Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2017, n. 4192
L’operatore economico deve fornire alla stazione appaltante tutte le informazioni utili ai fini delle valutazioni di sua esclusiva competenza, circa la verifica dell’affidabilità ed integrità della stessa società concorrente. Non è quindi configurabile in capo all’impresa alcuna scelta sui fatti da dichiarare, sussitendo l’obbligo della omnicomprensività della dichiarazione.
Il contraddittorio in ipotesi di esclusione dall’appalto, anche ai fini delle misure di self cleaning, è doveroso per la stazione appaltante solo nei confronti del concorrente che si è dimostrato leale e trasparente nei confronti della stessa, fornendo tutte le informazioni necessarie per dimostrare l’attuale insussistenza di rischi sulla sua inaffidabilità o mancata integrità nello svolgimento della sua attività professionale.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2370 del 2017, proposto da:
Steris S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Alessandra Sandulli, Giorgia Romitelli, Alessandro Boso Caretta, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessandro Boso Caretta in Roma, via dei Due Macelli, n. 66;
contro
Azienda Ulss 3 Serenissima, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Alfredo Bianchini, Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14;
nei confronti di
Adapta S.p.A., Hc - Hospital Consulting S.r.l. non costituiti in giudizio;
Servizi Ospedalieri S.p.A. in proprio ed in qualità di capogruppo della costituenda A.T.I. con Servizi Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Gaetano Di Giacomo, Enza Maria Accarino, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Cicerone n. 49;
So.Ge.Si. S.p.A., in proprio ed in qualità di capogruppo della costituenda A.T.I. con Plurima S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Zanetti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
Steritalia S.p.A., in proprio ed in qualità di capogruppo della costituenda A.T.I. Zanardo Servizi Logistici S.p.A., persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Filippo Martinez, Davide Moscuzza, con domicilio eletto presso lo studio Martinez &Partners in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 21;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. per il Veneto, Sezione Terza n. 171 del 2017, resa tra le parti, concernente l'annullamento del provvedimento di esclusione dalla gara di appalto per l'affidamento del servizio di sterilizzazione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda Ulss 3 Serenissima e di Servizi Ospedalieri S.p.a. in proprio e nella qualità di capogruppo del R.T.I. con le società So.Ge.Si. S.p.a. e Steritalia Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2017 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati Giorgia Romitelli, Maria Alessandra Sandulli, Alfredo Bianchini, Gabriele Pafundi, Davide Moscuzza, Orlando Sivieri su delega di Enza Maria Accarino e di Gaetano Di Giacomo e Luca Mazzeo su delega di Andrea Zanetti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - La ULSS n. 3 Serenissima ha indetto la gara per l’affidamento del servizio di sterilizzazione, e gli ulteriori servizi indicati nel CSA, da svolgersi presso la Centrale dell’Ospedale di Mestre, per un importo a base d’asta di € 10.000.000,00 e la durata di tre anni.
2. - Con il ricorso proposto ex art. 120, comma 2 bis c.p.a., la società Steris S.p.A. ha impugnato la decisione della stazione appaltante di ammettere al prosieguo della gara i concorrenti che avevano partecipato in raggruppamento di tipo verticale, nonché la decisione che aveva “sospeso” il giudizio di ammissione della ricorrente stessa, per la mancata indicazione della “terna di subappaltatori” in relazione al servizio di “Logistica”;
3. - Con ricorso incidentale, Servizi Ospedalieri S.p.A. ha gravato la lex specialis di gara - qualora fosse interpretata nel senso di precludere la partecipazione ai raggruppamenti di tipo verticale, e sempre che fosse in tale modo qualificato il proprio costituendo raggruppamento con la società Servizi Italia -, rilevando l’illegittimità della preclusione.
4. - A sua volta, SO.GE.SI. S.p.A. ha proposto ricorso incidentale per ottenere l'esclusione della ricorrente principale Steris S.p.A. dalla gara, deducendo che tale società, sotto la precedente denominazione di Bioster, sarebbe stata condannata dal Tribunale Penale di Pescara, con sentenza n. 1903, depositata il 30 novembre 2015, ai sensi dell'art. 5 del D. Lgs. n. 231/2000, al divieto di contrattare per un anno con la pubblica amministrazione, perché, avendo omesso di adottare e attuare modelli di gestione ed organizzazione idonei a prevenire la commissione dei reati di truffa nell'esercizio dell'attività di sterilizzazione di presidi medico chirurgici, non avrebbe impedito l'esecuzione dei reati di truffa continuata ai danni di Aziende sanitarie ad opera del legale rappresentante ed amministratore unico della società e degli altri soggetti, con funzioni di direzione e gestione dei diversi settori della società.
5. - Nella seduta del 21.12.2016, l'Autorità di gara ha poi confermato l'ammissione alla procedura del costituendo A.T.I. tra Servizi Ospedalieri S.p.A. e Servizi Italia S.p.A., oltre che degli altri raggruppamenti partecipanti, escludendo la loro natura verticale; ha, invece, escluso Steris S.p.A. dalla gara.
5.1 - Tali determinazioni sono state confermate dal Direttore Generale dell'ULSS con la deliberazione n. 3174/16. L'esclusione è stata segnalata all'ANAC.
5.2 - Tali determinazioni sono state impugnata da Steris con motivi aggiunti.
6. - Con la sentenza di primo grado il TAR ha respinto l’impugnazione proposta avverso il proprio provvedimento di esclusione; ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, la contestazione dei provvedimenti di ammissione delle altre società concorrenti, ed ha dichiarato improcedibili i ricorsi incidentali, condannando la ricorrente principale al pagamento delle spese di lite liquidate in € 3.000,00 – oltre accessori - per ciascuna delle parti costituite.
7. – Avverso tale decisione la società Steris ha proposto appello, chiedendone l’integrale riforma.
Si sono costituiti nel giudizio di secondo grado l’Azienda ULSS n. 3 Serenissima e le società controinteressate che hanno chiesto il rigetto dell’impugnativa. La società Servizi Ospedalieri ha riproposto con memoria, ex art. 101, comma 2, c.p.a., le censure dedotte con il ricorso incidentale sulle quali il primo giudice non si è pronunciato.
Le parti hanno depositato scritti difensivi a sostegno delle proprie tesi.
8. - All’udienza pubblica del 27 giugno 2017 l’appello è stato trattenuto in decisione.
9. - L’appello è infondato e va, dunque, respinto.
10. - Con il primo motivo di impugnazione l’appellante censura il capo di sentenza che ha respinto l’impugnazione proposta avverso il suo provvedimento di esclusione dalla gara.
E’ opportuno riportare il contenuto di tale provvedimento (deliberazione del Direttore Generale n. 3174 del 22 dicembre 2016, motivato - per relationem – con riferimento al verbale della Commissione di gara n. 2 del 21/12/2016).
In tale verbale la Commissione, nel disporre l’esclusione della società Steris dalla gara, ha rilevato che:
- la ditta ha omesso di dichiarare un precedente penale dal quale risulta la commissione di gravi illeciti professionali: ha, infatti, dichiarato “di non aver commesso gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”;
- dalla sentenza non definitiva del Tribunale Penale di Pescara n. 1903 del 30 novembre 2015, resa nota a seguito del ricorso incidentale proposto dalla società Sogesi, emerge una frode nell’esecuzione dei contratti conclusi con numerose Aziende sanitarie;
- la sua dichiarazione, da un lato non appare veritiera, e dall’altro risulta comunque incompleta, perché non fornisce un quadro esauriente della sua situazione in relazione agli accertamenti di cui all’art. 80 del D.Lgs. 50/2016;
- tale sentenza, relativa a reati di una certa gravità, costituisce un mezzo indiretto, e tuttavia adeguato, come richiede l’art. 80, comma 5, lett. c) del D.Lgs. 50/2016, di prova di gravi illeciti professionali;
- l’omessa e/o incompleta dichiarazione di tale precedente penale, ha impedito all’Amministrazione di compiere ed esprimere ogni necessaria considerazione sull’affidabilità della ditta;
- “in effetti, la cognizione di comportamenti fraudolenti nei confronti di numerose Aziende Sanitarie non consente di fare affidamento su tale ditta”
11. - Nel respingere le censure proposte avverso tale atto, il primo giudice ha ritenuto:
- inconferenti le argomentazioni svolte sulla risalenza nel tempo dei fatti sanzionati nella sentenza, poichè l’esclusione non sarebbe derivata dalla sentenza, ma dalla omessa dichiarazione della sua esistenza, non consentendo all’Azienda sanitaria di verificare la gravità dei fatti e valutare in maniera consapevole l'ammissione della concorrente, avendo un quadro completo e trasparente della situazione;
- l’art. 80, comma 5, del D.Lgs. 50/16 rimette alla stazione appaltante, e non alle concorrenti, la verifica sull'affidabilità e dell'integrità delle partecipanti;
- la sentenza, depositata il 30 novembre 2015, si riferisce ad una condanna per truffa continuata ai danni dello Stato, sanzionando oltre all'amministratore unico e ai dirigenti apicali, anche la stessa società, con l'applicazione della sanzione interdittiva del divieto di contrarre per un anno con la pubblica amministrazione;
- tale condanna avrebbe dovuto essere dichiarata consentendo alla stazione appaltante di valutarla, atteso che riguardava proprio l'attività professionale svolta dalla società;
- per le clausole di esclusione di cui alla lettera c), comma 5, dell'art. 50 del D.Lgs. n. 50/2016, vige la regola secondo la quale la gravità dell'evento è ponderata dalla stazione appaltante, sicché l'operatore economico è tenuto a dichiarare situazioni ed eventi potenzialmente rilevanti ai fini del possesso dei requisiti di ordine generale di partecipazione alle procedure concorsuali, non essendo configurabile in capo all'impresa alcun filtro valutativo o facoltà di scegliere i fatti da dichiarare, sussistendo l'obbligo della onnicomprensività della dichiarazione, in modo da permettere alla Stazione appaltante di espletare, con piena cognizione di causa, le valutazioni di sua competenza;
- l'aver taciuto le circostanze in questione ha dunque impedito, da un lato, una valutazione completa sull'affidabilità e l'integrità morale del candidato e, d'altro lato, è stata sintomatica di una condotta non trasparente e collaborativa della concorrente, sicchè risulta violato il principio di leale collaborazione con l’Amministrazione;
- nessun contraddittorio doveva essere instaurato su circostanze che la ricorrente non ha mai volontariamente palesato;
- la valutazione dell'Autorità di gara è scevra da vizi di manifesta illogicità o irrazionalità, per cui si sottrae al sindacato del giudice.
12. - Con il primo, articolato, motivo di appello l’appellante ha censurato la sentenza rilevando – in estrema sintesi – che:
a) - i fatti dedotti ad oggetto della sentenza penale non potrebbero rientrare nel novero degli “illeciti professionali”, con conseguente impossibilità di attribuire rilevanza espulsiva alla mancata dichiarazione di tale vicenda in sede di gara;
b) - la mera omissione dichiarativa non avrebbe potuto condurre all’espulsione dovendo comunque la stazione appaltante accertare – mediante il contraddittorio - l’effettiva incidenza dei fatti non dichiarati sull’affidabilità professionale del concorrente;
c) - avrebbero dovuto essere, comunque, valutate le peculiarità specifiche della fattispecie ai fini del riconoscimento dell’errore scusabile.
13. - Le doglianze non possono essere condivise.
13.1 - Innanzitutto è opportuno rilevare che la condanna comminata dal Tribunale Penale di Pescara riguarda reati commessi in concorso da parte dei vertici della società Bioster, riconducibili all’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di delitti contro la salute pubblica, la fede pubblica, la frode in pubbliche forniture, la truffa ai danni di strutture sanitarie pubbliche e private attraverso la sistematica violazione, nell’ambito dell’attività della società, degli obblighi derivanti dai contratti stipulati dal legale rappresentante della Bioster spa per la sterilizzazione di dispositivi medico e presidi medico –chirurgici e per il rilascio di certificati di analisi all’esito del ciclo di sterilizzazione (cfr. pag. n. 7 della sentenza 1903/2015).
All’esito del processo di primo grado – nel quale contrariamente a quanto sostenuto nella memoria di replica della società appellante – vi è stata la costituzione di parte civile di ben 6 parti civili (e precisamente ASL Pescara, ASL Roma B, ASL Roma C, Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma, ASL Roma D, I.F.O. Regina Elena di Roma), sono stati condannati non soltanto i dirigenti e tecnici della società (imputati nel procedimento penale per gli specifici capi di imputazione ai quali si è fatto cenno), ma la società stessa, ai sensi del D.Lgs. 231/2001, per il reato di truffa, al pagamento della sanzione pecuniaria di € 387.342,50; alla società sono state applicate la sanzioni interdittive per la durata di un anno di divieto di contrattare con la P.A., salvo che per ottenere prestazioni di pubblico servizio, di ottenere agevolazioni, sovvenzioni e sussidi, ed il divieto di pubblicizzazione di beni e servizi.
Il Tribunale ha liquidato anche una provvisionale, provvisoriamente esecutiva, a titolo di risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, pari ad e 25.000,00 ciascuna (pag. 19-20 della sentenza).
La vicenda penale che è poi sfociata nella condanna del Tribunale di Pescara riguarda una serie di illeciti penali commessi dalla società Bioster negli anni 2007-2008 a danno di ben 10 Aziende sanitarie o ospedaliere di varie zone di Italia, in relazione alla propria attività professionale di sterilizzazione, la stessa oggetto della gara di appalto indetta dalla Azienda ULSS Serenissima.
Nella stessa sentenza si afferma, poi, che all’organizzazione della società non sono state apportate modifiche fino al 2015 tali da porre rimedio alle problematiche riscontrate.
Ciò nonostante, in sede di partecipazione alla presente gara, la società Steris ha omesso di dichiarare tale precedente penale, del quale la stazione appaltante ha preso cognizione solo a seguito del ricorso incidentale proposto dalla società Sogesi.
13.2 - Secondo l’appellante, tale omissione non avrebbe potuto condurre all’esclusione dalla gara in quanto non sussisteva per la società alcun obbligo di indicare la condanna, in quanto le vicende che sono sfociate nella sentenza del Tribunale di Pescara non sarebbero potute “rientrare neanche astrattamente nelle nozione di illecito professionale rilevante ai sensi dell’art. 80, co. 5 (sia perché molto risalenti nel tempo sia perché, in ogni caso, non ancora definitivamente accertate)” (cfr. pag. 7 della memoria di replica di parte appellante), e dunque non avrebbero dovuto essere dichiarate.
Ha precisato l’appellante, infatti, che le dichiarazioni sostitutive sono strettamente correlate a dati relativi a situazioni “suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione” e dunque non possono essere interpretate estensivamente, in violazione dei principi di tassatività, legalità e certezza del diritto.
Nel ricorso in appello, l’appellante ha ricordato che:
- la condanna del Tribunale di Pescara non è definitiva, essendo pendente l’appello;
- alla data di presentazione dell’offerta non erano state ancora pubblicate le Linee Guida dell’ANAC n. 6, né era stato pubblicato il parere del Consiglio di Stato in tema di illecito professionale;
- a quella data l’operatore economico disponeva del solo testo dell’art. 80, comma 5, lett. c) del D.Lgs. 50/16 e dell’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE;
- l’art. 57, par. 7, della direttiva stabilisce che la causa di esclusione dell’illecito professionale cessa di avere efficacia con la decorrenza di “tre anni dalla data del fatto”, da intendersi come accadimento storico;
- nel comunicato del Presidente dell’ANAC dell’11 maggio 2016 si faceva riferimento alle sole condanne passate in giudicato;
- con l’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti era stata abrogata la norma dell’art. 38 del vecchio codice che imponeva la dichiarazione di tutte le condanne, ivi comprese quelle per le quali era stato riconosciuto il beneficio della non menzione, con la conseguente esclusione dalla gara;
- la società, pertanto, ha ritenuto in buona fede di non essere tenuta alla dichiarazione, in quanto:
i) la sentenza – non definitiva - riguardava fatti e comportamenti posti in essere nell’ambito di un contratto con la ASL Pescara;
ii) tale sentenza fa riferimento a fatti che risalgono a sei anni prima della pubblicazione del bando della gara in questione, termine più ampio di quello triennale previsto dalla direttiva europea;
iii) la sanzione del divieto di contrattare non si applica alle prestazioni di pubblico servizio, (quali sono quelle di cui si occupa la società Steris), come disposto nella sentenza stessa.
14. - La tesi dell’appellante non può essere condivisa.
L’art. 80, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016 prevede, alla lettera c), che un operatore economico deve essere escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto qualora la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che esso si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da mettere in dubbio la sua integrità e affidabilità.
L’art. 80, comma 5, lett. c) infatti, mira a tutelare il vincolo fiduciario che deve sussistere tra amministrazione aggiudicatrice e operatore economico, consentendo di attribuire rilevanza ad ogni tipologia di illecito che per la sua gravità, sia in grado di minare l’integrità morale e professionale di quest’ultimo.
Il concetto di grave illecito professionale ricomprende, infatti, ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica sia essa di natura civile, penale o amministrativa.
Tra i gravi illeciti espressamente contemplati dalla norma rientrano, infatti, “le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni”.
Nel caso di specie, dalla lettura della sentenza del Tribunale di Pescara, ricorrono sicuramente i presupposti per porre in dubbio l’integrità ed affidabilità del concorrente: ricorrono, infatti, le “significative carenze” nell’esecuzione di una serie di precedenti contratti di appalto, tali da assumere rilevanza penale, integranti, quindi, ben più di un semplice inadempimento contrattuale; tali carenze hanno comportato, tra l’altro, la condanna al risarcimento del danno – liquidato in sede penale con una provvisionale immediatamente esecutiva – oltre che la comminatoria di “altre sanzioni”, quali quella penale a carico della stessa società Bioster, ai sensi del D.Lgs. n. 321/01, e a carico dei dirigenti della società per reati di notevole spessore criminoso, quali l’associazione a delinquere, la frode in pubbliche forniture, la truffa a danno delle aziende sanitarie.
Trattandosi di condotte criminose afferenti lo svolgimento del servizio di sterilizzazione – lo stesso oggetto della presente gara – ritiene il Collegio che la condanna avrebbe dovuto essere dichiarata a fini della valutazione, spettante all’Amministrazione aggiudicatrice, sul possesso dei requisiti di moralità professionale per l’ammissione alla gara.
L’appellante sostiene, invece, l’inesistenza dell’obbligo di dichiarazione rilevando che la condanna non sarebbe definitiva e sarebbe comunque relativa a fatti risalenti a più di tre anni prima.
Aggiunge, inoltre, che a seguito delle misure di self-cleaning, sarebbe mutata la compagine sociale, e sarebbero stati sostituiti i vertici amministrativi della società, tanto che la nuova società – denominata Steris, subentrata alla vecchia Bioster – avrebbe connotazioni del tutto diverse rispetto a quella precedente. Ci sarebbe, quindi, una chiara cesura tra le vicende che hanno interessate la vecchia società e l’attuale condizione societaria e di gestione amministrativa della nuova società che ha partecipato alla gara.
15. - La tesi dell’appellante non può essere condivisa.
Per quanto riguarda la non definitività della sentenza e il decorso del termine triennale di cui all’art. 57 della direttiva 2014/24/UE, la tesi dell’appellante è smentita dalla stesse Linee Guida n. 6 dell’ANAC (punto 2.1.1.4), che benchè entrate in vigore successivamente alla dichiarazione, valgono comunque quali elementi ermeneutici per la corretta interpretazione dell’art. 80, comma 5, lett. c), come peraltro, prevede il comma 13 dello stesso art. 80.
L’ANAC ha infatti chiarito che i provvedimenti non definitivi rilevano ai fini dell’art. 80, comma 5, lett. c) del D.Lgs. 50/16, qualora contengano una condanna al risarcimento del danno e uno degli altri effetti tipizzati dall’art. 80 stesso.
Con riferimento al periodo di esclusione dalle gare, l’ANAC ha precisato che “il periodo di esclusione dalle gare non può superare i tre anni a decorrere dalla data dell’annotazione della notizia nel Casellario informatico gestito dall’Autorità o, per i provvedimenti penali di condanna non definitivi, dalla data del provvedimento”.
Non può quindi condividersi la tesi dell’appellante diretta a sostenere che i tre anni sarebbero decorsi in quanto correlati alla verificazione del fatto storico e non alla data di adozione del provvedimento giurisdizionale.
Appare, infatti, condivisibile la tesi della appellata Sogesi, secondo cui il testo dell’art. 57, par. 7 della direttiva 2014/24/UE non implica affatto che per “data del fatto” debba intendersi la data di commissione del reato, in quanto in questo modo verrebbero meno i principio di effettività e di giustizia sostanziale.
Quando l’errore professionale deriva dalla commissione di un reato, che il più delle volte viene occultato dal responsabile, la decorrenza del termine triennale di esclusione dalla data di commissione del reato, anziché dalla data del suo accertamento giurisdizionale equivarrebbe a privare di ogni effetto il precetto normativo, il che non è possibile.
Inoltre, in caso di condotte reiterate nel tempo, potrebbero sussistere dubbi sull’individuazione del momento in cui inizia a decorrere il termine triennale che – invece – per propria natura deve ancorarsi ad un preciso momento storico.
Infine, correttamente la difesa della società Sogesi ha rilevato che il termine generico di “data del fatto” utilizzata dal legislatore sovranazionale discende dalla natura variegata dei fatti escludenti di cui al paragrafo 4, tra le quali sono ricomprese anche le sentenze non passate in giudicato.
Poiché nel caso di specie la sentenza del Tribunale di Pescara risale al novembre 2015 chiaramente i tre anni non sono trascorsi.
Quanto agli ulteriori argomenti addotti dalla difesa dell’appellante è sufficiente rilevare che il rinnovo del contratto da parte della ASL di Pescara non assume alcun particolare significato, tenuto conto che l’illecito è stato commesso nei confronti di ben 10 aziende sanitarie o ospedaliere; l’obbligo di dichiarazione prescinde dalla condanna al divieto di contrattare con la P.A.; il possibile dubbio sugli obblighi dichiarativi derivante dalla recente entrata in vigore del nuovo codice degli appalti, avrebbe dovuto indurre la concorrente ad una maggiore lealtà (oltre che cautela) - nel rispetto dei principi di buona fede e diligenza - nei confronti della stazione appaltante, tanto più che il nuovo codice prevedeva il ricorso al contraddittorio e la valutazione delle misure di self-cleaning prima dell’esclusione.
La società appellante, invece, ha preferito rendere una dichiarazione non veritiera (e ciò a prescindere dalla connotazione soggettiva della scelta, e dunque dalla colposità o dolosità della condotta, che non rilevano ai fini dell’esclusione dalla procedura di gara) e comunque incompleta, non consentendo alla stazione appaltante di svolgere le dovute verifiche circa il possesso dei requisiti di moralità professionale.
Nel caso di specie, la violazione degli obblighi di dichiarazione non ha consentito all’amministrazione aggiudicatrice di svolgere i dovuti approfondimenti prima di decretare l’esclusione.
Deve riaffermarsi il principio fondato sulla giurisprudenza formatosi sulla base del vecchio codice degli appalti, e richiamato dal TAR, – secondo cui il concorrente non può operare alcun filtro nell’individuazione dei precedenti penali valutando esso stesso la loro rilevanza ai fini dell’ammissione alla procedura di gara – in quanto tale potere spetta esclusivamente alla stazione appaltante (cfr. tra le tante, Cons. Stato Sez. V, Sent., 11/04/2016, n. 1412; Cons. Stato, V, 25 febbraio 2015, n. 943; 14 maggio 2013, n. 2610; IV, 4 settembre 2013, n. 4455; III, 5 maggio 2014, n. 2289).
Il contraddittorio previsto nel nuovo codice degli appalti, ai fini dell’accertamento della carenza sostanziale dei requisiti di ammissione alla gara, e ribadito nelle Linee Guida dell’ANAC, riguarda i soli casi in cui il concorrente si è dimostrato leale e trasparente nei confronti della stazione appaltante, rendendola edotta di tutti i suoi precedenti, anche se negativi, ed ha fornito tutte le informazioni necessarie per dimostrare l’attuale insussistenza di rischi sulla sua inaffidabilità o mancata integrità nello svolgimento della sua attività professionale.
Solo in questo caso è possibile ipotizzare un vero e proprio contraddittorio tra le parti.
Non è certo ammissibile consentire alle concorrenti di nascondere alla stazione appaltante situazioni pregiudizievoli, rendendo false o incomplete dichiarazioni al fine di evitare possibili esclusioni dalla gara, e poi, ove siano state scoperte, pretendere il rispetto del principio del contraddittorio da parte della stazione appaltante (cfr. Cons. Stato, Sez. V 11 aprile 2016, n. 1412).
Se ciò fosse possibile, si incentiverebbe la condotta “opaca” delle concorrenti, che non avrebbero alcun interesse a dichiarare fin dall’inizio i “pregiudizi”, rendendo possibile la violazione del principio di trasparenza e di lealtà che deve invece permeare tutta la procedura di gara.
Il ricorso al contraddittorio e quindi la valutazione delle misure di self-cleaning presuppone - quindi – il rispetto del principio di lealtà nei confronti della stazione appaltante, e quindi in caso di dichiarazioni mendaci o reticenti, l’amministrazione aggiudicatrice può prescindervi, disponendo l’immediata esclusione della concorrente.
Infine, per quanto concerne i rilievi diretti a sostenere la ricorrenza dell’errore scusabile, essi si riferiscono propriamente all’elemento psicologico, e dunque non rilevano ai fini dell’esclusione, ma potranno essere esaminati dall’ANAC ai fini della valutazione sulla sussistenza del dolo o della colpa grave necessari per disporre l’iscrizione nel casellario informatico ai fini dell’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto (art. 80, comma 12, del codice), dovendosi precisare che è lo stesso codice degli appalti che, in caso di falsa dichiarazione, impone alle stazioni appaltanti da darne comunicazione all’ANAC ai fini dell’adozione dei provvedimenti consequenziali.
Pertanto nessuna violazione è stata commessa dalla stazione appaltante neanche con riferimento alla segnalazione all’ANAC.
Ne consegue l’infondatezza dell’appello avverso il provvedimento di esclusione.
Ciò comporta l’improcedibilità dei successivi motivi di appello relativi all’ammissione alla gara delle società controinteressate e alla sospensione della decisione sulla propria ammissione a causa della mancata indicazione della terna di subappaltatori.
16. - In conclusione, l’appello va in parte respinto ed in parte dichiarato improcedibile.
17. - Le spese relative al grado di appello possono tuttavia compensarsi tra le parti, tenuto conto della novità della questione trattata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge ed in parte lo dichiara improcedibile.
Spese del grado di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Guida alla lettura
Con la decisione in esame il Supremo Consesso di giustizia amministrativa è stato chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dell’esclusione dalla gara, per l’affidamento di un servizio in materia sanitaria (nella fattispecie di sterilizzazione) di una società che ha omesso di dichiarare alla stazione appaltante (ai sensi e per gli effetti dell’articolo 80 del d.lgs. n. 50 del 2016) un precedente penale dal quale risulta la commissione di gravi illeciti professionali consistenti, in particolare, in una serie di frodi nell’esecuzione dei contratti conclusi con numerose aziende sanitarie (aventi, peraltro, ad oggetto l’espletamento dello stesso servizio del bando gravato nella vicenda de qua).
Circostanza questa venuta a conoscenza della stazione appaltante solo in sede di ricorso incidentale di una società concorrente. Siffatta omessa, ovvero incompleta, dichiarazione ha quindi impedito all’amministrazione di compiere ed esprimere ogni necessaria considerazione sull’affidabilità della società appellante.
Più in generale, l’articolo 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 disciplina i cosiddetti motivi di esclusione dalla partecipazione alle gare, conseguenti al mancato possesso dei requisiti soggettivi di cui tutti i concorrenti devono disporre per poter contrattare con la pubblica amministrazione, e che non vanno confusi con i requisiti di capacità tecnica ed economica (disciplinari dei successivi articoli 83 e seguenti). I requisiti soggettivi del primo tipo consistono essenzialmente in condizioni soggettive del concorrente suscettibili, ove insussistenti, di precluderne la partecipazione alla gara. Nell’elencarli il citato articolo 80 si conforma contenuto dell’articolo 57 della direttiva 2014/24/CE.
Rispetto alle cause di esclusione previste dalla normativa vigente (articolo 38 del dlgs. n. 163 nel 2006), è stato sottolineato in dottrina che non ogni grave reato incidente sulla moralità professionale è causa di esclusione dalle gare di appalto di concessione, ma solo i titoli di reato espressamente nominati dalla norma, in un’ottica deflazionistica per il futuro del contenzioso in materia. Al contempo, si rileva che i reati commessi nell’esercizio della professione, che siano idonei ad incidere in maniera sostanziale sul rapporto fiduciario tra la stazione appaltante e l’operatore economico, quando non più previste espressamente quali autonome cause di esclusione, possono comunque rilevare ai sensi dell’articolo 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, che prevede l’esclusione dalla partecipazione alle procedure d’appalto qualora “la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”. La norma citata non prevede, peraltro, un numero chiuso di illeciti professionali, ma raggruppa sotto la voce “gravi illeciti professionali” alcune fattispecie meramente esemplificative di tale categoria.
Giova, altresì, rilevare con riferimento alla causa di esclusione in esame che, mentre nella previgente disciplina si dava rilevanza, da un lato, alla grave negligenza o malafede nell’esecuzione di precedenti contratti con la medesima stazione appaltante e, dall’altro lato, alla grave errore professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante, intercorso anche in rapporti contrattuali con diverse stazioni appaltanti, nella nuova disciplina invece la previsione ha una portata molto più ampia. Ed infatti, non si fa più riferimento solo alla negligenza o errore professionale, ma più in generale all’illecito professionale che, come osservato in dottrina, abbraccia molteplici fattispecie, anche diverse dall’errore o negligenza, ed include condotte che intervengono non solo in fase di esecuzione contrattuale (come peraltro si è ritenuto in giurisprudenza vigente la precedente disciplina – Cons. di Stato n. 3595 del 2017), ma anche in fase di gara. Peraltro, già una parte della giurisprudenza formatasi nella previgente disciplina aveva dato una lettura allargata dell’errore professionale”, ritenuto comprensivo di qualsiasi comportamento scorretto che incidesse sulla credibilità professionale dell'operatore, e non soltanto delle violazioni delle norme di deontologia in senso stretto della professione cui appartenesse tale operatore [Cons. St., IV, 11.7.2016, n. 3070].
Comunque sia, si richiede che l’illecito professionale sia grave, e tale da rendere dubbia l’integrità o affidabilità del concorrente, e ne viene fornita una prima casistica, da ritenersi esemplificativa e non tassativa (come precisato nel parere n. 2286 del 2016 del Consiglio di Stato), suscettibile peraltro di implementazione, con linee guida mediante le quali l’ANAC, ai sensi del comma 13 del più volte citato art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016, “può precisare, al fine di garantire omogeneità di prassi da parte delle stazioni appaltanti, quali mezzi di prova considerare adeguati per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui al comma 5, lettera c), ovvero quali carenze nell'esecuzione di un procedente contratto di appalto siano significative ai fini del medesimo comma 5, lettera c)”. Sulla base di tale previsione l’Autorità ha, quindi, predisposto le linee guida recanti “indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di una precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. 50 del 2016. Linee guida queste che, giova rilevare, non sono vincolanti, ma hanno una funzione promozionale di buone prassi da parte delle stazioni appaltanti (come chiarito nel su citato parere del Consiglio di Stato n. 2286 del 2016).
Peraltro, il verificarsi delle fattispecie esemplificative ivi individuate non da luogo all’esclusione automatica del concorrente, ma comporta l’obbligo della stazione appaltante di procedere alle valutazioni di competenza in ordine alla rilevanza ostativa degli specifici comportamenti, da effettuarsi nell’esercizio del potere discrezionale alla stessa riconosciuto (linee guida ANAC n. 6 di attuazione del d.lgs. n. 50 del 2016, in premessa). La valutazione degli illeciti professionali deve avere di mira l’obiettivo di assicurare che l’appalto sia affidato a soggetti che danno garanzie di integrità e affidabilità, e portare all’esclusione sulla base di un apprezzamento complessivo del candidato.
Dal su riferito disposto normativo, oltre che dalle su citate linee guida, si evince in definitiva che tra i “gravi illeciti professionali” rientrano le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero che hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione. “Il dato assiologico che emerge appare incentrarsi sulla circostanza che, per effetto degli indicati fattori o di ulteriori elementi valutativi, emerga a carico dell’operatore economico un quadro tale da rendere dubbia la sua affidabilità. La ratio della norma de qua risiede dunque nell’esigenza di verificare l’affidabilità complessivamente considerata dell’operatore economico che andrà a contrarre con la p.a. per evitare, a tutela del buon andamento dell’azione amministrativa, che quest’ultima entri in contatto con soggetti privi di affidabilità morale e professionale” (TAR – Valle d’Aosta n. 36 del 23 giugno 2017).
In altri termini, come ha chiarito il Tar Salerno (con sentenza n. 10 del 2017) la ratio della norma di cui all’art. 80 del nuovo Codice dei contratti, che detta disposizioni relative ai casi di esclusione del concorrente dalla gara pubblica, risiede nell’esigenza di verificare l’affidabilità complessivamente considerata dell’operatore economico che andrà a contrarre con la p.a. per evitare, a tutela del buon andamento dell’azione amministrativa, che quest’ultima entri in contatto con soggetti privi di affidabilità morale e professionale. Il citato art. 80 ripropone il contenuto dell’art. 38, d.lgs. 12 aprile 2006, n 163, apportando però significative modifiche al testo originario anche per quanto attiene al più specifico ambito dei comportamenti incidenti sulla moralità professionale delle imprese concorrenti. L’art. 38 presentava, infatti, la seguente diversa formulazione: “…secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.
I comportamenti rilevanti ai fini dell’esclusione ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice devono essere, ad ogni modo, gravi, illeciti (quindi contrari a norme giuridiche di natura civile, penale o amministrativa) e idonei ad intaccare l’integrità o l’affidabilità del concorrente o di un suo subappaltatore. Si ritiene che la fattispecie in esame debba ricomprendere motivi di esclusione che incidono sull’integrità e affidabilità dell’operatore economico e che non costituiscono già autonome cause di esclusione. Ferma restando la rilevanza di comportamenti illeciti di natura civile e amministrativa, nella fattispecie devono essere ricompresi la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena per reati commessi nell’esercizio della professione che siano idonei a incidere in maniera sostanziale sul rapporto fiduciario tra l’amministrazione aggiudicatrice e il soggetto esecutore, quali: 1. l’abusivo esercizio di una professione; 2. i delitti contro la fede pubblica (es. falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico); 3. i reati fallimentari (bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta, omessa dichiarazione di beni da comprendere nell’inventario fallimentare, ricorso abusivo al credito; 4. i reati tributari ex d.lgs. 74/2000, i reati societari, i delitti contro l’industria e il commercio, i reati ambientali; 5. i reati di cui al d.lgs. n. 231 del 2001.
In particolare, tra i «mezzi adeguati» che la stazione appaltante deve utilizzare per dimostrare che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi comportamenti illeciti rientrano tutti gli altri strumenti idonei ad acquisire certezza della notizia, quali, ad esempio, fatti certificati in sede amministrativa o giurisdizionale (come nella fattispecie in esame) e fatti attestati da altre stazioni appaltanti o resi noti attraverso altre modalità.
Va peraltro sottolineata la regola, vigente in materia, per cui la gravità dell’evento è ponderata dalla stazione appaltante. Ragion per cui l’operatore economico è tenuto a dichiarare situazioni ed eventi potenzialmente rilevanti ai fini del possesso dei requisiti di ordine generale di partecipazione alle procedure concorsuali, non essendo configurabile in capo all’impresa alcun filtro valutativo o facoltà di scegliere i fatti da dichiarare, sussistendo l’obbligo della onnicomprensività della dichiarazione, in modo da permettere alla stazione appaltante di espletare, con piena cognizione di causa, le valutazioni di sua competenza (Cons. di Stato n. 1412 del 2016; Cons. di Stato 943 del 2015; Cass. N. 2610 del 2013, richiamati dalla pronuncia in esame). Né si può invocare l’ignoranza in buona fede di non essere tenuti alla dichiarazione delle circostanze di cui sopra (come peraltro ha fatto l’odierna appellante), posto che per quanto concerne la valutazione dell’elemento psicologico, la norma in esame (l’art. 80 del d.lgs. 50 del 2016) specifica che i comportamenti in argomento possono essere originati anche da negligenza attribuendo, quindi, rilevanza alla condotta colposa, oltre che dolosa, del concorrente. Sul punto, si ritiene di poter mutuare le previsioni contenute nell’art. 80 comma 12 e, quindi, attribuire rilevanza, anche ai fini dell’imputabilità delle false dichiarazioni rese in sede di attestazione, alla colpa grave dell’operatore economico da valutarsi in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione. Per quanto attiene la valutazione dell’intensità della colpa si ritiene che, dovendo far riferimento al concetto di colpa professionale, non si possa ricollegare la colpa grave a generici comportamenti scriteriati, abnormi o grossolanamente negligenti, dovendo invece considerare sussistente la gravità del comportamento in mancanza di quelle cautele, cure o conoscenze costituenti lo standard minimo di diligenza richiesto a quel determinato professionista. Dovrebbero, pertanto, venire in rilievo, a tal fine, la qualifica professionale del soggetto, le sue specifiche competenze e attribuzioni, la qualità dell’organizzazione aziendale, atteso che la giurisprudenza ha espressamente ritenuto che all’imprenditore operante nel settore degli appalti pubblici debba essere richiesto uno sforzo volitivo e tecnico da parametrare a obiettivi canoni sociali e professionali di condotta.
In generale, quindi, il non dichiarare, o l’omettere di dichiarare, le circostanze in questione impedisce, da un lato, una valutazione completa sull'affidabilità e l'integrità morale del candidato e, d'altro lato, è stata sintomatica di una condotta non trasparente e collaborativa dello stesso concorrente.
Una simile condotta impedisce, altresì di valutare la rilevanza e significatività delle misure di self cleaning, che possono essere adottate dal candidato entro il termine fissato per la presentazione delle offerte. Difatti, ai sensi dell’art. 80, comma 7, del codice e nei limiti ivi previsti, l’operatore economico è ammesso a provare di aver adottato misure sufficienti a dimostrare la sua integrità e affidabilità nell’esecuzione del contratto oggetto di affidamento nonostante l’esistenza di un pertinente motivo di esclusione. In merito, nelle su citate linee guida dell’ANAC, si è precisato che possono essere considerati idonei a evitare l’esclusione, tra l’altro, oltre alla dimostrazione di aver risarcito o essersi impegnato formalmente e concretamente a risarcire il danno causato dall’illecito: 1. l’adozione di provvedimenti volti a garantire adeguata capacità professionale dei dipendenti, anche attraverso la previsione di specifiche attività formative; 2. l’adozione di misure finalizzate a migliorare la qualità delle prestazioni attraverso interventi di carattere organizzativo, strutturale e/o strumentale; 3. la rinnovazione degli organi societari; 4. l’adozione e l’efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi e l’affidamento a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, del compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento; 5. la dimostrazione che il fatto è stato commesso nell’esclusivo interesse dell’agente oppure eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione o che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di controllo.
L’operatore economico, al fine di evitare l’operatività della causa ostativa, può, per ciò che più concerne il casi di specie, sempre dimostrare, nell’ambito del procedimento di accertamento avviato alla stazione appaltante, di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; di aver affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento; che le persone hanno commesso il reato agendo esclusivamente nel loro interesse oppure eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di controllo.
Misure che nel caso in esame, ad avviso della ricorrente società, sono state adottate, ma non prese in considerazione sia dalla stazione appaltante sia in sede giurisdizionale. Ciò che permette di introdurre un nuovo concetto di portata generale e cioè quello per cui il contraddittorio in simili fattispecie non è dovuto dalla pubblica amministrazione, in quanto stesso è previsto nel nuovo codice degli appalti soltanto nel caso in cui il concorrente stesso si è dimostrato leale e trasparente nei confronti della stazione appaltante, rendendola edotta di tutti i suoi precedenti, anche se negativi, ed ha fornito tutte le informazioni necessarie per dimostrare l’attuale insussistenza di rischi sulla inaffidabilità o mancata integrità nello svolgimento della sua attività professionale.
Ed infatti, è ormai pacifico che l’azione amministrativa, così come prevista dall’articolo 1 della legge 241/90, legge modificata ed integrata dalla legge 15/05, è improntata non solo ai canoni della trasparenza, pubblicità e ai principi del diritto comunitario, ma ai principi di derivazione civilistica, posto che la regola generale è che i poteri pubblici ed il cittadino si muovono sullo stesso piano, con ciò rinunciando definitivamente all’agire pubblico come espressione del potere autoritativo. L’operatività della buona fede, quale clausola generale e principio di integrazione del contratto è ormai pacifica; il principio di buona fede, quale fonte integrativa del contratto (1375), come interpretato dalla Corte di Cassazione e da autorevole dottrina si manifesta attraverso il canone di lealtà e di salvaguardia come attuazione del principio di solidarietà che nell’articolo 2 della Costituzione trova ormai un riferimento incontrastato.
L’organizzazione dell’agire pubblico, fin dalla versione originaria della legge 241/90, è ormai fondata sul principio della responsabilizzazione dei pubblici poteri e della trasparenza amministrativa che ha visto nell’obbligo della individuazione e nomina del responsabile del procedimento amministrativo il suo approdo normativo più significativo.
Del pari, il dovere di buona fede contrattuale implica il dovere di ciascuna parte di realizzare l’interesse contrattuale dell’altra o di evitare di arrecare danno, anche con l’adempimento di obblighi non previsti nel contratto o nella legge. In quest’alveo è quindi ormai dato acquisito che la buona fede nell’esecuzione del contratto importa, tra l’altro, l’obbligo di informazione su circostanze che la controparte non è in grado di conoscere. Dovere quindi discendente alla parte contrattuale al di là di un’esplicita previsione normativa quale è quella di cui al più volte citato comma 5, lett. c), dell’art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016.
Un’ultima annotazione di respiro generale è quella attinente al periodo di esclusione alle gare che come precisato dall’ANAC, rifacendosi all’art. 57 par. 7 della direttiva 2014/24/UE, non fa riferimento alla data di commissione degli illeciti accertati giudizialmente, ma a quello del provvedimento giurisdizionale di accertamento (almeno dal punto di vista fattuale) degli stessi, sia o meno definitivo (prevedendosi quindi periodi temporali differenti a seconda della definitività o meno dello stesso provvedimento giurisdizionale). Ciò che, da un lato, permette di garantire il rispetto del principio di proporzionalità garantendo stabilendo un tempo massimo di rilevanza sia per i reati che per gli altri illeciti professionali. E dall’altro, il principio di effettività e giustizia sostanziale privandosi, altrimenti, di ogni effetto il precetto normativo, posto che nella maggior parte dei casi (come in quello in esame) l’errore professionale deriva dalla commissione di un reato occultato, o comunque non dichiarato.