un periodo di tempo limitato. In questo caso, l’amministrazione potrebbe valutare l’impatto cumulativo delle predette domande sul buon andamento della sua azione e, nel caso di manifesta irragionevolezza dell’onere complessivo che ne deriva, motivare il diniego nei termini sopra indicati”.

Riguardo al terzo aspetto, le amministrazioni sono esortate a disciplinare, con propri atti, solamente i profili procedurali ed organizzativi di carattere interno, posto che i profili di rilevanza esterna, che incidono sull’estensione del diritto (si pensi alla disciplina dei limiti o delle eccezioni al principio dell’accessibilità), sono coperti dalla riserva di legge di cui all’art. 10 Cedu.

Con riferimento a tale ultimo richiamo pattizio, non deve, infine, sfuggire l’innovativa interpretazione dell’art. 10 Cedu, recentemente offerta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha affrontato il delicato tema dell’accesso agli atti amministrativi ricomprendendolo all’interno dea tutela della libertà d’espressione, rispetto alla quale la libertà di informarsi assume valenza propedeutica[23].

Nella fattispecie, il giudice internazionale ha ritenuto contrario al diritto di accesso all’informazione ed alla libertà di espressione il rifiuto delle autorità di rivelare, ad una ONG che stava facendo un’inchiesta, i nomi degli avvocati nominati d’ufficio ed il numero delle loro rispettive nomine, argomentando nel senso che l’art. 10 Cedu dev’essere inteso, analogamente ad altre fonti del diritto internazionale, come una disposizione che tutela non solo la libertà di ricevere le informazioni, ma anche il diritto di ricercarle.

Da ciò consegue che, dalla suddetta disposizione, ben può scaturire un “obbligo positivo per gli Stati membri”, nella misura in cui la disponibilità delle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni risulti indispensabile per garantire l’effettività della libertà d’espressione.

Detta evoluzione offre, dunque, nuova linfa al dibattito in materia di diritto d’accesso agli atti e contribuisce a promuovere lo sviluppo della trasparenza amministrativa negli Stati

 

[1] Cons. Stato, Sez. atti normativi, 24 febbraio 2016, n. 515.

[2] MANGANARO, L’evoluzione del principio di trasparenza amministrativa, Astridonline.it, 2009.

[3] CORRADO, La trasparenza negli appalti pubblici, tra obblighi di pubblicazione e pubblicità legale, Federalismi.it, 2018.

[4] CARINGELLA-GAROFOLI-SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, 2007.

[5] Garante per la protezione dei dati personali, determinazione 15 maggio 2014, n. 243, recante “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati”.

[6] T.A.R. Bolzano, 3 ottobre 2016, n. 273; T.A.R. Toscana, Sez. I, 26 ottobre 2015, n. 1422; T.A.R. Calabria, Sez. II, 3 aprile 2014, n. 540; T.A.R. Veneto, Sez. I, 30 luglio 2012, n. 1060; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 4 settembre 2009, n. 2265.

[7] GALETTA, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del Decreto Legislativo n. 33/2013, Federalismi.it, 2016; NICOTRA, La dimensione della trasparenza tra diritto alla accessibilità totale e protezione dei dati personali: alla ricerca di un equilibrio costituzionale, Federalismi.it, 2015; PAJNO, Il principio di trasparenza alla luce delle norme anticorruzione, GC, 2015.

[8] T.A.R. Lazio, Sez. III-bis, 24 novembre 2017, n. 11628, relativamente all’accesso alle registrazioni di video in streaming, per le quali non è prevista l’archiviazione su supporti locali.

[9] T.A.R. Campania, Sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5901.

[10] Cons. Stato, Sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5515.

[11] Anac, determinazione 28 dicembre 2016 n. 1309, recante le indicazioni operative e le esclusioni e i limiti all’accesso civico generalizzato, adottata d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni-Comunità locali.

[12] Cons. Stato, Sez. VI, 22 aprile 2008, n. 1842.

[13] Cons. Stato, Sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2269, Sez. III, 16 maggio 2016, n. 1978; Sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4209.

[14] Cons. Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2018, n. 651.

[15] Intimando, a pena di inammissibilità del ricorso, anche gli eventuali controinteressati: T.A.R. Lazio, Sez. I-bis, 29 gennaio 2017, n. 12788.

[16] Circolare del Ministro della funzione pubblica 30 maggio 2017 n. 2.

[17] T.A.R. Lazio, Sez. I-bis, 22 febbraio 2018, n. 2034 che, nell’accogliere il ricorso, ha dichiarato “l’obbligo dell’amministrazione resistente di riscontrare l’istanza del ricorrente”.

[18] CORRADO, Il silenzio dell’amministrazione sull’istanza di accesso civico generalizzato: quale possibile tutela processuale, Federalismi.it, 2018; Anac, determinazione n. 1309/2016, secondo cui “in ogni caso, a fronte del rifiuto espresso, del differimento o dell’inerzia dell’amministrazione, il richiedente può attivare la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 116 c.p.a.”.

[19] L’art. 24, comma 1, della legge n. 241/1990 esclude l’accesso documentale: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo; b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; c) nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.

[20] Sull’illegittimità del rifiuto motivato esclusivamente sull’opposizione del controinteressato: T.A.R. Campania, Sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5901.

[21] Anac, determinazione n. 1309/2016, pag. 11, che rinvia a CGUE,15 maggio 1986, in causa C-222/84; Trib. UE, Sez. I, 13 aprile 2005, in causa T-2/03.

[22] T.A.R. Lombardia, Sez. III, 11 ottobre 2017, n. 1951.

[23] CEDU, Sez. III, 8 novembre 2016, n. 72384, in causa 18030/11, Magyar Helsinki Bizottsag c. Ungheria.