Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118

In materia di responsabilità civile, in particolare in materia di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., nel cui paradigma è inquadrabile la responsabilità della Pubblica amministrazione per illegittimità provvedimentale, la c.d. teoria della causalità alternativa ipotetica ha rilievo solo in relazione agli illeciti omissivi, per i quali occorre infatti stabilire se l’evento dannoso non si sarebbe verificato se il preteso responsabile avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli; la stessa teoria è priva del suo presupposto rispetto ad illeciti commissivi, quali appunto quelli derivanti dall’adozione di provvedimenti amministrativi illegittimi, in relazione ai quali l’accertamento del giudice deve stabilire se gli atti amministrativi abbiano costituito la causa del danno lamentato, e dunque se costituiscano il fatto illecito che è fonte di responsabilità ai sensi della clausola generale dell’art. 2043 c.c.

Nell’ambito della dicotomia dei danni risarcibili ex art. 1223 Cod. civ., la teoria della chance ontologica configura tale posizione giuridica come un danno emergente, ovvero come bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato, la cui lesione determina una perdita suscettibile di autonoma valutazione sul piano risarcitorio. La teoria eziologica intende invece la lesione della chance come violazione di un diritto non ancora acquisito nel patrimonio del soggetto, ma potenzialmente raggiungibile, con elevato grado di probabilità, statisticamente pari almeno al 50%. Si tratta dunque di un lucro cessante… Per queste ragioni va dunque disposto il deferimento in sede nomofilattica ai sensi dell’art. 99, comma 1, Cod. proc. amm.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 1087 del 2016, proposto da:  Ministero dell’Interno, in persona del ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

contro

F. s.p.a., in persona dei direttori degli affari legali e enterprise, rappresentata e difesa dagli avvocati P.S.R., G.T. e R.R., con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, v. M.;

nei confronti di

T. I. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F.C., F. L. e F. S. C., con domicilio eletto presso lo studio in Roma, via D.P.;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I-TER, n. 14391/2015, resa tra le parti, concernente una domanda di condanna al risarcimento dei danni per mancata indizione gara di fornitura di servizi di comunicazione elettronica a favore del Dipartimento di pubblica sicurezza e dell’Arma dei carabinieri

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’appello incidentale di F. s.p.a.;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di T. s.p.a.;

Vista l’ordinanza cautelare della Sezione 7 aprile 2016, n. 1179;

Viste le ordinanze collegiali istruttorie della Sezione 14 dicembre 2016, n. 5266 e 20 aprile 2017, n. 1851;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2017 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti l’avvocato dello Stato F., e P.S.R., R.R. e F.L.;

Visto l’art. 36, comma 2, Cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il Ministero dell’interno propone appello contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, I-ter, 22 dicembre 2015, n. 14931, che lo ha condannato a risarcire a F. s.p.a. i danni da questa subiti a causa dell’affidamento senza gara a T. I. s.p.a. dei servizi di comunicazione elettronica per il Dipartimento di pubblica sicurezza e dell’Arma dei Carabinieri – comprensivo dei servizi di fonia vocale, fonia mobile e trasmissione dati - per una durata di sette anni (determinazioni del 15 e 22 dicembre 2011, nn. 600/C.TLC.30bis.SEGR e 600/C.TLC.1634.TLC.M.1.2003.0; cui ha fatto seguito la stipula della convenzione in data 31 dicembre 2011).

2. La sentenza ha riconosciuto alla F. il ristoro per equivalente della chance di aggiudicazione di una «gara che l’amministrazione avrebbe dovuto indire». Ciò muovendo da una qualificazione di tale posizione giuridica come «possibilità di conseguire un risultato favorevole», lesa dall’illegittimo affidamento senza gara del servizio.

3. Nel confutare le deduzioni difensive del Ministero dell’interno, la sentenza ha poi escluso che per vedersi risarcita la chance la ricorrente F. fosse tenuta a dimostrare la probabilità di aggiudicarsi il servizio «almeno superiore al 50%» e dunque «la propria superiorità rispetto a T.». Anche a questo riguardo la sentenza ha fatto leva sulla natura della situazione giuridica azionata nel presente giudizio risarcitorio – la chance, appunto – intesa «non come mancato conseguimento di un risultato possibile ma come sacrificio della possibilità di conseguirlo».

4. La sentenza ha poi ritenuto che nel caso di specie la ricorrente fosse titolare di una «concreta chance di aggiudicazione dell’appalto», sulla base del fatto «incontroverso» della sua qualità di «primario operatore di TLC (unicazioni: n.d.e.), (generalmente) interessato a partecipare a gare aventi ad oggetto la telefonia fissa ed i servizi di comunicazione elettronica», come dimostrato dall’«apprezzabile» fatturato annuo realizzato in questo settore.

5. Sulla base di queste premesse, il risarcimento del danno è stato quantificato dal giudice di primo grado nella misura di € 10.430.000 (oltre interessi di legge dal momento della pubblicazione della presente decisione e fino al saldo), corrispondente al 2% dell’importo della convenzione (€ 521.500.000).

6. Oltre al Ministero dell’interno ha chiesto la riforma della sentenza anche F., con appello incidentale. Con questo mezzo l’originaria ricorrente contesta sotto diversi profili la quantificazione del risarcimento fatta dal Tribunale amministrativo.

7. Si è costituito in giudizio anche T. I. s.p.a., per rilevare che l’azione risarcitoria proposta contro di lei da F. a mezzo di motivi aggiunti in primo grado è stata respinta, con statuizione non appellata e che in ogni caso su tale domanda non sussisterebbe la giurisdizione amministrativa.

8. Con ordinanza collegiale 14 dicembre 2016 n. 5266 questa V Sezione del Consiglio di Stato ha chiesto alla Consip s.p.a. chiarimenti circa la possibilità per il Ministero dell’interno di affidare i servizi oggetto della convenzione illegittima a mezzo di adesione «alla pertinente convenzione Consip 2011, come dedotto in sede di discussione dall’Avvocatura dello Stato».

9. Con successiva ordinanza collegiale 20 aprile 2017, n. 1851 la stessa V Sezione ha poi chiesto all’Autorità nazionale anticorruzione di chiarire se la F. «sia qualificata per svolgere i servizi oggetto della convenzione ed inoltre se vi siano altri operatori di settore titolati a partecipare ad una ipotetica procedura di gara per l’affidamento dei servizi oggetto della convenzione tra il Ministero dell’Interno e T. I.».

10. Eseguito anche quest’ultimo incombente istruttorio, la causa è passata in decisione all’udienza del 5 dicembre 2017.

DIRITTO

I – La questione di giurisdizione: inammissibilità.

I.1. Preliminarmente deve darsi atto che T. I. ripropone la questione di giurisdizione, nel senso che la cognizione della domanda risarcitoria proposta da F. nei propri confronti, con motivi aggiunti al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sarebbe devoluta al giudice ordinario e non già al giudice amministrativo.

I.2. La questione è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

Innanzitutto perché proposta a mezzo di memoria non notificata, anziché con motivo d’appello (nel caso di specie incidentale), come invece sarebbe onere della controinteressata fare, ai sensi dell’art. 9 del Codice del processo amministrativo.

In secondo luogo per difetto di interesse, derivante dalla circostanza che F. non ha censurato il capo della sentenza appellata in cui il giudice di primo grado ha circoscritto la condanna risarcitoria «nei soli confronti dell’Amministrazione resistente e non anche di T. I. SpA», sul rilievo che «le condotte che inducono a ritenere parzialmente fondata la domanda risarcitoria sono imputabili alla Stazione appaltante e, quindi, è questa che deve provvedere a ristorare la Società interessata della lesione subita» (§ 5 della parte “in diritto”).

II – I fatti rilevanti nella presente controversia.

II.1. Si può dunque procedere ad esaminare il merito della controversia, in relazione al quale deve premettersi in fatto che:

- l’illegittimità dell’affidamento diretto è stata accertata in via definitiva dalla III Sezione di questo Consiglio di Stato (sentenza parziale n. 26 dell’8 gennaio 2013), resa nel separato giudizio promosso da F. per l’annullamento delle citate determinazioni ministeriali di affidamento senza gara dei servizi di comunicazione elettronica per il Dipartimento di pubblica sicurezza e dell’Arma dei Carabinieri e per la dichiarazione di inefficacia della convenzione settennale tra il Ministero dell’interno e T.I. conseguentemente stipulata;

- la domanda per la dichiarazione di inefficacia della convenzione è stata per contro respinta, anche in questo caso con pronuncia divenuta cosa giudicata, e cioè con la sentenza (definitiva) di questo Consiglio di Stato, Sezione III, 4 febbraio 2015, n. 540, che sul punto ha applicato i principi espressi dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza 11 settembre 2014, C-19/13, sulla base del rinvio pregiudiziale sollevato dalla stessa Sezione nel medesimo giudizio (ordinanza 7 gennaio 2013, n. 25);

- nell’esprimersi sulla questione pregiudiziale devolutagli, la Corte di giustizia ha affermato che laddove sia stato pubblicato l’avviso volontario per la trasparenza preventiva e sia stato rispettato il termine dilatorio di legge la mancata dichiarazione di inefficacia del contratto è conforme al diritto europeo [ai sensi dell’art. 2-quinquies, paragrafo 4, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007; e degli artt. 79-bis del Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e 121, comma 5, lett. b), del Codice del processo amministrativo];

- con la citata sentenza di n. 540 del 4 febbraio 2015, questo Consiglio di Stato ha accertato che sussistevano le condizioni stabilite dalla Corte di giustizia dell’Unione europea per non dichiarare inefficace l’affidamento diretto a T.I. oggetto del presente giudizio

- nelle more della definizione della questione pregiudiziale F. ha proposto l’azione risarcitoria ora in esame, poi accolta dal Tribunale amministrativo del Lazio con la sentenza oggetto del presente giudizio d’appello.

III – Il primo motivo dell’appello principale del Ministero dell’interno, sui rapporti tra azione di annullamento e azione risarcitoria: infondatezza.

III.1. Tanto premesso, con il proprio appello principale il Ministero dell’Interno reitera innanzitutto la tesi secondo cui la domanda risarcitoria proposta da F. con separato ricorso anziché cumulata con la domanda di annullamento sarebbe inammissibile.

La tesi si fonda sui caratteri di specialità del contenzioso sugli appalti pubblici. In base ad essa, i tratti di spiccata celerità e di piena ed integrale satisfattività degli interessi azionati nei giudizi appartenenti a questa categoria osterebbero all’applicazione della regola generale sancita dall’art. 30, comma 5, del codice del processo amministrativo, e cioè alla proponibilità separata dell’azione risarcitoria rispetto a quella dell’annullamento degli atti di gara, che il giudice di primo grado ha invece ritenuto non derogata nel caso di specie.

III.2. Sul punto, il Ministero evidenzia che la materia è permeata dagli imperativi europei del ricorso «efficace» e del giudizio informato a canoni di particolare celerità (artt. 1 e 2 della citata direttiva 89/665/CEE del 21 dicembre 1989). Questi principi di ordine sovranazionale – soggiunge l’amministrazione dell’interno – sono declinati sul piano interno nell’alternativa posta dall’art. 124 Cod. proc. amm. tra dichiarazione di inefficacia del contratto e risarcimento del danno, la quale postulerebbe il cumulo obbligatorio delle due domande nell’ambito di un giudizio unitario, in deroga alla regola generale enunciata dal citato art. 30, comma 5, del medesimo Codice.

III.3. Il motivo è manifestamente infondato.

III.4. Ai fini del rigetto dello stesso è agevole in primo luogo constatare – come fa F. (nella memoria per la camera di consiglio del 13 dicembre 2016) – che nessuna norma del codice del processo amministrativo onera il ricorrente che impugni atti di procedure di affidamento di contratti pubblici di cumulare la domanda risarcitoria a quella di annullamento.

III.5. L’argomento che il Ministero pretende di trarre dal sopra richiamato art. 124 Cod. proc. amm. non trova infatti alcun conforto del dato letterale della disposizione, e cioè dal secondo periodo del comma 1.

Essa è così formulata: «Se il giudice non dichiara l’inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e provato». Come si vede, l’alternativa è posta tra due provvedimenti di competenza del giudice e non tra le due domande proposte dal ricorrente, che la norma in esame si limita a presupporre.

In particolare, l’alternativa posta dall’art. 124 si pone in chiave di definizione dei rapporti tra i rimedi a disposizione del giudice, con l’enunciazione alla preferenza dell’inefficacia del contratto, in conformità al vincolo comunitario per il legislatore nazionale, sopra richiamato, di assicurare ricorsi “efficaci”.

III.6. Per quanto concerne invece la domanda risarcitoria sovvengono i sopra citati commi 3 e 5 dell’art. 30 Cod. proc. amm., che, unitamente al comma 1, disciplinano i rapporti tra l’«Azione di condanna» (così la rubrica della disposizione in esame) e l’«Azione di annullamento» di cui al precedente art. 29. Tali rapporti si incentrano sulla proponibilità della prima «in via autonoma» rispetto alla seconda (comma 1), con termini e decorrenze diverse da quest’ultima (secondo le varie ipotesi previste dai commi 3 e 5).

III.7. Dalle disposizioni esaminate non sono dunque ricavabili elementi di carattere testuale che possano suffragare la tesi del Ministero e condurre a ricostruire in via interpretativa una sanzione processuale di inammissibilità della domanda risarcitoria laddove proposta separatamente rispetto a quella di annullamento, sia pure nel solo settore del contenzioso amministrativo in materia di procedure di affidamento di contratti pubblici.

Peraltro, il costrutto interpretativo proposto dall’amministrazione resistente determina la surrettizia introduzione della pregiudiziale amministrativa, oggetto di ripetute pronunce contrarie della Cassazione (in particolare le ordinanze delle Sezioni Unite 12 giugno 2006, nn. 13659 e 13660 e la sentenza 23 dicembre 2008, n. 30254), e che le disposizioni contenute nell’art. 30 del Codice del processo amministrativo sopra esaminato, successivamente introdotte, hanno inteso superare.

III.7. Sotto un distinto profilo il richiamo ai principi comunitari in nulla giova alla tesi del Ministero.

I canoni di speditezza imposti a livello sovranazionale ai giudizi di impugnazione di atti di procedure di affidamento di contratti pubblici si riferiscono infatti al solo giudizio di impugnazione.

Come infatti rilevato da F., l’art. 2-septies della direttiva 89/665/CEE del 21 dicembre 1989, introdotto dalla 2007/66/CE dell’11 dicembre 2007, distingue sotto il profilo del termine per agire in giudizio i ricorsi finalizzati a privare di effetti i contratti aggiudicati all’esito di procedure di gara illegittime da «tutti gli altri casi» (comma 2).

Ed è proprio in conformità a questa modulazione temporale dei rimedi stabilita in ambito sovranazionale, la quale si correla all’evidente interesse pubblico ad una più sollecita definizione dei giudizi che investono direttamente il potere pubblico, rispetto a quelli che possono avere conseguenze riflesse sullo stesso, il Codice del processo amministrativo – che «assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo» (art. 1) – consente in via generale, con l’art. 30, comma 5, citato, giammai derogato per specifiche materie, di proporre separatamente l’azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento.

III.8. Sul punto F. richiama in modo pertinente la sentenza della Corte di giustizia del 26 novembre 2014, C-166/14 (MedEval), resa nell’ambito di un contenzioso in materia di pubblici appalti.

In questa pronuncia il giudice sovranazionale ha ribadito, in ossequio ai principi di autonomia “temperata” degli ordinamenti processuali nazionali, che «spetta agli Stati membri disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi per risarcimento danni», purché queste modalità non siano «meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi previsti per la tutela dei diritti derivanti dall’ordinamento interno (principio di equivalenza)», ed inoltre tali da «rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività)» (§ 37).

La Corte europea ha quindi sottolineato che «il grado di esigenza della certezza del diritto relativa alle condizioni della ricevibilità dei ricorsi non è identico a seconda che si tratti di ricorsi per risarcimento danni o di ricorsi diretti a privare un contratto dei suoi effetti» (§ 39).

Con specifico riguardo ai rapporti tra reintegrazione in forma specifica – consistente appunto nella privazione degli effetti del contratto – e per equivalente, dopo avere evidenziato che il primo, cui è accordata preferenza ai fini di una tutela piena, può «comportare una notevole alterazione e perdite economiche non solo sul lato dell’aggiudicatario dell’appalto in questione, ma anche su quello dell’amministrazione aggiudicatrice e, di conseguenza, del pubblico, beneficiario finale della fornitura dei lavori o servizi oggetto dell’appalto pubblico di cui trattasi» (§ 41), il giudice europeo ha affermato il principio secondo cui porre l’esercizio dell’azione di annullamento come condizione di ammissibilità della domanda risarcitoria potrebbe rendere non effettivo quest’ultimo rimedio, che pure è uno di quelli «garantiti dal diritto dell’Unione» (§ 43), a causa del peculiare regime cui il primo è soggetto (nel caso deciso: termine decadenziale decorrente a prescindere dalla conoscenza dell’atto lesivo).

III.9. Se dunque in base al diritto eurounitario la domanda risarcitoria dovrebbe essere in linea di principio autonoma rispetto a quella di annullamento degli atti di gara e di privazione degli effetti del contratto, non ha base giuridica la tesi del Ministero secondo cui la prima deve necessariamente essere cumulata con la seconda.

A ben guardare, l’equilibrio tra l’esigenza di assicurare la certezza del diritto in un settore dell’azione amministrativa in cui sono in discussione rilevanti interessi economici, rispetto alla quale il risarcimento dei danni rischia di essere un fattore di perturbazione, ancorché non incidente in via diretta sugli atti autoritativi adottati in sede di gara, è dato dalla lunghezza del termine decadenziale di 120 giorni stabilito in via generale da citati commi 3 e 5 dell’art. 30 del Codice del processo amministrativo.

III.10. Gli assunti dell’amministrazione appellante in via principale pervengono peraltro alla paradossale conclusione secondo cui un rimedio previsto dalla legge a tutela del privato diverrebbe lui precluso laddove questi abbia inizialmente deciso di non avvalersene per ottenere la soddisfazione massima ad esso consentita, attraverso la privazione degli effetti. Una facoltà, concessa a migliore tutela del diritto soggettivo, si trasformerebbe dunque in un onere, processualmente sanzionato con l’inammissibilità.

Una simile conclusione si pone in urto contro i principi di effettività elaborati a livello europeo nella materia dei contratti pubblici.

Il riferimento è alla sentenza della Corte di giustizia della 30 settembre 2010, C- 314/09 (Stadt Graz), in cui a questo riguardo si è affermato che l’alternativa tra privazione degli effetti del contratto e risarcimento per equivalente dell’utile da esso ritraibile comporta che non può essere attribuita alcuna rilevanza all’elemento soggettivo consistente nella colpa dell’amministrazione per le illegittimità commesse nella procedura di gara.

III.11. Questo principio si fonda sulla premessa di carattere generale per cui nella materia degli appalti pubblici l’alternativa tra i due rimedi deve essere piena, nel senso che l’impossibilità di accedere al primo deve essere compensata dall’effettiva possibilità di ottenere il secondo. Pertanto, anche sotto questo profilo emerge l’incompatibilità con le esigenze di assicurare l’effettività del rimedio risarcitorio della tesi che postula un onere di avvalersi di questo nello stesso giudizio finalizzato all’annullamento degli atti della procedura di affidamento.

III.12. Tutto ciò precisato, per venire al caso di specie, F.:

- ha dapprima chiesto l’annullamento degli atti di affidamento diretto a T. I. dei servizi di comunicazione elettronica oggetto della convenzione con il Ministero dell’Interno del 31 dicembre 2011;

- quindi, una volta sollevata in questo giudizio la questione pregiudiziale europea sulla possibilità di mantenere l’efficacia di questo contratto malgrado l’illegittimità dell’affidamento dello stesso senza gara (questione sollevata, come sopra accennato, dalla III Sezione di questo Consiglio di Stato con ordinanza 7 gennaio 2013, n. 25), e pressoché contestualmente definita la domanda di annullamento (con la parimenti citata sentenza della III Sezione 8 gennaio 2013, n. 26), ha adito il nuovamente il giudice amministrativo con separato ricorso per ottenere il risarcimento per equivalente. Ciò all’evidente scopo di evitare di incorrere nella causa di inammissibilità della domanda risarcitoria prevista dal comma 5 dell’art. 30 Cod. proc. amm., secondo cui tale domanda può essere proposta «sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato» della sentenza che definisce la domanda di annullamento.

Richiamato pertanto quanto finora osservato, deve ribadirsi che la scelta il frazionamento della tutela complessivamente accorabile all’operatore economico nel settore degli appalti pubblici è consentita dall’ordinamento processuale amministrativo italiano ed è a sua volta rispondente ai principi generali elaborati in materia a livello eurounitario.

IV – Le ulteriori censure formulate dal Ministero dell’interno.

IV.1. Con il secondo motivo d’appello il Ministero contesta nel merito la condanna pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale amministrativo ed in particolare il riconoscimento di una chance risarcibile ex art. 2043 del Codice civile. L’amministrazione deduce che F. non ha dato la prova di una rilevante probabilità di conseguire all’esito di un’ipotetica procedura di affidamento l’aggiudicazione dei servizi invece affidati senza gara a T. I.. In particolare il Ministero dell’interno reitera l’assunto, già disatteso dal giudice di primo grado, secondo cui tale prova richiederebbe la dimostrazione di una probabilità superiore al 50%.

IV.2. A questo particolare riguardo il Ministero evidenzia che:

- il Tribunale amministrativo ha fatto propria la teoria della chance ontologica, intesa come mera possibilità di aggiudicarsi l’affidamento, a prescindere dalle effettive probabilità, le quali secondo questa ricostruzione rilevano solo ai fini della quantificazione del danno;

- in ciò il giudice di primo grado avrebbe così violato la consolidata giurisprudenza amministrativa, che invece annette rilievo decisivo alla consistenza statistica della chance, ai fini dell’an del risarcimento;

- la diversa ricostruzione della chance propugnata nel presente appello principale (c.d. teoria eziologica, in antitesi a quella ontologica) si fonda poi sulle norme europee, e segnatamente sull’art. 2, comma 1, lett. c), della citata direttiva 89/665/CEE, che contempla la possibilità di accordare un risarcimento in caso di legittima aggiudicazione a terzi ai soggetti «lesi dalla violazione» verificatasi in sede di gara; ed è inoltre conforme alla giurisprudenza di legittimità occupatasi del rimedio risarcitorio nei confronti di questa peculiare posizione soggettiva.

IV.3. Con il terzo motivo d’appello si negano i presupposti della condanna al risarcimento sotto distinti profili.

Il Ministero dell’interno afferma che F. non avrebbe dimostrato e comunque non potrebbe vantare questa rilevante e concreta possibilità di aggiudicazione, mentre nel pervenire alla statuizione di accoglimento il Tribunale amministrativo avrebbe violato le regole in materia di riparto degli oneri probatori sancite dall’art. 2697 Cod. civ., come costantemente declinate dalla giurisprudenza amministrativa in materia di responsabilità da illegittimità provvedimentale della pubblica amministrazione.

Secondo l’appellante principale, in particolare, F. non sarebbe un operatore specializzato nel settore dei servizi di telefonia mobile, che invece nell’economia della convenzione con T. I. oggetto del presente giudizio «assumevano un peso decisivo»; e che la tecnica di offerta dei servizi di comunicazione in cui essa è specializzata (Network address translation – NAT) impedirebbe alcune forme di connessione dati dalla rete verso il singolo utente F. (quali l’accesso al PC da remoto e il web-hosting ecc.), di cui il servizio affidato senza gara si compone.

A comprova di ciò il Ministero evidenzia che l’originaria ricorrente «fino a pochi anni fa non aveva preso parte alle gare bandite da C. s.p.a. per l’individuazione dei fornitori dei servizi di telefonia mobile» e che già nel giudizio di impugnazione dell’affidamento quest’ultima aveva riconosciuto che per concorrere alla procedura competitiva di cui aveva censurato la mancata indizione avrebbe dovuto ricorrere ad un raggruppamento temporaneo di imprese o all’avvalimento. Malgrado tutte queste circostanze – soggiunge il Ministero – il giudice di primo grado ha riconosciuto il risarcimento della chance, finendo tuttavia per ristorare per equivalente una semplice possibilità di partecipare alla gara in modo avulso rispetto alle concrete possibilità di aggiudicazione della stessa.

Inoltre, la non completa capacità tecnica di offrire tutti i servizi di comunicazione affidati in via diretta a T.I. alle stesse condizioni di quest’ultima avrebbe comportato per F. la necessità di sostenere costi aggiuntivi per fare ricorso ad apporti di terzi, con conseguente aggravio di costi e correlativa minore convenienza economica dell’offerta che la stessa avrebbe potuto formulare nell’ipotetica procedura di gara ad evidenza pubblica.

IV.4. Sotto un distinto profilo, il Ministero censura la condanna risarcitoria perché imperniata sull’assunto che l’affidamento mediante gara avrebbe dovuto riguardare tutti i servizi di comunicazione oggetto della convenzione con T.I., senza tenere conto dell’alternativa consistente nella possibilità di frazionare i servizi medesimi in affidamenti distinti, con conseguente «allargamento della cerchia dei possibili aspiranti all’affidamento» e correlata diminuzione delle chance di aggiudicazione di F..

IV.5. Al medesimo riguardo, ad ulteriore comprova della scarsa consistenza della chance ex adverso azionata, si sottolinea inoltre che:

- nel settore delle telecomunicazioni gli operatori sono più di due, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente principale, e quest’ultima non aveva partecipato alle procedure per l’affidamento delle frequenze radio per servizi mobili di telecomunicazione a favore delle amministrazioni pubbliche, mentre T. I. nel corso del 2014 si è aggiudicata la convenzione Consip per il triennio 2015 – 2017 per tali servizi (c.d. convenzione per la telefonia mobile Consip 6), «in larga parte coincidenti» con quelli della convenzione con la medesima T. I.;

- un’ulteriore alternativa rispetto alla procedura ad evidenza pubblica consisteva nella possibilità di procurarsi gli stessi attraverso l’adesione alla convenzione Consip per la telefonia mobile all’epoca vigente (c.d. convenzione per la telefonia mobile Consip 5).

IV.6. Con il quarto ed ultimo motivo d’appello, subordinato a tutti, il Ministero censura la condanna risarcitoria perché basata sulla quantificazione del danno in via equitativa, in mancanza di prove fornite da F. sull’utile ritraibile in caso di aggiudicazione della gara, e senza considerare che una quota superiore al 50% dei servizi di cui all’affidamento diretto si sarebbero potuti acquisire in modo frazionato, aderendo alle varie convenzioni all’epoca vigenti.

V – Ragioni di connessione delle censure del Ministero dell’interno. Parziale infondatezza delle stesse.

V.1. Le censure di cui si compongono i motivi secondo e terzo dell’appello principale possono essere esaminate congiuntamente, poiché a vario imperniate sulla questione della chance di aggiudicazione di un contratto pubblico e sui limiti entro i quali tale posizione giuridica può ricevere tutela risarcitoria in sede giurisdizionale amministrativa.

Quelle relative alle modalità di quantificazione del ristoro per equivalente, di cui al quarto motivo, sono invece subordinate sul piano logico-giuridico, ragione per la quale possono essere posposte alle prime due.

V.2. Più precisamente, i motivi secondo e terzo riguardano rispettivamente l’astratta risarcibilità della chance di aggiudicazione e la consistenza di quella vantata da F. nella presente vicenda contenziosa.

L’esame di quest’ultima questione è tuttavia prioritaria rispetto alla prima, perché la questione dei limiti entro i quali è ammesso il risarcimento della chance non può essere affrontata in modo avulso, ed anzi è inevitabilmente condizionata fino alla sua negazione, dalla dimostrazione che l’illegittimità dell’amministrazione ha inciso su un’inesistente o trascurabile di risultato utile per l’operatore economico asseritamente leso, subspecie di conseguimento della commessa pubblica.

V.3. Ciò precisato, tutte le censure formulate dal Ministero dell’interno con il terzo motivo sono infondate.

Ciò consente di prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità ex art. 104, comma 1, Cod. proc. amm. sollevata da F. riguardo alla deduzione in fatto del Ministero relativa all’alternativa rispetto alla procedura di gara, consistente nella possibilità di aderire alle convenzioni Consip all’epoca vigenti.

V.4. L’infondatezza del terzo motivo dell’appello principale emerge dall’istruttoria disposta da questa V Sezione presso l’Autorità nazionale anticorruzione (ordinanza collegiale 20 aprile 2017, n. 1851).

Al fine di «apprezzare la consistenza» della chance vantata da F. nel presente giudizio, la V Sezione ha chiesto all’ANAC di chiarire anzitutto se la ricorrente «sia qualificata per svolgere i servizi oggetto della convenzione» tra il Ministero e T. I. e inoltre se per essi «vi siano altri operatori di settore titolati a partecipare ad una ipotetica procedura di gara per l’affidamento degli stessi.

V.5. L’ANAC ha riscontrato (con nota del presidente dell’Autorità del 31 ottobre 2017, prot. n. 122746) l’ordine istruttorio così formulato, affermando che all’epoca dell’affidamento in contestazione nel presente giudizio gli operatori titolati a concorrere ai servizi di comunicazione affidati senza gara dal Ministero dell’interno a T. I. erano tutti quelli che avevano partecipato alla procedura di affidamento indetta nel 2010 dalla Consip per la stipula di una convenzione per la fornitura alle pubbliche amministrazioni dei servizi di telefonia e connettività IP (convenzione per i servizi di telefonia fissa e connettività IP 4). A questo specifico riguardo, l’Autorità di vigilanza del settore ha chiarito che sebbene «costruiti in maniera diversa» rispetto ai servizi di comunicazione per il Dipartimento di pubblica sicurezza e l’Arma dei carabinieri su cui si controverte nel presente giudizio, gli uni e gli altri sono pur sempre rientranti «nel novero dei servizi di informazione e di telecomunicazione». Sulla base di questa omogeneità di settore economico l’Autorità anticorruzione ha ricavato la qualificazione tecnica di F. per entrambi i servizi.

Al medesimo riguardo l’ANAC ha sottolineato che l’esistenza di un mercato privato cui rivolgersi per i servizi di comunicazione a favore del Dipartimento di pubblica sicurezza e dell’Arma dei carabinieri è riconosciuto dallo stesso Ministero dell’interno, laddove in sede di determinazione a contrarre con T. I. si è comparato l’affidamento a quest’ultima senza gara con l’alternativa dello svolgimento di una gara (in particolare al punto secondo di pag. 6 della determinazione n. 600/C.TLC.30bis.SEGR del 15 dicembre 2011).

Sulla base di questa premessa, l’Autorità richiesta di chiarimenti ha espresso il convincimento che per i servizi di comunicazione elettronica oggetto del presente giudizio è configurabile lo stesso mercato privato di riferimento con i servizi di telefonia e connettività IP: pertanto, oltre a T.I. (aggiudicataria di quella procedura, unitamente a F.) i potenziali competitori dei primi sarebbero anche F. e tutti gli altri partecipanti alla procedura indetta dalla centrale pubblica di committenza, e cioè W., B. T. I. e T. I..

Con specifico riguardo alla ricorrente nel presente giudizio, l’ANAC ha corroborato il convincimento sottolineando che F. può essere inclusa tra «i soggetti qualificati a svolgere i servizi» in contestazione nel presente giudizio, sulla base della circostanza che la stessa società era risultata aggiudicataria della precedente procedura indetta dalla Consip per l’affidamento degli stessi servizi di comunicazione e connettività IP per le pubbliche amministrazioni «peraltro, con un’offerta particolarmente competitiva avendo presentato un ribasso molto consistente».

V.6. Sul punto va ancora rilevato che l’ANAC ha incluso nell’elenco anche T., in quanto affidataria dal Ministero dell’interno, nel 2011, di altri servizi di comunicazione, come risultato dall’interrogazione della banca dati nazionale dei contratti pubblici della medesima Autorità. Tuttavia, come controdedotto da F. nei propri scritti conclusionali successivi all’incombente istruttorio in esame, si tratta di un soggetto confluito nell’odierna controinteressata T. I., a seguito di fusione, risalente al febbraio 2006) e che non può dunque essere considerato due volte ai fini della definizione del mercato degli operatori privati del settore.

V.7. Inoltre, nel rispondere ad una specifica richiesta di chiarimenti formulata dalla V Sezione nella citata ordinanza istruttoria circa le «concrete possibilità» per F. «di aggiudicarsi l’ipotetica procedura competitiva» per la cui mancata indizione la stessa chiede di essere ristorata della chance, l’ANAC ha premesso che formulare sul punto conclusioni «appare operazione particolarmente difficile». Al medesimo riguardo, l’Autorità di vigilanza del settore ha tuttavia evidenziato la posizione di «vantaggio informativo» di cui T. I. avrebbe beneficiato nei confronto con gli altri competitori, per il fatto di «essere già il gestore dei servizi per la stazione appaltante» (in virtù di convenzione con il Ministero dell’interno risalente al febbraio 2003, oltre a quella con l’Arma dei carabinieri stipulata nel dicembre 2004), salvo poi specificare che tale asimmetria informativa avrebbe potuto essere sterilizzata «in fase di predisposizione del bando».

L’ANAC ha dunque concluso che, qualora queste condizioni fossero state rispettate, F. «avrebbe avuto le stesse chance degli altri (5/6) concorrenti di aggiudicarsi la gara».

V.8. Così riassunto il contenuto dei chiarimenti forniti, nella memoria conclusionale successivamente depositata il Ministero dell’Interno ha innanzitutto chiesto un supplemento di istruttoria, al fine di verificare la possibilità di percorrere l’alternativa da esso prospettata rispetto all’affidamento mediante gara, consistente nella possibilità di aderire alle convenzioni stipulate dalla centrale di committenza pubblica, ed in particolare alla convenzione per i servizi di telefonia mobile Consip 5, di cui la stessa T. I. si è resa esclusiva aggiudicataria.

V.9. La richiesta di integrazione probatoria va tuttavia disattesa, così come va respinto il motivo d’appello per la parte ora in esame.

Se infatti, da un lato, sull’alternativa in questione la Sezione aveva inizialmente svolto un’istruttoria, mediante richiesta di chiarimenti alla Consip (ordinanza collegiale 14 dicembre 2016, n. 5266), dall’altro lato deve sottolinearsi che tale diversa soluzione non è stata dimostrata dalla parte a ciò onerata, e cioè il Ministero dell’interno, al di là di generiche deduzioni circa le caratteristiche tecniche dei servizi oggetto della convenzione con T. I. del 31 dicembre 2011.

V.10. Peraltro, in radice tale alternativa non prospettabile, nella misura in cui al fine di paralizzare la domanda risarcitoria ex adverso formulata si risolve, malgrado il divieto di venire contra factum proprium, nella prospettazione di un’alternativa provvedimentale che la stessa amministrazione non ha in allora ritenuto di percorrere.

A questo specifico riguardo, va sottolineato che nelle determinazioni prodromiche alla convenzione con T. I. del 31 dicembre 2011 si premette che in virtù dei rapporti in essere con il medesimo gestore l’amministrazione dell’interno «fruisce di una serie di servizi, altamente integrati distribuiti su tutto il territorio nazionale e profondamente integrati nell’operatività quotidiana degli uffici», che ne ha comportato una «ottimizzazione»; e si sottolinea quindi la necessità di operare la scelta «di una gestione unitaria, flessibile ed integrata per tutti i servizi di comunicazione elettronica, sia fissi che mobili», con conseguente individuazione «di un partner tecnologico unitario» (determinazione n. 600/C.TLC.30bis.SEGR del 15 dicembre 2011; di tenore analogo è la successiva determinazione integrativa n. 600/C.TLC.1634.TLC.M.1.2003.0 del 22 dicembre 2011).

Tutte queste considerazioni fungono da premessa per la deroga all’obbligo di affidamento degli stessi servizi a mezzo di gara di cui il Ministero ha ritenuto di potersi avvalere, ai sensi degli artt. 57, comma 2, lett. b), del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), - secondo cui è consentito il ricorso ad una procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara «qualora, per ragioni di natura tecnica (…) il contratto possa essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato» - e 28, par. 1, lett. e) della direttiva n. 2009/81/CE del 13 luglio 2009 (relativa al coordinamento delle procedure per l’aggiudicazione di taluni appalti di lavori, di forniture e di servizi nei settori della difesa e della sicurezza da parte delle amministrazioni aggiudicatrici/degli enti aggiudicatori), di analogo tenore alla disposizione normativa interna.

V.11. L’alternativa che il Ministero ha quindi vagliato è quella tra il ricorso all’evidenza pubblica e la deroga costituita dall’affidamento diretto senza gara, attraverso una procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando. L’ulteriore soluzione del ricorso alla convenzione Consip per servizi di contenuto omogeneo non è mai stata presa in considerazione, benché la stessa avrebbe in ipotesi consentito all’amministrazione di soddisfare per questa diversa via l’obbligo generale di selezione del contraente privato secondo i principi dell’evidenza pubblica. Emerge pertanto sotto questo profilo una contraddizione tra la scelta operata e quella, diversa, che viene invece affacciata solo nel presente contenzioso di carattere risarcitorio per opporsi alla domanda di ristoro patrimoniale azionata da F..

V.12. Peraltro, attraverso la medesima prospettazione il Ministero finisce per enucleare in via postuma un ulteriore profilo di illegittimità dei provvedimenti, prodromici alla convenzione con T. I., già giudicati illegittimi nel separato giudizio svoltosi sulla domanda di annullamento del medesimo operatore di settore (essenzialmente per la mancata dimostrazione delle «ragioni di natura tecnica» per affidare senza gara i servizi di comunicazione).

Come bene evidenzia F. negli scritti difensivi, attraverso questa deduzione il Ministero dell’Interno pretende quindi di sottoporre la domanda risarcitoria azionata nel presente giudizio alla regola della c.d. causalità alternativa ipotetica, in virtù della quale laddove si dimostri che danno lamentato si sarebbe comunque verificato per effetto di una sequenza causale diversa ed autonoma rispetto a quella concretamente verificatasi, lo stesso non sarebbe risarcibile per effetto di quest’ultima.

V.13. In contrario deve tuttavia rilevarsi che in materia di responsabilità civile, in particolare in materia di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 Cod. civ., nel cui paradigma è inquadrabile la responsabilità della pubblica amministrazione per illegittimità provvedimentale (da ultimo: Cons. Stato, IV, 1 agosto 2017, n. 3841), la c.d. teoria della causalità alternativa ipotetica ha rilievo solo in relazione agli illeciti omissivi. In relazione a questa categoria occorre infatti stabilire se l’evento dannoso non si sarebbe verificato se il preteso responsabile avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli (cfr., da ultimo: Cass., II, 19 novembre 2004, n. 21894; III, 18 luglio 2011, n. 15709).

V.14. La stessa teoria è priva del suo presupposto rispetto ad illeciti commissivi, quali appunto quelli derivanti dall’adozione di provvedimenti amministrativi illegittimi, come nel caso oggetto del presente giudizio.

Infatti, in relazione a quest’ultima categoria l’accertamento del giudice deve a stabilire se gli atti amministrativi abbiano costituito la causa del danno lamentato, e dunque se costituiscano il fatto illecito che è fonte di responsabilità ai sensi della clausola generale dell’art. 2043 del Codice civile.

La giurisprudenza amministrativa è costante nell’affermare che la domanda risarcitoria va respinta una volta accertata la legittimità dell’atto impugnato, perché diviene carente il requisito dell’ingiustizia del danno, essenziale per integrare la fattispecie di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 poc’anzi richiamato (cfr. ex multis: Cons. Stato, IV, 25 gennaio 2017, n. 293, 27 aprile 2015, n. 2109, 6 agosto 2013, n. 4150; V, 9 maggio 2017, n. 2115, 13 febbraio 2017, n. 604, 21 giugno 2016, n. 2723, 22 marzo 2016, n. 1186, 1 ottobre 2015, n. 4588, 8 giugno 2015, n. 2807, 31 dicembre 2014, n. 6450). Se ne desume, a contrario, che una volta accertata l’illegittimità dell’atto, non resta possibile per l’amministrazione sottrarsi all’addebito di responsabilità civile invocando asserite alternative provvedimentali; tanto meno quando queste possano configurare ulteriori ragioni di illegittimità del medesimo atto (come nel presente caso). Infatti, in questa ipotesi si opererebbe una scissione nel rapporto di necessaria consequenzialità tra il giudizio di legittimità sul provvedimento amministrativo oggetto della domanda di annullamento e il rimedio del risarcimento del danno «per lesione di interessi legittimi», la cui cognizione è devoluta alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo (art. 7, comma 4, Cod. proc. amm.).

V.15. Tutto ciò precisato, nel caso di specie un rapporto di causa ad effetto tra l’affidamento senza gara a T.I. e la perdita della chance di aggiudicazione dello stesso vantata da F. nell’eventuale procedura di gara, quale operatore economico del medesimo settore, appare ravvisabile sulla base del fatto che l’illegittimità del primo – ormai non più controvertibile - ha impedito all’originaria ricorrente di concorrere per lo stesso sulla base dei moduli dell’evidenza pubblica. Il profilo in questione è ormai dunque acclarato e non può ancora essere messo in discussione sulla base di diverse soluzioni, mai praticate dal Ministero dell’interno.

V.16. Ancora più chiara è la contraddizione tra le ragioni espresse dalla medesima amministrazione e l’ulteriore alternativa – sempre prospettata nel terzo motivo dell’appello principale – consistente nel frazionamento dei servizi di comunicazione elettronica per il Dipartimento di pubblica sicurezza e l’Arma dei carabinieri tra le varie convenzioni Consip in allora vigenti.

Come si è rilevato in precedenza, le determinazioni prodromiche alla stipula della convenzione con T. I. si diffondono sull’esigenza di contrarre con un partner tecnologico unitario; ed anzi tali considerazioni sono alla base della scelta di affidare i servizi di comunicazione senza gara, cosicché è palese l’insostenibilità di questa ulteriore alternativa provvedimentale.

V.17. Ad ulteriore confutazione dei chiarimenti resi dall’ANAC, il Ministero dell’interno ha inoltre ribadito (in memoria di replica) che F. non è un operatore qualificato per svolgere i servizi di comunicazione per il Dipartimento di pubblica sicurezza e l’Arma dei carabinieri affidati senza gara a T. I., tale capacità non potendosi desumere dall’essersi tale società resa aggiudicataria della convenzione Consip 4 per la telefonia fissa ed i servizi di connettività per le pubbliche amministrazioni. In contrario l’appellante principale evidenzia che la componente preponderante della convenzione con T. I. riguarda la telefonia mobile e che per lo stesso servizio a favore delle altre pubbliche amministrazioni la stessa controinteressata si è aggiudicata tanto la convenzione per i servizi di telefonia mobile - Consip 5 (come riferito dalla stessa centrale nazionale di committenza pubblica in riscontro alla richiesta di chiarimenti di cui alla citata ordinanza della Sezione 14 dicembre 2016, n. 5266), quanto la successiva convenzione Consip 6 avente ad oggetto i medesimi servizi.

V.18. Sennonché in contrario va evidenziato che il Ministero avrebbe dovuto dedurre e provare, quale circostanza impeditiva del diritto risarcimento ex adverso azionato, ai sensi dell’art. 2697, secondo comma, Cod. civ., che a tali procedure di affidamento F. ha partecipato per esserne poi esclusa per carenza di requisiti di qualificazione. Del pari, il Ministero non ha contestato che l’originaria ricorrente è titolare dal 2006 delle convenzioni Consip per l’erogazione dei servizi di fonia e dati e per la progettazione e manutenzione delle relative infrastrutture, come dalla stessa dedotto sin dall’atto introduttivo nel giudizio di primo grado.

V.19. Al di là di tale mancata attività assertiva resta poi intrinsecamente persuasivo il chiarimento dell’ANAC imperniato sull’omogeneità del settore economico cui sono riconducibili entrambi i servizi di telefonia (fissa e mobile), come si evince dall’ampia definizione di servizio di comunicazione elettronica contenuta nel codice di settore: «trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica, compresi i servizi di telecomunicazioni…» [decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259; art. 1, comma 1, lett. gg)].

Chiarito quindi tale profilo, come accertato dalla sentenza appellata resta incontroverso che in tale settore F. è primario operatore e che in ragione di ciò lo stesso avrebbe potuto partecipare ad un eventuale affidamento mediante gara dei servizi di comunicazione a favore del Dipartimento di pubblica sicurezza e dell’Arma dei carabinieri.

V.20. Alla luce delle considerazioni svolte vanno disattese anche le ulteriori deduzioni formulate dal Ministero dell’interno nel proprio atto d’appello, ma non ulteriormente specificate, volte a sostenere che la tecnologia impiegata da F. per la fornitura dei propri servizi di comunicazione non sarebbe adeguata alle esigenze delle strutture amministrative per le quali è stata stipulata con T. I. la convenzione in data 31 dicembre 2011.

In ordine a tale profilo si deve prendere atto dell’assenza di una prova di incapacità tecnica dell’originaria ricorrente, che il Ministero avrebbe in ipotesi potuto acquisire in sede amministrativa, attraverso un’apposita indagine di mercato preventiva, come statuito dalla III Sezione di questo Consiglio di Stato, nella più volte citata sentenza 8 gennaio 2013, n. 26, con cui l’illegittimità dell’affidamento senza gara è stata definitivamente accertata.

Del pari, la pretesa impossibilità di F. di partecipare in forma individuale alla procedura di gara non svolta per l’affidamento i servizi oggetto di convenzione con T. I. è solo prospettata e non dimostrata dal Ministero.

V.21. La memoria di replica quest’ultimo ha invece confutato i chiarimenti resi dall’ANAC laddove l’Autorità di settore ha negato che le chance di F. di aggiudicazione dei servizi affidati senza gara sarebbero inferiori a quelle della controinteressata.

Sul punto, dopo avere ricordato che tali servizi sono relativi ai settori della difesa e della sicurezza, di cui alla citata direttiva 2009/81/CE del 13 luglio 2009, «ambito in cui da sempre la T. S.p.a. svolge un ruolo di carattere fondamentale», il Ministero dell’interno ha sottolineato che con decreto in data 16 ottobre 2017 il Presidente del Consiglio dei ministri ha in ragione di ciò attivato i poteri speciali sugli assetti societari di T. s.p.a., ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21 (Norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni), convertito dalla legge 11 maggio 2012, n. 56.

V.22. Tuttavia, in contrario a quanto assume l’amministrazione resistente, la circostanza risultante dal decreto in questione che T. svolge in via diretta o indiretta attività di interesse strategico per il sistema di difesa e sicurezza nazionale non equivale a negare a F. la possibilità di concorrere su un piano di parità con T.I. all’affidamento dei servizi di comunicazione di cui alla convenzione stipulata tra quest’ultima e il Ministero odierno appellante principale. Il decreto con cui sono stati attivati i poteri speciali è anche conseguenza dell’illegittimo affidamento oggetto del presente giudizio, per cui non possono da ciò ritenersi non configurabili le chance di F. di rendersi aggiudicataria dei servizi in questione all’esito di una regolare procedura di affidamento ad evidenza pubblica.

V.23. I chiarimenti resi dall’ANAC hanno per contro consentito di accertare un profilo di parziale fondatezza del terzo motivo dell’appello principale, consistente nel fatto che F. non è l’unico altro operatore del settore economico in cui si inseriscono i servizi oggetto della medesima convenzione oltre a T.I., ma che in esso vi sono altri potenziali operatori, in numero di tre (e precisamente W., B. T. e T. I.).

La circostanza non è stata contestata dall’originaria ricorrente dopo l’incombente istruttorio e risulta ulteriormente suffragata sulla base di una recente pronuncia di questa V Sezione relativa ad una procedura di affidamento avente ad oggetto servizi analoghi a quello oggetto del presente giudizio (in particolare: sentenza 29 novembre 2017, n. 5613, sulla fornitura mediante accordo-quadro con Consip dei servizi di connettività nell’ambito del servizio pubblico di connettività di cui al Codice dell’amministratore digitale, da cui risulta che ad essa hanno partecipato, oltre a T. I. e F., altri operatori, tra cui ancora una volta W., B. T. e T. I.).

VI – La risarcibilità della chance. Deferimento della questione all’Adunanza plenaria.

VI.1. Accertata dunque la consistenza della chance di aggiudicazione mediante gara vantata da F. nella misura del 20%, derivante dall’esistenza di cinque operatori qualificati nel mercato dei servizi di comunicazione elettroniche per le pubbliche amministrazione, va ora esaminata l’ulteriore questione, oggetto del secondo motivo dell’appello principale, relativa all’astratta risarcibilità di tale posizione giuridica.

VI.2. Sul punto la Sezione registra un contrasto di giurisprudenza che impone ai sensi dell’art. 99, comma 1, Cod. proc. amm. il deferimento all’Adunanza plenaria.

VI.3. In senso contrario all’accoglimento della domanda risarcitoria proposta nel presente giudizio si registrano alcune pronunce di questo Consiglio di Stato in cui il risarcimento della chance è condizionato dalla prova di un rilevante grado di probabilità di conseguire il bene della vita negato dall’amministrazione per effetto di atti illegittimi.

Tra le numerose si segnalano:

- Cons. Stato, IV, 20 luglio 2017, n. 3757, resa in una fattispecie in cui un ufficiale di un’amministrazione militare vistosi illegittimamente sopravanzato in una procedura di avanzamento aveva chiesto il ristoro degli emolumenti che avrebbe potuto percepire per incarichi connessi al superiore grado negatogli, tuttavia non ritenuti probabili e pertanto non ristorati;

- Cons. Stato, VI, 5 marzo 2015, n. 1099, in un caso analogo, in cui era rivendicato il danno da ritardata assunzione ad un impiego pubblico e in cui si era tra l’altro dedotta per effetto di ciò la perdita di incarichi remunerati;

- Cons. Stato, V, 25 febbraio 2016, n. 762, relativa ad un concorso ad un pubblico impiego non preceduto da pubblicità sulla Gazzetta ufficiale, in cui è stato negato il risarcimento a causa dell’impossibilità di dimostrare l’esito della selezione a sé favorevole, laddove sostenuta;

- Cons. Stato, V, 22 settembre 2015, n. 4431, concernente una domanda di risarcimento dei danni da mancata aggiudicazione di un’impresa illegittimamente esclusa da una procedura di affidamento e autrice del maggior ribasso percentuale oltre la soglia di anomalia automaticamente determinata, in relazione alla quale si è affermato che residuava il potere discrezionale della stazione appaltante di valutare le giustificazioni dalla stessa fornite circa il ribasso offerto;

- Cons. Stato, V, 7 giugno 2017, n. 2740, che del pari ha negato il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione ad un’impresa concorrente ad una procedura di affidamento da essa illegittimamente esclusa, a causa dell’assenza di prova in ordine alla probabilità di ottenere tale aggiudicazione.

VI.3. Maggiormente pertinente al caso di specie è la sentenza di questo Consiglio di Stato, III, 9 febbraio 2016, n. 559, che ha negato il risarcimento della chance di aggiudicazione ad un operatore economico che aveva impugnato un affidamento senza gara ai sensi dell’art. 57, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006.

La fattispecie decisa in quest’ultima pronuncia appare pertinente al caso oggetto del presente giudizio.

A questo riguardo, dopo avere ricordato che in linea generale il risarcimento della chance di aggiudicazione presuppone che l’impresa vistasi illegittimamente privata di questo bene riesca a dimostrare «che la sua offerta sarebbe stata selezionata come la migliore e che, quindi, l’appalto sarebbe stato ad essa aggiudicato, con un elevato grado di probabilità», detta sentenza ha nello specifico statuito che in caso di affidamento diretto di un appalto senza gara la tutela conseguibile per l’operatore del settore è quella in forma specifica consistente nella reintegrazione di tale chance per effetto della pronuncia di annullamento degli atti impugnati e nel conseguente «effetto conformativo che impone all’Amministrazione di bandire una procedura aperta per l’affidamento dell’appalto». Nella diversa ipotesi in cui ciò non sia possibile, il ristoro per equivalente della chance di aggiudicazione resta precluso «dall’assorbente rilievo che l’impresa asseritamente danneggiata non può certo dimostrare, per il solo fatto di operare nel settore dell’appalto illegittimamente sottratto al mercato, di aver perduto, quale diretta conseguenza dell’invalida assegnazione del contratto ad altra impresa, una occasione concreta di aggiudicarsi quell’appalto o, in altri, termini che, se l’Amministrazione lo avesse messo a gara, se lo sarebbe con elevata probabilità) aggiudicato».

VI.4. Nella medesima linea si colloca un precedente di questa V Sezione, costituito dalla sentenza 1° ottobre 2015, n. 4592.

Anche nella fattispecie decisa in quest’ultima pronuncia un’impresa aveva chiesto il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata indizione di una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento di un contratto, alla quale la stessa avrebbe potuto concorrere quale operatore del settore economico. Quindi, nell’escludere qualsiasi ristoro, la sentenza ha attribuito rilevanza decisiva alla circostanza che non era stata fornita la prova di una probabilità di aggiudicazione «almeno pari al 50 per cento», in un mercato contraddistinto dalla presenza di almeno tre potenziali competitori.

Sul punto si è evidenziato che in caso di chance correlata ad una probabilità inferiore «diventerebbero risarcibili anche mere possibilità di successo, statisticamente non significative».

VI.5. Per contro, altre decisioni di questo Consiglio di Stato hanno riconosciuto in circostanze analoghe, di mancata indizione della gara, il risarcimento della chance vantata dall’impresa del settore. Ciò sulla base del rilievo che in caso di mancato rispetto degli obblighi di evidenza pubblica (o di pubblicità e trasparenza) non è possibile formulare una prognosi sull’esito di una procedura comparativa in effetti mai svolta e che tale impossibilità non può ridondare in danno del soggetto leso dall’altrui illegittimità, per cui la chance di cui lo stesso soggetto è portatore deve essere ristoratanella sua obiettiva consistenza, a prescindere dalla verifica probabilistica in ordine all’ipotetico esito della gara.

Si collocano in questo indirizzo le seguenti sentenze:

- Cons. Stato, V, 2 novembre 2011, n. 5837, in cui si è affermato che la chance si sostanzia «nella mancata possibilità per la ricorrente di partecipare ad una gara per l’affidamento della commessa in questione»;

- Cons. Stato, V, 8 aprile 2014, n. 1672, relativa ad un caso di mancata apertura delle buste in seduta pubblica, e che ha qualificato chance non come «perdita di un risultato utile sicuro» ma come «il semplice venire meno di un’apprezzabile possibilità di conseguirlo, in particolare per essere stato l’interessato privato della stessa possibilità concreta di aggiudicarsi un appalto»;

- Cons. Stato, V, 1° agosto 2016, n. 3450, che ha affermato che «la dimostrazione della rilevante probabilità di aggiudicazione non è concretamente esigibile in caso di selezione comparativa non svolta», ed ha pertanto confermato il risarcimento già riconosciuto in primo grado, sulla base della teoria della «c.d. chance ontologica», consistente nell’aspettativa giuridica «già presente nel patrimonio dell’impresa danneggiata», correlata al «rispetto degli obblighi di evidenza pubblica e/o concorsualità imposti dalla legislazione in materia di contratti pubblici».

VI.6. Il contrasto di giurisprudenza si pone dunque tra pronunce aderenti alla teoria della chance ontologica e quelle che invece optano per la chance eziologica.

Come evidenzia il Ministero dell’interno, la discriminante tra le due opposte configurazioni si incentra sul rilievo da attribuire alle possibilità di conseguire il bene della vita illegittimamente privato dall’amministrazione ed in particolare sul grado di probabilità statistica: quale fattore incidente sulla sola quantificazione del danno risarcibile nel primo caso e sull’an stesso del risarcimento nel secondo.

In altri termini, nell’ambito della dicotomia dei danni risarcibili ex art. 1223 Cod. civ., la teoria della chance ontologica configura tale posizione giuridica come un danno emergente, ovvero come bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato, la cui lesione determina una perdita suscettibile di autonoma valutazione sul piano risarcitorio.

La teoria eziologica intende invece la lesione della chance come violazione di un diritto non ancora acquisito nel patrimonio del soggetto, ma potenzialmente raggiungibile, con elevato grado di probabilità, statisticamente pari almeno al 50%. Si tratta dunque di un lucro cessante.

VI.7. Applicate tali coordinate al caso di specie, l’accoglimento di quest’ultima teoria comporterebbe il rigetto della domanda risarcitoria proposta nel presente giudizio da F.. Per contro, l’adesione alla prima non esclude il ristoro per equivalente in questione.

Per queste ragioni va dunque disposto il deferimento in sede nomofilattica ai sensi del sopra citato art. 99, comma 1, Cod. proc. amm., cosicché restano riservate le ulteriori questioni sollevate dal Ministero dell’interno con il quarto motivo dell’appello principale e le contrapposte censure nei confronti della sentenza di primo grado dedotte da F. mediante appello incidentale.

VI.8. Peraltro, allo scopo di esporre all’Adunanza plenaria un quadro esauriente della questione ad che viene deferita, pare da sottolineare che gli scritti difensivi F. mettono in evidenza i rischi che l’accoglimento della nozione di chance in termini eziologici potrebbe rendere non effettivo il risarcimento e dunque sarebbe soluzione non conforme ai principi eurounitari in materia.

A questo specifico riguardo, l’originaria ricorrente sottolinea che in un mercato caratterizzato dalla presenza di più di due operatori l’amministrazione potrebbe sottrarsi all’obbligo di affidare contratti mediante procedure ad evidenza pubblica semplicemente pubblicando un avviso volontario per la trasparenza preventiva, e così sottrarsi ai possibili obblighi risarcitori consequenziali.

Dall’altro lato va invece rappresentato il rischio che venga snaturata la tipica funzione reintegratrice del rimedio del risarcimento del danno – che il sopra citato art. 124, comma 1, secondo periodo, Cod. proc. amm. sembra avere fatto propria, attraverso il richiamo al danno «subito e provato» - e siano riconosciuti danni non correlati ad una effettiva lesione della sfera giuridica soggettiva, ovvero danni di carattere punitivo (la cui compatibilità con l’ordinamento giuridico italiano è stata peraltro sancita di recente dalla Cassazione, SS.UU., sentenza 5 luglio 2017, n. 16601).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), non definitivamente pronunciando sugli appelli principale e incidentale, come in epigrafe proposti, così provvede:

- respinge in parte l’appello principale, nei termini indicati in motivazione;

- deferisce ex art. 99, comma 1, Cod. proc. amm. all’Adunanza plenaria la questione parimenti indicata in motivazione;

- riserva ogni decisione, anche in ordine alle spese, alla sentenza definitiva.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia de qua il Consiglio di Stato è intervenuto su una delle questioni più dibattute in tema di responsabilità della P.A., ossia quella concernente il risarcimento dei danni da perdita di chance in caso di affidamento diretto di un contratto pubblico.

Prima di procedere all’analisi degli orientamenti che dominano il dialogo giurisprudenziale sul punto, occorre in prima battuta ricostruire le tappe del percorso argomentativo seguito dai giudici di Palazzo Spada, che hanno portato, in ultima analisi, ad un deferimento della questione all’Adunanza Plenaria.

Innanzitutto, il Supremo consesso della Giustizia Amministrativa ha affermato che, al fine di riconoscere il risarcimento dei danni derivanti da perdita di chance occorre procedere all’accertamento dei seguenti requisiti.

In primis, va accertato il nesso eziologico tra la condotta (affidamento diretto) e l’evento (perdita della chance) sulla base della teoria della causalità alternativa ipotetica. Con la conseguenza che, laddove si dimostri che il danno lamentato si sarebbe comunque verificato per effetto di una sequenza causale diversa ed autonoma rispetto a quella verificatasi in concreto, il danno non sarà risarcibile per effetto di quest’ultima.

In secundis, va accertata l’illegittimità dell’atto impugnato della P.A., da cui deriva un danno ingiusto, cioè sine iure e contra ius, necessario per integrare la fattispecie di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c..

La partita, tuttavia, non finisce al termine dei suddetti accertamenti.

Infatti, ulteriore problematica che va risolta concerne proprio l’an e il quantum del risarcimento connesso alla succitata astratta posizione giuridica (la chance appunto), alla luce di due orientamenti giurisprudenziali antitetici a riguardo.

A parere di un primo orientamento (C.d.S., sez. III, 9 febbraio 2016, n. 559; C.d.S., sez. V, 1 ottobre 2015, n. 4592) il risarcimento della chance, a fronte della mancata indizione di una gara, è condizionato dalla prova di un rilevante grado di probabilità di conseguire il bene della vita negato dall’amministrazione per effetto di atti illegittimi. In tal caso, dunque, fermo restando la risarcibilità, il grado della chance inciderà sulla quantificazione dei danni.

Un secondo orientamento (C.d.S., sez. V, 1 agosto 2016, n. 3450; C.d.S., sez. V, 8 aprile 2014, n. 1672, C.d.S., sez. V, 2 novembre 2011, n. 5837) ritiene, invece, che in caso di mancata indizione della gara (e pertanto in caso di mancato rispetto degli obblighi di pubblicità e trasparenza), non è possibile formulare una prognosi sull’esito di una procedura di evidenza pubblica mai svolta, per cui la chance deve essere ristorata nella sua obiettiva consistenza, a prescindere dalla verifica probabilistica in ordine all’ipotetico esito della gara.

In altri termini “nell’ambito della dicotomia dei danni risarcibili ex art. 1223 c.c., la teoria della chance ontologica configura tale posizione giuridica come un danno emergente, ovvero come bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato, la cui lesione determina una perdita suscettibile di autonoma valutazione sul piano risarcitorio. La teoria eziologica intende, invece, la lesione della chance come violazione di un diritto non ancora acquisito nel patrimonio del soggetto, ma potenzialmente raggiungibile, con elevato grado di probabilità, statisticamente pari almeno al 50%. Si tratta dunque di un lucro cessante”.

Di conseguenza, alla luce della portata pratica di tale dibattito, si è ritenuto di dover rimettere la questione all’Adunanza Plenaria (ex art. 99 c.p.a.) a cui spetta la parola finale sul tema.

I Giudici di Palazzo Spada, nell’effettuare tale rinvio evidenziano in particolare due rischi derivanti dall’adesione all’una o all’altra tesi: da un lato, che l’accoglimento della nozione di chance in termini eziologici potrebbe rendere non effettivo il risarcimento e dunque sarebbe soluzione non conforme ai principi eurounitari in materia; dall’altro, che venga snaturata la tipica funzione reintegratrice del rimedio del risarcimento del danno e siano riconosciuti danni non collegati ad un’effettiva lesione della sfera giuridica soggettiva, ovvero danni di carattere punitivo (la cui compatibilità con l’ordinamento giuridico italiano è stata peraltro sancita di recente dalla Cassazione, SS.UU., sentenza 5 luglio 2017, n. 16601).