Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 4733

  1. L’art. 2 della legge n. 287 del 1990 punisce le intese restrittive della concorrenza, frutto dell’incontro di più volontà … […] … […] … per costante giurisprudenza comunitaria, spetta, da un lato, all’autorità che asserisca l’esistenza di un’infrazione alle regole di concorrenza l’onere di darne la prova, dimostrando in forma sufficiente i fatti costitutivi dell’infrazione stessa, mentre, dall’altro lato, incombe all’impresa, che invochi a proprio favore un mezzo difensivo diretto a contrastare una constatazione di infrazione, l’onere di provare che le condizioni per l’efficacia di tale mezzo difensivo sono soddisfatte … […] La giurisprudenza di questa Sezione, … […] …, reputa sufficiente e necessaria in questa materia l’emersione di indizi, purché seri, precisi e concordanti, con la precisazione che la circostanza che la prova sia indiretta (o indiziaria) non comporta necessariamente che la stessa abbia una forza probatoria attenuata. … […] … appare immune dai denunziati vizi di legittimità la valutazione d’inattendibilità che la stessa Autorità ha espresso in merito alla spiegazione del parallelismo alternativa al coordinamento, fornita dalle parti […] … Come correttamente replicato dall’Autorità, la condotta contestata non consiste nell’aver partecipato alle gare in forma di raggruppamento, bensì nell’impiego strumentale delle ATI per spartire i lavori relativi ai due lotti di Taranto e Augusta, tra gruppi d’imprese che in passato avevano presentato offerte concorrenti.
  2. La definizione di mercato rilevante compiuta dall’AGCM nella singola fattispecie non è censurabile nel merito da parte del giudice amministrativo, se non per vizi di illogicità estrinseca … […] … Diversamente dai casi di concentrazioni e di accertamenti della posizione dominante, … …, in presenza di un’intesa illecita la definizione del mercato rilevante è successiva rispetto all’individuazione dell’intesa poiché l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa medesima circoscrivono il mercato … [..] Anche le gare di pubblici appalti possono costituire, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, un mercato a sé stante, in quanto la definizione del mercato rilevante varia in funzione delle diverse situazioni di fatto.
  3. Nel caso di intesa avente un oggetto anticoncorrenziale, non è necessario, perché la stessa possa essere qualificata come illecita, effettuare ulteriori valutazioni sugli effetti concreti che la stessa ha avuto sul mercato, la suddetta qualificazione conseguendo al riscontro dell’oggettiva idoneità della stessa ad alterare la concorrenza. … […]. Tuttavia, l’analisi degli effetti prodotti sul mercato ben può incidere sulla valutazione di gravità della intesa illecita e, di conseguenza, sulla quantificazione della sanzione pecuniaria. … […] la mera interruzione del comportamento illecito successivamente all’avvio dell’attività istruttoria non costituisce di per sé una circostanza attenuante.
  4. Il giudice amministrativo, in relazione ai provvedimenti dell’AGCM, esercita un sindacato di legittimità che non si estende al merito, salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio: pertanto deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’Autorità risulti immune da travisamenti e vizi logici, e accertare che le disposizioni giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate ed applicate, mentre, laddove residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il giudice amministrativo non può comunque sostituirsi all’AGCM nella definizione di tali concetti, se questa sia attendibile secondo la scienza economica ed immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici e da vizi di violazione di legge. … Tali principi giurisprudenziali sono stati di recente recepiti dal legislatore con il d.lgs. 19 gennaio 2017 n. 3 …, entrata in vigore il 3 febbraio 2017 – inapplicabile ratione temporis in via diretta al presente processo – il cui art. 7, comma 1, per quanto qui interessa, testualmente recita: << […] Il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima […]>>.

BREVI ANNOTAZIONI

OGGETTO DELLA SENTENZA

Con la sentenza n. 4733 del 12 ottobre 2017, il Consiglio di Stato ha esaminato un caso d’intesa restrittiva della concorrenza accertata nell’ambito di gare pubbliche.

Con la pronuncia in commento, i Giudici di Palazzo Spada affrontano la problematica della portata anticoncorrenziale di una serie di atti e/o strumenti civilistici di per sé legittimi e si soffermano sulla nozione di “pratiche concordate”; quindi, sulla possibile coesistenza, nell’ambito di una stessa intesa, quali forme collusive, e di “accordi”, e di “pratiche concordate”.

Il Consiglio di Stato, altresì, nel pronunciarsi su una fattispecie di condotte anticoncorrenziali, con la sentenza in commento va a consolidare taluni principi giurisprudenziali, di diritto sostanziale e processuale, in precedenza affermati in materia.

La decisione che si annota, da un lato, offre spunti di riflessione sulla portata anticoncorrenziale di una serie atti, strumenti civilistici, anche, in tesi, in sé legittimi; dall’altra, si espone a critica sia con riferimento al capo della decisione in cui ha motivato sulla rideterminazione in riduzione della sanzione, sia con riferimento alla parte della decisione in cui, nel ripercorrere l’indirizzo giurisprudenziale in materia di sindacato del giudice amministrativo sugli atti e/o provvedimenti dell’Autorità, richiama l’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 3/2017 la cui formulazione letterale sembra propendere per un interpretazione “restrittiva” del sindacato giurisdizionale.  

Come si avrà modo di constatare, l’utilizzo da parte delle imprese, nell’ambito delle gare pubbliche, di atti, strumenti, di per sé leciti, per realizzare scopi anticoncorrenziali sanzionati dall’Antitrust è ancora attuale.

 

PERCORSO ARGOMENTATIVO

Il caso: la decisione con la quale il Consiglio di Stato ha riformato parzialmente le sentenze di primo grado del TAR Lazio travolgendo, sotto il profilo del quantum, l’efficacia del provvedimento sanzionatorio dell’Autorità.

Con il provvedimento n. 25739 del 18 novembre 2015, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato accertava che 12 (dodici) società avevano posto in essere un’intesa anticompetitiva, in violazione dell’art. 101 TFUE, volta ad alterare il corretto svolgimento di tre procedure di gara concernenti l’affidamento dei servizi di bonifica e smaltimento dei materiali potenzialmente inquinanti e/o pericolosi e lavorazioni accessorie da eseguirsi su unità navali, sommergibili, naviglio dipartimentale, bacini galleggianti e imbarcazioni a motore e non a motore della Marina militare presso gli arsenali di Taranto, La Spezia ed Augusta.

La decisione faceva seguito ad un articolato e complesso procedimento istruttorio avviato su denuncia dello stesso Ministero appaltante che, nel gestire le citate procedure di gara, aveva riscontrato alcune anomalie comportamentali indicative di condotte anticompetitive d’impresa.

Le evidenze raccolte nel corso del procedimento confermavano l’esistenza di una grave collusione tra concorrenti ed inducevano l’Autorità ad irrogare sanzioni pecuniarie.

Le parti impugnavano il provvedimento dell’Autorità dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio il quale respingeva i ricorsi proposti dalle società ricorrenti confermando la legittimità del provvedimento impugnato n. 25739 del 18 novembre 2015 adottato dall’Autorità.

In particolare, il giudice di prime cure riteneva il provvedimento sanzionatorio immune dalle censure articolate nei gravami, logica e convincente la ricostruzione dell’articolata ed unitaria concertazione constatata dall’Autorità.

Secondo il Collegio, l’intesa accertata costituiva un tipico caso di intesa “hard core” restrittiva nel suo oggetto, comprendente sia la ripartizione del mercato sia la determinazione concordata delle offerte, ulteriormente connotata dal fatto di insistere sullo svolgimento di pubbliche procedure di gara.

Nella fattispecie, nell’articolata ed unitaria concertazione, confluivano “due distinti segmenti collusivi” tra loro correlati e funzionali.

Un primo segmento concertativo era quello che si sviluppava in modo specifico, (a partire dalla gara n. G305 del 2011) in relazione ai due lotti di Taranto e Augusta e mirava a distribuire tra le imprese confluite nelle ATI “A” e “A1” l’esecuzione dei lavori relativi ai due arsenali indicati.

Un secondo tassello concertativo era diretto invece ad evitare che, in relazione ai lotti di Taranto e Augusta, (a partire dalla gara n. G313 del 2012), un’offerta concorrente provenisse dalle imprese confluite nell’ATI “B”, e che, al contempo, un’offerta da parte delle imprese confluite nelle ATI “A” e “A1” potesse essere formulata in relazione al lotto di La Spezia.

Questo secondo momento concertativo trovava attuazione attraverso la reciproca astensione, delle imprese coinvolte nell’intesa, dalla presentazione di offerte nei lotti che la concertazione attribuiva ai concorrenti.

Secondo il giudice di prime cure, l’Autorità forniva una ricostruzione dei fatti, basata su elementi endogeni, indubbiamente sufficienti a dimostrare la sussistenza della pratica collusiva, fondando l'accertamento dell'intesa, nel caso di specie, su un insieme di elementi ed evidenze gravi precise e concordanti che, nel loro complesso, tratteggiavano una linea comportamentale chiara, la cui congruenza e coerenza non lasciava spazio ad ipotesi di "ricostruzione alternativa".

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio riteneva infine condivisibile, nel caso di specie, anche l’iter argomentativo seguito dall’Autorità nella quantificazione della sanzione, sia in relazione alla valutazione di gravità delle condotte considerate e sia in relazione alle valutazioni specifiche sulla posizione delle singole partecipanti.

Le società soccombenti proponevano appello dinnanzi al Consiglio di Stato.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento del 18 maggio 2017, depositata in data 12 ottobre 2017, accoglieva la censura volta a contestare il quantum delle sanzioni inflitte e riteneva fondati gli appelli esclusivamente con riferimento alla rideterminazione della sanzione in riduzione.

In particolare, secondo il Consiglio di Stato, nella fattispecie, mentre “è certamente emersa l’esistenza di un’intesa avente un oggetto potenzialmente anticoncorrenziale”, non sono apparsi evidenti gli effetti prodotti sul mercato dalla concertazione illecita ed il concreto pregiudizio arrecato al funzionamento del mercato.

Secondo il Collegio, tali elementi, pur non condizionando la valutazione di gravità dell’intesa da svolgere in sede di verifica circa la sussistenza dell’illecito, devono essere tenuti in considerazione in sede di quantificazione della sanzione da irrogare.

In ottemperanza alla citata sentenza del Consiglio di Stato n. 4733/2017, l’Autorità, con provvedimento n. 26874 del 29 novembre 2017, rideterminava, in conformità alle indicazioni del giudice amministrativo nella sentenza in discorso, l’importo finale della sanzione amministrativa pecuniaria irrogata alle società coinvolte nella concertazione vietata.

 

Partecipazione delle Imprese alle gare pubbliche con strumenti civilistici leciti (es. ATI, etc.): orientamenti giurisprudenziali e pronuncia EFTA (Caso E-3/16 del 22 dicembre 2016).

Nel giudizio de quo, viene sottoposto al vaglio di legittimità del Consiglio di Stato un caso di intesa anticoncorrenziale posta in essere in sede di partecipazione a gare di appalto attraverso lo strumento del raggruppamento temporaneo di imprese.

In particolare, con la citata decisione, i giudici di primo e di secondo grado hanno evidenziato che il disegno collusivo realizzato dalle imprese coinvolte era stato nella specie perseguito attraverso: i) la costituzione coordinata di tre Associazioni Temporanee di Imprese (ATI), dotate di compagini omogenee e nelle quali sono confluite operatori che un tempo si erano fronteggiati, per la partecipazione alle procedure di gara; ii) l’uso coordinato di ciascuna ATI per la presentazione di offerte in un solo e diverso lotto (sempre l’ATI A per il lotto di Taranto e sempre l’ATI A1 per il lotto di Augusta); iii) la riallocazione effettiva dei lavori tra una parte soltanto dei componenti delle due ATI; iv) la reciproca astensione delle imprese coinvolte nella collusione dalla presentazione di offerte nei lotti che la concertazione attribuiva ai concorrenti.

Nel caso che ci occupa, attraverso la costituzione delle tre ATI, le imprese hanno posto in essere una complessa strategia restrittiva della concorrenza finalizzata alla ripartizione del mercato ed al regolare condizionamento di gare ad evidenza pubblica.

La partecipazione alla singola gara di imprese in raggruppamento temporaneo non è di per sé sintomatico dell’esistenza, nell’ipotesi, di un’intesa restrittiva della concorrenza.

Segnatamente, il problema concorrenziale si pone allorché lo strumento dell’associazione temporanea si riveli sovrabbondante o comunque non necessario ai fini partecipativi anche nel senso che tutti i soggetti partecipanti all’ATI, costituita o costituenda, avrebbero i requisiti prescritti dalla lex specialis, ossia dal bando di gara, per la partecipazione alla competizione pubblica anche singolarmente.

In questo contesto, la tipicità della fattispecie negoziale partecipativa (attraverso la forma di ATI costituita o costituenda) non può di per sé escludere la natura abusiva dell’associazione per violazione delle regole sulla concorrenza e per violazione di dettami estranei alla corretta dinamica concorrenziale del singolo confronto competitivo.

Il Consiglio di Stato, nel vagliare la legittimità di un caso di RTI “sovrabbondante”, ha evidenziato che comportamenti lesivi della concorrenza ben possono essere posti in essere attraverso un uso di facoltà e/o diritti riconosciuti dall’ordinamento dei quali si faccia un utilizzo strumentale, non coerente con il fine per il quale sono attribuiti.

Secondo il Collegio, anche se l’Ordinamento non vieta in generale il c.d. RTI “sovrabbondante”, occorre verificare in concreto il possibile utilizzo del raggruppamento a fini anticoncorrenziali; ciò, attraverso l’individuazione della causa effettiva e concreta dell’accordo concluso tra le imprese, da intendersi non come astratta funzione economico-sociale ma come reale giustificazione dell’operazione economica posta in essere[i].

Diversamente, si perverrebbe all’abnorme risultato che l’illecito concorrenziale sarebbe pressoché mai individuabile e sanzionabile per il semplice fatto che, il più delle volte, consiste in comportamenti leciti se visti esclusivamente alla luce di settori dell’ordinamento diversi da quello della concorrenza.

Al fine di evitare l’utilizzo strumentale, a fini anticoncorrenziali, di ATI o RTI, l’Autorità, in passato, aveva originariamente promosso l’inserimento, da parte delle stazioni appaltanti, nei bandi di gara, di clausole di esclusione di RTI costituiti da imprese aventi già singolarmente i requisiti finanziari e tecnici per la partecipazione.

Successivamente, tenendo conto delle osservazioni della DG Mercato interno secondo la quale le citate clausole di esclusione violerebbero il principio di proporzionalità, l’Autorità, nel fornire chiarimenti in relazione all’inserimento nei bandi di gara di dette clausole, si è espressa ritenendo possibile escludere, da parte delle stazioni appaltanti, i RTI sovrabbondanti ma solo a seguito di un’analisi delle dinamiche del mercato e di altri elementi da cui desumere una volontà anticoncorrenziale delle imprese[ii].

Pertanto, la tipicità legale del negozio o dello strumento contrattuale utilizzato (nel caso di specie, si è trattato di raggruppamenti temporanei di impresa, ma analogo discorso può farsi con riferimento a tutti gli strumenti legittimi di collaborazione previsti dall’Ordinamento, quali ad es. il contratto sociale consortile, etc.) o il fatto che esso abbia un oggetto principale che nulla abbia a che vedere con la concorrenza, non esclude la possibilità di una valutazione degli effetti antitrust e un possibile giudizio di illiceità, totale o parziale, per violazione della normativa a tutela della concorrenza.

Sul punto, pacifica è la giurisprudenza della Corte di Giustizia[iii] e la giurisprudenza nazionale anche del Consiglio di Stato[iv].

È stato affermato che: “… l’uso di strumenti consentiti in via generale non è di per sé neutro ben potendo esserne apprezzato il concreto esito, anche e soprattutto alla luce del principio della tutela della concorrenza. I comportamenti lesivi della concorrenza ben possono desumersi anche sulla base di un uso di facoltà e/o di diritti riconosciuti dall'ordinamento, dei quale si faccia però un impiego strumentale e non coerente con il fine per il quale essi sono riconosciuti …[v].

Ciò che rileva a fini antitrust, non è la legittimità o meno di specifici comportamenti posti in essere dalle imprese, ma la portata anticoncorrenziale degli stessi.

In questa prospettiva, “… atti quali la sottoscrizione di un'ATI, di un consorzio o di un accordo quadro anche se legittimi da quel punto di vista settoriale, si colorano come elementi indicatori di questo sproporzionato intento o effetto anticoncorrenziale … diversamente opinando si perverrebbe al risultato, inaccettabile, per cui l'illecito concorrenziale sarebbe pressoché inconfigurabile, grazie al semplice fatto che consiste il più delle volte in comportamenti analiticamente leciti se visti solo alla luce dì settori dell'ordinamento altri da quello della concorrenza …[vi].

È stato, altresì, affermato che “ la circostanza che a.t.i. e consorzi siano frutto di negozi giuridici tipizzati non esclude la loro contrarietà al diritto antitrust, allorché risulti che la causa concreta degli stessi, intesa come concreta funzione socio-economica dell'affare, sia illecita in quanto volta a contrassegnare un assetto contrario a norme imperative. Molteplici istituti civilistici sono infatti "neutri" ai fini antitrust dovendo essere verificato in concreto il loro utilizzo a fini anticoncorrenziali ... Non è infatti in discussione la funzione economico-sociale del contratto di a.t.i. né la tipicità legale dello stesso, ma il suo concreto utilizzo, avvenuto con finalità anticoncorrenziale e, quindi, per il perseguimento di interessi illeciti…[vii].

I medesimi principi sono stati condivisi dal TAR Lazio nelle sue pronunce.

Si è detto: “… se pur – come dedotto da parte ricorrente – l’ATI permanente (o di lungo periodo), il Consorzio e l’Accordo quadro sono certamente strumenti legittimi di collaborazione, al pari di contatti, degli incontri e degli scambi di informazioni relativi alle singole gare, […] considera il Collegio che la sanzione riguarda non il legittimo utilizzo dei predetti strumenti, bensì la sussistenza di «un disegno collusivo volto al condizionamento di gare ad evidenza pubblica» e in particolare «l'eliminazione del rischio di qualunque confronto competitivo al fine di pervenire in modo coordinato alla ripartizione dei servizi oggetto di appalto» (…) mediante un’ampia e complesse strategia, in cui le indicate forme di informazione e di collaborazione acquistano un’utilità indiretta e strumentale –ed a loro volta nel loro ripetersi costituiscono un univoco indizio- rispetto al più generale intento anticoncorrenziale di segmentazione e ripartizione del mercato di riferimento …[viii].

Laddove pertanto emerge la volontà di utilizzare tali strumenti (ATI, consorzio, etc.) a fini ripartitori, finalizzati alla eliminazione di qualsiasi confronto concorrenziale tra le parti in relazione alla partecipazione a singole gare e a gruppi di gare, si configura una condotta anticoncorrenziale, come tale potenzialmente sanzionabile.

Con la decisione in commento, il Consiglio di Stato ha condiviso l’orientamento giurisprudenziale innanzi esplicitato ribadendo che, nella specie, la condotta contestata e sanzionata dall’Autorità alle imprese coinvolte non è consistita nell’aver partecipato alle gare in forma di raggruppamento temporaneo di imprese, bensì nell’impiego strumentale delle ATI per spartire i lavori relativi ai due lotti di Taranto e Augusta, tra gruppi di imprese che in passato avevano presentato offerte concorrenti.

Il Collegio ha poi evidenziato, quanto all'enfatizzazione, da parte delle imprese appellanti, del carattere "a chiamata" dell'appalto per giustificare la mancata partecipazione di alcune imprese ai lavori relativi alle ATI di appartenenza, che è dirimente la circostanza che nessuna delle imprese in concreto astenutesi dalla partecipazione ai lavori è riuscita a dimostrare che i servizi per i quali esse partecipavano alle ATI non erano stati chiesti dagli Arsenali interessati.

Ha quindi concluso affermando che “… non può costituire una causa di giustificazione di un'intesa restrittiva volta alla ripartizione del mercato la circostanza che, diversamente, l'impresa non avrebbe potuto perseguire i propri interessi commerciali”.

Nel caso di specie, da una disamina delle sentenze di primo e di secondo grado, emerge chiaramente che la concorrenza è stata alterata, non già dalla costituzione stessa delle ATI, da parte delle imprese coinvolte nella collusione, ma dalla prova, ritenuta dai giudici ampiamente fornita dall’Autorità, che attraverso le ATI dette imprese hanno realizzato un intento anticoncorrenziale a fini spartitori del mercato.

Con riferimento al dibattito riguardante la valutazione antitrust di offerte congiunte presentate da più imprese in occasione di gare, è significativo segnalare una recente pronuncia della Corte EFTA[ix] (European Free Trade Association), resa su richiesta della Corte Suprema Norvegese, in merito al test legale richiesto per valutare un accordo come restrittivo della concorrenza, per oggetto, ai sensi dell’art. 53 dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (in seguito anche art. 53 dell’accordo SEE) avente analogo contenuto dell’art. 101 TFUE.

La fattispecie trae origine da una decisione dell’Autorità di concorrenza Norvegese che aveva accertato e sanzionato, a carico delle imprese coinvolte, una violazione del divieto di intesa restrittiva della concorrenza per aver presentato offerte congiunte in due procedure di gara, indette dall’Ospedale di Oslo nel 2010, aventi ad oggetto l’acquisizione del servizio di trasporto ai pazienti.

In particolare, le due imprese di trasporto taxi avevano partecipato alle predette gare attraverso una loro joint venture, costituita anni prima, sia per gestire in comune il sistema di prenotazione dei taxi, sia per gestire varie altre attività di natura amministrativa e “infrastrutturale”, inclusa la partecipazione a gare con progetti congiunti.

Dagli elementi acquisiti nel corso del procedimento, emergeva la consapevolezza delle parti di ridurre, in tal modo, la concorrenza rispetto al passato.

L’Autorità di concorrenza norvegese, con detta decisione, valutava le citate imprese in grado di presentare due distinte offerte, potendo pertanto porsi come concorrenti. Considerava, quindi, la presentazione di una sola offerta, da parte della loro joint venture, per conto delle due imprese, come integrante un accordo tra concorrenti con riguardo al prezzo, la qualità e la capacità di offrire, ossia un accordo restrittivo della concorrenza in violazione della legge antitrust nazionale.

Le parti nei loro appelli nei diversi gradi di giudizio e da ultimo innanzi alla Corte Suprema Norvegese hanno sostenuto che la loro partecipazione congiunta alle gare non poteva costituire una restrizione della concorrenza per oggetto.

La Corte Suprema ha pertanto interpellato la Corte EFTA la quale, in generale, ha osservato che la valutazione del contesto economico e legale di un accordo, ai fini della sua eventuale qualificazione come restrittivo per oggetto, ai sensi dell’art. 53 dell’accordo SEE, deve essere distinta dalla dimostrazione dei suoi effetti anticompetitivi; diversamente, perderebbe di significato la distinzione tra restrizione per oggetto e per effetto.

Con riguardo al caso di specie, la Corte ha poi osservato che la presentazione di un’offerta congiunta da parte di più imprese per la partecipazione ad una gara implica un accordo di prezzo, che è espressamente proibito dall’art. 53 dell’accordo SEE, per cui l’analisi del contesto economico e legale della condotta può essere limitata a quanto strettamente necessario per stabilire l’esistenza di una restrizione per oggetto. Tuttavia, secondo la Corte rimane necessario verificare se le parti siano concorrenti e se la restrizione di prezzo sia derivante da un accordo più ampio.

Inoltre, ad avviso della Corte, il rendere noto all’ente appaltante la natura congiunta dell’offerta presentata dalle imprese può costituire un indice di fatto che le parti non intendevano violare il divieto di intese restrittive.

Considerando tuttavia che l’intento delle parti costituisce un possibile, ma non necessario, elemento di giudizio, la Corte EFTA ha rimesso alla Corte Suprema ogni valutazione, ai fini di un eventuale esclusione dell’intesa anticoncorrenziale, sulla rilevanza, quale elemento, della natura pubblica dell’offerta congiunta.

A quest’ultimo riguardo, dalla pronuncia emerge che la Commissione Europea ha espresso delle riserve osservando che la natura pubblica della cooperazione fra concorrenti ai fini della partecipazione alla gara non appare idonea a far venir meno l’oggettiva restrittività della condotta.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, è possibile concludere che appare emergere un generale ampio consenso sull’inquadramento, alla stregua di intese restrittive per oggetto, degli accordi sulla partecipazione congiunta a gare da parte di imprese che potrebbero partecipare singolarmente; quindi, un’ampia condivisione nel ritenere che la presentazione congiunta di offerte da parte di due operatori concorrenti corrisponda nei fatti ad un price-fixing.

Definizione di “pratica concordata” ed accertamento della realizzazione dell’intesa restrittiva della concorrenza nel contesto degli appalti.

Come sopra detto, il caso (I/782) riguarda tre procedure di gara bandite dal Ministero appaltante, nell’arco temporale 2011-2013, aventi ad oggetto l’affidamento dei servizi di bonifica e smaltimento dei materiali potenzialmente inquinanti e/o pericolosi e lavorazioni accessorie da eseguirsi su unità navali, sommergibili, naviglio dipartimentale, bacini galleggianti e imbarcazioni a motore e non a motore della Marina militare, presso gli arsenali di Taranto, La Spezia ed Augusta.

Le tre gare interessate, bandite, rispettivamente, il 10 giugno 2011(gara G305), il 15 giugno 2012 (gara G313) e il 16 luglio 2013 (gara G324), sono state indette con la procedura ad evidenza pubblica di tipo ristretto e aggiudicate con il criterio di selezione del massimo ribasso, tutte ugualmente ripartite in tre lotti autonomi: lotto 1, arsenale di Taranto, lotto 2 arsenale di La Spezia, lotto 3 arsenale di Augusta.

L’Autorità, con il provvedimento impugnato, ha concluso il procedimento istruttorio accertando l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza per oggetto, orizzontale e segreta, finalizzata a condizionare la dinamica delle gare e neutralizzare il confronto competitivo per l’aggiudicazione delle commesse.

Come noto, le intese vietate, ai sensi della legge antitrust, nazionale e comunitaria (art. 2 L. n. 287/90 e art. 101 TFUE), si distinguono in intese anticoncorrenziali “per oggetto” e “per effetto”; le prime hanno un contenuto intrinsecamente contrario ai dettami della concorrenza, mentre le seconde, pur avendo un oggetto di per sé lecito, producono effetti praticamente distorsivi o restrittivi snaturanti le normali regole di mercato.

Tra le intese restrittive “per oggetto” della concorrenza, riscontrabili in fase di procedure di gara, troviamo, senz’altro, quelle finalizzate alla ripartizione del mercato.

In proposito, la giurisprudenza comunitaria ha affermato che:  “… le intese finalizzate alla ripartizione dei mercati hanno un oggetto restrittivo della concorrenza in sé e appartengono a una categoria di accordi espressamente vietati dall'articolo 101, paragrafo 1, TFUE, poiché un siffatto oggetto non può essere giustificato mediante un'analisi del contesto economico e giuridico in cui si inscrive la condotta anticoncorrenziale di cui trattasi …[x].

Sulla stessa linea è anche l’orientamento del Consiglio di Stato il quale, nelle sue pronunce, ha affermato che le intese finalizzate alla ripartizione dei mercati o della clientela costituiscono una restrizione, per oggetto, grave (hard core) della concorrenza[xi].

Un’ulteriore intesa restrittiva “per oggetto” della concorrenza, riscontrabile, anche in fase di procedure di gara, è senz’altro quella finalizzata alla determinazione concordata, tra le parti, delle offerte[xii].

Secondo l’art. 101 TFUE e l’art. 2 L. n. 287/90, innanzi richiamati, le intese restrittive della concorrenza “per oggetto” o “per effetto” vengono poste in essere per il tramite di accordi, pratiche concordate e deliberazioni di associazioni di imprese.

Ha affermato il Consiglio di Stato che “… la nozione di accordo è molto ampia e ricomprende tutte le forme con la quale la comune volontà delle parti si manifesta e non rende necessario che un accordo sia rappresentato da un vero e proprio contratto giuridicamente valido o in forma scritta …[xiii].

Si ha pratica concordata, invece, tutte le volte in cui le imprese non si comportano in modo autonomo sul mercato ma, intenzionalmente ed a danno della concorrenza, tengono condotte ispirate da un meccanismo collusivo[xiv].

Secondo la Corte di Giustizia, “la nozione di pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento dell’attività delle imprese che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, costituisce in pratica una consapevole collaborazione fra le imprese stesse a danno della concorrenza, collaborazione la quale porti a condizioni di concorrenza non corrispondenti a quelle normali del mercato, tenuto conto della natura dei prodotti, dell’entità e del numero delle imprese e delle caratteristiche del mercato stesso[xv].

Ha affermato poi il Consiglio di Stato, richiamando giurisprudenza comunitaria[xvi] e nazionale[xvii], che: “nella pratica concordata, pur mancando un accordo espresso, vi è una forma di coordinamento tra imprese che sostituisce consapevolmente una pratica collaborazione fra le stesse ai rischi della concorrenza. […] Si è quindi in presenza di un comportamento costante, uniforme, parallelo di una pluralità di imprese, frutto di una concertazione che, pur non formalizzata in un accordo, emerge dall’univocità dei comportamenti concreti […]…[xviii].

In generale, secondo giurisprudenza nazionale, l’onere probatorio relativo ad un caso di pratica concordata si articola su due diversi tipi di prova: elementi endogeni (collegati alla stranezza intrinseca della condotta, ovvero al parallelismo delle condotte ed alla mancanza di spiegazioni alternative nel senso che, in una logica di concorrenza, il comportamento delle imprese almeno ragionevolmente sarebbe stato diverso) e fattori esogeni (ossia attinenti a riscontri esterni, quali scambi di informazioni ed, in generale, contatti diretti tra le parti). E’ onere dell’Autorità mostrare la natura collusiva dei primi; mentre è onere delle parti fornire spiegazioni di come i secondi debbano essere interpretati alla luce di intendi non collusivi.

In astratto, le nozioni di “accordo” e “pratica concordata” appaiono evidentemente distinte; tuttavia, è opportuno evidenziare che, concretamente, non è sempre agevole discernere le due fattispecie e quello che può apparire una “pratica concordata” può essere benissimo il frutto di un vero e proprio “accordo”.

In proposito, gli elementi di prova in genere raccolti da un’Autorità antitrust non sono spesso tali da far dirimere il dubbio.

La nozione di “pratica concordata”, quindi, sia nel diritto europeo, sia nel diritto statunitense, è discussa ed è tuttora in essere un dibattito in merito ai suoi elementi costitutivi[xix].

Negli Stati Uniti, tra gli esperti di antitrust, si contrappongono due principali teorie: oggettiva e soggettiva.

L’approccio “oggettivo” richiede un qualche elemento oggettivo alla base di un’azione concertata (es. contatti di qualsivoglia natura, scambi di informazioni, etc.) che provi la scelta delle imprese di optare per una condotta coordinata.

L’approccio “soggettivo”, invece, accentua la circostanza che la confluenza su equilibri non competitivi possa realizzarsi anche senza il ricorso ad elementi oggettivi.

In Europa, sembra preferito l’approccio oggettivo della nozione di “pratica concordata”.

La questione della “pratica concordata”, poi, assume tratti ancor più singolari nel contesto degli appalti.

In primo luogo, con riferimento agli appalti, il parallelismo delle condotte è dilatato estendendosi a tutti i possibili pattern che possono evidenziare (in difetto di spiegazione non collusiva) la presenza di intenti collusivi, quali offerte di comodo, l’astensione dalla presentazione di offerte da parte di tutti, o di parte, degli operatori, etc..

In secondo luogo, nell’ambito degli appalti, la presenza di uno scambio di informazione o di contatti diretti fra imprese concorrenti, che in un’ipotesi generale di collusione costituisce saldo elemento di prova, risulta talvolta non decifrabile in modo chiaro, in quanto, negli appalti, alcune forme di collaborazione diretta fra concorrenti sono lecite (es. ATI).  

Con riferimento alle due fattispecie (accordo e pratica concordata), va evidenziata la matrice unitaria delle stesse, più volte sottolineata dai giudici amministrativi. Questi ultimi rammentano che, storicamente, la nozione di “pratica concordata” viene introdotta, non come autonoma fattispecie di diritto sostanziale, ma come fattispecie strumentale, indicativa, in assenza di prove salde, di condotte collusive tra le imprese. In questa prospettiva, la nozione di “pratica concordata” assume un significato ampio.

La giurisprudenza comunitaria attribuisce la medesima natura ad “accordi” e “pratiche concordate” spingendosi sino ad evidenziare che tale suddivisione, significativa per individuare la varietà di forme che le intese possono assumere, in concreto tende a perdere di significato, data l’irrilevanza dell’esatta qualificazione delle forme di cooperazione tra imprese per la sussistenza di un’intesa illecita.

Secondo consolidata giurisprudenza comunitaria, infatti, non è necessario qualificare esattamente la forma di cooperazione tra imprese contestata alle parti[xx]; ciò, anche se l’art. 101 TFUE (così come l’art. 2 legge n. 287 del 1990 in ambito nazionale) distingue il concetto di “pratica concordata” da quello di “accordi tra imprese” e di “decisioni di associazioni d’imprese”.

Tale distinzione, è stato affermato, è dovuta all’intenzione di comprendere, fra i comportamenti vietati dalla citata disposizione, forme diverse di coordinamento tra imprese ed evitare che le stesse, facendo leva sulla sola forma, possano sfuggire alle regole della concorrenza.

La giurisprudenza dell’Unione Europea ha chiarito che non sussiste, in capo all’Autorità di Concorrenza, un obbligo di qualificare con precisione a quale categoria appartenga il tipo di condotta contestata, anche perché spesso i cartelli si articolano in condotte complesse caratterizzate dalla sovrapposizione di differenti infrazioni[xxi].

Segnatamente, secondo la Corte di Giustizia, “accordi” e “pratiche concordate” sono forme collusive che condividono la medesima natura, possono coesistere anche nell'ambito di una stessa intesa, e si distinguono solo per la loro intensità e per le forme in cui esse si manifestano[xxii].

Il citato principio della giurisprudenza comunitaria è stato richiamato anche dalla giurisprudenza nazionale la quale, in talune pronunce, ha poi affermato che “ […] … dal momento che il concetto di accordo e quello di pratica concordata presentano, in modo particolare, elementi costitutivi differenti, essi non sono mutualmente incompatibili e possono quindi coesistere …[xxiii].

Conseguentemente, è stato affermato in giurisprudenza che “ … l'eventuale qualificazione, da parte dell'Autorità antitrust, di una determinata situazione di fatto come 'accordo', anziché come 'pratica concordata', non vale ad immutare la sostanza dei fatti materiali addebitati alle imprese sanzionate per un'intesa restrittiva della concorrenza, rilevando la distinzione tra le diverse forme di manifestazione dell'intesa vietata primariamente sul piano del regime probatorio …[xxiv].

L’aspetto principale che sembra ricavarsi dalle sentenze su citate riguarda l’enfasi posta ad adottare, in tali casi, un approccio unitario, ovvero “un approccio metodologico olistico”[xxv] così da individuare un’intesa orizzontale posta in essere con complesse forme di condotta (accordi, pratiche concordate in senso stretto, scambi di informazioni, etc.).

Invero, l’approccio “olistico” appare poter costituire una costante anche nei casi di bid rigging (termine con la quale s’intende la collusione in appalti tra imprese per la ripartizione del mercato).

La giurisprudenza, nel valutare della legittimità del provvedimento dell’Autorità con riferimento ad un caso di bid rigging, ha parlato di “tasselli di un mosaico i cui elementi non sono significativi per sé ma come parte di un disegno unitario qualificabile con intesa restrittiva della concorrenza[xxvi]

Tale approccio appare essere stato condiviso dal Consiglio di Stato anche nella sentenza in commento.

Nel caso in esame, infatti, le parti, dinnanzi al giudice amministrativo, avevano sollevato censure sul provvedimento sanzionatorio dell’Autorità anche sotto il profilo dell’indeterminatezza, a cagione della mancata riconduzione, dei comportamenti contestati, all’accordo o alla pratica concordata e tali censure sono state disattese dapprima dal TAR del Lazio e poi dal Consiglio di Stato.

A tal proposito, il TAR Lazio, nella propria decisione ha ritenuto che “correttamente l’AGCM abbia contestato alle parti una concertazione complessa, senza chiarire se si trattasse di accordo o di una pratica concordata ma chiaramente e puntualmente definendone il plurimo oggetto competitivo, vale a dire il riparto tra specifici gruppi di imprese, secondo criteri di divisione sempre coincidenti, dei lavori relativi agli arsenali di Taranto, La Spezia ed Augusta e la fissazione concordata dei prezzi di aggiudicazione delle gare medesime, con una progressiva contrazione dei ribassi offerti …[xxvii].

Tale motivazione appare potersi condividere in quanto l’eventuale qualificazione, da parte dell’Autorità di concorrenza, come “accordo” o come “ pratica concordata” di una determinata situazione di fatto non vale a mutare la consistenza dei fatti addebitati alle imprese sanzionate.

La sentenza in commento offre poi uno spunto per esaminare il tema del regime probatorio nell’ambito delle intese restrittive della concorrenza di cui agli artt. 101 TFUE e 2 L. n. 287/90.

La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che spetti all’Autorità, che lamenti la sussistenza di una violazione in materia di concorrenza, l’onere di dimostrare i fatti costitutivi mentre incombe sull’impresa dimostrare l’ inidoneità delle prove offerte a confermare i fatti contestati.

In tal senso, si è espressa la giurisprudenza comunitaria la quale ha ritenuto che “… alla parte o all'autorità che asserisce un'infrazione delle regole sulla concorrenza spetta l'onere di provare l’esistenza di tale infrazione ed all'impresa o all’associazione di imprese che invocano il beneficio della difesa contro l’esistenza di un’infrazione incombe l'onere di provare che le condizioni per l’applicazione di detta difesa sono soddisfatte …[xxviii].

In sede di valutazione, poi, del quadro probatorio a supporto dell’esistenza di un’intesa, è stato affermato in giurisprudenza che “deve farsi applicazione dell’orientamento il quale riconosce che la prova di un’intesa anticoncorrenziale quasi mai può essere diretta, … […] … è ben rara l’acquisizione di una prova piena (il cd. smoking gun: il testo dell’intesa, documentazione inequivoca della stessa, atteggiamento confessorio dei protagonisti) e dal momento che un atteggiamento di eccessivo rigore finirebbe per vanificare nella pratica le finalità perseguite dalla normativa antitrust, può reputarsi sufficiente (e necessaria) l’individuazione di indizi, purché gravi, precisi e concordanti, circa l’intervento di illecite forme di concertazione e coordinamento …[xxix] con la precisazione che la circostanza che la prova sia indiretta (o indiziaria) non comporta che la stessa sia meno forte o che la stessa abbia un’affievolita forza probatoria [xxx]

Sulla base dell’approccio “olistico”, in termini di prova, la distinzione tra elementi endogeni ed esogeni si attenua per cui le parti dovranno fornire giustificazioni alternative col quale interpretare il complesso delle prove addotte dall’Autorità.

Questo approccio ben si adatta al contesto degli appalti pubblici dove le prove endogene sono più solide; mentre quelle esogene sono più deboli.

L’approccio olistico consente di superare, altresì, le evidenti difficoltà che si possono presentare quando ci si scontra con forme di accordo apparentemente lecite nel mondo degli appalti pubblici.

Nel caso di specie, la sussistenza di un intesa illecita è risultata avvalorata, così come confermato dal Consiglio di Stato, sia da elementi endogeni, sia da evidenze documentali.

Segnatamente, l’Autorità si è imbattuta in diversi pattern sospetti:

i) partecipazione alla gara attraverso la costituzione coordinata di ATI dotate di compagini omogenee (sia nell'ATI "A" che nell'ATI "A1" erano presenti diverse imprese, dotate di specializzazioni del tutto omogenee che in passato si erano fronteggiate);

ii) strategia partecipativa consistente nella partecipazione alla gara, da parte delle ATI, anche su più lotti, per i quali, dopo la fase di pre-qualifica, non veniva formulata alcuna offerta;

iii) l'uso coordinato di ciascuna ATI per la presentazione di offerte in un solo e diverso lotto (sempre l'ATI "A" per il lotto di Taranto e sempre l'ATI "A1" per il lotto di Augusta);

iv) la riallocazione effettiva dei lavori tra una parte soltanto dei componenti delle due ATI, in modo che per ciascun lotto la reale esecuzione dei lavori veniva affidata ai componenti dell'ATI che già in passato avevano operato in relazione al lotto considerato;

v) a partire dalla gara n. G313 (del 2012), la reciproca astensione delle imprese coinvolte nell'intesa dalla presentazione di offerte nei lotti che la concertazione attribuiva ai concorrenti;

vi) l'anomalo andamento decrescente dei ribassi presentati rispetto alle precedenti gara.

Nel corso del procedimento istruttorio, il quadro delle prove è stato completato da scambi di informazioni, evidenze documentali e dalla mancanza di spiegazioni plausibili alternative alle irregolarità riscontrate.

In particolare, oltre agli elementi sopra descritti, sono state rinvenute evidenze scritte di contatti intrattenuti tra le imprese coinvolte, nel corso dei quali le imprese concordavano la composizione delle ATI destinate a presentare offerte sui diversi lotti delle gare.

Sono stati rinvenuti, altresì, ulteriori documenti comprovanti, secondo quanto emerge dal provvedimento dell’Autorità, confermato sul punto dai giudici amministrativi, come le imprese aderenti alle due ATI “A” e “A1”, dopo l’affidamento dei lotti (di Taranto ed Augusta) dividevano i lavori diversamente da quanto prospettato negli atti costitutivi delle ATI, in modo da lasciarne la realizzazione effettiva ad una parte soltanto dei partecipanti a ciascun raggruppamento.

Quanto alla progressiva riduzione dei ribassi nell'ambito delle gare in esame, che secondo le imprese appellanti sarebbero spiegabili in ragione di asseriti aumenti dei costi di produzione, non computati dalla stazione appaltante in sede di definizione della base d'asta, unitamente ai tempi impiegati dalla stazione appaltante per l'esecuzione dei lavori, è emerso, nel corso del procedimento istruttorio dinnanzi all’Autorità, che gli asseriti ingenti aumenti dei costi di produzione (nell'arco di tempo in cui colloca la concertazione anticompetitiva) non erano supportate da documentazione idonea e la stazione appaltante dimostrava di avere effettuato, con cadenza annuale, periodiche rivalutazioni degli importi a base di gara.

I giudici amministrativi di primo e di secondo grado, in sostanza, hanno ritenuto che, nel caso che ci occupa, l’Autorità, in conformità degli indirizzi giurisprudenziali sopra richiamati, abbia fornito una ricostruzione dei fatti basata su elementi endogeni sicuramente sufficienti a dimostrare la sussistenza della pratica collusiva, fondando l'accertamento dell'intesa, nel caso di specie, su un complesso di evidenze gravi, precise e concordanti che non lascia spazio ad alcun tentativo di "ricostruzione alternativa".

Infine, con la decisione che si annota, il Consiglio di Stato si è trovato a pronunciarsi su una censura di asserita “estraneità” alla condotta anticompetitiva sollevata da una delle imprese coinvolte nella concertazione illecita.

Il Collegio ha condiviso l’orientamento della giurisprudenza comunitaria affermando che la partecipazione delle imprese agli accordi o alle pratiche concordate “…  può … presentare forme differenti a seconda, segnatamente, delle caratteristiche del mercato interessato e della posizione di ciascuna impresa su tale mercato, degli scopi perseguiti e delle modalità di esecuzione scelte o previste: tuttavia, la semplice circostanza che ciascuna impresa partecipi all'infrazione secondo forme ad essa peculiari non basta ad escluderne la responsabilità per il complesso dell'infrazione, compresi i comportamenti materialmente attuati da altre imprese partecipanti che però condividano il medesimo oggetto o il medesimo effetto anticoncorrenziale …[xxxi].

Nella fattispecie, dall’analisi del provvedimento dell’Autorità e delle motivazioni dei giudici di primo e di secondo grado, emerge che molteplici elementi hanno indotto l’Autorità, avallata sul punto dai giudici, a ritenere che l’impresa aveva in realtà contribuito agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti, in quanto consapevole o quantomeno perfettamente in grado di prevedere la concertazione; né la stessa impresa è risultata aver assunto iniziative di dissociazione o denuncia della pratica concordata.

In ragione dell’esperienza professionale e della partecipazione dell’impresa alle gare pregresse svoltesi nel medesimo segmento merceologico e geografico, si è evidenziato che la stessa non poteva non aver constatato la condotta discontinua delle imprese coinvolte, prima concorrenti e poi raggruppate in un’unica compagine, con all’interno, senza un’apparente giustificazione, anche società aventi la medesima specializzazione.

Si tratta di uno scostamento anomalo della strategia imprenditoriale che l’impresa, è emerso, ha comunque assecondato, avendo deciso di permanere nell’ATI e nella commessa per tutte le gare bandite nel 2011, 2012 e 2013.

 

“Mercato rilevante” secondo la giurisprudenza comunitaria e nazionale.

Nel caso che ci occupa, definito con la sentenza in commento, l’Autorità ha ritenuto il mercato rilevante coincidente “con l’ambito merceologico e geografico delle gare incise dalle condotte anticoncorrenziali, gare pubbliche bandite dal Ministero (appaltante) di rilevanza comunitaria aventi ad oggetto l’espletamento di servizi di bonifica da amianto, incluse le attività coibentazione, scoibentazione e smaltimento di rifiuti, e dei servizi propedeutici e di supporto, identificabili nelle attività di carpenteria, congegnatoria, tubisteria e, più in generale, di impiantistica anche elettrica sulle navi militari di pertinenza di tutti gli arsenali militari italiani, articolati nei tre lotti funzionali di Taranto, La Spezia e Augusta”[xxxii].

Come noto, nell’ambito della disciplina delle intese restrittive della concorrenza, è principio ormai consolidato in giurisprudenza che la definizione del mercato rilevante è successiva all’individuazione dell’intesa stessa “ in quanto sono l'ampiezza e l'oggetto dell'intesa a circoscrivere il mercato su cui l'abuso è commesso …”, sicché è proprio l’area di tale collusivo coordinamento “a delineare e definire l’ambito stesso del mercato rilevante[xxxiii].

E’ stato affermato, altresì, che “mercato rilevante è il più piccolo contesto (insieme di prodotti ed area geografica), nel cui ambito sono possibili, tenuto conto delle esistenti possibilità di sostituzione, intese che comportino restrizioni consistenti della concorrenza. Deve però essere tenuta presente la distinzione tra il mercato del prodotto, che può essere collegato anche ad un singolo consumatore con preferenze rigide e l’estensione geografica del mercato (tutte le imprese concorrenti nell’offerta del prodotto). La definizione del mercato è inoltre propedeutica all’individuazione del potere di mercato delle imprese per stabilire quale è l’ambito competitivo nel quale operano …[xxxiv].

E, ancora: “ la definizione dell'ambito merceologico e territoriale nel quale si manifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si realizzano gli effetti derivanti dall'illecito concorrenziale è funzionale alla decifrazione del grado di offensività dell'illecito […] In tal senso seppure, dunque, il mercato di riferimento deve comunque essere costituito da una parte "rilevante" del mercato nazionale e di regola non può coincidere con una qualsiasi “operazione economica", anche "una porzione ristretta del territorio nazionale può assurgere a mercato rilevante, ove in essa abbia luogo l'incontro di domanda ed offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui, e quindi esista una concorrenza suscettibile di essere alterata …[xxxv].

Tali considerazioni si mostrano tanto più logiche e coerenti quando l’illecito accertato consista, come nel caso oggetto della sentenza in commento, in un’intesa restrittiva c.d. per oggetto, ossia in un’intesa che propriamente, per sua stessa natura, delinea direttamente il proprio mercato di riferimento[xxxvi].

Con specifico riferimento alla definizione del “mercato rilevante” nel caso di intese volte ad alterare l’esito di procedure di gara, altrettanto pacifico in giurisprudenza è il principio secondo cui “le gare di pubblici appalti possono costituire, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, un mercato a sé stante, in quanto la definizione del mercato rilevante varia da caso a caso in funzione delle diverse situazioni di fatto[xxxvii].

Invero, la problematica relativa alla possibilità di identificare il mercato rilevante con una o più gare bandite dalla Pubblica Amministrazione è stata più volte affrontata dai giudici amministrativi.

E’ stato affermato in giurisprudenza che: “… l’ammissibilità di una coincidenza tra mercato rilevante e gara non può essere né affermata né negata in termini assoluti, dovendosi indagare in concreto le caratteristiche del mercato oggetto della gara …[xxxviii].

Ciò non significa che ad ogni gara pubblica corrisponde un mercato a sé stante.

Si è giunti però ad affermare che è consentito “circoscrivere l’ambito merceologico e territoriale all’insieme delle gare in cui si è riscontrata la concertazione anticoncorrenziale[xxxix].

Si è detto: “… si è sovente ribadito che le gare dei pubblici appalti possono costituire, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, un mercato a sé stante, in quanto la definizione del mercato rilevante varia da caso a caso in funzione delle diverse situazioni di fatto[xl].

E’ stato affermato che: “… l’estensione del concetto di “mercato rilevante” – […] - ben può essere desunta all’esito dell’esame della singola e specifica condotta della quale sia sospettata la portata anticoncorrenziale, per cui il “mercato rilevante” può anche coincidere con la singola gara o le varie gare nelle quali tale condotta venga ad incidere[xli].

E, ancora, l’estensione del mercato rilevante “… può essere desunta all’esito dell’esame della singola e specifica condotta della quale sia sospettata la portata anticoncorrenziale; inoltre, e correlativamente, il mercato rilevante può coincidere con la singola gara nella quale tale condotta venga ad incidere …[xlii].

Nel caso di specie, l’intesa anticoncorrenziale contestata aveva ad oggetto il coordinamento delle strategie di gara da tenere in relazione alle tre procedure bandite per l’aggiudicazione dei servizi di bonifica da amianto negli arsenali di Taranto, Augusta e La Spezia.

Secondo il ragionamento seguito dall’Autorità, da un punto di vista meramente geografico, il mercato delle citate gare era suscettibile di subire un’alterazione della concorrenza proprio con riferimento ai tre lotti di Taranto, Augusta e La Spezia.

Tale argomentazione si pone in linea con l’orientamento della giurisprudenza che ha affermato che “la definizione di mercato rilevante non è […] connotata in senso meramente geografico o spaziale, ma è relativa anche e soprattutto all’ambito nel quale l’intesa anticoncorrenziale ha, o avrebbe, capacità di incidere e attitudine allo stravolgimento della corretta dinamica concorrenziale …”[xliii].

Sotto il profilo merceologico, invece, l’Autorità ha tenuto conto dell’oggetto dei bandi e della portata della concertazione.

L’Autorità, quindi, considerato il perimetro dell’intesa e l’ambito in cui la stessa ha avuto modo di esplicarsi, ha circoscritto l’ambito merceologico e territoriale all’insieme delle gare in cui è stata riscontrata la concertazione illecita.

Il Consiglio di Stato, con la decisione in commento, ha condiviso l’iter argomentativo seguito dall’Autorità ritenendo la parte del Provvedimento finale che ha individuato il mercato rilevante immune da censure e priva di vizi logici e procedimentali.

Tale iter argomentativo appare coerente con i principi giurisprudenziali sopra richiamati secondo i quali è consentito, tra  l’altro, circoscrivere l’ambito merceologico e geografico del mercato all’insieme delle gare in cui è stata riscontrata l’intesa anticoncorrenziale illecita.

 

La determinazione della sanzione.

Con la sentenza in commento, i giudici di Palazzo Spada, pur confermando l’impianto della decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sul caso I782 – Gare per servizi di bonifica e smaltimento materiali inquinanti e/o pericolosi presso gli arsenali di Taranto, La Spezia ed Augusta, hanno accolto la censura delle parti relativa al mancato rispetto del parametro di commisurazione della sanzione incentrato sulla gravità della condotta; hanno quindi accolto la censura delle appellanti in ordine al quantum delle sanzioni inflitte.

Il Consiglio di Stato ha affermato che, mentre “è certamente emersa l’esistenza di un’intesa avente un oggetto potenzialmente anticoncorrenziale, l’analisi degli effetti concreti è rimasta priva di adeguati approfondimenti”.

E, ancora: “… la mancanza individuazione del concreto pregiudizio arrecato al funzionamento del mercato e il dato per cui il differenziale tra i ribassi percentuali sul prezzo base di gara per gli appalti oggetto di istruttoria e quello tra analoghe procedure estranee al perimetro del presente procedimento risulta - secondo quanto dedotto dalle odierne appellanti senza specifica contestazione di controparte - a pochi punti percentuali, doveva essere preso in considerazione nella scelta della percentuale applicabile al valore delle vendite”.

Secondo il Collegio, tali elementi, pur non condizionando la valutazione di gravità dell'intesa da svolgere in sede di verifica circa la sussistenza dell'illecito, non potevano essere tuttavia tralasciati e dovevano essere tenuti in considerazione in sede di quantificazione della sanzione da irrogare.

Pertanto, in parziale riforma delle sentenze di primo grado del TAR Lazio, il Consiglio di Stato ha rideterminato la sanzione finale, in riduzione, nella misura del 70%.

L’Autorità, in ottemperanza della citata decisione, tenendo conto delle indicazioni del giudice amministrativo, con provvedimento n. 26874 del 29 novembre 2017, ha rideterminato l’importo finale della sanzione irrogata.

La motivazione sul punto sembra tuttavia non pienamente in linea con i principi e gli indirizzi espressi dalla giurisprudenza comunitaria e da altra parte della giurisprudenza nazionale.

Segnatamente, in ambito comunitario, già le Linee Direttrici[xliv] sull’applicabilità dell’art. 101 TFUE, con riferimento alle restrizioni della concorrenza per oggetto, stabiliscono che “ … […]. Non è necessario valutare gli effetti reali o potenziali di un accordo sul mercato una volta stabilito il suo oggetto anticoncorrenziale … […] …”.

La Corte di Giustizia, poi, nelle sue pronunce, ha evidenziato che la distinzione, ex art. 101 TFUE, tra restrizioni della concorrenza per “oggetto” e restrizioni per “effetto” configura due modalità di accertamento dell’anticoncorrenzialità di un’intesa, a cui corrisponde un diverso onere probatorio. Dimostrata un’intesa restrittiva per oggetto, per applicare il divieto di cui all’articolo 101 TFUE, non è necessario provare, nel singolo caso, gli effetti restrittivi, attuali o potenziali, sul mercato della concertazione illecita.

Ha affermato, ancora, la Corte di Giustizia che le intese “per oggetto” si caratterizzano per il fatto che «talune forme di coordinamento tra imprese possono essere considerate, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza»[xlv].

Tale alleggerimento dell’onere probatorio, secondo giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia, trova giustificazione solo in presenza di intese anticoncorrenziali particolarmente gravi, ossia qualora la condotta abbia un sufficiente grado di dannosità per la concorrenza[xlvi].

In successive e recenti pronunce[xlvii], la Corte di Giustizia poi è tornata ad affrontare il tema delle restrizioni della concorrenza per oggetto anche con riferimento ad accordi finalizzati alla ripartizione dei mercati.

In proposito, la Corte ha osservato che, già in precedenti decisioni, detti accordi sono stati considerati “violazioni particolarmente gravi della concorrenza” aventi un oggetto restrittivo della concorrenza in sé ed appartenenti ad una categoria di accordi espressamente vietata dall’articolo 101 TFUE non potendo un tale oggetto essere giustificato mediante un’analisi del contesto economico in cui si inserisce la condotta anticoncorrenziale.

Secondo la Corte, in tali casi, confermata la sussistenza di una intesa anticoncorrenziale per oggetto, non è necessaria un’analisi più dettagliata del contesto economico e giuridico.

In ambito nazionale, il TAR del Lazio, in una recente pronuncia[xlviii] in cui si è trovato a giudicare della legittimità di un provvedimento dell’Autorità che accertava un grave illecito anticoncorrenziale ed applicava la cd. entry free nella misura del 15% in ragione della gravità dell’illecito, ha evidenziato che, innanzi a violazioni “molto gravi” della concorrenza, “è ininfluente, ai fini della determinazione dell’ammontare della sanzione, […] qualunque considerazione in merito alla mancata prova di effetti pregiudizievoli per il mercato”.

Lo stesso giudice, in altra decisione, ha altresì richiamato il consolidato orientamento della Corte di Giustizia  secondo cui “è legittima la qualificazione dell'intesa di ripartizione del mercato e di concertazione dei prezzi come "molto grave", considerata l'intrinseca e per così dire "ontologica" gravità delle intese orizzontali fra operatori economici volte alla spartizione del mercato, in relazione al conseguente forte pregiudizio per il rapporto di libera concorrenza indipendentemente dalla quantificazione dei relativi effetti rapportabili alle singole imprese facenti parte dell'intesa, in quanto tali pratiche configurano le più gravi restrizioni della concorrenza già per il loro oggetto, senza bisogno che ne sia provato l'effetto …[xlix].

E, ancora, è stato affermato in giurisprudenza che le intese orizzontali di prezzo o di ripartizione dei mercati <<possono essere qualificate come infrazioni “molto gravi” sulla sola base della loro natura, senza che la Commissione – e le autorità antitrust nazionali – siano tenute a dimostrare un impatto concreto dell’infrazione sul mercato …>>[l].

Anche il giudice di primo grado, nel caso che ci occupa, aveva affermato nella sua decisione, poi riformata dal Consiglio di Stato, che: “ininfluente ai fini della determinazione dell’ammontare della sanzione, risulta qualunque considerazione in merito alla mancata prova di effetti pregiudizievoli per il mercato come conseguenza dell’illecito collusivo posto in essere dalle imprese interessate dal procedimento, avuto presente che si trattava di una violazione anticoncorrenziale hard core, punibile per sé, a prescindere dagli effetti anticompetitivi in concreto fatti registrare sul mercato  …[li].

Nel caso che ci occupa, come sopra evidenziato, è stato riconosciuto dai giudici amministrativi che le parti avevano posto in essere un’intesa orizzontale per oggetto restrittiva della concorrenza, nella forma di un disegno collusivo volto alla ripartizione del mercato ed alla determinazione concordata delle offerte (cd. bid rigging).

Tale intesa orizzontale, per giurisprudenza costante[lii], configura, sulla base della propria natura, una delle violazioni più gravi (hard core) della concorrenza.

Tenuto conto di quanto sopra e degli indirizzi giurisprudenziali innanzi richiamati, l’orientamento che appare emergere dalla decisione che si commenta sembra esporsi a perplessità, anche per le conseguenze che potrebbero derivare da questo approccio.

Infatti, le intese restrittive della concorrenza per oggetto “molto gravi”, ritenute tali anche all’esito del vaglio di legittimità dei giudici amministrativi, rivelano un sufficiente grado di dannosità per la concorrenza e dovrebbero, già solo per l’oggetto anticoncorrenziale molto grave, essere severamente sanzionate.

L’opposta tesi potrebbe sollevare un problema, non marginale, legato all’effetto deterrente della sanzione ed all’effetto deterrente derivante dai procedimenti antitrust.

Ciò detto, sempre in fase di quantificazione della sanzione, la sentenza in commento non ha invece ritenuto fondate le censure sollevate da una delle parti in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti dalla medesima invocate in relazione a molteplici fattori individuati dalla predetta impresa.

In primo luogo la decisione del Consiglio di Stato ha escluso potersi riconoscere, in favore della parte, una circostanza attenuante a cagione della presentazione degli impegni valutati negativamente.

Secondo la giurisprudenza, infatti, non incide sulla sanzione il comportamento collaborativo dell’impresa se

attuato mediante la presentazione di impegni che, come nel caso in esame, sono valutati negativamente dall’Autorità[liii].

Analogamente, “Il ravvedimento operoso affinché possa condurre ad una riduzione della sanzione, non può consistere nella mera interruzione volontaria di ulteriori comportamenti violativi, e ciò anche quando tale interruzione si verifica prima dell’avvio della istruttoria da parte dell’Autorità. Tale ravvedimento, per essere rilevante, deve consistere in una condotta attiva volta a rimuovere le conseguenze pregiudizievoli della violazione commessa[liv].

E, ancora, la circostanza attenuante dell’avere avuto un “ruolo marginale nell’illecito” ricorre quando l’impresa non abbia nei fatti “concretamente attuato la pratica”.

Non può essere concessa, quindi, all’impresa che abbia avuto piena consapevolezza dell’intesa e che abbia deciso di permanervi nel tempo pur avendo l’occasione di uscire dalla concertazione[lv].

Alla luce dei principi giurisprudenziali innanzi richiamati, il Consiglio di Stato ha quindi rigettato dette avverse censure evidenziando che “la mera interruzione del comportamento illecito successivamente all'avvio dell'attività istruttoria non costituisce di per sé una circostanza attenuante; l'avvenuta presentazione di impegni da parte della società non può incidere sul trattamento sanzionatorio ove, come nel caso all'esame, siano stati valutati negativamente dall'Autorità; la collaborazione nel corso del procedimento con l'AGCM per essere valutata come circostanza attenuante deve andare al di là di quanto richiesto dagli obblighi di legge e deve manifestarsi in maniera particolarmente efficace (non risulta che la condotta della società appellante sia stata tale da rendere più agevole il compito di accertare l'infrazione o di inibirla); non risulta, che la società appellante abbia svolto un ruolo marginale nella partecipazione alla infrazione, tale da giustificare l'applicazione di circostanze attenuanti, in quanto essa ha comunque concretamente attuato la pratica illecita …”.

 

Il sindacato del Giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità.

Con la sentenza in commento, i giudici di appello, nel ripercorrere l’ambito ed i limiti del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità Antitrust, richiamano l’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 3/2017.

La formulazione letterale della citata disposizione lascia spazio ad incertezze ed espone al rischio di un interpretazione “restrittiva” del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità.

Un’interpretazione restrittiva di tale sindacato del giudice amministrativo si pone in contrasto con l’orientamento ormai pacifico che si è formato in giurisprudenza in materia.

Come noto, pur essendo indubbio il sindacato del giudice sugli atti e/o provvedimenti dell’Autorità, la giurisprudenza è più volte intervenuta per chiarire la natura del citato sindacato e per chiarire la misura in cui il giudice è autorizzato a penetrare il contenuto del provvedimento sottoposto al suo esame.

E’ pacifico che i provvedimenti dell’Autorità antitrust hanno natura atipica e sono articolati secondo il seguente schema logico:

a) una prima fase di accertamento dei fatti;

b) una seconda fase di “contestualizzazione” della norma posta a tutela della concorrenza, che facendo riferimento a “concetti giuridici indeterminati” (quali il mercato rilevante, l’abuso di posizione dominante, le intese restrittive della concorrenza) richiede una esatta individuazione degli elementi costitutivi dell’illecito contestato;

c) una terza fase in cui i fatti accertati vengono posti a raffronto con il parametro normativo come sopra “contestualizzato”;

d) una ultima fase di applicazione delle sanzioni, previste dalla disciplina vigente[lvi].

Superata la tesi che riconosceva, in tali casi, al giudice amministrativo, un sindacato di tipo esclusivamente “estrinseco” sui provvedimenti dell’Autorità e sulla discrezionalità tecnica da essa esercitata, in quanto finalizzato ad individuare esclusivamente eventuali vizi di incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere e non anche a verificare la corretta ricostruzione dei fatti operata da detta Istituzione, e riconosciuto un sindacato di tipo “intrinseco[lvii], nonché il potere del giudice amministrativo di valutare la correttezza del criterio tecnico applicato dall’Autorità e del procedimento applicativo seguito, avvalendosi eventualmente anche di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall’amministrazione ed utilizzando ove necessario lo strumento della consulenza tecnica, in dottrina e giurisprudenza ci si è interrogati in merito all’intensità del controllo “intrinseco” e ci si è divisi tra la tesi del controllo “debole” e quella del sindacato “forte”[lviii].

Segnatamente, il sindacato di tipo “forte” consentirebbe al giudice di ripetere la valutazione tecnica operata dall’Amministrazione e di sovrapporre ad essa il proprio giudizio tecnico opinabile pronunciando una sentenza avente carattere sostitutivo del provvedimento impugnato.

Viceversa, il sindacato in forma “debole” esclude la titolarità di un potere sostitutivo del giudice che non può sovrapporre la propria valutazione tecnica all’operato dell’Amministrazione.

Le cognizioni tecniche acquisite, quindi, in tal caso, sono utilizzate dal giudice al solo scopo di effettuare un controllo di ragionevolezza e coerenza tecnica del provvedimento amministrativo impugnato[lix].

Ciò posto, in un primo momento, la giurisprudenza ha parlato di un sindacato del giudice amministrativo “meramente debole” sugli atti dell’Autorità.

E’ stato affermato che “il giudice può solo verificare la logicità, congruità, ragionevolezza ed adeguatezza, del provvedimento e della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della delibazione, ma non può anche sostituire proprie valutazioni di merito a quelle effettuate dall’Autorità e ad essa riservate[lx]

Secondo la citata impostazione, il giudice quindi può e deve verificare i fatti posti a fondamento dei provvedimenti dell’Autorità antitrust, esercitando un sindacato di legittimità sull’individuazione del parametro normativo da parte dell’Autorità e sul raffronto con i fatti accertati.

In tal modo, può valutare gli elementi di prova raccolti dall’Autorità e le prove a difesa offerte dalle imprese senza che l’accesso al fatto del giudice possa subire alcuna limitazione.

Può censurare le valutazioni tecniche dell’Autorità, compreso il giudizio tecnico finale, a condizione che, attraverso un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza tecnica, appaiono inattendibili.

Il sindacato del giudice amministrativo sull’attività discrezionale di natura tecnica, esercitata dall’Autorità antitrust, è stato quindi definito un sindacato “di tipo debole” che non consente un potere sostitutivo del giudice tale da sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile all’operato dell’Autorità.

Con riferimento invece alle sanzioni pecuniarie irrogate dall’Autorità, il sindacato è “pieno” potendo il giudice, attraverso un accertamento della congruità della misura della stessa, giungere fino alla sostituzione della sanzione irrogata dall’Autorità.

In seguito, il Consiglio di Stato è intervenuto nuovamente sul tema con altra decisione[lxi].

Con detta sentenza, il Collegio ha preliminarmente ribadito la natura impugnatoria del giudizio amministrativo avverso gli atti dell’Autorità antitrust in quanto con detto giudizio al giudice spetta verificare il corretto esercizio del potere spettante alla predetta Autorità.

Si tratta di un potere cd. “vincolato”, ma vincolato da concetti giuridici indeterminati e/o da norme tecniche, il cui esercizio comporta complesse ed articolate valutazioni rimesse in prima battuta all’Autorità.

Al giudice spetta di verificare, ex post, l’operato dell’Autorità, potendo sia rivalutare le scelte tecniche compiute da questa, sia applicare la corretta interpretazione dei concetti giuridici indeterminati alla fattispecie concreta in esame.

Il sindacato del giudice amministrativo, quindi, non incontra limiti, tenuto conto anche che nel modello impugnatorio il controllo giurisdizionale è particolarmente penetrante.

Con riguardo alla natura del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità, il Consiglio di Stato, con la sentenza innanzi richiamata, ha affermato che ciò che rileva non è tanto la qualificazione del controllo come “forte” o come “debole”, ma “l’esercizio di un sindacato tendente ad un modello comune a livello comunitario, in cui il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie in cui è attribuito al giudice il compito non di esercitare un potere in materia antitrust, ma di verificare – senza alcuna limitazione – se il potere a tal fine attribuito all’Autorità antitrust sia stato correttamente esercitato[lxii].

Con l’espressione sindacato “di tipo debole” il Consiglio di Stato intende porre un limite finale alla statuizione del giudice, il quale, dopo aver accertato in modo pieno i fatti ed aver verificato il processo valutativo svolto dall’Autorità in base a regole tecniche, anch’esse sindacate, se ritiene le scelte compiute dall’Autorità corrette, ragionevoli, proporzionate ed attendibili, non deve spingersi oltre fino a sostituirsi all’Autorità con proprie autonome valutazioni, perché altrimenti assumerebbe egli la titolarità del potere.

Il Collegio ha così cercato di superare la contrapposizione tra controllo debole-controllo forte, in passato fonte di incertezza, ed ha evidenziato come l’unico concreto limite frapposto al sindacato giurisdizionale è dato dall’inammissibilità di un controllo sostitutivo rispetto al potere esercitato dall’Autorità, tranne quello sostitutivo e di merito esercitato sulle sanzioni pecuniarie.

Successivamente, ulteriori decisioni del Consiglio di Stato[lxiii] sono intervenute prendendo posizione sul tema riconoscendo che, in tali casi, il sindacato del giudice amministrativo può e deve essere “pieno” e penetrante estendendosi fino al controllo dell’analisi (economica o di altro tipo) compiuta dall’Autorità[lxiv].

L’applicazione del principio di sindacato giurisdizionale “pieno” sugli atti dell’Autorità ha trovato l’avallo anche della Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha ritenuto il sindacato del giudice amministrativo sugli atti e/o i provvedimenti dell’Autorità, così come inteso dal diritto vivente, conforme ai parametri previsti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare conforme all’art. 6 della citata Convenzione che riconosce ad ogni persona il diritto ad un equo processo[lxv].

Con riferimento, invece, al sindacato sulle sanzioni pecuniarie irrogate dall’Autorità, lo stesso, come sopra detto, si atteggia in modo diverso rispetto al sindacato di legittimità degli atti amministrativi, potendosi spingere fino alla sostituzione della sanzione irrogata dall’Autorità anche attraverso un accertamento della congruità della sanzione.

Il riconoscimento di tale tipo di sindacato giurisdizionale è coerente con i principi affermati a livello comunitario, da costante e pacifica giurisprudenza, che ha sempre ritenuto sussistente una competenza di merito del giudice tale da consentire anche la modifica delle sanzioni irrogate dalla Commissione[lxvi].

Ciò detto, con la sentenza oggetto della presente nota di commento, il Consiglio di Stato, nel delineare i confini del sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo sugli atti e/o provvedimenti dell’Autorità, ha richiamato il D. Lgs. 19 gennaio 2017 n. 3, seppure inapplicabile ratione temporis in via diretta al processo sottoposto al vaglio del giudice amministrativo in quanto entrato in vigore il 3 febbraio 2017, e segnatamente l’art. 7, comma 1, del citato decreto legislativo che, per quanto qui interessa, recita: “[…] Il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima”.

La citata disposizione normativa di cui al recente Decreto legislativo, che traspone nel nostro ordinamento giuridico la Direttiva 2014/104/UE in tema di “azioni per il risarcimento del danno per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea”, ha creato perplessità per le problematiche e la disputa riaperta sulla questione del sindacato del giudice amministrativo sulle decisioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

In particolare, ha dato luogo a contrasti l’inciso della disposizione normativa in cui si statuisce che il sindacato del giudice del ricorso “si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità”.

Detto inciso normativo sembrerebbe includere nel sindacato del giudice amministrativo i soli accertamenti tecnici, ossia quelle operazioni, più o meno complesse, basate sull’applicazione di una scienza esatta che consentano di ottenere un risultato oggettivo, sicuro ed incontrovertibile, ove corretto; mentre lascerebbe fuori dall’ambito del judicial review le valutazioni tecnicamente complesse e gli apprezzamenti discrezionali, aventi margini di opinabilità, che invece rappresentano il nucleo centrale delle decisioni dell’Autorità antitrust[lxvii].

L’inciso in esame, da un lato è una disposizione inedita in quanto non prevista nella direttiva 2014/104/UE. Non figura infatti in alcuna disposizione della citata direttiva e non figura nel testo dell’art. 9 della predetta direttiva, né trova fondamento nei criteri di cui alla legge delega n. 114 del 2015.

Dall’altro, sembrerebbe porre uno sbarramento al giudice del ricorso, in ordine alla verifica dei profili tecnici relativi a una decisione dell’autorità antitrust, aventi un oggettivo margine di opinabilità, che non trova alcun ancoraggio nell’Ordinamento.

Pronunce, infatti, anche recenti, del giudice amministrativo ribadiscono la necessità di un sindacato “pieno” e penetrante anche nei confronti delle valutazioni tecnico discrezionali delle Autorità indipendenti[lxviii].

L’inciso in esame, al contrario, potrebbe portare ad interpretazioni “restrittive” del sindacato giurisdizionale ponendosi così in contrasto con l’affermazione ormai pacifica nel diritto vivente di un sindacato “pieno” del giudice amministrativo con riferimento ai provvedimenti dell’Autorità anche in ordine ai profili tecnici che presentino un margine di opinabilità.

Al fine di evitare un arretramento sul tema rispetto all’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale sviluppatasi negli anni, appare auspicabile un’interpretazione orientata dell’inciso in parola di cui all’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 3/2017 con i principi della giurisprudenza amministrativa, comunitaria e nazionale sopra richiamati e con i principi fondamentali del giusto processo.

E’, senz’altro, auspicabile una forma di coordinamento della disposizione normativa con i principi giurisprudenziali sopra richiamati in quanto, nell’ambito dei giudizi impugnatori avverso i provvedimenti di enforcement dell’Autorità, l’esercizio, da parte del giudice amministrativo, di un sindacato intrinseco, “pieno”, rappresenta una forma di garanzia, sia per il privato, sia per l’Autorità.

Ciò eviterebbe, infatti, che valutazioni tecniche complesse adottate nel provvedimento impugnato, anche se supportate e sorrette da una adeguata motivazione tecnica, possano essere censurate solo perché risultanti di non agevole comprensione, se viste dall’esterno.

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

In conclusione, la decisione esaminata offre l’opportunità di svolgere importanti riflessioni su alcuni principi ed istituti che continuano ancora oggi a destare preoccupazione, nonché consente di porre l’attenzione su problemi interpretativi, attuali, di non agevole o di non facile soluzione, su principi che apparivano ormai pacifici ed indubbi nel diritto vivente.

Attuale è l’esigenza di garantire il rispetto del principio di concorrenza anche nelle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici ed attuale è l’esigenza di garantire il corretto confronto competitivo tra le imprese aspiranti al contratto pubblico, oggetto di gara.

La sentenza in commento affronta la problematica della portata anticoncorrenziale di una serie atti e/o strumenti civilistici di per sé legittimi.

Come rimarcato nella citata decisione, la tipicità legale del negozio o dello strumento contrattuale utilizzato (es. ATI, etc.) o il fatto che esso abbia un oggetto principale che nulla abbia a che vedere con la concorrenza, non esclude la possibilità di una valutazione degli effetti antitrust e un possibile giudizio di illiceità, totale o parziale, per violazione della normativa a tutela della concorrenza, laddove emerge la volontà di utilizzare tali strumenti (ATI, consorzio, etc.) a fini ripartitori, finalizzato ad eliminare qualsiasi confronto concorrenziale tra le parti.

Al riguardo, è significativa una recente pronuncia EFTA (European Free Trade Association) in cui la Corte ha osservato, tra l’altro, che la presentazione di un’offerta congiunta, da parte di più imprese per la partecipazione ad una gara, implica un accordo di prezzo proibito ai sensi dell’art. 53 dell’accordo SEE, che

è disposizione di contenuto analogo all’art. 101 TFUE (Case E-3/16 del 22 December 2016).

Dall’analisi svolta emerge un generale ampio consenso, particolarmente evidente nella suddetta pronuncia EFTA, a considerare, quale condotta anticoncorrenziale, la presentazione congiunta di offerte, nell’ambito di procedure di gara, da parte di più operatori concorrenti.

L’analisi ha altresì consentito di approfondire la definizione discussa, e non sempre agevole, di “pratica concordata” ed i tratti singolari che essa assume nel contesto degli appalti, nonché di evidenziare quanto complesso, e non agevole, è l’accertamento della realizzazione dell’intesa restrittiva della concorrenza nel contesto degli appalti.

Da qui, l’enfasi posta, che sembra ricavarsi dalle sentenze dei giudici amministrativi, sull’opportunità di adottare un approccio unitario, ovvero “un approccio metodologico olistico” così da individuare un’intesa illecita posta in essere con complesse forme di condotta (accordi, pratiche concordate in senso stretto, scambi di informazioni, etc.).

L’approccio “olistico” appare costituire una costante nei casi di bid rigging e tale approccio appare essere stato condiviso dal Consiglio di Stato anche nella sentenza in commento.

Risulta di particolare interesse l’impianto della decisione e gli elementi di prova, endogeni ed esogeni, nel caso di specie riscontrati dall’Autorità, a sostegno della decisione di accertamento, che ha trovato piena conferma nella pronuncia del Consiglio di Stato.

La sentenza in esame ha altresì affrontato la questione della definizione di “mercato rilevante”, con specifico riferimento all’ambito delle intese restrittive della concorrenza, e la problematica, più volte esaminata dai giudici amministrativi, relativa alla possibilità di identificare il mercato rilevante con una o più gare bandite dalla Pubblica Amministrazione.

Mentre i profili appena richiamati si pongono in linea con la consolidata giurisprudenza, risulta più problematico il capo della sentenza in cui il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario soffermarsi in fase di quantificazione della sanzione, anche in caso di intese hard core “molto gravi”, quali i casi di bid rigging, sull’incidenza degli effetti prodotti sul mercato dalla concertazione illecita.

A tal proposito, si sono illustrati gli orientamenti della giurisprudenza comunitaria e di altra parte della giurisprudenza nazionale ed evidenziato come le intese restrittive della concorrenza per oggetto “molto gravi”, ritenute tali anche all’esito del vaglio di legittimità dei giudici amministrativi, rivelano un sufficiente grado di dannosità per la concorrenza e dovrebbero, già solo per l’oggetto anticoncorrenziale molto grave, essere severamente sanzionate.

Da ultimo, è stato approfondito il tema del sindacato del giudice amministrativo sugli atti e/o provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato evidenziando che, in ossequio all’ormai pacifico indirizzo giurisprudenziale, il sindacato del giudice amministrativo, in tali casi, può e deve essere “pieno” e penetrante, anche se non è consentito al giudice sostituirsi all’Autorità nell’esercizio del potere ad essa spettante.

Tale principio sembra porsi in contrasto con l’art. 7, comma 1, D. Lgs. n. 3/2017 ed in particolare con l’inciso della predetta disposizione normativa che sembrerebbe porre uno sbarramento al giudice del ricorso, in ordine alla verifica dei profili tecnici relativi a una decisione dell’autorità antitrust, aventi un oggettivo margine di opinabilità.

Al riguardo, appare auspicabile una forma di coordinamento, e/o in un’interpretazione della citata disposizione normativa in linea con i principi giurisprudenziali sopra richiamati in tema di sindacato giurisdizionale sugli atti e/o provvedimenti delle Autorità Antitrust; ciò, al fine di evitare un arretramento rispetto all’evoluzione giurisprudenziale raggiunta negli anni ed a garanzia del “giusto processo”.


[i] Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 4 novembre 2014 n. 5423, resa all’esito di un giudizio vertente sulla legittimità di un provvedimento sanzionatorio dell’Antitrust nei confronti di un operatore economico (procedimento istruttorio dell’Autorità I740).

[ii] V. Comunicazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 23 dicembre 2014 con la quale l’Autorità precisava che: <<… al fine di garantire un corretto bilanciamento tra i principi imposti dal diritto dell’Unione a tutela della libera concorrenza, da un lato, e a garanzia della più ampia partecipazione alle gare pubbliche, dall’altro, si ritiene utile chiarire che, in piena adesione a tali principi, l’inserimento nei bandi di gara di clausole escludenti la partecipazione di RTI “sovrabbondanti” è legittimo solo laddove la clausola: 1) espliciti le ragioni della possibile esclusione in relazione alle esigenze del caso concreto, quali la natura del servizio e/o l’assetto del mercato di riferimento; 2) preveda che l’esclusione del RTI non può essere automatica, essendo la stazione appaltante tenuta a dimostrare la sussistenza di rischi concreti e attuali di collusione delle imprese partecipanti alla gara in raggruppamento; 3) disponga che la valutazione della stazione appaltante, relativa alla sussistenza dei possibili profili anticoncorrenziali nella formazione del raggruppamento, tenga conto delle giustificazioni – in termini di efficienza gestionale e industriale, alla luce del valore, della dimensione o della tipologia del servizio richiesto – che le imprese partecipanti al RTI forniscono al momento della presentazione della domanda o su richiesta della stazione appaltante. …>>.

[iii] Cfr. Corte Giust. CE, 17 novembre 1987, C-142/84.

[iv] Cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 20 febbraio 2017 n. 740 (procedimento istruttorio dell’Autorità I785); Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28 febbraio 2017 n. 927 (procedimento istruttorio dell’Autorità I785); Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28 febbraio 2017 n. 928 (procedimento istruttorio dell’Autorità I785).

[v] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30 giugno 2016 n. 2947 (procedimento istruttorio dell’Autorità I765).

[vi] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30 giugno 2016, n. 2947 (procedimento istruttorio dell’Autorità I765); Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 4 novembre 2014, n. 5423 (procedimento istruttorio dell’Autorità I740); v. anche, sempre sez. VI, sentenza 13 giugno 2014, n. 3032 (procedimento istruttorio dell’Autorità I731) e sentenza 24 settembre 2012, n. 5067 (procedimento istruttorio dell’Autorità I670); sulla circostanza poi che condotte consentite da un punto di vista settoriale possano risultare illecite alla luce del principio della tutela della concorrenza si fa rinvio a Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 8 aprile 2014, n. 1673 (procedimento istruttorio dell’Autorità A437).

[vii] Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 3 aprile 2009, n. 2093 (procedimento istruttorio dell’Autorità I657).

[viii] Cfr. TAR Lazio, sentenza 16 novembre 2015 nn. 12931, 12932, 12933, 12934, 12935 (procedimento istruttorio dell’Autorità I765) nelle quali si richiama, in senso conforme, fra le altre, anche Consiglio di Stato, sentenza 4 novembre 2014 n. 5423 (procedimento istruttorio dell’Autorità I740), sentenza 13 giugno 2014 n. 3032 (procedimento istruttorio dell’Autorità I731), sentenza 24 settembre 2012 n. 5067 (procedimento istruttorio dell’Autorità I670), sentenza 9 aprile 2009 n. 2204 (procedimento istruttorio dell’Autorità I657).

[ix] Cfr. Judgment of the Court 22 December 2016, (Art. 53 EEA – Restrictioon of competition by object – Pubblic procurement – Submission of joint bids through a joint management company), Case E-3/16.

[x] Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 20 gennaio 2016, causa C-373/14P; Corte Giust. UE, 19 dicembre 2013, cause riunite C-239/11 P, C 489/11 P e C 498/11 P.

[xi] Cfr. Consiglio di Stato, sentenza 13 giugno 2014, n. 3032, I732 – Gare campane; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 20 febbraio 2017 n. 740 (procedimento istruttorio dell’Autorità I785); Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28 febbraio 2017 n. 927 (procedimento istruttorio dell’Autorità I785); Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28 febbraio 2017 n. 928 (procedimento istruttorio dell’Autorità I785); Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30 giugno 2016 n. 2947, I765 – Gare Gestione Fanghi in Lombardia e Piemonte; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11 luglio 2016 n. 3047, I765 – Gare Gestione Fanghi in Lombardia e Piemonte.

[xii] Cfr. TAR Lazio, Sez. I, sentenza 22 giugno 2016 nn. 8499, 8500, 8502, 8504, 8506, I782 – Gare per servizi di bonifica e smaltimento materiali inquinanti e/o pericolosi presso gli arsenali di Taranto, La Spezia ed Augusta.

[xiii] cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30 agosto 2002 n. 4362; Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30 giugno 2016 n. 2947, I765 – Gare Gestione Fanghi in Lombardia e Piemonte; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11 luglio 2016 n. 3047, I765 – Gare Gestione Fanghi in Lombardia e Piemonte.

[xiv] Cfr. Case 41, 44 e 45/69 ACF Chemiefarma NV v Commission [1970] ECR 661; Consiglio di Stato 4 settembre 2015, n. 4123, I743 – Tariffe traghetti da/per la Sardegna; TAR Lazio, Sez. I, sentenza 28 luglio 2017, n. 9048, I783; TAR Lazio, Sez. I, sentenze 6 settembre 2016, nn. 9553, 9554, 9555, 9556, 9559, 9560, 9561, I761; TAR Lazio, Sez. I, sentenza 16 giugno 2016, n. 6921, I686 - INAIL – Affidamento servizio di cassa; Tar Lazio, Sez. I, sentenze 6 giugno 2016, nn. 6478, 6470, 6471, 6475, 6476, 6483, 6484, 6486, 6503, 6472, 6474, 6477, I771. Sulla distinzione tra Accordi e pratiche concordate, Cfr. “Gli accordi di distribuzione commerciale nel diritto della concorrenza” di Vito Auricchio, Matteo Padellaro e Paolo Tomassi – CEDAM, pag. 6.

[xv] Cfr. CGCE, 14 luglio 1972, C-48/69.

[xvi] Corte di Giustizia UE, 8 luglio 1999, C-49/92P; Corte di Giustizia UE, 31 marzo 1993, C. – 89, 104, 114, 116 – 117, 125 – 129/95.

[xvii] Cfr. Consiglio di Stato,  Sez. VI, sentenza n. 1699/2001;Id., sentenza n. 652/2001.

[xviii] cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 4 marzo 2004 n. 926.

[xix] Cfr., al riguardo, Ghezzi e Maggiolino (2014); Pierluigi Sabbatini, “Collusione in appalti: Gara Consip, pulizia delle scuole”, in Mercato concorrenza regole/ a. XIX, n. 2 agosto 2017, pp. 344 e ss.

[xx] Cfr., in particolare, Corte Giust. CE, 14 luglio 1972, 48/69; Corte Giust. CE, 8 luglio 1999, C 49/92 P; Corte Giust., 23 novembre 2006, C-238/05: quest'ultima, al punto 31 esclude la necessità di qualificare esattamente la forma di cooperazione tra imprese contestata alle parti.

[xxi] In merito all’assenza della necessità di distinguere tra accordi e pratiche concordate, cfr. pronunce della Commissione (i) 99/60/CE del 21 ottobre 1998, Intesa tubi preisolati, GU L. 24/1 del 30.1.1999, (ii) 99/210 del 14 ottobre 1998, Britiish Sugar, GU L 76/1 del 22 marzo 1999, etc..

[xxii] Cfr. , ex plurimis, Corte Giust. UE, 5 dicembre 2013, C-449/11P.

[xxiii] Cfr. TAR Lazio, Sez. I, sentenze 6 settembre 2016 nn. 9553, 9554, 9555, 9556, 9559, 9560, 9561, I761 – Mercato dei servizi tecnici accessori; TAR Lazio, Sez. I, sentenze 25 luglio 2016 nn.8499, 8500, 8502, 8504, 8506, I782 – Gare per servizi di bonifica e smaltimento di materiali inquinanti e/o pericolosi.

[xxiv] Cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 20 febbraio 2017 n. 740 (procedimento istruttorio dell’Autorità I785); Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28 febbraio 2017 n. 927 (procedimento istruttorio dell’Autorità I785); Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28 febbraio 2017 n. 928 (procedimento istruttorio dell’Autorità I785).

[xxv] Pierluigi Sabbatini, “Collusione in appalti: Gara Consip, pulizia delle scuole”, in Mercato concorrenza regole/ a. XIX, n. 2 agosto 2017, pp. 347-347.

[xxvi] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30 giugno 2016 n. 2947, I765 – Gare Gestione Fanghi in Lombardia e Piemonte;

[xxvii] cfr. TAR Lazio, Sez. I, sentenza 22 giugno 2016 n. 8499, punto 4.2 della motivazione.

[xxviii] Cfr., per tutte, Trib. I grado, 18 giugno 2013, T-406/08; cause riunite C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P, C-217/00 P e C-219/00 P. Tale giurisprudenza è richiamata in: Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 20 febbraio 2017 n. 740 (procedimento istruttorio dell’Autorità I785); Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28 febbraio 2017 n. 927 (procedimento istruttorio dell’Autorità I785); Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28 febbraio 2017 n. 928 (procedimento istruttorio dell’Autorità I785).

[xxix] Cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sentenza 13 giugno 2014 n. 3032, I732 – Gare campane; TAR Lazio, Sez. I, sentenza 16 novembre 2015 nn. 12931, 12932, 12933, 12934, 12935, I765 – Gare Gestioni Fanghi in Lombardia e Piemonte; TAR Lazio, Sez. I, sentenza 1 aprile 2016 nn. 3982 e 3983, I775 – Procedure affidamento servizi ristoro su rete autostradale; Consiglio di Stato, sentenza 23 maggio 2012 n. 3026.

[xxx] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30 giugno 2016, n. 294; Consiglio di Stato, sentenza Sez. VI, 18 maggio 2015 n. 2514.

[xxxi] Cfr. Corte di Giustizia CE, 8 luglio 1999, C 49/92 P.

[xxxii] cfr. par. 188 del Provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 18 novembre 2015 n. 25739.

[xxxiii] Cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 giugno 2017, nn. 3057 e 3016, I782 – Gare per servizi di bonifica e smaltimento di materiali inquinanti e/o pericolosi presso gli arsenali di Taranto, La Spezia ed Augusta; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30 giugno 2016 n. 2947, I765– Gare gestioni fanghi in Lombardia e Piemonte; Id. Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 luglio 2015, n. 3291; Id., 26 gennaio 2015 n. 334; Id., sentenze 3 giugno 2014, nn. 2837 e 2838; Id., 23 giugno 2014, nn. 3167, 3168, 3170, I722; Id., 27 giugno 2014, n. 3252; Id., 4 settembre 2014, nn. 4506, 4509, 4511, 4513; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 4 novembre 2014, n. 5423.

[xxxiv] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 2 marzo 2004 n. 926.

[xxxv] Cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30 giugno 2016 n. 2947, I765 – Gare gestioni fanghi in Lombardia e Piemonte; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11 luglio 2016 n. 3047, I765 – Gare gestioni fanghi in Lombardia e Piemonte; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 8 agosto 2014 n. 4230, I701; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenze 24 ottobre 2014, nn. 5274, 5276, 5278, I701.

[xxxvi] Cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30 giugno 2016 n. 2947, I765 – Gare gestioni fanghi in Lombardia e Piemonte; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11 luglio 2016 n. 3047, I765 – Gare gestioni fanghi in Lombardia e Piemonte.

[xxxvii] cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sentenza 13 giugno 2014, n. 3032; Consiglio di Stato, sentenza 4 novembre 2014, n. 5423; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30 giugno 2016 n. 2947, I765 – Gare gestioni fanghi in Lombardia e Piemonte; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11 luglio 2016 n. 3047, I765 – Gare gestioni fanghi in Lombardia e Piemonte.

[xxxviii] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 1191/2001.

[xxxix] Cfr. Consiglio di Stato, sentenza 13 giugno 2014, n. 3032, I731 – Gare Campane; Id., sentenze 30 giugno 2016, n. 2947 e 11 luglio 2016, n. 3047, I765 – Gare Gestione fanghi in Lombardia e Piemonte.

[xl] Cfr. Consiglio di Stato, sentenza 13 giugno 2014, n. 3032, I731 – Gare Campane; TAR Lazio, Sez. I, sentenza 22 giugno 2016 nn. 8499, 8500, 8502, 8504, 8506, I782 – Gare per servizi di bonifica e smaltimento materiali inquinanti e/o pericolosi presso gli arsenali di Taranto, La Spezia ed Augusta.

[xli] Cfr. TAR Lazio, Sez. I, sentenza 16 giugno 2016, n.6921, I686 – Affidamento servizi di cassa; Id., sentenze 22 giugno 2016 nn. 8499, 8500, 8502, 8504, 8506, I782 – Gare per servizi di bonifica e smaltimento di materiali inquinanti e/o pericolosi presso gli arsenali di Taranto, La Spezia ed Augusta.

[xlii] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 26 gennaio 2015 n. 334, C11878.

[xliii] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 26 gennaio 2015 n. 334, C11878.

[xliv] Cfr. Comunicazione della Commissione 2011/C 11/01, Linee Direttrici sull’applicabilità dell’art. 101 TFUE agli accordi di cooperazione orizzontale, punto 1.2.1.

[xlv] Cfr. sentenza Corte di Giustizia 11 settembre 2014, in causa C-67/13P; cfr. anche Corte di Giustizia UE, Sez. II, C-373/14P e C-172/14P.

[xlvi] Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 30 giugno 1966, causa 56/65.

[xlvii] Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 20 gennaio 2016, causa C-374/14.

[xlviii] Cfr. TAR Lazio, Sez. I, sentenze 6 settembre 2016 nn. 9553, 9554, 9555, 9556, 9559, 9560, 9561, I761 – Mercato dei servizi tecnici accessori.

[xlix] Cfr. TAR Lazio, Sez. I, sentenza 2 agosto 2016 n. 893, I772 – Mercato del calcestruzzo Friuli Venezia Giulia.

[l] Cfr., ex plurimis, CGCE sentenza 3 settembre 2009 in causa C-534/07; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 20 ottobre 2016 n. 4374, I722.

[li] Cfr. TAR Lazio, Sez. I, sentenza 22 giugno 2016 n. 8499, I782 – Gare per servizi di bonifica e smaltimento di materiali inquinanti e/o pericolosi.

[lii] Cfr., ex multis, Corte di Giustizia UE, sentenza 26 gennaio 2017, causa C-626/13 P; CGCE sentenza 3 settembre 2009 in causa C-534/07;

[liii] Cfr. TAR Lazio, 22 giugno 2016, n. 8500, I782 – Gare per servizi di bonifica e smaltimento di materiali inquinanti e/o pericolosi.

[liv] Cfr. Consiglio di Stato, 24 ottobre 2014, n. 5276, I701 – Vendita al dettaglio di prodotti cosmetici.

[lv] TAR Lazio, 22 giugno 2016, nn. 8500, 8502, I782 – Gare per servizi di bonifica e smaltimento di materiali inquinanti e/o pericolosi.

[lvi] Cfr. Roberto Garofoli - Giulia Ferrari, in Manuale di diritto amministrativo, diretto da Guido Alpa e Roberto Garofoli, NEL DIRITTO EDITORE, 2016, p. 404.

[lvii] Cfr. in generale sul concetto di sindacato di tipo “intrinseco”, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 9 aprile 1999 n. 601.

[lviii] Cfr. Roberto Garofoli - Giulia Ferrari, in Manuale di diritto amministrativo, diretto da Guido Alpa e Roberto Garofoli, NEL DIRITTO EDITORE, 2016, pp. 404 e ss.

[lix] Cfr. in generale sulla distinzione tra sindacato “forte” e sindacato “debole”, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 6 ottobre 2001 n. 5287.

[lx] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 1 ottobre 2002 n. 5156; Id., sentenza 25 aprile 2002 n. 2199; TAR Lazio, Sez. I, 27 luglio 2008  n. 7549.

[lxi] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 2 marzo 2004 n. 926.

[lxii] In termini, Cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza 8 febbraio 2007 n. 515.

[lxiii] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 17 dicembre 2007 n. 6469.

[lxiv] Cfr. Roberto Garofoli - Giulia Ferrari, in Manuale di diritto amministrativo, diretto da Guido Alpa e Roberto Garofoli, NEL DIRITTO EDITORE, 2016, pp. 404 e ss.; R. CHIEPPA, “Jurisdictional control over the decisions of the antitrust Authorities” in Antitrust between EC law and National law, Giuffrè-Bruvant 2005.

[lxv] M. SIRAGUSA, F. MARINI BALESTRA, A. SETARI, “The ECtHR Judgement in Case A Menarini Diagnostics Srl v Italy and its Implications for Private Enforcement of EU Competition Law”, in Global Competition Litigation Review, 4, 2012; R. PERNA, “Full Judicial Review: Menarini Practical Experiences and Beyond”, EJTN, in “Fines and crimes in the European Competition law before Judges”, Barcellona, 25-27 giugno 2014, p. 3 e ss.

[lxvi] Cfr. Trib. Ce, 11-3-99, T-141/94, par. 646 e 674 e Corte Giust. CE, 16-11-2000, C- 291/98, par. 70-71.

[lxvii] Cfr. Rosa Perna, Il sindacato del Giudice amministrativo italiano sulle decisioni dell’Autorità garante della concorrenza nel nuovo assetto istituzionale del private antitrust enforcement, Intervento del 6 aprile 2017 durante la “VI edizione del Convegno Antitrust di Trento”, destinato alla pubblicazione nel volume contenente gli atti del Convegno, pp. 1 e ss..

[lxviii] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 19 gennaio 2016 n. 165.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

In sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

Ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 9182 del 2016, proposto da:

C. SRL, M. SRL, T. SRL, T. SRL, T. SRL, CONSORZIO …, … SRL, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati A. B. M. D. e S. M.S.…, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato P. G. … in Roma, …, n. ..;

 

contro

 

AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

nei confronti di

 

M. SRL, S. SRL, C. SRL, S. SPA, E. SRL, non costituiti in giudizio;

S. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A. M., R. L. e G. D., con domicilio eletto presso lo studio U. e N. in Roma, via …, n. .;

 

sul ricorso numero di registro generale 9385 del 2016, proposto da:

S. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A. M., G. D. e R. L., con domicilio eletto presso lo studio U. e N. in Roma, via …, n. ..;

 

contro

 

AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

 

 

nei confronti di

 

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

 

Quanto al ricorso n. 9385 del 2016:

 

per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma – Sez. I n. 8500 del 2016;

 

Quanto al ricorso n. 9182 del 2016:

 

per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma – Sez. I, n. 8499 del 2016;

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

 

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, della S. s.r.l. e del Ministero della Difesa;

 

Viste le memorie difensive;

 

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 maggio 2017 il Cons. … e uditi per le parti gli avvocati … e … dell’Avvocatura Generale dello Stato;

 

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

 

1.‒ L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito: “Autorità” o “AGCM”) avviava, con delibera n. 24968 del 12 giugno 2014, un procedimento istruttorio al fine di accertare l’esistenza di violazioni dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 2 della legge n. 287/90 con riferimento alle condotte poste in essere da alcune imprese partecipanti a tre procedure di gara, bandite dal Ministero della Difesa - Direzione … (“…”), nell’arco temporale 2011-2013, aventi per oggetto «l’affidamento di servizi di bonifica e smaltimento dei materiali potenzialmente inquinanti e/o pericolosi e lavorazioni accessorie da eseguirsi su unità navali, sommergibili, naviglio dipartimentale, bacini galleggianti e imbarcazioni a motore e non a motore della marina militare presso gli arsenali di Taranto, La Spezia ed Augusta». Il procedimento scaturiva dal una segnalazione dello stesso Ministero della Difesa il quale aveva riscontrato che, nelle gare menzionate, figurava per ogni lotto quasi esclusivamente un unico offerente, il quale risultava poi aggiudicatario a ribassi anormalmente decrescenti rispetto agli anni precedenti.

 

1.1.‒ Al termine dell’istruttoria, con provvedimento n. 25739 del 18 novembre 2015, l’Autorità accertava l’esistenza di un’intesa illecita tra dodici società ‒ segnatamente: T. S.r.l., T. S.r.l., S. S.r.l., M. S.r.l., Consorzio …, S. S.r.l., C. S.p.A., T. S.r.l. in liquidazione, C. S.r.l., W… S.r.l., M… S.r.l. e S. S.p.A. ‒ raggruppate in tre distinti raggruppamenti temporanei di imprese, individuati come ATI “A”, ATI “Al” e ATI “B”. L’intesa sarebbe stata in grado di neutralizzare il confronto competitivo, consentendo la spartizione dei lotti tra le tre ATI e la fissazione dei prezzi di aggiudicazione. Su queste vasi, l’AGCM disponeva quindi l’inibitoria da comportamenti analoghi per il futuro e applicava a ciascuna società sanzioni nella misura del 10% del rispettivo fatturato complessivamente prodotto nell’esercizio precedente (relativo all’anno 2014).

2.‒ Le società C. Srl, M. Srl, T. Srl, T. Srl, T. Srl, Consorzio …, W. Srl, impugnavano il predetto provvedimento sanzionatorio innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, il quale tuttavia respingeva il ricorso con sentenza 25 luglio 2016, n. 8499. Avverso tale decisione, le ricorrenti hanno promosso appello (n. 9182 del 2016) chiedendo, in sua riforma, l’accoglimento della domanda di annullamento.

Le appellanti censurano che:

- il giudice di prime cure si sarebbe limitato a fare proprie del tutto acriticamente le censure svolte dall’Autorità medesima, senza tenere in alcuna considerazione le circostanziate e comprovate spiegazioni alternative e giustificazioni economiche offerte dalle imprese;

- il TAR non si sarebbe avveduto del fatto che le ATI di cui si è posta in discussione la legittimità concorrenziale non sono costituite tra imprese concorrenti, come tali strutturalmente inidonee a dar vita ad una forma di collusione orizzontale, e che le stesse non avrebbero potuto partecipare individualmente alle gare;

- l’impugnata sentenza avrebbe erroneamente ritenuto inattendibili le spiegazioni economiche alternative fornite dalle imprese, in particolare non tenendo conto che le progressive riduzioni dei ribassi sarebbero da ricondursi, sia alla difficoltà per le società di incassare dalla Marina il corrispettivo a fronte degli interventi contabilizzati, sia all’aumento dei costi dei materiali richiesti per le lavorazioni oggetto degli affidamenti, a fronte di costi unitari individuati dalla stazione appaltante nella lex specialis di gara che sono rimasti uguali o avrebbero subito incrementi minimi di valore;

- la fattispecie in esame non presenterebbe alcun connotato di gravità, nei termini normativamente richiesti dall’art. 15, comma 1, della legge n. 287/1990, tenuto conto che la presunta intesa non avrebbe comportato alcuna forma di esclusione di imprese terze dalla partecipazione alle gare di cui trattasi e che il differenziale tra i ribassi percentuali sul prezzo base di gara per gli appalti oggetto di istruttoria e quello tra analoghe procedure estranee al perimetro del presente procedimento risulterebbe a pochi punti percentuali, di talché non potrebbe rinvenirsi la produzione di sensibili effetti sulla concorrenza;

- con riguardo alla quantificazione della sanzione, l’Autorità avrebbe pretermesso l’analisi di alcune circostanze attenuanti, quali l’ambito di operatività meramente locale delle imprese interessate, la loro marginale dimensione, la problematicità delle condizioni economiche delle parti ed i condizionamenti alle condotte di impresa impressi dalla peculiarità dei bandi di gara di cui trattasi.

3.‒ La società S. s.r.l. impugnava anch’essa, con separato ricorso, il provvedimento dell’AGCM n. 25739 del 2015, lamentando di essere stata inspiegabilmente ritenuta responsabile dell’intesa, con conseguente applicazione nei suoi confronti di una sanzione amministrativa pecuniaria, nonostante la sua totale estraneità al cartello sanzionato. Con l’atto di appello n. 9385 del 2016, ha impugnato la sentenza Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 8500 del 2016 che ha integralmente confermato la legittimità del provvedimento.

I motivi di appello sono così sintetizzabili:

- da nessun documento del fascicolo istruttorio emergerebbe il benché minimo coinvolgimento di S. nel disegno spartitorio, in particolare non vi sarebbe evidenza alcuna che la stessa abbia preso contatti con società diverse da T. ai fini della decisione di partecipare alle gare sul Lotto 1 di Taranto;

- l’Autorità non avrebbero rilevato che, alla base della scelta di S. di partecipare unicamente al Lotto 1 di Taranto, vi sarebbe stata una puntuale valutazione della maggiore remuneratività che la Società avrebbe potuto spuntare su Taranto, diversamente dai Lotti di Augusta e La Spezia, in ragione della minore entità dei costi da sostenere su Taranto;

- la configurazione dell’ATI “A”, con la partecipazione della appellante ad una compagine nella quale anche T. era in grado di provvedere allo svolgimento di servizi di bonifica dell'amianto, risponderebbe a circostanziate ragioni di carattere economico-organizzativo, dal momento che S. disponeva sul proprio lotto di riferimento (Taranto) di un impianto di smaltimento di rifiuti speciali che permetteva alle imprese riunite nell’ATI “A” di evitare di incaricare un gestore esterno di impianti di smaltimento;

- peraltro, per S. la remunerazione derivante dai contratti stipulati con “…” rappresenterebbe una porzione trascurabile sia in rapporto ai ricavi complessivi della Società sia, in rapporto ai ricavi generali per lo svolgimento di attività di bonifica da amianto in generale;

- nessuno dei documenti acquisiti nel corso dell’istruttoria, relativi alla riallocazione delle quote tra le imprese partecipanti in ATI in maniera difforme da quanto normalmente statuito all’atto di costituzione dell’ATI stessa, riguarderebbe S., che non sarebbe mai neppure menzionata;

- risulterebbe carente o insufficiente la motivazione addotta dall’AGCM a sostegno della tesi in base alla quale non potrebbe condividersi la circostanza che l’andamento decrescente dei ribassi fosse strettamente legato anche all’aumento dei costi del carburante e del personale impiegato;

- l’Autorità avrebbe comunque determinato la sanzione in maniera erronea, avendo calcolato l’importo base prendendo in considerazione il valore degli importi oggetto di aggiudicazione, sulla base delle quote assegnate in sede di costituzione dell’ATI “A”, invece di fare riferimento alle somme effettivamente percepite;

- l’Autorità avrebbe omesso di applicare le seguenti circostanze attenuanti: la presentazione, in data 14 settembre 2015, di impegni, ai sensi dell’art. 14-ter, legge 10 ottobre 1990, n. 287 (che benché rigettati sarebbero stati idonei a comprovare un ravvedimento tale da poter beneficiare della riduzione della sanzione); la cooperazione dimostrata durante l’istruttoria (fornendo l’unico studio di fattibilità, tra tutte le imprese coinvolte nel caso di cartello, idoneo a consentire lo svolgimento di valutazioni circa le modalità di definizione dell’ammontare dei ribassi da parte delle imprese partecipanti alle gare in questione); il carattere marginale della partecipazione di S. alla presunta infrazione (in assenza di prove documentali di qualsiasi tipo che dimostrino l’esistenza di contatti diretti o indiretti tra S. e le altre imprese ritenute appartenenti al cartello; la struttura della procedura ristretta indetta da … nelle gare in esame che avrebbe quantomeno contribuito a favorire le condotte oggetto di accertamento.

3.‒ L’AGCM si è costituita in entrambi i giudizi di appello, argomentando diffusamente l’infondatezza delle ragioni avversarie.

4.‒ Con ordinanza 24 febbraio 2017, n. 786 (nel giudizio istaurato dall’atto di appello n. 9182 del 2016), la Sezione ‒ «Ritenuto, nell’ambito della delibazione propria della presente fase cautelare, sufficientemente comprovato allo stato, in particolare, il requisito del periculum, tenuto conto dei possibili effetti patrimoniali pregiudizievoli che possono derivare alle appellanti dalla esecuzione - peraltro già in itinere - della componente sanzionatoria del provvedimento dell’Autorità resistente nelle more della decisione nel merito del presente giudizio, per la cui delibazione comunque risulta essere già fissata la pubblica udienza di discussione per il giorno 18 maggio 2017; Ritenuto comunque opportuno subordinare gli effetti della presente ordinanza alla condizione risolutiva, qualora ciascuna delle appellanti non rilasci, nella forma di un contratto autonomo di garanzia (concluso da un istituto bancario, a favore della Autorità resistente), entro quindici giorni dalla comunicazione a ciascuna di esse di questa ordinanza, per la garanzia per un importo corrispondente all’ammontare della sanzione irrogata a ciascuna delle appellanti» ‒ ha sospeso gli effetti della sentenza impugnata.

5.‒ All’udienza del 18 maggio 2017, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.

 

DIRITTO

 

1.‒ Va pregiudizialmente disposta la riunione degli appelli in epigrafe, atteso che gli stessi sono stati proposti avverso due sentenze del giudice di primo grado aventi ad oggetto il medesimo provvedimento di accertamento dell’intesa restrittiva e che i motivi di gravame sono in buon parte sovrapponibili.

1.1.‒ La vicenda riguarda tre procedure di gare, bandite il 10 giugno 2011 (gara G305), il 15 giugno 2012 (gara G313) e il 16 luglio 2013 (gara G324), dalla Direzione … del Ministero della Difesa, per l’affidamento dei servizi di bonifica di materiali inquinanti da eseguirsi su unità navali presso gli arsenali. Ciascuna delle tre gare era ripartita in tre lotti autonomi: Lotto 1 (Arsenale di Taranto), Lotto 2 (Arsenale di La Spezia) e Lotto 3 (Arsenale di Angusta). La procedura ad evidenza pubblica era di tipo ristretto, con il criterio di selezione del massimo ribasso.

2.‒ Va scrutinato per primo l’appello n. 9182 del 2016, promosso avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 8499 del 2016.

2.1.‒ Secondo l’ipotesi accusatoria, l’intesa anticompetitiva sarebbe consistita nel coordinamento reciproco delle imprese sanzionate ai fini della partecipazione nelle gare d’appalto G305, G313 e G324. La concertazione avrebbe avuto il fine di assicurare alle parti dell’accordo illecito di ripartire tra di loro i tre lotti (lotto 1, Arsenale di Taranto; lotto 2, Arsenale di La Spezia; lotto 3, Arsenale di Augusta) che ogni anno venivano messi contestualmente a gara. Per il conseguimento dell’obiettivo indicato, le imprese avrebbero dato vita a tre ATI ‒ denominate dall’Autorità “A”, “A1” e “B” ‒ la cui composizione era sempre la stessa per quanto riguarda, sia le società mandanti, sia le società mandatarie (queste ultime erano: T. per l’ATI “A”, T. per l’ATI “A1” e S. per l’ATI “B”). Il coordinamento in sede di gara avrebbe comportato che ciascuna ATI presentasse un’offerta solo in relazione ad un unico e medesimo lotto, e ‒ con riguarda ai lotti di Taranto e Augusta ‒ la redistribuzione dei lavori relativi ai due arsenali interessati tra le imprese confluite nelle due ATI aggiudicatarie, facendo in modo che, per ciascuna commessa, i lavori fossero svolti da sottogruppi preliminarmente concordati. Le imprese si sarebbero in questo modo spartite il mercato, peraltro offrendo ribassi piuttosto modesti rispetto alla base d’asta e crescenti rispetto alle gare pregresse.

2.2.‒ Rileva preliminarmente il Collegio che l’AGCM ha correttamente preso in considerazione quale mercato rilevante l’ambito merceologico e geografico delle gare G305, G313 e G324, bandite da … tra il 2011 e il 2013, aventi ad oggetto l’affidamento dei servizi di bonifica da amianto e accessori su navi militari, e articolate nei tre lotti funzionali di Taranto, La Spezia e Augusta.

In termini generali, il mercato «rilevante» si definisce con riferimento sia ai tipi di prodotto o servizio (che debbono essere intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche, dei prezzi e dell’uso finale), sia all’ambito geografico (inteso come area in cui le condizioni di concorrenza siano sufficientemente omogenee, a differenza di zone geografiche contigue). Giova premettere che la definizione del mercato rilevante implica un accertamento di fatto cui segue l’applicazione ai fatti accertati delle norme giuridiche in tema di mercato rilevante, come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale. Tale applicazione delle norme ai fatti implica un’operazione di «contestualizzazione» delle norme, frutto di una valutazione giuridica complessa che adatta concetti giuridici indeterminati, quale il «mercato rilevante», al caso specifico. Non di rado tale operazione di contestualizzazione implica margini di opinabilità, atteso il carattere di concetto giuridico indeterminato di dette nozioni. La definizione del mercato rilevante compiuta dalla AGCM nella singola fattispecie non è censurabile nel merito da parte del giudice amministrativo, se non per vizi di illogicità estrinseca (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI, 2 luglio 2015, n. 3291 e 26 gennaio 2015, n. 334).

In materia di intese anticoncorrenziali, il mercato di riferimento deve essere costituito da una parte rilevante del mercato nazionale e di regola non può coincidere con una qualsiasi operazione economica. Tuttavia, anche una porzione ristretta del territorio nazionale può assurgere a mercato rilevante, ove in essa abbia luogo l’incontro di domanda ed offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui, e quindi esista una concorrenza suscettibile di essere alterata. Diversamente dai casi di concentrazioni e di accertamenti della posizione dominante, in cui la definizione del mercato rilevante è presupposto dell’illecito, in presenza di una intesa illecita la definizione del mercato rilevante è successiva rispetto all’individuazione dell’intesa poiché l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa medesima circoscrivono il mercato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 10 marzo 2006, n. 1272; Id., sez. VI, 13 maggio 2011, 2925). Anche le gare di pubblici appalti possono costituire, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, un mercato a sé stante, in quanto la definizione del mercato rilevante varia in funzione delle diverse situazioni di fatto.

 

Ebbene, nel caso in esame, l’iter argomentativo seguito dall’Autorità è coerente con il principio giurisprudenziale secondo cui è consentito «circoscrivere l’ambito merceologico e territoriale all’insieme delle gare in cui si è riscontrata la concertazione anticoncorrenziale» (Consiglio di Stato, 13 giugno 2014, n. 3032; Id., 30 giugno 2016, n. 2947 e 11 luglio 2016, n. 3047), in quanto caratterizzato dall’incontro di domanda e offerta in condizioni di autonomia rispetto agli altri ambiti anche contigui.

 

2.3.‒ L’art. 2, della legge n. 287 del 1990, punisce le intese restrittive della concorrenza, frutto dell’incontro di più volontà. È quindi sufficiente la violazione del precetto secondo cui, ferma la libertà di scelta da parte delle imprese, incluso il diritto a reagire in maniera intelligente al comportamento, constatato o atteso dei concorrenti, è sempre vietato ogni contatto, diretto o indiretto, tra gli operatori che abbia per oggetto o per effetto di influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente o di informare tale concorrente sulla condotta che l’impresa stessa ha deciso di porre in atto. Ciò che è quindi vietata è l’iniziativa che, volta a “concordare” ‒ tramite accordi espressi, pratiche concordate, o deliberazioni di associazioni di imprese ed altri organismi similari ‒ le linee di azione delle singole imprese, anche in funzione dell’eliminazione di incertezze sul reciproco comportamento, finisce con il sostituire all'alea della concorrenza il vantaggio della concertazione, così erodendo i benefici che in favore dei consumatori derivano dal normale uso della leva concorrenziale. Per la sussistenza dell’illecito, è sufficiente la presenza dell’oggetto anticoncorrenziale, non anche necessariamente dell’effetto (Cons. Stato, VI, 22 marzo 2001, n. 1699).

Secondo la giurisprudenza comunitaria, “accordi” e “pratiche concordate” sono forme collusive che condividono la medesima natura e si distinguono solo per la loro intensità e per le forme in cui esse si manifestano (v., ex plurimis, Corte Giust. UE, 5 dicembre 2013, C-449/11P), e possono coesistere anche nell’ambito di una stessa intesa, corrispondendo, in particolare, le “pratiche concordate” a una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere stata spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce consapevolmente una pratica collaborazione fra le stesse ai rischi della concorrenza. Ne consegue che l’eventuale qualificazione, da parte dell’Autorità antitrust, di una determinata situazione di fatto come “accordo”, anziché come “pratica concordata”, non vale ad modificare la sostanza dei fatti materiali addebitati alle imprese sanzionate per un’intesa restrittiva della concorrenza, rilevando la distinzione tra le diverse forme di manifestazione dell’intesa vietata primariamente sul piano del regime probatorio.

Sul piano probatorio, sia nell’accordo che nella pratica concordata, si richiede che: vi siano comportamenti di più imprese; detti comportamenti appaiano il frutto non di iniziative unilaterali, ma di una concertazione; gli stessi siano insuscettibili di una spiegazione alternativa rispetto allo scopo anticoncorrenziale. Va rimarcato come, per costante giurisprudenza comunitaria spetta, d’un lato, all’autorità che asserisca l’esistenza di un’infrazione alle regole di concorrenza l’onere di darne la prova, dimostrando in forma sufficiente i fatti costitutivi dell’infrazione stessa, mentre, dall’altro lato, incombe all’impresa, che invochi a proprio favore un mezzo difensivo diretto a contrastare una constatazione di infrazione, l’onere di provare che le condizioni per l’efficacia di tale mezzo difensivo sono soddisfatte, di modo che la suddetta autorità dovrà ricorrere ad altri elementi di prova (ex plurimis Trib. I grado, 18 giugno 2013, T-406/08). La giurisprudenza di questa Sezione, consapevole della rarità dell’acquisizione della prova piena (testo dell’intesa, documentazione inequivoca, confessione dei protagonisti) e della conseguente vanificazione pratica delle finalità perseguite dalla normativa antitrust che scaturirebbe da un atteggiamento troppo rigoroso, reputa sufficiente e necessaria in questa materia l’emersione di indizi, purché seri, precisi e concordanti, con la precisazione che la circostanza che la prova sia indiretta (o indiziaria) non comporta necessariamente che la stessa abbia una forza probatoria attenuata (Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2016, n. 294; id., 18 maggio 2015, n. 2514).

Quanto all’ambito e ai limiti del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità antitrust, il giudice amministrativo, in relazione ai provvedimenti dell’AGCM, esercita un sindacato di legittimità che non si estende al merito, salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio: pertanto deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’Autorità risulti immune da travisamenti e vizi logici, e accertare che le disposizioni giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate e applicate, mentre, laddove residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il giudice amministrativo non può comunque sostituirsi all’AGCM nella definizione di tali concetti, se questa sia attendibile secondo la scienza economica e immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici e da vizi di violazione di legge (in tal senso, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2016, n. 2947; id., 13 giugno 2014, n. 3032). Tali principi giurisprudenziali sono stati di recente recepiti dal legislatore con il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, in G.U. n. 15 del 19 gennaio 2017, entrata in vigore il 3 febbraio 2017 – inapplicabile ratione temporis in via diretta al presente processo –, il cui art. 7, comma 1, per quanto qui interessa, testualmente recita: «[…] Il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima […]»).

2.4.– Nella fattispecie in esame, la sussistenza dell’intesa illecita è avvalorata, sia da elementi «endogeni», sia da evidenze documentali.

2.4.1.‒ Le anomalie comportamentali che “segnalano” l’esistenza di una concertazione sono:

- la costituzione coordinata di ATI dotate di compagini omogenee (sia nell’ATI “A” che nell’ATI “A1” sono infatti presenti diverse imprese dotate di specializzazioni del tutto omogenee, che non a caso in passato hanno concorso in schieramenti separati), nelle quali si sono trovate a cooperare operatori professionali che precedentemente figuravano in raggruppamenti concorrenti;

- la strategia partecipativa consistente nella presentazione della domanda di partecipazione, da parte delle ATI, anche su più lotti, per i quali, dopo la fase di pre-qualifica, non veniva formulata alcuna offerta;

- l’uso coordinato di ciascuna ATI per la presentazione di offerte in un solo e diverso lotto (sempre l’ATI “A” per il lotto di Taranto e sempre l’ATI “A1” per il lotto di Augusta;

- la riallocazione effettiva dei lavori tra una parte soltanto dei componenti delle due ATI, dimodoché per ciascun lotto la reale esecuzione dei lavori veniva affidata ai componenti dell’ATI che già in passato avevano operato in relazione al lotto considerato;

- a partire dalla gara n. G313 (del 2012), si assiste poi alla reciproca astensione delle imprese coinvolte nell’intesa dalla presentazione di offerte nei lotti che la concertazione attribuiva ai concorrenti;

- l’anomalo andamento decrescente dei ribassi presentati registratosi rispetto alla precedenti gara.

2.4.2.‒ Il parallelismo di condotte, attraverso le quali si è manifestata una marcata discontinuità rispetto alle dinamiche competitive registratesi nelle pregresse gare, ha trovato spiegazione e riscontro in molteplici documenti attestanti ripetuti contatti e scambi di informazione tra imprese concorrenti idoneo a facilitare, per effetto della conseguente consapevolezza delle condotte da tenere in sede di gara, il coordinamento delle condotte parallele.

In primo luogo, vi sono evidenze scritte dei contatti intrattenuti da T. e T., nel corso dei quali queste ultime concordavano la composizione delle ATI destinate a presentare offerta sui diversi lotti delle gare (cfr. le email acquisite presso M. e presso a T.: doc. 10 del fascicolo di primo grado).

Ulteriori documenti reperiti in sede ispettiva comprovano come le imprese aderenti alle due ATI “A” e “A1”, dopo l’affidamento dei lotti (di Taranto e Augusta), dividevano i lavori diversamente da quanto prospettato negli atti costitutivi delle ATI, in modo da lasciarne la realizzazione effettiva ad una parte soltanto dei partecipanti a ciascun raggruppamento (cfr. doc. 21, 19, 17 e 18 del fascicolo di primo grado; estremamente significative sono anche le dichiarazioni rese, in sede istruttoria, dalla S., la quale riconosce di avere svolto, in relazione alla gara G305, lotto di Augusta, tutti i servizi di bonifica, ivi compresi quelli di bonifica spettanti a T.).

2.5.‒ In questo quadro, appare immune dai denunciati vizi di legittimità la valutazione di inattendibilità che la stessa Autorità ha espresso in merito alla spiegazione del parallelismo alternativa al coordinamento, fornita dalle parti. Pur essendo onere dell’Autorità fornire tutti gli elementi probatori a sostegno delle contestazioni mosse alle imprese, in presenza di evidenze precise e concordanti, spetta infatti alle imprese prospettare ipotesi alternative rispetto a quelle formulate dall’Autorità.

Non coglie nel segno l’affermazione secondo cui la costituzione delle ATI era indispensabile alle imprese sanzionate per partecipare alle procedure di affidamento. Come correttamente replicato dall’Autorità, la condotta contestata non consiste nell’aver partecipato alle gare in forma di raggruppamento, bensì nell’impiego strumentale delle ATI per spartire i lavori relativi ai due lotti di Taranto e Augusta, tra gruppi di imprese che in passato avevano presentato offerte concorrenti. Quanto all’enfatizzazione del carattere “a chiamata” dell’appalto, è dirimente considerare che le imprese in concreto astenutesi dalla partecipazione ai lavori non hanno dimostrato che i servizi per i quali esse partecipavano alle ATI non erano stati chiesti dagli Arsenali interessati.

Occorre poi ricordare che le intese finalizzate alla ripartizione dei mercati hanno un oggetto restrittivo della concorrenza in sé e appartengono a una categoria di accordi espressamente vietati dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, poiché un siffatto oggetto non può essere giustificato mediante un’analisi del contesto economico e giuridico in cui si inscrive la condotta anticoncorrenziale di cui trattasi (Corte Giust. UE, 19 dicembre 2013, cause riunite C-239/11 P, C 489/11 P e C 498/11 P). Ne deriva che non può costituire una causa di giustificazione di un’intesa restrittiva volta alla ripartizione del mercato la circostanza che, diversamente, l’impresa non avrebbe potuto perseguire i propri interessi commerciali.

Quanto alla progressiva riduzione dei ribassi nell’ambito delle gare in esame ‒ che secondo le appellanti sarebbero spiegabili in ragione di asseriti aumenti dei costi di produzione che la stazione appaltante non avrebbe computato in sede di definizione della base d’asta, unitamente ai tempi impiegati dalla stazione appaltante per l’esecuzione dei lavori ‒ la stazione appaltante ha dimostrato di avere effettuato con cadenza annuale periodiche rivalutazioni degli importi a base di gara. Peraltro, gli asseriti ingenti aumenti dei costi di produzione (nell’arco temporale in cui colloca la concertazione anticompetitiva) non sono supportate da documentazione idonea.

2.6.‒ In definitiva, l’ipotesi accusatoria deve essere considerata vera quando ‒ come accade nella specie ‒ risulti l’unica in grado di giustificare i vari elementi raccolti, o sia comunque nettamente preferibile rispetto ad ogni ipotesi alternativa astrattamente esistente.

2.7.‒ Veniamo da ultimo alle censure con le quali parte ricorrente ha contestato la quantificazione della sanzione.

2.7.1.‒ Con la decisione che accerta un’infrazione grave degli articoli 2 e 3 della legge n. 287 del 1990 o degli articoli 101 e 102 TFUE, l’Autorità, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione, dispone «l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida», ai sensi dell’art. 15, comma 1, della legge n. 287 del 1990. L’articolo 31 della medesima legge stabilisce che per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione delle norme in materia di concorrenza «si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689». A sua volta, l’articolo 11 della legge n. 689/81 prevede che nel determinare l’importo della sanzione «si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche».

Nell’esercizio del potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie, l’Autorità dispone di un ampio margine di discrezionalità, nei limiti di quanto previsto dalle richiamate norme. In particolare, la sanzione non deve superare il dieci per cento del fatturato totale realizzato a livello mondiale in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida. Nel rispetto di tali vincoli, ai fini di un’effettiva deterrenza, il livello della sanzione irrogata non deve eccedere quanto necessario per indurre le imprese a conformarsi alle norme antitrust.

Trova applicazione, nel caso in esame, la delibera dell’AGCM 22 ottobre 2014, n. 25152 («Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90»), in quanto la comunicazione delle risultanze istruttorie del procedimento è stata trasmessa alle parti dopo l’emanazione di siffatta delibera. Ivi si legge che, affinché la sanzione abbia un’effettiva efficacia deterrente, è almeno necessario che essa non sia inferiore ai vantaggi che l’impresa si attende di ricavare dalla violazione. Tali vantaggi, dipendendo dalla tipologia di infrazione posta in essere, sono funzione del valore complessivo delle vendite interessate dalla condotta illecita. Per questa ragione, le sanzioni applicabili agli illeciti antitrust devono essere calcolate a partire dal valore delle vendite dei beni o servizi oggetto, direttamente o indirettamente, dell’infrazione, realizzate dall’impresa nel mercato rilevante nell’ultimo anno intero di partecipazione alla stessa infrazione. La percentuale da applicarsi al valore delle vendite cui l’infrazione si riferisce deve essere determinata in funzione del grado di gravità della violazione (non potendo però essere superiore al 30%).

L’importo di base della sanzione si ottiene dunque moltiplicando una percentuale del valore delle vendite, determinata in funzione del livello di gravità dell’infrazione e alla durata della partecipazione di ciascuna impresa all’infrazione.

2.7.2.‒ Nel caso di specie, gli importi delle sanzioni da applicare alle imprese sono risultati i seguenti: T. € 4.233.674,50; T. € 1.604.681,75; S. € 2.941.614,54; M. € 662.520,62; Consorzio … € 847.550,50; S. € 863.845,40; C. € 1.143.961,21; T. € 335.418,75; W. € 469.569,00; C. € 49.525,00; M. € 140.469,37; S. € 189.695,00.

La ritenuta gravità dell’intesa orizzontale ha costituito, ai sensi dell’art. 15, comma 1, della legge n. 287/1990, parametro di commisurazione della sanzione, pari fino al 10% del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida. In applicazione delle menzionate linee guida, l’AGCM ha poi preso in considerazione «per ciascuna impresa partecipante alla pratica concertativa agli importi oggetto di aggiudicazione o posti a base d’asta in caso di assenza di aggiudicazione o comunque affidati ad esito di trattativa privata nelle procedure interessate dall’infrazione, senza necessità di introdurre aggiustamenti per la durata dell’infrazione».

Nell’ambito di ciascuna ATI, poi, gli importi di aggiudicazione sono stati ripartiti secondo le quote di partecipazione al raggruppamento. È stata applicata per tre società (T., T. E S.) un’ulteriore percentuale del 15% dell’importo base a titolo di aggravante «in ragione del ruolo decisivo nella promozione, realizzazione e organizzazione dell’infrazione». A due società (S. e M.), è stata invece riconosciuta una diminuente, sempre nella medesima misura percentuale, rispettivamente, in ragione dell’efficace collaborazione fornita nel corso del procedimento istruttorio e in considerazione del ruolo marginale rivestito.

2.7.3.– Il giudice di prime cure si è pronunciato, con motivazioni condivise dal Collegio, sulle doglianze relative alla mancata considerazione della problematicità delle condizioni economiche delle parti, nonché dei condizionamenti alle condotte di impresa impressi dalla peculiarità dei bandi di gara di cui trattasi.

2.7.4.‒ Appare invece fondata la censura relativa al mancato rispetto del parametro di commisurazione della sanzione incentrato sulla gravità della condotta.

Si è già detto che, nel caso di intesa avente un oggetto anticoncorrenziale, non è necessario, perché la stessa possa essere qualificata come illecita, effettuare ulteriori valutazioni sugli effetti concreti che la stessa ha avuto sul mercato, la suddetta qualificazione conseguendo al riscontro dell'oggettiva idoneità della stessa ad alterare la concorrenza. La giurisprudenza comunitaria ha affermato la possibilità di pratiche concordate condannabili “per oggetto” pur in mancanza di effetti concreti (v. Corte Giust. CE, 8 luglio 1999, C-49/92; Trib. I grado CE, 8 luglio 2004, T-50/00), con ciò riferendosi a “pratiche facilitanti” atte a favorire il coordinamento dei comportamenti concorrenziali delle imprese coinvolte, per quanto non ancora produttive di concreti effetti anticoncorrenziali.

Tuttavia, l’analisi degli effetti prodotti sul mercato ben può incidere sulla valutazione di gravità della intesa illecita e, di conseguenza, sulla quantificazione della sanzione pecuniaria (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 aprile 2009, n. 2092).

Nel caso in esame, mentre è certamente emersa l’esistenza di un’intesa avente un oggetto potenzialmente anticoncorrenziale, l’analisi degli effetti concreti è rimasta priva di adeguati approfondimenti. Anche nelle Linee Guida, tra i criteri di qualificazione della gravità, di cui l’Autorità deve tenere conto ai fini della scelta della percentuale da applicare al valore delle vendite, figura espressamente: «[…] la rilevanza dell’effettivo impatto economico o, più in generale, degli effetti pregiudizievoli sul mercato e/o sui consumatori, qualora l’Autorità disponga di elementi che consentano una stima attendibile degli stessi». La mancanza individuazione del concreto pregiudizio arrecato al funzionamento del mercato e il dato per cui il differenziale tra i ribassi percentuali sul prezzo base di gara per gli appalti oggetto di istruttoria e quello tra analoghe procedure estranee al perimetro del presente procedimento risulta – secondo quanto dedotto dalle odierne appellanti senza specifica contestazione di controparte – a pochi punti percentuali, doveva essere preso in considerazione nella scelta della percentuale applicabile al valore delle vendite. Si tratta di elementi che, senza certo poter condizionare per la ragioni illustrate la valutazione di gravità dell’intesa da svolgere in sede di verifica circa la sussistenza dell’illecito, non potevano essere tuttavia pretermessi in sede di quantificazione della sanzione da irrogare.

2.7.5.– Tirando le fila sul punto, ai sensi art. 134, comma 1, lett. c) del c.p.a., che riconosce in materia al giudice amministrativo una cognizione estesa al merito, e conformemente ai precedenti specifici sul punto (cfr. Sez. VI, sentenze n. 3057 e n. 3016 del 2017, relative alla medesima vicenda contenziosa), la misura della sanzione pecuniaria comminata dall’AGCM deve essere ridotta del 70%.

3.‒ Veniamo ora all’appello n. 9385 del 2016 sollevato da S. s.r.l., avente ad oggetto la diversa sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 8500 del 2016.

3.1.‒ Ai fini del rigetto delle censure incentrate sull’incongruenza motivazionale e sul deficit probatorio a supporto dell’impianto ricostruttivo contenuto nel provvedimento sanzionatorio dell’Autorità, è sufficiente riportarsi alle argomentazioni sopra svolte.

Non resta che esaminare la posizione specifica dell’odierna esponente.

3.2.– Come si illustrato nella premessa fatto, la società invoca la propria estraneità alla condotta anticompetitiva, la quale sarebbe desumibile dalla sua posizione di mandante partecipante alla sola ATI “A”, dalla corrispondenza tra la percentuale di lavori portata a compimento e quella assegnata dall’atto costitutivo, nonché dalla marginalità della sua partecipazione (non superiore al 10% del valore totale del lotto aggiudicato).

Va premesso che, secondo la giurisprudenza europea, quando una decisione che applica l’articolo 101 TFUE (ex art. 81 TCE) riguarda più destinatari e pone un problema di imputabilità dell’infrazione, essa deve contenere una motivazione sufficiente nei confronti di ciascuno dei destinatari, specie di quelli che, secondo il tenore della stessa decisione, dovranno sopportare l’onere conseguente all’infrazione (Trib. I grado CE, 28 aprile 1994, T 38/92; id., T 330/01), con la precisazione che l’accertamento dell’elemento soggettivo quanto meno della colpa costituisce il presupposto per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, ai sensi dell’art. 11, paragrafo 2, del Regolamento CE n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002 (concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato), ma non costituisce elemento costitutivo dell’illecito antitrust (ad es., ai fini dell’adozione di misure interdittive).

Gli accordi e le pratiche concordate di cui all’art. 101 TFUE derivano necessariamente dal concorso di due o più imprese, tutte coautrici dell’infrazione, la cui partecipazione può però presentare forme differenti a seconda, segnatamente, delle caratteristiche del mercato interessato e della posizione di ciascuna impresa su tale mercato, degli scopi perseguiti e delle modalità di esecuzione scelte o previste: tuttavia, la semplice circostanza che ciascuna impresa partecipi all’infrazione secondo forme ad essa peculiari non basta ad escluderne la responsabilità per il complesso dell’infrazione, compresi i comportamenti materialmente attuati da altre imprese partecipanti che però condividano il medesimo oggetto o il medesimo effetto anticoncorrenziale (Corte di Giustizia CE, 8 luglio 1999, C 49/92 P). In tali casi, spetta all’Autorità nazionale antitrust dimostrare che la suddetta impresa intendeva contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti e che era a conoscenza dei comportamenti materiali previsti o messi in atto da altre imprese nel perseguire i medesimi obiettivi, oppure che poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne i rischi (Corte Giustizia CE, 8 luglio 1999, C‑49/92 P).

3.3.– Su queste basi, correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto imputabile anche S. la conoscenza del disegno collusivo, in quanto molteplici elementi conducono a ritenere che l’impresa abbia inteso contribuire agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti, in quanto consapevole della condotta pianificata o quantomeno perfettamente in grado di prevederla.

La società, in considerazione dell’esperienza professionale e della sua pregressa partecipazione alle gare pregresse svoltesi nel medesimo segmento merceologico e geografico, non poteva non avere constatato la discontinuità dell’atteggiamento competitivo delle imprese prima concorrenti e poi raggruppate in un’unica compagine, con all’interno anche società aventi (senza apparente giustificazione economica) le medesime specializzazioni. Scostamento anomalo della strategia imprenditoriale che S. ha quantomeno inteso assecondare, avendo deciso di permanere nell’ATI e nella commessa per tutte le gare bandite nel 2011, 2012 e 2013, senza assumere iniziative di dissociazione o denuncia della pratica concordata.

 

Come correttamente affermato dal giudice di prime cure non sono in contraddizione con la ricostruzione dell’illecito collusivo, i rilievi relativi all’effettiva esecuzione della quota lavori ad essa spettante secondo l’atto costitutivo dell’ATI e alla disponibilità di un impianto di smaltimento rifiuti speciali in loco.

 

3.4.‒ Venendo alla quantificazione della sanzione, non appaiono fondate le censure con le quali S. lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti in relazione a molteplici fattori dalla stessa individuati.

È sufficiente al riguardo evidenziare che:

- la mera interruzione del comportamento illecito successivamente all'avvio dell’attività istruttoria non costituisce di per sé una circostanza attenuante;

- l’avvenuta presentazione di impegni da parte della società non può incidere sul trattamento sanzionatorio ove, come nel caso all’esame, siano stati valutati negativamente dall’Autorità;

- la collaborazione nel corso del procedimento con l'AGCM per essere valutata come circostanza attenuante deve andare al di là di quanto richiesto dagli obblighi di legge e deve manifestarsi in maniera particolarmente efficace (non risulta che la condotta della società appellante sia stata tale da rendere più agevole il compito di accertare l’infrazione o di inibirla);

- non risulta, che la società appellante abbia svolto un ruolo marginale nella partecipazione alla infrazione, tale da giustificare l’applicazione di circostanze attenuanti, in quanto essa ha comunque concretamente attuato la pratica illecita.

3.5.‒ Deve invece procedersi alla riduzione della sanzione pecuniaria comminata dall’AGCM nella misura del 70%, per gli stessi motivi indicati ai paragrafi 2.6.4. e 2.6.5. della motivazione.

4.‒ Conclusivamente, gli appelli vanno accolti con esclusivo riferimento alla rideterminazione della sanzione in riduzione, nella misura del 70%.

4.1.‒ La complessità delle questioni dedotte e la parziale reciproca soccombenza giustificano la compensazione integrale tra le parti delle spese di entrambi i gradi dei giudizi.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe indicati, li accoglie ai sensi e nei limiti della motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata e in parziale accoglimento dei ricorsi di primo grado, ridetermina la sanzione finale nella misura di cui alla motivazione.

Le spese di lite del doppio grado di giudizio sono compensate.