TAR Calabria, sez. I. sentenza n. 830/2017

Una recente pronuncia del TAR Calabria (sez. I, n. 830/2017, 22 maggio 2017) mette in luce un vuoto normativo, ravvisabile all’interno del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016), e relativo alla disciplina del diritto di accesso in relazione agli appalti secretati[1].


[1] Vedi art. 162, D.Lgs. n. 50/2016.

 

Prima di focalizzare l’attenzione sulla questione specifica concernente gli appalti secretati, pare opportuno tratteggiare sinteticamente un quadro della disciplina del diritto di accesso nell’ambito materiale in cui trova applicazione il Codice dei contratti pubblici. Quest’ultimo, infatti, contiene una disciplina dedicata all’accesso che presenta alcuni elementi distintivi rispetto alla disciplina generale ricavabile dalla legge n. 241 del 1990, i quali sono volti a soddisfare certe esigenze tipiche del settore degli appalti. Ovviamente, la disciplina generale di cui alla legge sul procedimento amministrativo non è affatto estranea al settore degli appalti, anzi, tutt’altro: costituisce la disciplina generalmente applicabile anche in questo settore, salvo quanto espressamente previsto nel Codice degli appalti[1]. Quest’ultimo prevede, fatta salva la disciplina prevista dal codice stesso per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, il differimento del diritto di accesso in alcuni casi e la sua esclusione in altri[2]. Quindi, in estrema sintesi, sembrerebbe di poter dire che la disciplina sul diritto di accesso del Codice dei contratti pubblici costituisca lex specialis rispetto alla disciplina del diritto di accesso recata dalla legge sul procedimento amministrativo, e che la disciplina sul diritto di accesso per gli appalti secretati o la cui esecuzione richieda speciali misure di sicurezza – che dovrebbe (si spiegherà a breve perché si usa il condizionale!) essere sempre contenuta nel Codice dei contratti pubblici - costituisca lex specialis rispetto alla disciplina, che si potrebbe in questa sede definire “generale”, del diritto di accesso contenuta nel Codice. La disciplina generale della legge sul procedimento ha un valore complementare e integrativo: essa si applica con riferimento a tutti quegli aspetti sui quali il Codice nulla dispone[3].

La ragione per la quale si è usato il condizionale è presto detta ed è suggerita dalla pronuncia del TAR Calabria n. 830/2017 da cui prende spunto questo breve scritto: “La previsione dei commi 2 e 5 , che fanno salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, indurrebbe a pensare che il codice contenga previsioni specifiche per tali categorie di appalti. Invece, né l’art. 162, né altri articoli del codice contengono previsioni di rilievo sul punto”[4].

La conseguenza di quella che pare essere una vera e propria dimenticanza del legislatore viene tratta dal TAR Calabria in questi termini:

“Spetta dunque all’interprete il compito di stabilire se e come possa essere esercitato il diritto d’accesso per gli appalti secretati. Per fare ciò, occorre svolgere un’opera di bilanciamento tra l’interesse alla non divulgazione di notizie sensibili e il diritto di difesa, garantito dall’art. 24 Cost., al cui esercizio l’accesso è finalizzato […] L’opera di bilanciamento degli interessi non può essere svolta in via generale astratta, ma va centrata sulla specifica vicenda storica all’attenzione dell’interprete”. Quindi, il giudice prefigura un bilanciamento operato case-by-case.

Fortunatamente,  data la lacunosità della normativa del Codice, interviene in soccorso la legge sul procedimento amministrativo, che all’art. 24, comma 5 prevede che

“i documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione. A tal fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso”.

Il comma 1 dell’art. 24 l. n. 241/1990, appena richiamato, contempla l’esclusione del diritto di accesso in alcune ipotesi, tra cui quella dei documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge n. 801 del 1977 (si segnala che ora si deve far riferimento alla legge n. 124 del 2007), e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6, art. 24 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2, art. 24. Infatti, non si deve dimenticare, come già detto in questo scritto, che la disciplina del diritto di accesso ricavabile dalla legge sul procedimento rappresenta comunque la disciplina generale applicabile anche nel settore degli appalti[5].

Sebbene alla lacuna del Codice ponga in qualche modo riparo la disciplina generale della legge sul procedimento, non si può non segnalare che le affermazioni del TAR relative al bilanciamento “dell’interprete” in assenza di una disciplina legislativa specifica pongono, in linea generale (quindi anche al di là del caso di specie) un tema molto delicato, ovvero quello del rischio che il giudice si sostituisca al legislatore nell’effettuazione di scelte e valutazioni che competono al secondo. A tal proposito, occorre ricordare che il bilanciamento è una tecnica decisoria, piuttosto che un canone interpretativo, e ad esso si ricollega, spesso, un’ampia sfera di discrezionalità.

Vero è che alcuni punti di riferimento sono dati dalla giurisprudenza costituzionale. Ad esempio, in tema di diritto alla tutela giurisdizionale (al quale il diritto di accesso è intimamente connesso), si può ricordare la sent. n. 18 del 1982 , in cui La Corte annovera il diritto alla tutela giurisdizionale “tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio”. Precisa, però, anche che “il diritto alla tutela giurisdizionale si colloca al dichiarato livello di principio supremo solo nel suo nucleo più ristretto ed essenziale”; “tale qualifica non può certo estendersi ai vari istituti in cui esso concretamente si estrinseca e secondo le mutevoli esigenze storicamente si atteggia, pur se taluni di questi istituti siano garantiti da precetti costituzionali”. Inoltre, recentemente, nell’importante sentenza relativa al caso Ilva, n. 85 del 2013, la Corte costituzionale ha affermato che il bilanciamento tra gli stessi diritti fondamentali non si basa su una rigida gerarchia predeterminata tra gli stessi, in quanto non esiste un valore “tiranno”, che può reclamare un’assoluta prevalenza sugli altri.

Queste importanti affermazioni fanno comprendere come sia delicata, discrezionale e quindi imprevedibile l’opera di bilanciamento concernente interessi che trovano un fondamento costituzionale. La linea propugnata dal TAR Calabria sembra costituire talvolta una necessità, una extrema ratio, a fronte delle lacune del legislatore, ma non si deve dimenticare che può sempre presentare insidie per la legittimazione del giudice.


[1] Vedi art. 53, co. 1, D.Lgs. n. 50/2016.

[2] Vedi rispettivamente art. 53, co. 2 e 5, D.Lgs. n. 50/2016.

[3] Sul carattere complementare e integrativo della disciplina della legge sul procedimento, vedi anche V. Gastaldo, Il diritto di accesso nel settore degli appalti pubblici e gli obblighi di trasparenza delle stazioni appaltanti, in Urbanistica e appalti, 10/2014, 1006, che però svolge le sue considerazioni in relazione al Codice previgente.

[4] TAR Calabria, sez. I, n. 830/2017.

[5] Ribadisce l’applicabilità dell’art. 24, comma 5 l. n. 241/1990 alle procedure ad evidenza pubblica anche il TAR Calabria con la pronuncia in esame, che rileva che il segreto può precludere l’accesso “solo nei limiti in cui sia necessario per garantire l’interesse a tutela del quale esso è posto”.