Sommario: 1. Inquadramento generale. - 2. Giurisprudenza. - 3. Dottrina. - 4. Questioni aperte.
- Inquadramento generale.
All’indomani dell’entrata in vigore del D.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 (nuovo Codice dei contratti pubblici) tra le questioni di particolare rilievo risultano quelle concernenti il potere dell’Autorità Nazionale Anticorruzione di emanare linee guida ribattezzate “soft law”[1].
Nonostante tali atti non costituiscano una novità introdotta dal nuovo Codice dei contratti e nonostante diverse Autorità internazionali ed europee, Ministeri, Autorità indipendenti, Regioni e Amministrazioni locali, infatti, già da tempo ricorrono a tale nomenclatura per dettare, in genere, criteri da seguire, per proporre o suggerire metodologie etc., negli ultimi anni si è assistito ad un ricorso sempre più frequente al termine “linee guida”, sfociante, perfino, nel polimorfismo[2]. La situazione è tale che, come affermato in dottrina, è possibile rintracciare contenuti estremamente vaghi, che vanno dagli imperativi categorici, alle indicazioni di obiettivi, alle mere esortazioni, non rendendo agevole trarre, dalla disamina della stratificata rete di linee guida, delle indicazioni univoche, né sulla loro natura giuridica, né di conseguenza sui loro effetti sul piano giuridico.
Ne deriva che quando si parla di linee guida non ci si può riferire alle stesse parlandone “in generale”, così come non ci si può riferire alle stesse pensando ad un istituto o ad una categoria dogmatica, le stesse finendo più correttamente per rappresentare “un’etichetta di contenitori diversi”[3].
Tuttavia, se le linee guida apparentemente sfuggono, quanto all’inquadramento, ad una visione unitaria, una breve disamina di quanto emerso in dottrina e giurisprudenza potrebbe rivelarsi quanto mai opportuna per coglierne i tratti essenziali.
- Giurisprudenza.
Il dibattito giurisprudenziale ha riguardato da vicino le linee guida approvate con decreti ministeriali o interministeriali e le linee guida vincolanti adottate direttamente dall’ANAC, considerato che, per quanto concerne, invece, le linee guida previste dalla legge delega e dal D.lgs. n. 50 cit., per le quali non viene fissato il carattere vincolante, il loro valore nella gerarchia delle fonti è addirittura inferiore rispetto a quello delle circolari ministeriali, sicché la loro efficacia è affidata alla c.d. moral suasion e al vincolo motivazionale che deriva dalla particolare autorità emanante. In altri termini, sui destinatari di tali linee guida non grava un obbligo di conformare la propria attività a quanto sancito in tali atti, in caso di discostamento essendo necessaria una motivazione stringente onde evitare un vizio di legittimità sotto il profilo dell’eccesso di potere.
Quanto poi alle linee guida motu proprio emanate dall’ANAC su tematiche non considerate dalla legge delega e dal Codice, trattasi di atti di regolazione che traggono la loro fonte dall’intero sistema della contrattualistica pubblica, che tiene conto delle direttive comunitarie nonché di tutti i principi del nostro ordinamento (si pensi alla concorrenza, all’efficienza e alla qualità delle stazioni appaltanti).
Tanto premesso, il Consiglio di Stato, con parere 1° aprile 2016, n. 855, ribadito con successivo parere 3 marzo 2017 sullo schema di decreto correttivo (D.lgs. n. 56/2017), ha concluso nel senso che le linee guida approvate con decreti ministeriali o interministeriali possiedono una chiara efficacia innovativa nell’ordinamento, che si accompagna ai caratteri di generalità e astrattezza delle disposizioni ivi previste.
Ne consegue che, indipendentemente dal nomen juris fornito dalla delega e dallo stesso Codice, tali atti devono essere considerati quali “regolamenti ministeriali” ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della L. n. 400/1988, con tutto quel che ne deriva in termini di: I) forza e valore dell’atto (tra l’altro: resistenza all’abrogazione da parte di fonti sotto-ordinate e disapplicabilità entro i limiti fissati dalla giurisprudenza amministrativa in sede giurisdizionale); II) forma e disciplina procedimentale stabilite dallo stesso comma 3 (si pensi, ad esempio, alla comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione) e dal successivo comma 4 della legge da ultimo citata; III) implicazioni sulla potestà regolamentare costituzionalmente riconosciuta a favore delle Regioni (articolo 117, comma 6, Cost.), tenuto conto dell’esistenza nella materia dei contratti pubblici di titoli di competenza di queste ultime[4]; IV) rispetto alle regole codificate nell’articolo 17, comma 3, della L. n. 400/1988 per i regolamenti ministeriali (al riguardo si precisa che la legge delega rafforza, come evidenziato in dottrina[5], il procedimento, prescrivendo in aggiunta – nell’evidente considerazione dell’importanza e delicatezza della materia – il parere delle competenti commissioni parlamentari).
Differenti considerazioni richiedono le linee guida a carattere “vincolante” adottate direttamente dall’Autorità e riconducibili all’espressione “altri atti di regolamentazione flessibile”. Il Consiglio di Stato, con il suddetto parere n. 855/2016 e con il parere n. 1767/2016, ha disatteso la proposta volta ad attribuire carattere normativo extra ordinem, esprimendo perplessità di tipo sistematico e ordinamentale, soprattutto in ragione dell’assenza di un fondamento chiaro per un’innovazione così dirompente del nostro sistema delle fonti.
I Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto, invece, preferibile l’opzione interpretativa che combina la valenza certamente generale dei provvedimenti in questione con la natura del soggetto emanante, appunto l’ANAC, la quale si configura a tutti gli effetti come un’Autorità amministrativa indipendente, con funzioni anche di regolazione. Detto ciò, pertanto, si è ritenuto logico ricondurre le linee guida, e gli atti a esse assimilati, alla categoria degli atti di regolazione delle Autorità indipendenti, che non sono regolamenti in senso proprio ma atti amministrativi generali e, per l’effetto, di regolazione.
Ne deriva, come è stato sottolineato, la giustiziabilità delle linee guida dell’ANAC innanzi al giudice amministrativo, affermata chiaramente già dalla legge delega (lett. t), non con lo strumento della disapplicazione, ma con quello dell’impugnazione secondo le stesse coordinate valevoli per i bandi di gara (impugnazione immediata in caso di immediata lesività, doppia impugnativa in caso contrario)[6].
- Dottrina.
Anche la dottrina[7] si è molto interrogata in merito alla qualificazione delle stesse linee guida in termini di fonti del diritto e numerosi sono i precedenti nei quali si può rinvenire l’attribuzione di un simile potere normativo, rectius di regolazione, in favore di enti ed autorità[8]. Rispetto ad essi, tuttavia, l’ipotesi normativa in esame presenta delle caratteristiche specifiche.
Per esplicita indicazione del legislatore delegato, le linee guida ANAC avrebbero dovuto essere comprese nella più ampia categoria degli atti cosiddetti “di indirizzo generale” anche al fine di ottenere una specifica ponderazione nella gerarchia delle fonti[9].
Tanto premesso, benché le disposizioni che autorizzino l’ANAC ad emanare linee guida siano contenute in un decreto legislativo, questo risulta a sua volta emanato dal Governo in adempimento della delega legislativa ricevuta dal Parlamento con la L. n. 11/2016, la quale, a sua volta, rappresenta lo strumento normativo attraverso il quale lo Stato ha adempiuto, nel rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, agli obblighi comunitari di recepimento delle Direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014. Risulta evidente, quindi, come alla disomogeneità delle fonti considerate corrisponda una chiara diversità di livelli gerarchici[10]. Il macro-sistema appare, infatti, strutturato in forma multilivello risultando coinvolte fonti di rango costituzionale, comunitario, primario e secondario, ragion per cui la dottrina si è interrogata su come le disposizioni del Codice che attribuiscono all’ANAC il potere di emanare linee guida instaurino relazioni di gerarchia, sempre verificando la compatibilità con il diritto comunitario originario e derivato. Questo ha consentito all’interprete di affermare che tra il potere normativo delegato all’ANAC e la legge delega sussiste una relazione gerarchica di collegamento indiretto, perché mediata dalle disposizioni del Codice.
Al fine di verificare, poi, la collocazione di queste regole sul piano delle fonti del diritto e, quindi, della natura, dei limiti e dei modi di esercizio del potere regolatorio, la dottrina ha ritenuto opportuno verificare nell’ambito specifico di tali disposizioni, le modalità attraverso le quali la delega parlamentare sia stata eseguita dal Governo[11].
Tra le disposizioni del Codice sulle linee guida di fondamentale importanza è senz’altro l’articolo 213, il quale potrebbe additarsi come la disposizione, dalla portata generale, attraverso la quale il Governo avrebbe attuato proprio uno dei criteri direttivi citati. La disposizione prevede espressamente che l’ANAC, attraverso linee guida ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supposto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi.
La disposizione citata potrebbe, a detta della dottrina[12], costituire il veicolo attraverso il quale il legislatore ha consentito l’ingresso di un “sistema originale di norme secondarie incentrato sulle linee guida”[13] accolto positivamente in dottrina perché espressione della scelta compiuta dal legislatore delegato di offrire un sistema attuativo più snello e flessibile, piuttosto che un unico regolamento generale.
Nel caso delle linee guida ANAC, nonostante l’omessa traduzione nel corpo dell’articolo 213 del Codice, così come nei rinvii alle linee guida, dell’inciso “ad efficacia vincolante” previsto dalla legge delega, si procede comunque a catalogare ipotesi di linee guida vincolanti e non, con la conseguente equiparazione sostanziale della prima tipologia di linee guida agli atti di regolazione delle autorità indipendenti. Invece, soltanto alle seconde sarebbero attribuiti valore e funzione di mero indirizzo per le stazioni appaltanti e gli operatori economici.
Il nuovo Codice avrebbe abbandonato, come è stato sostenuto[14], la tradizionale dicotomia “legge-regolamento” e previsto, quindi, una pluralità eterogenea di atti attuativi, denominati linee guida, che pongono, come è stato osservato addietro, svariati problemi di inquadramento nel sistema delle fonti.
In particolare, si identificano tre diverse tipologie di atti attuativi: a) quelli adottati con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, su proposta dell’ANAC, previo parere delle competenti commissioni parlamentari; b) le linee guida adottate con delibera dell’ANAC, a carattere vincolante erga omnes; c) le linee guida adottate con delibera dell’ANAC, a carattere non vincolante.
Ora, la legge nulla dice in ordine alla natura giuridica di tali provvedimenti, di qui la necessità di individuare, come sostenuto in dottrina, in via esegetica la loro vocazione e la conseguente collocazione nella gerarchia delle fonti del diritto, al fine di individuare l’esatta disciplina, sia per quanto concerne il piano procedimentale sia per quanto riguarda la tutela giurisdizionale.
A tal fine, la Legge delega per l’adozione del nuovo Codice dei contratti, n. 11/2016, offre utili indicazioni sul piano interpretativo, in chiave sistematica e ricostruttiva.
Dal punto di vista sostanziale, la delega riconduce le linee guida e gli atti in questione al genere degli “atti di indirizzo” (lett. t) e li qualifica come strumenti di “regolamentazione flessibili”.
Dal punto di vista procedimentale, la delega non reca alcuna disciplina, né rinvia ad atti-fonte del Ministero o della stessa ANAC. L’unica disposizione specifica al riguardo è la lett. u), che prevede la trasmissione alle Camere di apposite relazioni nei casi individuati dal Codice, oltre a quella prevista dal comma 5 dell’articolo 1 della legge delega per le linee guida “ministeriali”.
L’articolo 213, comma 2, secondo periodo del Codice identifica, non senza genericità, gli atti da trasmettere in quelli “ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto della regolamentazione”.
- Questioni aperte.
La ricostruzione offerta dal Consiglio di Stato, nel parere n. 855 del 1 aprile 2016, ha consentito di chiarire e risolvere una serie di questioni emerse sul piano applicativo. In primo luogo, essa non pregiudica, ma anzi riconferma, gli effetti vincolanti ed erga omnes di tali atti dell’ANAC, come disposto dalla delega, in particolare dalla lett. t), che come si è detto parla di “strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante”.
In secondo luogo, tale assimilazione consente di assicurare, anche a questi provvedimenti dell’ANAC, tutte le garanzie procedimentali e di qualità della regolazione, già oggi pacificamente vigenti per le Autorità indipendenti, in considerazione della natura tecnica e amministrativa di tali organismi, e dell’esigenza di compensare la maggiore flessibilità del principio di legalità sostanziale con un più forte rispetto di criteri di legalità procedimentali.
Tra queste garanzie procedimentali e di qualità della regolazione, se ne segnalano in particolar modo tre: l’obbligo di sottoporre le delibere di regolazione a una preventiva fase di “consultazione”, che costituisce ormai una forma necessaria, strutturata e trasparente di partecipazione al decision making process dei soggetti interessati, e che ha anche l’ulteriore funzione di fornire ulteriori elementi istruttori/motivazionali rilevanti per la definizione finale dell’intervento regolatorio; l’esigenza di dotarsi, per gli interventi di impatto significativo, di strumenti quali l’analisi di impatto della regolazione-AIR e la verifica ex post dell’impatto della regolazione-VIR, strumenti per i quali, a detta della dottrina, occorrerà sviluppare modelli appositi per l’ANAC, sulla scorta di quanto già attualmente fanno le Autorità di regolazione e secondo quanto già prevedeva l’articolo 8, comma 1, D.lgs. n. 163/2006 per l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici; la necessità di adottare tecniche di codificazione delle delibere di regolazione tramite la concentrazione in testi unici integrati di quelle sulla medesima materia[15]: tale strumento appare significativamente necessario per il settore degli appalti allo scopo di evitare il rischio di proliferazione delle fonti che si volevano ridurre e di perdita di sistematicità ed organicità dell’ordinamento di settore.
In terzo luogo, tale ricostruzione consente anche la realizzazione, per gli atti di regolazione dell’ANAC, di forme di adeguata pubblicità: di sicuro sul sito della stessa Autorità ma anche con una pubblicità sulla Gazzetta Ufficiale, non richiesta per le autorità amministrative indipendenti ma altamente opportuna, ad avviso del Consiglio di Stato, in ragione della trasversalità della materia dei contratti pubblici e della latitudine dell’ambito applicativo dei provvedimenti de quibus. Una chiara previsione sulla pubblicità di tali delibere lascia impregiudicata la questione se debba o meno essere disposta la successiva comunicazione alle Camere (come pure, a detta della dottrina[16], sarebbe preferibile ai fini della conoscibilità del quadro regolatorio da parte degli operatori del settore), che sussiste comunque in virtù di un requisito sostanziale di tipo rinforzato, ancorché privo di una definizione oggettiva.
Infine, pur in assenza del parere obbligatorio del Consiglio di Stato ex articolo 17 della L. n. 400/1988, si rileva che tale sostegno consultivo resta pur sempre accessibile in via facoltativa, sotto forma di quesito, sia in ragione della generalità delle questioni e dell’impatto erga omnes dei provvedimenti, sia per analogia con l’articolo 17, comma 25, della L. n. 127/1997, che prevede il parere obbligatorio del Consiglio sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni dei Ministeri.
Tuttavia, se la lettura del Consiglio di Stato ha senz’altro il pregio di preservare la coerenza del sistema delle fonti, nonché di garantire la “procedimentalizzazione” e l’impugnabilità delle linee guida citate, sono state espresse perplessità, ad iniziare dalla natura eterogenea di queste ultime rispetto alla tralatizia definizione di atto amministrativo generale, si pensi al bando di gara. Atto amministrativo generale che, come affermato dall’Adunanza Plenaria n. 9/2012 del Consiglio di Stato, ha destinatari indeterminabili a priori, ma sicuramente determinabili a posteriori in quanto è destinato a regolare non una serie indeterminata di casi, ma, conformemente alla sua natura amministrativa, un caso particolare, una vicenda determinata, esaurita la quale vengono meno anche i suoi effetti.
D’altro canto, l’ascrizione delle linee guida alla categoria degli atti amministrativi generali lascia aperta una pluralità di questioni, si pensi alla qualificazione degli effetti prodotti dalle linee guida nei confronti dei destinatari (non ultime le stazioni appaltanti), nonché alla precisazione delle conseguenze dell’eventuale violazione di esse.
Basti pensare che, per quanto riguarda le linee guida non vincolanti, nella maggior parte dei casi la violazione può essere considerata come elemento sintomatico dell’eccesso di potere, sulla falsariga dell’elaborazione giurisprudenziale che si è avuta con riguardo alla violazione delle circolari.
Ancora, nel caso delle linee guida ANAC, la legge ha definito in modo piuttosto puntuale le condizioni e i presupposti per l’esercizio del potere, lasciando all’Autorità un compito di sviluppo e integrazione del precetto primario nelle parti che afferiscono a un livello di puntualità e dettaglio non compatibile con la caratterizzazione tipica degli atti legislativi. Trattasi, come evidente, di un potere lato sensu amministrativo che, indubbiamente, si allontana dal modello di Pubblica Amministrazione di cui all’articolo 95 Cost., intesa come apparato servente del Governo.
Ci si chiede allora se questo potere trova un solido aggancio costituzionale nei principi di legalità e buon andamento di cui all’articolo 97 della Costituzione, nella parte in cui sembra evidente che l’ANAC eserciti poteri neutrali di attuazione della legge e non adotti atti generali di indirizzo politico. Peraltro, se così fosse, questo non esporrebbe la disciplina relativa alle linee guida ANAC ad obiezioni di incostituzionalità, diversamente da quanto accadrebbe laddove si affermasse la natura regolamentare e non amministrativa delle stesse.
Quanto, poi, alla possibilità di “gap democratico” nell’adozione di tali atti, invero riscontrabile in tutti i provvedimenti adottati dalle Autorità Indipendenti, siamo di fronte ad una problematica superabile, probabilmente, sul piano procedimentale, attraverso la valorizzazione di una serie di strumenti di better regulation, quel che, però, preme evidenziare, così come affermato dal Consiglio di Stato in un recente parere, è che la “vincolatività” dei provvedimenti in esame non esaurisce sempre la “discrezionalità” esecutiva delle amministrazioni. Occorrerà, quindi, valutare di volta in volta la natura del precetto per sondarne la compatibilità con un ulteriore svolgimento da parte delle singole stazioni appaltanti di proprie attività valutative e decisionali. La particolare natura delle linee guida in esame comporta che, in mancanza di un intervento caducatorio da parte della stessa Autorità in via di autotutela, o in sede giurisdizionale, le stesse dovranno essere osservate, a pena di illegittimità degli atti consequenziali.
Con riguardo al sindacato giurisdizionale, nel parere si è affermato che la conformità dell’azione amministrativa alle linee guida ANAC “non può significare attribuzione di una sorta di “cappello protettivo di legittimità” in una eventuale fase di contenzioso giudiziale”. Diversamente, si attenterebbe al principio secondo cui il sindacato del giudice amministrativo è un sindacato c.d. pieno, tale da estendersi anche alla “verifica in concreto della tenuta delle linee guida nel momento della loro concreta attuazione da parte delle stazioni appaltanti”.
[1] Così in dottrina: R. DE NICTOLIS, Il nuovo Codice dei contratti pubblici, in Urb. e app., 2016, 5, 507.
[2] G. MORBIDELLI, Linee guida dell’ANAC: comandi o consigli?, in Diritto Amministrativo, 2016, fasc. 3, 275 ss.
[3] G. MORBIDELLI, Linee guida dell’ANAC: comandi o consigli?, cit., 278.
[4] Cfr. Corte Cost., sentenza 23 novembre 2007, n. 401.
[5] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, Dike, 2017, 501.
[6] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, cit., 502.
[7] N. MARI, Linee Guida ANAC: la soft law e la gerarchia delle fonti, in Italiappalti.it
[8] Si rinvengono esempi nei settori: sanitario; della protezione dei dati personali; dell’amministrazione digitale; dell’università.
[9] F. MODUGNO, Lineamenti di diritto pubblico, Torino, 2007, 95, secondo il quale “gerarchia è sinonimo dello stesso sistema delle fonti, ovvero, come emerge dalla teorizzazione gradualista kelseniana, “gerarchia” ha un significato che la fa coincidere con l’ordine o con l’ordinazione stessa delle fonti”.
[10] N. MARI, Linee Guida ANAC: la soft law e la gerarchia delle fonti, cit.
[11] L. TORCHIA, Il nuovo Codice dei contratti pubblici: regole, procedimento, processo, in Giornale Dir. Amm., 2016, 5, 606.
[12] N. MARI, Linee Guida ANAC: la soft law e la gerarchia delle fonti, cit.
[13] M. P. CHITI, Il sistema delle fonti nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in Giornale Dir. Amm., 2016, 4, 436.
[14] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, cit., 500.
[15] Best practice già diffusa presso le principali Autorità di regolazione, in primis quella per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico.
[16] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, cit., 503.