Tar Sardegna, sez. I, 5 febbraio 2018, n. 69.

1. Qualora la lex specialis contenga clausole che, per il loro contenuto concreto, determinano per l'aspirante partecipante una sostanziale impossibilità di dar corso alla formulazione di un'offerta, si impone all'operatore interessato l'immediata impugnazione della lex specialis a prescindere dalla (e in via preliminare alla) partecipazione alla gara.

conformi: Consiglio di Stato, sez. III, 3 febbraio 2017 n. 474; Consiglio di Stato, sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 4180; Consiglio di Stato, sez. III, 2 febbraio 2015, n. 491; Tar Lazio – Roma, sez. II-Ter, 23 novembre 2017, n. 11582.

 

Guida alla lettura

 

La sentenza in rassegna offre un interessante spunto di riflessione in relazione al tema, di stretta attualità, dell'esatta identificazione dell'ampiezza dell'onere di immediata impugnazione delle clausole della lex specialis e della conseguente legittimazione alla proposizione dell'impugnativa in capo all'operatore economico che non abbia preso parte alla procedura di gara.

Nel giudizio oggetto della pronunzia in commento, la ricorrente censurava l'illegittimità di alcune clausole della legge di gara bandita dal Ministero della Giustizia relativa al servizio di mantenimento dei detenuti e internati mediante l’approvvigionamento di derrate alimentari per il confezionamento di pasti per gli Istituti penitenziari. Segnatamente, per quanto qui di interesse, si contestava la sostanziale insufficienza dell'importo stabilito a base d'asta per la remunerazione delle prestazioni richieste oltre alla violazione del principio di proporzionalità per l'impossibilità di reperire alcuni prodotti sul mercato. Lamentava, dunque, la ricorrente che l'illegittimità di tali clausole precludeva la formulazione di un'offerta e ne domandava l'annullamento.

Il Tar Sardegna ha accolto le predette censure, riconoscendone la fondatezza. In via preliminare, il Collegio ha esaminato l'eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dall'Amministrazione, fondata sulla carenza di interesse della ricorrente all'impugnazione di atti di una gara non ancora espletata e in relazione alla quale l'operatore non aveva formulato domanda di partecipazione.

Nel disattendere l'eccezione della difesa erariale, il Tar ha riconosciuto la piena sussistenza dell'interesse al ricorso, ravvisando la presenza delle condizioni che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, legittimano, ed anzi impongono, l'immediata impugnazione delle clausole della lex specialis da parte dell'operatore che non vi abbia preso parte.

Sul punto, occorre evidenziare che il tema dell'immediata contestazione della legge di gara costituisce oggetto di ampio e complesso dibattito in dottrina e giurisprudenza di durata ormai ultra-decennale.

Il bando di gara, infatti, è considerato unanimemente alla stregua di un atto amministrativo generale, finalizzato, dunque, alla cura di concreti interessi pubblici, regolante la singola procedura e avente effetti nei confronti di una generalità di soggetti non strettamente predeterminati, ma determinabili. In quanto atto amministrativo generale, il momento in cui si produce l'effetto lesivo  è da ravvisare, di norma, nell'adozione dell'atto successivo che, in applicazione delle disposizioni generali del bando, identifica concretamente il soggetto leso e rende attuale e concreta la lesione della relativa posizione soggettiva, determinando l'insorgenza dell'interesse all'impugnazione.

A fronte di tale ricostruzione generale, si è sviluppato da tempo il dibattito giurisprudenziale incentrato sull'esatta identificazione dell'interesse del partecipante e del momento esatto in cui si manifesta la relativa lesione.

Secondo un risalente orientamento, l'interesse ad impugnare il bando sorgerebbe soltanto in virtù dell'adozione dell'atto applicativo.

Un ulteriore indirizzo, identificando il bene della vita cui aspira il partecipante nell'aggiudicazione della gara, ha affermato che l'onere di immediata contestazione riguarderebbe soltanto le disposizioni impeditive dell'ammissione dell'interessato alla selezione.

Altro e distinto filone interpretativo, infine, ha sostenuto che l'interesse protetto sarebbe costituito dal rispetto delle norme della selezione, con la conseguenza che risulterebbero immediatamente impugnabili, in via generale, anche le clausole della lex specialis differenti rispetto a quelle indicanti i requisiti di partecipazione.

Il contrasto giurisprudenziale è stato risolto con la nota sentenza n. 1/2003 con la quale l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha delineato i caratteri della situazione soggettiva protetta del partecipante giungendo ad individuare le ipotesi nelle quali tale posizione risulta lesa in virtù dell'adozione delle clausole del bando di gara acquistando, dunque, i connotati della concretezza ed attualità.

La Plenaria, infatti, dopo aver affermato che l’interesse protetto di cui è titolare il concorrente alla gara è costituito non dall’astratta legittimità del comportamento dell’Amministrazione, ma dalla possibilità di conseguire l’aggiudicazione, ha stabilito che le clausole del bando che debbono essere immediatamente impugnate sono, di norma, quelle che prescrivono requisiti soggettivi di ammissione o di partecipazione, assimilando ad esse, tuttavia, anche le previsioni che impongano, ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati rispetto ai caratteri della gara, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara.

L'importanza di tale pronunzia risiede nel fatto che, in virtù del suo portato, è stato individuato il carattere dell'interesse protetto del concorrente e sono state, di conseguenza, delineate le ipotesi in cui è consentita, ed anzi imposta, l'immediata contestazione impugnazione della lex specialis, e, correlativamente, le fattispecie in presenza delle quali tale contestazione è ammessa anche in mancanza dell'avvenuta presentazione della domanda di partecipazione.

A fronte di clausole che manifestano immediatamente la propria attitudine lesiva, infatti, risulta preclusa sin dal principio la stessa partecipazione alla gara. Di talchè non appare necessaria la previa partecipazione al procedimento.

La sentenza in parola, peraltro, precisa che al di fuori delle ipotesi poc'anzi individuate, la lesione per il partecipante si verifica soltanto al momento dell'adozione dell'atto applicativo della legge di gara. Segnatamente, l’onere di immediata impugnazione è stato escluso sia per le clausole riguardanti la composizione ed il funzionamento del seggio di gara, sia per le previsioni che condizionano anche indirettamente, la formulazione dell’offerta economica -quali quelle riguardanti il metodo di selezione, il criterio di aggiudicazione e la valutazione dell’anomalia- sia, infine, per le clausole che definiscono gli oneri formali di partecipazione.

Corollario di tale ricostruzione è costituito dal principio secondo cui la legge di gara, in tali casi, non può essere impugnata immediatamente e, soprattutto, la relativa censura non può essere fatta valere da chi si sia sottratto volontariamente alla procedura in ragione della mancata presentazione della domanda di partecipazione

La giurisprudenza successiva ha recepito gli insegnamenti dell'Adunanza Plenaria, specificando le ipotesi nelle quali la lesione dell'interesse per il concorrente si configura ab origine legittimando, pertanto, l'immediata impugnazione degli atti della procedura.

In particolare, in virtù di due ulteriori interventi dell'Adunanza Plenaria (n. 4/2011 e n. 9/2014), il supremo organo di giustizia amministrativa ha ribadito il principio cardine secondo cui la legittimazione al ricorso deve essere “correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione", e dunque "chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l'annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione - per lui res inter alios acta - venga nuovamente bandita" (Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4).

Tale principio ammette deroga in tre tassative ipotesi, ovvero allorquando (i) si contesti in radice l'indizione della gara, (ii) si contesti la mancanza della gara (es., affidamento in via diretta del contratto), (iii) si contestino le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.

Il dibattito giurisprudenziale seguente si è incentrato, soprattutto, sull'esatta individuazione delle clausole con valenza immediatamente escludente.

Nello specifico, prendendo le mosse dalle argomentazioni dell'Adunanza Plenaria, la giurisprudenza si è orientata nel senso di ampliare progressivamente le ipotesi in cui le disposizioni della legge di gara debbono essere intese come escludenti, individuandole non soltanto in quelle che stabiliscono i requisiti soggettivi, ma anche nelle previsioni strettamente inerenti la formulazione dell'offerta, allorquando precludano, sotto il profilo tecnico o economico, la sua presentazione.

Gli ultimi arresti, in particolare, hanno enucleato una casistica che ricomprende tra le disposizioni che debbono essere immediatamente censurate: (i) quelle riportanti clausole abnormi o irragionevoli, che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta; (ii) le condizioni negoziali indicate nello schema di contratto, che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente; (iii) le disposizioni che impongano obblighi contra ius; (iiii) le gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta ovvero la presenza di formule matematiche del tutto errate; (iiiii) gli atti di gara privi della prescritta indicazione, nel bando, dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 4180).

Si è assistito, dunque, a un'evoluzione in senso “ampliativo” dell'originaria impostazione, mediante il riconoscimento dell'immediata lesività e della conseguente necessità di tempestiva contestazione delle previsioni della lex specialis che, pur non determinando la certa impossibilità per l'operatore di formulare un'offerta, rendano la sua partecipazione inutile, contraria alla legge o eccessivamente gravosa sotto il profilo tecnico o economico. Al verificarsi di tali ipotesi, la cui ricorrenza deve essere accertata nel merito, la legittimazione all'impugnazione spetta, giocoforza, anche all'impresa che non abbia partecipato alla procedura.

La pronunzia del Tar Sardegna si allinea a tale ultimo orientamento, affermando che le clausole della legge di gara contestate, che determinavano l'insufficienza del prezzo per la remunerazione delle prestazioni richieste all'operatore e che imponevano il reperimento di prodotti inesistenti sul mercato, precludessero, di fatto, la partecipazione del concorrente, accertandone la natura immediatamente lesiva, con conseguente onere di immediata impugnazione.

L'orientamento cui accede il Tribunale sardo, sebbene ormai consolidato e fondato sugli insegnamenti contenuti in ben tre interventi dell'Adunanza Plenaria, non costituisce, tuttavia, un approdo definitivo.

In proposito, occorre innanzitutto segnalare che, di recente, il Tar Liguria, con ordinanza del 29 marzo 2017 n. 263, ha sottoposto alla Corte di Giustizia Europea la questione relativa alla legittimazione all'impugnazione degli atti di una procedura di gara per i soli operatori economici che abbiano presentato la domanda di partecipazione anche qualora sia stata contestata giudizialmente la procedura in radice in ragione di previsioni della lex specialis che rendano non impossibile ma soltanto altamente probabile il mancato conseguimento dell'aggiudicazione.

Il quesito enucleato dal Tribunale ligure sorge per effetto della sentenza del 22 novembre 2016, n. 245, con la quale la Corte Costituzionale, ribadendo i principi espressi dall'Adunanza Plenaria del  Consiglio di Stato sul tema, ha proposto un'interpretazione della legittimazione immediata all'impugnazione del bando potenzialmente idonea a ridimensionare la portata applicativa dell'indirizzo “ampliativo” poc'anzi richiamato, rilevando, in buona sostanza, che l'interesse al ricorso sorge soltanto nei confronti di quelle clausole della legge di gara che costituiscano un “impedimento certo e attuale alla partecipazione”, e non in relazione a quelle che determinino in capo al concorrente l'altissima probabilità di mancata aggiudicazione della procedura. Di conseguenza, risulterebbe inammissibile l'impugnazione immediata di tali ultime clausole (quali, ad esempio, quelle sulla dimensione dei lotti) da parte dell'operatore che non abbia partecipato alla gara, in quanto la lesione risulterebbe soltanto potenziale e carente dei requisiti della certezza ed attualità.

Peraltro, di recente si è assistito alla formazione di un nuovo indirizzo giurisprudenziale che, sul solco della tendenza estensiva nella definizione delle condizioni legittimanti l'immediata impugnazione delle clausole del bando testè accennata, e prendendo le mosse da alcune pronunzie della sesta sezione del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. VI, ordinanza di rimessione alla Plenaria 1 febbraio 2013, n. 634) ha dato corso a una vera e propria rimeditazione della concezione dell'interesse protetto dell'operatore economico, ritenendo ormai superato l'insegnamento tradizionale seguito sin dalla sentenza della Plenaria del 2003.

Tale orientamento, sulla scorta delle novità legislative introdotte nella materia degli appalti pubblici (l’espressa comminazione di nullità, in luogo dell'annullabilità, delle clausole espulsive autonomamente previste dalla stazione appaltante; l'autotutela “doverosa” di cui all’art. 211, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016, che prescinde dall’interesse del singolo partecipante all’aggiudicazione e tende al corretto espletamento delle procedure di gara nell’interesse di tutti i partecipanti; l’onere di impugnazione dell’altrui ammissione alla gara ex art. 120 c.p.a., anch'esso tutelante l'interesse al corretto svolgimento della gara, distinto ed autonomo, sebbene strumentale, rispetto a quello all’aggiudicazione; l'introduzione di una gerarchia tra i due tipici metodi di aggiudicazione di un appalto, ovvero l’offerta economicamente più vantaggiosa e il massimo ribasso, di cui all'art. 95 del D.Lgs. n. 50/2016) ha tracciato una nozione di “bene della vita” meritevole di tutela più ampia di quella tradizionalmente riferita all’aggiudicazione che, “sebbene non coincidente con il generale interesse alla mera legittimità dell’azione amministrativa”, ricomprende comunque il “diritto” dell’operatore economico “a competere secondo i criteri predefiniti dal legislatore, nonchè a formulare un’offerta che possa validamente rappresentare la qualità delle soluzioni elaborate, e coerentemente aspirare ad essere giudicata in relazione anche a tali aspetti” e non soltanto nell'ottica dello sconto offerto (Cons. Stato, sez. III, 2 maggio 2017, n. 2014). Il bene della vita protetto, pertanto, è quello della “competizione secondo il miglior prezzo”, e dunque un bene “diverso, e dotato di autonoma rilevanza rispetto all'interesse finale all'aggiudicazione” (Tar Sardegna, sez. I, 14 settembre 2017, n. 582; cfr. anche Tar Sicilia – Palermo, sez. III, 2 febbraio 2018, n. 304).

In tale ottica, sarebbero immediatamente lesive, e dunque soggette all'onere di tempestiva impugnazione, anche le clausole che stabiliscano il criterio di aggiudicazione (minor prezzo in luogo di offerta economicamente più vantaggiosa e viceversa).

La rivisitazione dei caratteri dell'interesse ad agire e del bene della vita meritevole di protezione nella materia degli appalti pubblici operata dal citato innovativo orientamento potrebbe determinare importanti ripercussioni sugli oneri di immediata impugnazione delle clausole della lex specialis.

Se, invero, il bene protetto fosse costituito non soltanto da quello “finale” all'aggiudicazione, ma anche da quello “strumentale” al legittimo espletamento della procedura di gara, troverebbe ingresso l'onere di immediata impugnazione della generalità delle clausole del bando inerenti le regole formali e sostanziali di svolgimento della procedura, a prescindere dalla possibilità di aggiudicazione della gara. Ciò, peraltro, potrebbe astrattamente legittimare la proposizione dell'impugnazione anche di tali clausole da parte dell'operatore che non abbia proposto la domanda di partecipazione alla procedura.

Se tale impostazione fosse confermata, risulterebbero definitivamente superati i tradizionali insegnamenti della giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Un punto certo sul tema potrebbe essere impresso dall'imminente pronunzia dell'Adunanza Plenaria, alla quale la Terza Sezione del Supremo Consesso ha recentemente deferito le questioni in discorso con l'ordinanza di rimessione del 7 novembre 2017 n. 5138.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 647 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
SAEP s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Crisostomo Sciacca, Biagio Giliberti, Antonella Capria, Gennaro Terracciano, Vincenzo Barrasso, Edoardo Rulli, Francesca Carlesi, Luca Amicarelli ed Enrico Esposito, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Massimo Lai in Cagliari, via Alagon n. 1;

contro

Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria - Provveditorato Regionale Sardegna, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, ivi domiciliataria in via Dante n. 23/25;

nei confronti di

Impresa D'Agostino s.r.l., non costituita in giudizio;

per l'annullamento, con il ricorso introduttivo:

- del bando di gara avente ad oggetto il “Servizio di mantenimento dei detenuti e internati attraverso l'approvvigionamento di derrate alimentari per il confezionamento di pasti per gli Istituti penitenziari, con assicurazione del servizio di Sopravvitto”, indetto dal Provveditorato Regionale per la Sardegna in data 6 luglio 2017 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in data 10 luglio 2017;

- del disciplinare di gara (doc. 2), del capitolato prestazionale (doc. 3), dello schema di accordo quadro (doc. 4), delle tabelle vittuarie invernali (doc. 5) ed estive (doc. 6), delle appendici al capitolato prestazionale (doc. 7), nonché di tutti gli altri atti inclusi nella lex specialis di gara, ivi inclusa, ove occorrer possa, la determina a contrarre protocollo. n. 16627 adottata dal Provveditorato Regionale per la Sardegna in data 25 giugno 2017 e pubblicata sul sito web del Ministero della Giustizia in data 13 luglio 2017 (doc. 8);

- di ogni altro atto ad essi presupposto, consequenziale e/o comunque connesso, ivi inclusi quelli istruttori, dal contenuto ignoto, ove assunti a presupposto per l'individuazione dei prezzi unitari a base d'asta relativi alla diaria giornaliera.

con i motivi aggiunti del 16 ottobre 2017:

- del bando di gara avente ad oggetto il “Servizio di mantenimento dei detenuti e internati attraverso l'approvvigionamento di derrate alimentari per il confezionamento di pasti per gli Istituti penitenziari, con assicurazione del servizio di Sopravvitto”, indetto dal Provveditorato Regionale per la Sardegna (doc. 1, si fa riferimento ai documenti depositati con il ricorso);

- del disciplinare di gara (doc. 2), del capitolato prestazionale (doc. 3), dello schema di accordo quadro (doc. 4), delle tabelle vittuarie invernali (doc. 5) ed estive (doc. 6), delle appendici al capitolato prestazionale (doc. 7), nonché di tutti gli altri atti inclusi nella lex specialis di gara, ivi inclusa, ove occorrer possa, la determina a contrarre protocollo. n. 16627 adottata dal Provveditorato Regionale per la Sardegna in data 25 giugno 2017 e pubblicata sul sito web del Ministero della Giustizia in data 13 luglio 2017 (doc. 8).

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati.

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria - Provveditorato Regionale Sardegna.

Viste le memorie difensive.

Visti tutti gli atti della causa.

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2018 il dott. Antonio Plaisant e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con bando pubblicato in data 10 luglio 2017, il Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Sardegna ha indetto una procedura aperta -retta dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi degli artt. 34, 60 e 95 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50- per la conclusione di un accordo quadro, di durata triennale, avente a oggetto il “Servizio di mantenimento dei detenuti e internati attraverso l’approvvigionamento di derrate alimentari per il confezionamento di pasti per gli Istituti penitenziari, con assicurazione del servizio di sopravvitto”, suddiviso in n. 3 lotti territoriali, per un importo economico complessivo a base di gara pari a euro 9.694.339,00, IVA esclusa.

Tale importo è stato calcolato tenendo conto del “Vitto” -cioè della prevista “fornitura base” di generi alimentari crudi, secondo le tipologie e quantità fissate da due tabelle vittuarie (una invernale e l’altra estiva) e, a tal fine, ipotizzando un corrispettivo giornaliero soggetto a ribasso, cd. “Diaria”, di euro 3,90; la lex specialis di gara contempla la possibilità per l’appaltatore di fornire anche il c.d. Sopravvitto, previsto dall’art. 9, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354 e consistente nella somministrazione di ulteriori generi di conforto (alimentari e non) ai detenuti che intendano acquistarli a proprie spese, ma il relativo importo non è stato computato nella base d’asta proprio perché i relativi costi saranno sopportati direttamente dai detenuti interessati e, sul punto, il capitolato si è limitato a prevedere un limite massimo di spesa individuale pari a euro 150,00 a settimana e di euro 500,00 al mese, nonché un canone di locazione annuo di euro 120.000 a carico del gestore, quale corrispettivo dell’utilizzo dei locali necessari all’esercizio del relativo servizio aggiuntivo.

Con il ricorso ora all’esame del Collegio, la SAEP s.p.a. (da qui in poi soltanto “SAEP”) -società operante nel settore delle mense penitenziarie, nonché fornitore uscente in diversi istituti penitenziari, anche sardi- ha impugnato il bando sopra descritto, insieme agli altri atti che compongono la lex specialis di gara, ritenendo che la stessa sia strutturata in modo incompatibile con la formulazione di un’offerta sostenibile, ciò sul presupposto di fondo che il prezzo a base d’asta sia troppo basso in relazione al contenuto della prestazione richiesta e che ciò impedisca a qualunque operatore interessato di presentare una proposta economicamente remunerativa; a sostegno di questa tesi la ricorrente valorizza, soprattutto, l’incidenza -rispetto alle gare precedenti- dei costi relativi ai prodotti biologici e provenienti da filiera controllata ora, per la prima volta, richiesti e, al riguardo, deposita un parere pro veritate e una relazione tecnica (redatti da due professionisti del settore), nonché uno studio di Ernst & Young sui prezzi dei prodotti alimentari in Italia nell’attuale contesto di mercato.

Più nel dettaglio il ricorso è affidato a varie censure, che saranno esaminate nella parte in diritto.

In data 14 agosto 2017 la ricorrente ha presentato un’istanza istruttoria, chiedendo l’acquisizione agli atti del giudizio di tutti gli atti relativi e prodromici alla procedura de qua, con particolare riferimento agli accertamenti di carattere tecnico svolti dall’Amministrazione per determinare l’importo della base d’asta.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia, eccependo l’infondatezza del ricorso e, in via preliminare, l’inammissibilità dello stesso per carenza d’interesse, sul presupposto che le clausole impugnate non siano ostative alla partecipazione alla gara.

Nel costituirsi in giudizio l’Amministrazione resistente ha versato in atti, tra l’altro, la seguente documentazione: - il Piano nazionale per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione, approvato dal Ministero dell’Ambiente e recante “Criteri ambientali minimi per il servizio di ristorazione collettiva”, pubblicato nella G.U. 21 settembre 2011; - un documento recante la “Mappatura dei prezzi delle sedi penitenziarie territoriali”, posto a base delle rispettive procedure di affidamento e recante una schematica indicazione della ritenuta incidenza singoli prodotti sui costi della fornitura; - la nota dell’Agenzia del Demanio 27 settembre 2016, recante i criteri per la determinazione del canone di locazione dovuto dalle imprese di gestione delle mense penitenziarie per l’utilizzo dei locali destinati al deposito e allo stoccaggio delle merci; - le Tabelle Vittuarie relative ai costi per prodotto da considerare ai fini delle gare, approvate con d.m. 9 maggio 2017: - il correlativo Foglio di calcolo da utilizzare per la formulazione dell’offerta economica; - la nota 19 giugno 2017, n. 0203025, con cui il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha indicato ai provveditorati regionali i criteri cui attenersi ai fini dei nuovi affidamenti del servizio di mensa penitenziaria, allegando -oltre allo schema generale degli atti gara e dei relativi allegati- le Tabelle Vittuarie, la Tabella relativa ai prezzi dei prodotti in Sopravvitto e la Tabella relativa ai costi per l’utilizzo dei locali e mezzi necessari alla gestione del servizio; - la determinazione a contrarre 25 giugno 2017, n. 16627, approvata dal Provveditore regionale per la Sardegna e costituente atto presupposto della gara oggetto della presente controversia.

All’esito della camera di consiglio dell’8 novembre 2017, il Collegio -con ordinanza in pari data, n. 634- ha accolto l’istanza cautelare proposta dalla ricorrente, ritenendo prima facie insufficiente l’istruttoria svolta dall’Amministrazione e fissando per la discussione del merito la pubblica udienza del 10 gennaio 2018.

Successivamente la difesa erariale ha versato in atti la nota del Provveditorato regionale 10 ottobre 2017, n. 26591, recante controdeduzioni rispetto a quanto sostenuto in ricorso, nonché una “Analisi comparativa dei costi per l’erogazione del servizio di ristorazione scolastica e altri utenti” redatta dal CONAL (che vi figura come società di servizi, composta da professionisti del settore agroalimentare e ambientale), nonché una “Stima del valore più probabile di un pasto redatta per conto dell’Azienda Speciale Multiservizi del Comune di Viareggio”.

La ricorrente -dopo aver versato in atti, a sua volta, una nota integrativa al già depositato parere pro veritate e alcune note di replica alle relazioni prodotte dall’Amministrazione nell’ambito di separati giudizi, relativi allo stesso bando, pendenti innanzi ad altri Tribunali amministrativi regionali- in data 16 ottobre 2017 ha depositato motivi aggiunti con cui ha contestato sotto profili ulteriori gli stessi provvedimenti oggetto del gravame introduttivo, allegando ulteriore documentazione tecnica.

Con successiva memoria la difesa erariale ha contestato le censure dedotte con i motivi aggiunti, allegando la nota 15 dicembre 2017, n. 401788, con cui il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria aveva esposto ai singoli provveditorati regionali alcune argomentazioni difensive da spendere nei giudizi in corso.

Infine la ricorrente ha prodotto altre memorie difensive a supporto delle proprie argomentazioni.

All’esito della pubblica udienza del 10 gennaio 2018 la causa è stata definitivamente trattenuta in decisione.

DIRITTO

In via preliminare è opportuno sgombrare il campo da una questione processuale che emerge dagli atti difensivi dell’Amministrazione resistente e che riguarda il possibile difetto di interesse della ricorrente a impugnare gli atti che compongono la lex specialis di una gara che non si è ancora svolta e cui non ha partecipato.

Tale eccezione è priva di pregio, giacché la prospettazione della ricorrente -ovviamente da verificare nel merito- è che la lex specialis di gara sia stata congegnata in modo tale da impedirle di fatto la partecipazione alla gara, giacché contemplante una richiesta di prodotti economicamente insostenibile in relazione al corrispettivo indicato in bando: laddove tale prospettazione fosse esatta, infatti, verrebbe a configurarsi quella “sostanziale impossibilità di formulare l’offerta” che -secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato e condivisibile- impone l’immediata impugnazione della lex specialis, a prescindere dalla (e in via preliminare alla) partecipazione alla gara (cfr. in termini, da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. III, 18 aprile 2017, n. 1809).

Ancora in apice, il Collegio ritiene che l’istanza istruttoria avanzata dalla ricorrente (vedi narrativa) possa ritenersi superata alla luce delle produzioni successivamente effettuate dalla difesa erariale, dalle quali emerge ormai il “quadro completo” degli elementi istruttori su cui l’Amministrazione si è basata nel determinare l’oggetto dell’appalto e la Diaria posta a base di gara.

Ciò posto si passa all’esame delle censure dedotte dalla ricorrente.

Al fine di agevolare la successiva analisi è opportuno premettere che il ricorso introduttivo è stato formulato sulla base dei documenti istruttori in quel momento disponibili, mentre i motivi aggiunti e le memorie conclusive tengono conto anche dell’ulteriore documentazione poi versata in atti dalla difesa erariale, che ha completato il quadro ricostruttivo, come già si è evidenziato; esistono, dunque, profili di collegamento, giuridico e sostanziale, tra alcune delle censure dedotte con l’atto introduttivo e alcune di quelle proposte con i motivi aggiunti, per cui la relativa analisi sarà effettuata “raggruppando” le doglianze connesse in base alle comuni “aree tematiche”; saranno invece, trattate a parte (e per ultime) la quinta censura del ricorso introduttivo e l’ultima doglianza dedotta con i motivi aggiunti, in quanto relative a questioni specifiche e autonome rispetto alle altre.

A. La ritenuta insufficienza dell’importo indicato a base d’asta e il denunciato vizio di difetto di istruttoria e di motivazione.

A questo profilo fa riferimento, innanzitutto, la parte iniziale della prima censura dedotta con l’atto introduttivo (numerata come II), ove la ricorrente sostiene che l’importo della Diaria giornaliera di euro 3,90 a base d’asta, con cui l’Amministrazione ha replicato identica previsione contenuta nei pregressi bandi relativi agli omologhi affidamenti del periodo 2010/2014- sia ictu oculi insufficiente in relazione alle prestazioni oggetto dell’affidamento, che sarebbero, sotto diversi profili, più onerose di quelle richieste in passato, come emergerebbe, in particolare, dalle seguenti evidenze:

il parere pro veritate e la relazione tecnica prodotti in giudizio dalla ricorrente, dai quali risulterebbe un valore di mercato della prestazione giornaliera richiesta pari -invece che a euro 3,90, come previsto dall’Amministrazione- alla ben superiore cifra di euro 5,59 (come da parere pro veritate) o, quanto meno, a quella “prudenziale” di euro 4,82 (come da relazione tecnica);

l’ulteriore Studio redatto dalla società di consulenza Ernst & Young, ugualmente prodotto in giudizio dalla ricorrente, attesterebbe l’intervenuta crescita del prezzo medio dei “prodotti tradizionali” -negli anni 2010-2017- pari al 14-15% (dati ISMEA e delle Camere di Commercio), unitamente al fatto che i prezzi dei prodotti cc.dd. “speciali” (cioè i prodotti biologici e DOP/IGP) -per la prima volta richiesti con il bando ora impugnato- sono in media superiori, rispettivamente, del 194% (i biologici) e del 54% (i DOP/IGP) a quelli dei prodotti tradizionali;

gli stessi elaborati tecnici sopra citati dimostrerebbero come la richiesta di fornire, in elevate percentuali (vedi infra), prodotti biologici o DOP/IGP risulti particolarmente onerosa anche in ragione del fatto che, nel mercato nazionale, detti prodotti sono scarsamente reperibili: ne conseguirebbe la necessità di ricorrere a merce di importazione, con ulteriore incremento dei costi di acquisto e trasporto;

l’insostenibilità dei costi troverebbe ulteriore conferma nel fatto che la prestazione richiesta all’appaltatore non si esaurisce nella sola fornitura di cibi e comprende, invece, rilevanti prestazioni accessorie -quali la messa a disposizione di dietisti abilitati per una composizione dei pasti differenziata a seconda della fede religiosa del detenuto e delle sue condizioni di salute, nonché la manutenzione e pulizia dei locali strumentali alla fornitura- il tutto a fronte della previsione espressa in capitolato che “Nella diaria s’intendono interamente compensati, dall’Amministrazione contraente all’Appaltatore, tutti i servizi, le forniture dei generi alimentari, le prestazioni del personale, le spese ed ogni altro onere inerente e conseguente ai servizi di cui trattasi”, per cui detti costi aggiuntivi sono interamente “scaricati” sull’appaltatore;

analogo discorso varrebbe per il canone di locazione richiesto all’appaltatore per l’utilizzo dei locali strumentali al servizio di Sopravvitto, il quale ridurrebbe notevolmente i margini del “profitto compensativo” che il gestore potrebbe astrattamente ricavare dalla relativa “vendita diretta” ai detenuti.

Ugualmente concentrata sull’insostenibilità dei costi è la seconda censura dedotta con i motivi aggiunti (numerata come VII), ove la ricorrente deduce l’irragionevolezza della scelta della stazione appaltante di confermare la medesima Diaria giornaliera a base d’asta (pari a euro 3,90), come detto, già prevista negli affidamenti relativi ai periodi precedenti (del 2010 e del 2013), ove però non era richiesta la fornitura dei citati “prodotti speciali” (biologici, d.o.c., i.g.p. e s.g.t.).

Al riguardo SAEP premette che l’impugnata lex specialis richiede detti prodotti nelle percentuali:

minime, previste a pena di esclusione, del 60% per frutta, verdure e ortaggi, legumi, cereali, pane e prodotti da forno, pasta, riso, farina, patate, polenta, pomodori e prodotti trasformati, formaggio, latte UHT, yogurt, uova, olio extravergine (così ripartite: - 40% biologici, - 20% da “sistemi di produzione integrata” e i.g.p., d.o.p. e s.t.g.), nonché del 35% per carne e pesce (così ripartite: - 15% biologica, 25% i.g.p., d.o.p. e s.t.g. e 20% da acquacoltura biologica e pesca sostenibile);

massime -rilevanti ai fini del conseguimento di un punteggio premiale per merito tecnico dell’offerta- del 35% in più (rispetto al minimo) per la carne, del 15 % in più per il pesce e del 40% in più per frutta e verdura.

Ciò premesso SAEP sostiene di avere dimostrato che:

i suddetti “prodotti speciali” sono molto più costosi dei prodotti convenzionali;

alcune delle derrate oggetto di fornitura non sono disponibili sul mercato nella forma propria del “prodotto speciale” (ad esempio, non sarebbe dato rinvenire, quanto meno nelle quantità richieste, pesce proveniente da “pesca sostenibile”): al riguardo la ricorrente richiama, a maggior conforto, le “Note di replica alle relazioni depositate dall’Avvocatura dello Stato nei giudizi innanzi ai TAR Regionali” (in data 9 ottobre 2017) e le “Note integrative al parere pro veritate” (del 3.8.2017), in cui tale circostanza è stata ulteriormente argomentata.

Con la stessa censura, inoltre, SAEP contesta le controdeduzioni del Ministero, prima di tutto quelle contenute nella Relazione depositata dalla difesa erariale in data 13 ottobre 2017, laddove l’Amministrazione ha affermato che:

la lex specialis non avrebbe inteso riferire le percentuali minime richieste di “prodotti speciali” a ciascuna delle singole derrate oggetto della fornitura, essendosi limitata a ribadire l’impostazione del c.d. Decreto CAM ove le suddette percentuali sono, invece, riferite all’insieme dei prodotti rientranti nelle cc.dd. “macrocategorie” (in particolare, “frutta e verdura”, “pesce”, “carne”);

sarebbe stata, dunque, lasciata all’aggiudicatario la libertà di scegliere i generi da fornire in forma di “prodotto speciale” all’atto della materiale esecuzione dell’appalto, con il solo obbligo di rispettare le “percentuali minime globali” correttamente riferite a ciascuna macrocategoria di prodotto, il che, peraltro, dovrebbero essere verificato con cadenza semestrale;

tutto ciò comporterebbe un significativo alleggerimento dell’onere economico dell’appaltatore, rispetto a quanto sostenuto dalla ricorrente.

Orbene sul punto SAEP ribatte che la tesi dell’Amministrazione -configurando un’indebita possibilità di modificare l’offerta in corso d’opera- si porrebbe in contrasto con l’art. 30 del Codice dei contratti pubblici, ove tra i principi comuni a tutte le gare campeggia l’obbligo per l’appaltatore di eseguire una prestazione conforme a quanto previsto dalla legge di gara; inoltre sostiene che la tesi in esame non sia conforme ai noti canoni di par condicio, ragionevolezza e buon andamento dell’azione amministrativa; evidenzia, inoltre, come l’interpretazione proposta dalla difesa erariale -oltre a non trovare conferma nel tenore testuale della legge di gara- finirebbe per renderla irragionevole e contraddittoria: laddove, infatti, un concorrente intendesse aspirare ai punteggi premiali legati alla fornitura di “prodotti speciali” in misura superiore a quella minima, dovrebbe necessariamente riferire le relative “percentuali aggiuntive” alle singole derrate, per cui non avrebbe senso riferire a un diverso valore di riferimento le percentuali minime richieste, invece, ai fini dell’ammissibilità dell’offerta; infine la ricorrente, sempre su questo specifico aspetto, ritiene che la tesi di controparte si ponga in contrasto con l’art. 6.3 del disciplinare di gara, il quale impone a pena di esclusione, ai fini della formulazione dell’offerta economica, l’uso di un “Foglio calcolo” predisposto dal Ministero e allegato al bando, il quale è strutturato in termini tali che l’offerta economica venga generata automaticamente una volta inseriti “i prezzi medi per kg/l/pz di tutti i generi speciali offerti nella Tabella applicativa “menù invernale” e nella Tabella applicativa “menù estivo”, con l’espressa avvertenza che “Il calcolo dell’offerta economica non andrà a buon fine se anche una sola voce di prezzo non dovesse essere inserita”: poiché il modulo dell’offerta fa riferimento a percentuali di “prodotti speciali” calcolate (non già per macrocategorie, bensì) per singolo alimento, ciò imporrebbe alle concorrenti di formulare la propria offerta in modo conseguente, impegnandosi, dunque, a fornire i “prodotti speciali” secondo percentuali minime riferite a ciascuna derrata, invece che alle macrocategorie.

Ancora, con la seconda parte del primo motivo (numerato II) oggetto del gravame introduttivo, la ricorrente evidenzia come dalla documentazione di gara non emergano i criteri e gli approfondimenti istruttori attraverso cui l’Amministrazione sarebbe giunta a confermare la pregressa (e oggi contestata) base d’asta giornaliera di euro 3,90, pur fronte delle rilevanti modifiche, in termini più onerosi, apportate all’oggetto dell’appalto rispetto ai precedenti affidamenti; con l’aggravante che la fissazione di una base d’asta fissa per l’intera durata triennale del rapporto esporrebbe l’appaltatore ai rischi di ulteriore aumento dei costi delle derrate: al riguardo la relazione tecnica prodotta dalla ricorrente stima un possibile incremento ulteriore dei prezzi, nei prossimi tre anni, di circa il 3,8%, mentre la lex specialis di gara si limita a riconoscere -dalla seconda annualità dell’accordo quadro in poi- il solo aggiornamento ISTAT dei prezzi all’esito di apposita istruttoria svolta dal responsabile unico del procedimento.

Nella medesima direzione si muove anche la prima doglianza dedotta con i motivi aggiunti (numerata come VI), ove la ricorrente evidenzia ulteriori elementi che confermerebbero l’insostenibilità dei costi.

Al riguardo SAEP richiama il documento denominato “Mappatura prezzi sedi territoriali”, prodotto in giudizio dalla difesa erariale, ove si indica un costo giornaliero delle sole derrate -al netto degli altri costi accessori (vedi supra)- pari a euro 3,96, dunque superiore all’onnicomprensiva base d’asta di euro 3,90; inoltre, sempre secondo la ricorrente, quel documento dimostrerebbe come tra i diversi territori interessati dalle gare d’appalto indette dall’Amministrazione penitenziaria -con particolare evidenza per la Sardegna- esistano differenze di costo delle derrate e degli oneri connessi alla fornitura, il che renderebbe illogico fissare una base d’asta unica per tutto il territorio nazionale.

Infine fa riferimento al difetto di istruttoria anche la residua parte del secondo motivo dedotto con i motivi aggiunti (numerato come VII), con cui SAEP giudica non condivisibile il rilievo, leggibile nella relazione ministeriale depositata il 13 ottobre 2017, secondo cui, ai fini del corretto calcolo della base d’asta, rileverebbero “i ribassi ottenuti nel precedentemente affidamento e le risultanze delle gare di appalto dei servizi di mensa in tutti gli istituti penitenziari aggiudicate (tutte senza alcuna criticità), proprio recentemente, nel primo trimestre 2017 con analoghe caratteristiche di sostenibilità ambientale”: quest’affermazione, infatti, oltre che generica, confermerebbe l’erroneo riferimento, da parte del Ministero, ad appalti relativi al servizio di ristorazione della polizia penitenziaria e delle scuole, cioè ad un oggetto diverso da quello ora in controversia; in particolare, le due tipologie contrattuali non sarebbero paragonabili, oltre che per la diversità del beneficiario e del contesto di svolgimento della prestazione, anche per il differente oggetto della stessa (“ristorazione” per quanto riguarda la polizia penitenziaria e le scuole, “fornitura” per quanto attiene alla gara oggetto di causa) e per la correlativa diversità delle attività economiche implicate, giacché nel settore delle forniture, a differenza che nella ristorazione, l’operatore è impossibilitato a conseguire “recuperi di efficienza sul terreno organizzativo-aziendale che possano bilanciare gli inevitabili costi connessi alle forniture. Nella fornitura è infatti annullata ogni possibilità di recuperare efficienze gestionali compensative degli alti costi degli alimenti. Diversamente il settore delle mense/ristorazione permette di articolare le prestazioni in maniera tale da compensare gli alti costi dei cibi serviti con accorgimenti gestionali (macchinari, tecniche di cottura, distribuzione pasti, etc.” (così, testualmente, i motivi aggiunti).

Infine la ricorrente ritiene che lo stesso Studio Conal -pur partendo, come detto, da presupposti inconferenti con il caso ora in esame- comunque smentisca, in parte, gli assunti dell’Amministrazione, giacché nel prospetto riassuntivo (pag. 16) si indica, sotto la voce “derrate (biologiche e convenzionali)”, un costo di euro 1,90 riferito a un singolo pasto (il pranzo), per cui -rapportando tale importo alla colazione (10%), al pranzo (40%) e alla cena (50%), come previsto all’art. 10 dello Schema di Accordo Quadro della gara oggetto di causa- si giunge a un costo complessivo delle sole derrate pari a euro 4,75 (colazione 0,475 + pranzo 1,90 + cena 2,375), ben superiore alla Diaria a base d’asta (euro 3,90), cui andrebbero aggiunti gli ulteriori oneri previsti dal capitolato (vedi supra).

Il Collegio condivide alcuni dei profili di contestazione sin qui esposti, con la conseguente fondatezza delle relative censure, per le ragioni e nei termini che si passa a esporre.

Deve premettersi -a fini di corretto “inquadramento dei confini” della successiva analisi- come il sindacato esercitabile dal Collegio trovi limite nelle scelte di merito dell’Amministrazione, alla stessa notoriamente riservate; è, tuttavia, altrettanto pacifico che dette scelte possono essere valutate in sede giurisdizionale sotto il profilo della loro intrinseca illogicità, contraddittorietà e insufficienza motivazionale/istruttoria, nonché in relazione a eventuali errori o travisamenti di fatto che ne inficino i presupposti materiali; a quest’ultimo proposito, in particolare, se, per un verso, è onere del ricorrente fornire elementi di prova significativi in ordine al diverso atteggiarsi dei fatti rispetto a quanto tenuto presente dall’Amministrazione in sede decisionale, per altro verso, una volta che il ricorrente abbia fornito tali elementi, diviene onere dell’Amministrazione quello di contestare, in maniera sufficientemente specifica e circostanziata, le allegazioni e dimostrazioni fornite da controparte; con la conclusiva precisazione, peraltro, che laddove un decisivo elemento di fatto dovesse rimanere di incerta configurazione -all’esito di allegazioni ed elementi probatori indicativi ma non concludenti- ciò potrebbe, comunque, rilevare in termini di difetto istruttorio.

E, come ora si vedrà in dettaglio, nel caso specifico, svariate circostanze individuate da SAEP risultano, in effetti, indicative di un travisamento di fatti ovvero di un difetto di istruttoria e/o di motivazione, né l’Amministrazione -in sede procedimentale e nel corso del presente giudizio- ha saputo fornire adeguati elementi di segno contrario.

Un primo dato, che pare emergere con chiarezza dagli atti di causa, è il seguente: a fronte di una base d’asta giornaliera rimasta invariata (euro 3,90), la presente procedura di affidamento presenta un oggetto, per diversi aspetti, più oneroso rispetto a quello delle precedenti gare per l’affidamento della fornitura dei cibi ai penitenziari, con particolare riferimento alla previsione dell’obbligo di fornire -in percentuali rilevanti (vedi supra)- prodotti biologici o derivanti da filiere specifiche, certamente più costosi e difficili da reperire sul mercato.

Al riguardo la ricorrente ha assolto il proprio onere probatorio, nei limiti che esso inevitabilmente incontra in simili evenienze, producendo tre circostanziati studi tecnici, basati su dati raccolti da diverse fonti ufficiali, dai quali parrebbe emergere la conferma della denunciata insostenibilità del prezzo posto a base di gara: ciò costituisce un primo “indizio della irragionevolezza del prezzo posto a base di gara, che avrebbe dovuto essere smentito dalla dimostrazione di una approfondita e adeguata istruttoria da parte della stazione appaltante, il che stando agli atti di causa, non è avvenuto” (così, testualmente, T.A.R. Napoli, Sez. IV, 8 novembre 2017, n. 5476, relativa al medesimo bando impugnato nella presente sede; conforme T.A.R. Palermo, Sez. I, 20 dicembre 2017, n. 3015).

E se tali elementi potrebbero non essere da soli sufficienti, in concreto lo diventano perché supportati da ulteriori indizi e perché l’Amministrazione non ha indicato significativi dati di tenore opposto.

In particolare, la difesa erariale ha depositato una Relazione informativa del Ministero, dalla quale si evince che il Dipartimento si è limitato a “stimare la base d'asta avendo a riferimento i ribassi ottenuti nel precedente affidamento delle gare di appalto dei servizi di mensa in tutti gli istituti penitenziari aggiudicate (tutte senza alcuna criticità), recentemente ed in particolare nel primo trimestre 2017, con analoghe caratteristiche di sostenibilità ambientale. Dai prezzi di aggiudicazione per singoli lotti, si è provveduto a sottrarre i costi direttamente ed esclusivamente riferibili al servizio di ristorazione, quali la gestione della mensa e la manipolazione ed il confezionamento dei cibi, arrivando a calcolarne l'incidenza, sul prezzo aggiudicato, in termini percentuali stimati tra il 65 e il 70%. Si è tenuto conto, altresì, dei prezzi del servizio di mantenimento dei detenuti attualmente in corso e appena rivalutati (con approvazione delle diarie 2017 da parte della Corte dei Conti in sede di controllo) - da cui emerge, ad oggi, ancora un certo margine medio non consumato rispetto alla base d'asta fissata, e si è addivenuti ad una mappatura per sedi territoriali come da prospetto che si allega. A tal proposito, sì evidenzia che il predetto abbattimento nella misura tra il 65 ed il 70% dei costi del servizio mensa, aggiudicato pochi mesi addietro su parametri ambientali analoghi, come sopra esplicitato, al fine del calcolo della diaria di gara, è stato stimato prendendo a riferimento, in particolare, un documento di "analisi comparativa dei costi per l'erogazione del servizio di ristorazione scolastica e altri utenti" predisposto da una società di servizi specializzata nel settore agroalimentare e commissionato dall'ASP di Viareggio, al fine di definire il prezzo di un pasto e dei servizi ad esso collegati nell'ambito della ristorazione scolastica. Tale studio prende in considerazione una serie di costi specifici e, rispetto a questi, si è proceduto a calcolare l'incidenza percentuale, sul totale, delle voci riconducibili, essenzialmente, ad un servizio di fornitura di derrate alimentari come proposto nel capitolato prestazionale della gara oggetto di contenzioso. Alcuni dati, sommariamente ricavati dalle giustificazioni dei prezzi presentate, per la valutazione dell'anomalia dell'offerta, dagli aggiudicatari del servizio mensa, non sembrano discostarsi significativamente da tali risultanze”.

In questo modo l’Amministrazione ha sostanzialmente riconosciuto lo svolgimento di un’attività istruttoria, prodromica all’individuazione della base d’asta, avulsa dalle specifiche caratteristiche dell’appalto oggetto della presente controversia, giacché incentrata sul riferimento a precedenti gare relative a servizi di ristorazione/mensa degli agenti di polizia penitenziaria o delle scuole, nonché sul c.d. Studio Conal, anch’esso relativo al servizio di mensa negli asili.

In sostanza le gare utilizzate come base di comparazione sono chiaramente disomogenee rispetto all’oggetto di quella ora in esame, per la diversità dei contesti di svolgimento delle rispettive prestazioni e per il differente contenuto delle stesse, in relazione, da un parte, alle attività ulteriori previste a carico del fornitore nella procedura oggetto del presente giudizio (consulenza dietologica e, soprattutto, manutenzione e pulizia dei locali), non di meno comprese nella base d’asta, e, dall’altra parte, al fatto che la lex specialis di gara ora in esame impone all’appaltatore la fornitura di prodotti puntualmente individuati, mentre negli appalti di ristorazione (degli asili e degli agenti penitenziari) l’oggetto dell’offerta è notoriamente più variegato ed elastico (si pensi al variabile costo delle stoviglie e della cottura, nonché a quello della manodopera necessaria all’espletamento del servizio), per cui in quelle ipotesi esistono presumibilmente maggiori “margini di manovra economica” per l’appaltatore, margini che non si può escludere gli consentano di sopportare i “costi maggiori per le derrate (per effetto dell’inclusione di prodotti di provenienza certificata), siccome suscettivi di essere calmierati attraverso meccanismi di compensazione con altre voci economiche in modo da assicurare, comunque, ai partecipanti effettive possibilità di guadagno” (così la sentenza del T.A.R. Napoli prima citata); né può attribuirsi analogo “effetto calmieratore”, nel caso ora in esame, ai proventi del c.d. Sopravvitto, affidato alla fornitura autonoma dello stesso gestore della prestazione principale, sia perché la difesa della ricorrente lo esclude senza incontrare smentite specifiche da parte dell’Amministrazione (che si è limitata a controdeduzioni generiche senza quantificare, neppure approssimativamente, l’impatto economico del Sopravvitto positivo per l’appaltatore), sia perché, comunque, il relativo “profitto potenziale” risulta ora (in parte rilevante) compensato dalla previsione di un canone di locazione dei locali a esso strumentali computato a prezzo di mercato (vedi supra).

Del resto l’obiettiva “non conclusività” dello Studio Conal, per la diversità del suo oggetto rispetto a quello della procedura in controversia, trova conferma nell’esordio dello Studio stesso, ove il suo autore si premura espressamente di precisare (vedi supra) che “ogni situazione è un caso a se stante e non esistono situazioni sovrapponibili sic et simpliciter, essendo molteplici le variabili che possono intervenire: numero di pasti erogati giornalmente, durata contrattuale, modalità di erogazione del servizio, logistica, eventuali ammortamenti, livello di qualità del servizio, efficienza, livello di soddisfazione del cliente ecc.. Tuttavia il confronto con situazioni similari può essere effettuato, ma solo per avere un’idea di massima sull’andamento del mercato e non per conoscere la congruità dei singoli elementi costitutivi del costo pasto, in relazione alla ricaduta qualitativa sul servizio in generale” (cfr. pag. 3 dello Studio).

Inoltre emergono ulteriori, e non meno rilevanti, elementi che depongono per l’inattendibilità dell’istruttoria e della motivazione poste a base dei provvedimenti impugnati.

Si evince, infatti, dagli atti di causa -pur nella complessiva farraginosità di un’istruttoria “a pezzi” e i cui risultati non sono stati riassunti in una motivazione unitaria, il che costituisce, di per sé, un indice della sua insufficienza- come il Ministero abbia determinato:

il costo delle singole derrate alimentari abbattendo il prezzo di aggiudicazione del 70%, e non già del 67%, come avrebbe dovuto fare applicando le percentuali emergenti dallo Studio Conal (in base al quale il costo delle derrate alimentare inciderebbe nella misura del 32,96%), per cui persino quest’ultimo Studio risulterebbe violato in danno delle imprese concorrenti;

il costo delle derrate funzionali alla prima colazione nell’importo di euro 0,24, ictu oculi, assai modesto (5/6 volte inferiore al prezzo di aggiudicazione di un pasto principale) e inspiegabilmente fisso su tutto il territorio nazionale, a differenza dei costi relativi agli altri pasti, che sono stati differenziati a seconda dei lotti territoriali di riferimento (si veda, su tali aspetti specifici, T.A.R., Sez. I, Piemonte 30 ottobre 2017, n 472).

Né assume rilievo, in favore dell’Amministrazione, il documento intitolato “Mappatura prezzi sedi territoriali”: la ricorrente osserva come esso indichi un costo giornaliero delle sole derrate -al netto degli altri costi accessori (vedi supra)- pari a euro 3,96, dunque superiore all’onnicomprensiva base d’asta di euro 3,90; la difesa erariale ribatte che ciò sarebbe frutto di una lettura parziale del documento, che non terrebbe conto di altri prospetti in esso contenuti e dei risultati conseguenti; ma al netto di tale opposte interpretazioni, resta vieppiù confermata la “gran confusione istruttoria” che ha caratterizzato la fase prodromica alla determinazione dell’oggetto dell’appalto e della sua base d’asta, a fronte di un appalto così rilevante, sia economicamente che qualitativamente.

Dunque gli elementi difensivi addotti dalla difesa dell’Amministrazione non appaiono significativi e, in ogni caso, non prendono documentata posizione in ordine all’argomentata (da parte della ricorrente) incidenza del costo dei “prodotti speciali” oggetto della presente procedura: la conseguenza ultima è che la relativa allegazione, corredata da significativi elementi di prova, è rimasta, nella sostanza, incontestata ed è perciò sufficiente a smentire la legittimità degli atti impugnati.

Né, del resto, possono condividersi quelle argomentazioni difensive dell’Amministrazione incentrate sull’assunto che la lex specialis avrebbe inteso riferire le percentuali minime richieste di “prodotti speciali” -non già a ciascuna delle singole derrate oggetto della fornitura, bensì- all’insieme dei prodotti rientranti in ciascuna delle “macrocategorie” (in particolare, “frutta e verdura”, “pesce”, “carne”) di appartenenza delle singole derrate, il che attenuerebbe significativamente l’impatto delle stesse in termini di maggiore onerosità.

In effetti la lex specialis di gara evidenzia sul punto un certo grado di equivocità, laddove, per un verso, al punto 3.5. del Capitolato (intitolato “Specifiche tecniche di base degli alimenti in accordo con i Criteri Ambientali Minimi”), descrive le percentuali di “prodotti speciali” in termini che potrebbero anche risultare conformi a quanto sostenuto dalla difesa erariale e, tuttavia, all’art. 6.3 del disciplinare di gara impone che l’offerta economica sia redatta utilizzando un apposito “Foglio calcolo”, predisposto dal Ministero e allegato al bando, strutturato in termini tali che l’offerta economica sarà generata automaticamente una volta inseriti, nel Foglio stesso, “i prezzi medi per kg/l/pz di tutti i generi speciali offerti nella Tabella applicativa “menù invernale” e nella Tabella applicativa “menù estivo”, con l’espressa avvertenza che “Il calcolo dell’offerta economica non andrà a buon fine se anche una sola voce di prezzo non dovesse essere inserita”, il che parrebbe, invece, deporre nel senso che le percentuali minime di “prodotti speciali” richieste debbano essere riferite “a ciascuna derrata”, invece che alle macrocategorie.

Su tali presupposti, allora, non può certamente condividersi una prospettazione, come quella ora in esame della difesa erariale, che fa leva su una legge di gara formulata in termini poco chiari, il che, del resto, è attribuibile alla stessa Amministrazione, la quale ha redatto i relativi atti; in ogni caso la sua difesa si è limitata a dedurre genericamente il fatto che -operando il calcolo delle citate percentuali sulle cc.dd. macrocategorie, anziché sulle singole derrate- l’onere economico dell’appaltatore risulterebbe ridotto, ma non ha indicato -neppure approssimativamente- in che misura ciò si realizzerebbe, per cui anche questa argomentazione si appalesa generica e incapace di smentire gli assunti di parte avversa

Vi è, poi, un ulteriore assunto di parte ricorrente, suffragato dagli studi tecnici dalla stessa prodotti, tendente a dimostrare un profilo di travisamento materiale in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione: si tratta del fatto che -rispetto alle precedenti gare per l’affidamento del medesimo servizio (in alcune delle quali, peraltro, l’odierna ricorrente figura come fornitore uscente)- i prezzi dei prodotti, anche tradizionali, avrebbero subito un significativo aumento.

Ebbene pure questo assunto non è stato oggetto di puntuale e documentata smentita da parte dell’Amministrazione: le gare recenti cui la stessa ha fatto riferimento riguardano servizi di ristorazione -come si è visto eterogenee rispetto a quella di cui si discute e perciò inidonee a una comparazione attendibile- mentre lo Studio Conal, sul quale la difesa erariale fonda principalmente le proprie difese, risale all’ormai lontano anno 2013: anche questa circostanza conferma l’assenza di efficienti allegazioni difensive rispetto a quanto documentatamente sostenuto dalla ricorrente.

B. La ritenuta impossibilità di reperire certi prodotti e la conseguente violazione del principio di proporzionalità.

Con il secondo motivo del gravame introduttivo (numerato come III) la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 34 del d.lgs. n. 50/2016, dell’art. 57 T.F.U.E. e dell’art. 3 della Costituzione, eccesso di potere per irragionevolezza ed impossibilità della prestazione richiesta.

Secondo la stessa SAEP, infatti, alcuni prodotti di cui viene richiesta la certificazione DOP/IGP/STG non esisterebbero sul mercato con detta qualificazione, con particolare riferimento a: “Uova Categoria A - peso M (da 53 g a 63 g); Latte UHT intero; Formaggio da tavola Emmenthal umidità < o = a 35%; Piselli in scatola; Piselli fini lessati - diametro > o = 8,75 e < o = 10,2 mm al netto sgocciolatura”.

Inoltre sarebbe oggettivamente impossibile da soddisfare la richiesta dell’Amministrazione di fornire alcuni prodotti biologici (soprattutto carne e pesce) nelle percentuali fissate del d.m. 25 luglio 2011 (c.d. “Decreto CAM”), cui il bando fa riferimento; esso, dunque, avrebbe dovuto essere correttamente applicato “in termini più moderati”, cioè tenendo conto della produzione effettivamente esistente sul mercato, nel caso di specie particolarmente esigua perché concepita per una “nicchia di consumatori”; né in senso contrario rileverebbe il rinvio al Decreto CAM operato dall’art. 34 del d.lgs. n. 50/2016, in quanto la seconda disposizione normativa non imporrebbe un’applicazione rigida e tassativa del primo, limitandosi a richiedere alle stazioni appaltanti un generico “contributo” agli obiettivi ambientali perseguiti dal decreto in esame; per cui il Provveditorato, invece di recepire puntualmente le percentuali di prodotti biologiche ivi indicate, avrebbe dovuto tenere conto della reale situazione del mercato e perciò inserire in bando delle prescrizioni con essa compatibili, conformemente al generale principio di proporzionalità dell’azione amministrativa e al canone di progressività degli obiettivi di sostenibilità ambientale dettato nella direttiva 2014/24/UE (considerando 95 e 96) e attuato in Italia dall’art. 21 della legge 28 dicembre 2015, n. 221; in via subordinata la ricorrente chiede che l’art. 34 del d.lgs. n. 50/2016, laddove interpretato nel senso di imporre un’applicazione puntuale del Decreto CAM, venga disapplicato per contrasto con la citata direttiva comunitaria ovvero rimesso all’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ovvero, ancora, fatto oggetto di questione di legittimità costituzionale per contrasto con i principi di ragionevolezza e libera iniziativa economica di cui agli artt. 3 e 41 della Costituzione.

La censura merita di essere condivisa, peraltro nella sua prospettazione in via principale.

Innanzitutto va osservato che la difesa erariale non ha contrapposto alcuna controdeduzione all’assunto di fatto della ricorrente secondo cui alcuni prodotti sarebbero, addirittura, non reperibili sul mercato in forma di produzione biologica o di filiera controllata.

Quanto al profilo propriamente giuridico della censura, poi, giova riportare il testo dell’art. 21 della legge n. 221/2015, che ha recepito la direttiva 2014/24/UE, ove si legge che “1. Al fine di promuovere la competitività del sistema produttivo italiano nel contesto della crescente domanda di prodotti ad elevata qualificazione ambientale sui mercati nazionali ed internazionali, è istituito, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, lo schema nazionale volontario per la valutazione e la comunicazione dell'impronta ambientale dei prodotti, denominato “Made Green in Italy”. Tale schema adotta la metodologia per la determinazione dell'impronta ambientale dei prodotti (PEF), come definita nella raccomandazione 2013/179/UE della Commissione, del 9 aprile 2013. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con regolamento del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono stabilite le modalità di funzionamento dello schema. 2. Nella definizione delle azioni di cui al comma 1 si tiene conto delle indicazioni contenute nella comunicazione della Commissione europea “Tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse” (COM(2011) 571 definitivo), e in particolare di quelle concernenti la strategia in materia di consumo e produzione sostenibili. 3. Lo schema nazionale volontario ed il relativo regolamento di cui al comma 1 sono finalizzati a: a) promuovere, con la collaborazione dei soggetti interessati, l'adozione di tecnologie e disciplinari di produzione innovativi, in grado di garantire il miglioramento delle prestazioni dei prodotti e, in particolare, la riduzione degli impatti ambientali che i prodotti hanno durante il loro ciclo di vita, anche in relazione alle prestazioni ambientali previste dai criteri ambientali minimi di cui all'articolo 68-bis del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, introdotto dall'articolo 18 della presente legge; b) rafforzare l'immagine, il richiamo e l'impatto comunicativo che distingue le produzioni italiane, associandovi aspetti di qualità ambientale, anche nel rispetto di requisiti di sostenibilità sociale; c) rafforzare la qualificazione ambientale dei prodotti agricoli, attraverso l'attenzione prioritaria alla definizione di parametri di produzione sostenibili dal punto di vista ambientale e della qualità del paesaggio; d) garantire l'informazione, in tutto il territorio nazionale, riguardo alle esperienze positive sviluppate in progetti precedenti, e in particolare nel progetto relativo allo schema di qualificazione ambientale dei prodotti che caratterizzano i cluster (sistemi produttivi locali, distretti industriali e filiere) sviluppato con il protocollo d'intesa firmato il 14 luglio 2011 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico e le regioni Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Lazio, Sardegna, Marche e Molise. 4. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da adottare entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, è emanato, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il Piano d'azione nazionale in materia di consumo e produzione sostenibili, che integra le azioni previste al comma 1, avendo riguardo agli interventi e alle azioni nei settori del consumo, della grande distribuzione e del turismo. 5. La disposizione di cui al comma 3 trova applicazione prioritaria nella programmazione dei fondi europei 2014-2020”.

È, dunque, evidente come l’esigenza, indubbiamente rilevante, di allineare la produzione alimentare italiana verso obiettivi di “sostenibilità ambientale” sia stata concepita dal legislatore, in aderenza alla direttiva europea cui ha dato attuazione, come un work in progress, cioè un obiettivo da perseguire mediante iniziative -puntuali, ma- compatibili con la situazione del mercato, senza, dunque, stravolgerne le dinamiche e i presupposti di efficienza produttiva.

Sulla stessa lunghezza d’onda si è mosso anche il nuovo Codice dei contratti pubblici, ove all’art. 34 si prevede che “1. Le stazioni appaltanti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione attraverso l'inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e conformemente, in riferimento all'acquisto di prodotti e servizi nei settori della ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari, anche a quanto specificamente previsto all' articolo 144. 2. I criteri ambientali minimi definiti dal decreto di cui al comma 1, in particolare i criteri premianti, sono tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l'applicazione del criterio dell'offerta economicamente più' vantaggiosa, ai sensi dell'articolo 95, comma 6”.

Dunque il tenore di tutta la normativa di riferimento -laddove utilizza espressioni quali “strategia”, “promuovere”, “tenere in considerazione”, “obiettivi ambientali minimi”, “dare il proprio contributo”- conferma la portata “elastica” dei nuovi principi, il che, del resto, discende anche dal generale principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, del quale il canone di “applicazione graduale” dei nuovi parametri (stabilito dalla direttiva comunitaria e dalla legge nazionale di attuazione della stessa) costituisce un corollario; pertanto l’operatività del Decreto CAM sulla gara in discussione non imponeva un’applicazione necessariamente rigorosa e indistinta dei nuovi parametri, essendo la stazione appaltante, piuttosto, chiamata a “dare il proprio contributo” alla sostenibilità ambientale dei prodotti richiesti in modo compatibile con le concrete condizioni del mercato di riferimento e, dunque, “modulando ragionevolmente”, e motivatamente, i prodotti richiesti al fornitore in relazione alla situazione del mercato stesso, ai conseguenti costi imputati all’appaltatore e all’importo fissato a base d’asta.

Tutto ciò, nel caso in esame, si traduce, quanto meno, in un difetto di motivazione e istruttoria in cui è incorsa la stazione appaltante, la quale -in sede procedimentale prima e a fronte delle contestazioni specifiche mosse in questa sede dalla ricorrente poi, relative all’impossibilità di reperire sul mercato alcuni prodotti in forma biologica o da filiere controllate- non ha illustrato in alcun modo il percorso accertativo e logico seguito per giungere alla decisione di inserire nell’oggetto dell’appalto i prodotti in questione, quanto meno in quelle percentuali.

C. La denunciata indeterminatezza della lex specialis.

Con il terzo motivo del gravame introduttivo (numerato IV), la ricorrente deduce eccesso di potere per irragionevolezza e indeterminatezza della lex specialis, per il fatto che la descrizione delle modalità operative di gestione del servizio (ad esempio, sul personale da utilizzare, sulla gestione della contabilità, sugli orari di erogazione del servizio) e altre circostanze rilevanti (quali i profili attinenti all’ordine e alla sicurezza carceraria) sarebbe oltre modo generica, con la conseguente impossibilità di definire l’offerta.

La censura, questa volta, non è condivisibile, se non altro perché essa stessa risulta affetta da evidente genericità: la ricorrente non indica i profili specifici -e per lei concretamente lesivi- rispetto ai quali la lex specialis risulterebbe eccessivamente generica nell’indicazione delle modalità operative di gestione del servizio.

D. La contestazione sull’utilizzo della procedura aperta.

Con la quarta e ultima censura del gravame introduttivo (numerata come V), la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 162 del d.lgs. n. 50/2016 e difetto di motivazione, nella parte in cui l’Amministrazione -invece di confermare il metodo utilizzato nei precedenti affidamenti, che si basava su procedure cui venivano ammessi solamente gli operatori iscritti in apposito elenco redatto dal Dipartimento Penitenziario, in quanto dotati di speciali requisiti di sicurezza- ha scelto di bandire una procedura aperta; ciò sarebbe illogico e in contrasto con le peculiarità dell’appalto in esame, connotato dalla necessità di “particolari misure di sicurezza”, se non altro perché il suo oggetto attiene alla fornitura di prodotti da distribuire ai detenuti, il che richiederebbe una “professionalità specifica” di cui le sole imprese specializzate in questo tipo di servizi sarebbero in possesso.

La censura è infondata.

L’art. 162 del Codice dei contratti pubblici, nell’individuare tassativamente le procedure in relazione alle quali ragioni di sicurezza consentono di derogare alle regole generali sull’affidamento degli appalti pubblici, statuisce che “1. Le disposizioni del presente codice relative alle procedure di affidamento possono essere derogate: a) per i contratti al cui oggetto, atti o modalità di esecuzione è attribuita una classifica di segretezza; b) per i contratti la cui esecuzione deve essere accompagnata da speciali misure di sicurezza, in conformità a disposizioni legislative, regolamentari o amministrative. 2. Ai fini della deroga di cui al comma 1, lettera a), le amministrazioni e gli enti usuari attribuiscono, con provvedimento motivato, le classifiche di segretezza ai sensi dell'articolo 42 della legge 3 agosto 2007, n. 124, ovvero di altre norme vigenti. Ai fini della deroga di cui al comma 1, lettera b), le amministrazioni e gli enti usuari dichiarano, con provvedimento motivato, i lavori, i servizi e le forniture eseguibili con speciali misure di sicurezza individuate nel predetto provvedimento”.

Affinché si verta nell’ipotesi di cui alla lett. a) della norma dianzi citata, correttamente interpretata ai sensi dell’art. 42, comma 1 bis, della legge 3 agosto 2007, n. 124, occorre che la prestazione implichi “la trattazione di informazioni classificate segretissimo, segreto e riservatissimo” per le quali è necessario “il possesso del nulla osta di sicurezza”: viceversa tale nulla osta non è ora richiesto ai fini della gara oggetto della presente controversia, come osserva la difesa erariale nella propria memoria difensiva, senza trovare smentita da parte della ricorrente.

Quanto, poi, all’ipotesi di cui alla lett. b) dell’art. 162 del Codice dei contrati -ove si prevede la possibilità per la stazione appaltante di indicare, con provvedimento motivato, le procedure da effettuare “con speciali misure di sicurezza”- essa lascia alla stessa amministrazione un ampio margine di valutazione discrezionale, rispetto al quale, in ogni caso, la scelta di derogare alle normali regole concorrenziali assume carattere residuale, tanto che la norma citata riferisce l’obbligo di puntuale motivazione solo a questa specifica eventualità, mentre la scelta opposta di assegnare l’appalto con procedura aperta -essendo conforme ai principi generali sui contratti pubblici- non richiede motivazione specifica, il che smentisce conclusivamente la censura in esame.

E. La denunciata violazione delle tabelle vittuarie approvate con d.m. 9 maggio 2017.

Infine con l’ultima censura dei motivi aggiunti (numerata VIII), la ricorrente denuncia violazione dell’art. 9 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e dell’art. 11 del d.p.r. 3 novembre 2000, n. 203, nonché delle tabelle vittuarie approvate con il d.m. 9 maggio 2017, difetto di istruttoria e di motivazione, incompetenza e contraddittorietà.

Questo perché nelle tabelle approvate con il citato decreto ministeriale, e allegate al bando impugnato in questa sede, non sarebbe stata prevista la fornitura di “prodotti speciali” pur essendo quel decreto ministeriale stato adottato successivamente al Decreto CAM (questo approvato nel 2011 e vigente dal 2015): poiché la normativa primaria prevede che le tabelle vittuarie siano approvate con decreto ministeriale (in particolare agli artt. 9, comma 4, della legge n. 354/1975 e 11 del d.p.r. n. 230/2000), la lex specialis di gara sarebbe inficiata da violazione di legge e contraddittorietà per avere previsto l’applicazione alla procedura de qua dello stesso Decreto CAM, le cui prescrizioni non erano state utilizzate per redigere le tabelle vittuarie approvate con il successivo d.m. 9 maggio 2017.

La censura è chiaramente infondata, giacché il Decreto CAM -a prescindere dal suo formale recepimento nelle nuove tabelle- ben si presta a incidere su di esse ab externo, in quanto attuativo della già descritta normativa di settore, rivolta all’obiettivo specifico della sostenibilità ambientale e attuazione in Italia di principi di origine comunitaria (vedi supra).

Tuttavia il ricorso merita accoglimento per la già evidenziata fondatezza delle censure sopra descritte sub A, B e C, con il conseguente annullamento degli impugnati.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite, vista la complessità e novità delle questioni giuridiche implicate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe proposto e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Caro Lucrezio Monticelli, Presidente

Antonio Plaisant, Consigliere, Estensore

Giorgio Manca, Consigliere