Indice: 1. Premessa; 2. La disciplina previgente e l’onerosità del soccorso; 3. La nuova disciplina codicistica e la riduzione della sanzione; 4. L’intervento del correttivo: approdo alla gratuità; 5. Conclusioni
1. Premessa
L’espressione “soccorso istruttorio” (di seguito senza virgolette), nelle procedure di affidamento di contratti pubblici, viene utilizzata con riferimento al potere della stazione appaltante di richiedere ai concorrenti l’integrazione di domande incomplete o irregolari, al fine di permettere a quei determinati operatori di poter partecipare ugualmente alla gara.
Prima dell’entrata in vigore del nuovo codice (D.lgs 50/2016), il soccorso istruttorio era regolato dall'art.46 del d.lgs 163/2006 (“vecchio codice”), secondo cui: “Nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45, le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati”.
Il soccorso istruttorio, pertanto, non è che un’applicazione legale del principio del giusto procedimento sancito dall’art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241 “che impone all’amministrazione di squarciare il velo della mera forma per assodare l’esistenza delle effettive condizioni di osservanza delle prescrizioni imposte dalla legge o dal bando di gara” (Cons. St, Ad.Pl. 25 febbraio 2014, n. 9).
Com’è evidente, tuttavia, la supremazia della sostanza sulla forma non può essere illimitata, traducendosi, altrimenti, in una generalizzata e preventiva sanatoria di ogni forma di irregolarità.
Non a caso, l’istituto, da ultimo disciplinato dall’art. 83, comma 9, del nuovo codice – così come riformulato a seguito dell’intervento dell’art. 52 del D.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 recante “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50” (c.d. Decreto correttivo, o anche semplicemente correttivo) - è stato oggetto di una costante e rigorosa interpretazione da parte dell’ANAC e del Consiglio di Stato (ex multis, Cons. St., Ad.Pl., 25 febbraio 2014, n.9; Cons. St., Sez. V, 18 febbraio 2013, n. 974; Sez. V, 5 dicembre 2012, n. 6248; Sez. V, 25 giugno 2007, n. 3645; Sez. VI, 23 marzo 2007, n. 1423; Sez. V, 20 maggio 2002, n. 2717), volta a tracciarne i confini applicativi[1] e teorici.
In particolare, è stato osservato come il soccorso istruttorio, nel prediligere il dato sostanziale delle dichiarazioni, in luogo di quello formale, non potesse risolversi in un rimedio privo di limitazioni, pena la compromissione dei principi posti a fondamento delle gare pubbliche, ed in particolare quello dell’autoresponsabilità, in forza del quale ciascuno sopporta le conseguenze di eventuali errori commessi nella formulazione dell’offerta e nella presentazione della documentazione.
Il rischio di un’espansione incontrollata del suo ambito applicativo, infatti, avrebbe potuto alterare anche la par condicio nello svolgimento della gara, violare il canone di imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa, incidere sul divieto di disapplicazione della lex specialis contenuta nel bando ed eludere la natura decadenziale dei termini cui è soggetta la procedura.
D’altro canto, la facoltà di regolarizzare o integrare la documentazione prodotta, ed evitare quindi l’esclusione dalla gara, oltre che rispondere alle richiamate esigenze sostanzialistiche, costituisce una delle più limpide concretizzazioni del principio del favor partecipationis.
Nel tentativo di trovare un bilanciamento tra i principi appena richiamati, il legislatore ha rimodellato la disciplina del soccorso istruttorio, ancor prima dell’entrata in vigore del nuovo codice, recependo, più o meno compiutamente, gli indirizzi sviluppatisi nella giurisprudenza amministrativa.
In un primo momento, il D.L. n. 70/2011 ha aggiunto il comma 1 bis all’art. 46, introducendo il principio della c.d. tassatività delle cause di esclusione, limitando notevolmente la discrezionalità della P.A. nell’individuazione, nella lex specialis di gara, dei requisiti o degli adempimenti formali essenziali di partecipazione[2].
In un secondo momento, l’art. 39 del D.L. 90/2014 ha introdotto rilevanti modifiche agli articoli 38 e 46 del vecchio codice.
Senza voler entrare nel vortice di questioni che, ad oggi, possono dirsi superate, e che concernono prevalentemente l’ambito applicativo dell’istituto, è intenzione di chi scrive soffermarsi sulle novità introdotte dal nuovo codice con riferimento all’aspetto sanzionatorio del soccorso, già modificato in modo rilevante dal richiamato art. 39 del D.L. 90/2014, attraverso l’introduzione del c.d. “soccorso istruttorio oneroso”.
Ma è stata proprio l’onerosità del soccorso istruttorio ad aver dato luogo ad un acceso dibattito, che ha coinvolto giudici amministrativi ed ANAC, volto a trovare un giusto bilanciamento tra l’introdotta sanzione pecuniaria ed i sempre più limitati casi di esclusione dalla gara.
Una volta tracciato un quadro sommario dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha condotto l’istituto alla sua codificazione all’interno del nuovo codice dei contratti pubblici, per poi essere modificata a distanza di un solo anno con l’intervento del correttivo si cercherà di capire se e come la nuova formulazione dell’istituto abbia risentito del dibattito di cui sopra, delle indicazioni fornite dai principi comunitari e dalla legge delega, cui tutta la disciplina codicistica dovrebbe ispirarsi.
2. La disciplina previgente e l’onerosità del soccorso
Come noto, l’art. 38, comma 1, del Codice sanciva il divieto di partecipare alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, di essere affidatari di subappalti, e di stipulare i relativi contratti, in capo ai soggetti che si fossero trovati in una delle situazioni indicate nelle lettere da a) a m-quater) della stessa disposizione.
L’art. 38, comma 1, esprimeva un principio generale di ordine pubblico in materia di gare, ossia quello dell’affidabilità del contraente, discendente dal possesso dei requisiti di ordine generale e di moralità tipizzati dalla stessa norma (cfr. Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2013, n. 2725).
Il possesso di tali requisiti inderogabili – da mantenersi per tutta la durata della gara – poteva essere provato tramite una dichiarazione sostitutiva, in base a quanto previsto dall'articolo 77-bis del d.p.r. 445/2000.
Secondo quanto disposto dall’art. 43 dello stesso d.p.r.,
la verifica delle autocertificazioni prodotte dai partecipanti, fermo l’obbligo da parte di questi ultimi dichiarare tutte le situazioni e/o circostanze potenzialmente rilevanti ai fini del possesso dei requisiti di ordine generale espressamente previsti dalla norma, veniva effettuato d’ufficio dall’amministrazione, acquisendo “le relative informazioni, previa indicazione, da parte dell'interessato, dell'amministrazione competente e degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti”.
Come anticipato, con l’intento di chiarire la portata applicativa, ma anche teorica, di tale obbligo, sono intervenute sia la giurisprudenza amministrativa che l’ANAC, attraverso pronunce talvolta antitetiche.
In particolare, l’ANAC aveva affermato che l’omissione o l’incompletezza delle dichiarazioni summenzionate avrebbero configurato una causa di esclusione dalla procedura, anche in assenza di una espressa previsione del bando di gara (parere di precontenzioso n. 144 del 20 giugno 2014).
D’altro canto, il Consiglio di Stato, adottando un’interpretazione sostanzialistica aveva affermato che il carattere escludente della previsione sarebbe stato giustificato unicamente dalla concreta mancanza dei sopradescritti requisiti (Cons. St., sez. III, 6 febbraio 2014, n. 583; sez. V, 9 dicembre 2013, n. 5883).
Il Supremo Consesso amministrativo, tuttavia, non ha conferito alla disposizione in esame un’interpretazione univoca.
In altre occasioni, infatti, ha adottato un approccio di taglio decisamente più formalistico, affermando che, in presenza di dichiarazioni false o incomplete, si sarebbe venuta creare una lesione in re ipsa degli interessi tutelati dalla norma tale da giustificare l’esclusione dalla gara (Cons. St., sez. III, 16 marzo 2012 n. 1471; Cons. St., sez. III, 24 giugno 2014, n. 3198).
In tali circostanze, pertanto, ad avviso del Consiglio di Stato, la stazione appaltante non sarebbe potuta accorrere in aiuto del concorrente, invitandolo a regolarizzare la propria posizione attraverso il soccorso istruttorio.
L’assenza o l’incompletezza delle dichiarazioni di cui all’art. 38, in altre parole, non costituendo una mera irregolarità, un vizio formale o una semplice dimenticanza, non poteva essere sanata attraverso il soccorso istruttorio, dando conseguentemente luogo all’esclusione del partecipante.
Alla luce di quanto sommariamente esposto, è evidente che l’applicazione della previgente disciplina aveva dato luogo ad interpretazioni tra loro spesso discordanti e che, pertanto, era necessaria un chiarimento da parte del legislatore.
E così è stato, almeno in parte.
È allora intervenuto l’art. 39 del D.L. 90/2014, che ha modificato in modo rilevante gli articoli 38 e 46 del vecchio Codice.
La novella, infatti, da un lato, ha reso possibile la sanatoria di ogni omissione o incompletezza documentale, superando così l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la linea di demarcazione tra la legittimità o meno del soccorso era da individuare nella distinzione tra la regolarizzazione di dichiarazioni già prodotte e la vera e propria integrazione della domanda.
Dall’altro, stante la sensibile riduzione delle cause di esclusione dalla gara, nel tentativo di porre un deterrente rispetto alla produzione di documentazione incompleta, ha introdotto il c.d. “soccorso istruttorio oneroso”.
Nello specifico, secondo il nuovo comma 2-bis dell’art. 38, in caso di mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 dello stesso articolo, il concorrente era sanzionato mediante pagamento, in favore della stazione appaltante, di una sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria.
Tale sanzione, tuttavia, non era dovuta in caso di irregolarità o incompletezza di dichiarazioni non essenziali, per le quali il legislatore ha ritenuto non fosse necessaria neppure la richiesta di regolarizzazione da parte della stazione appaltante.
Alla luce della novella legislativa, pertanto - tralasciando l’ovvia conferma dell’inalterabilità dell’offerta e della certezza della sua provenienza - la sanzione dell’esclusione veniva in essere unicamente in conseguenza dello spirare del termine assegnato dalla stazione appaltante per regolarizzare la propria posizione, comunque non superiore a dieci giorni.
Il nuovo art. 46, comma 1ter, dal canto suo, ha precisato che quanto previsto dal comma 2 bis appena citato era da applicarsi “a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando, o al disciplinare di gara”.
La riforma del 2014 ha quindi introdotto una vera e propria procedimentalizzazione del potere (dovere) di soccorso in un'ottica collaborativa tra soggetto pubblico e privato che “dialogano” al fine di evitare esclusioni legate a mere irregolarità formali o incompletezze documentali (TAR Napoli, sez. I, sent. n. 2479/2016).
Il combinato disposto degli artt. 38 e 46 del d.lgs. n. 163/2006, peraltro, “oltre a disciplinare il soccorso istruttorio per le ipotesi di mancanza o di irregolarità delle dichiarazioni sostitutive, prevede l'esclusione dalla procedura come sanzione derivante unicamente dall'omessa produzione, integrazione o regolarizzazione delle dichiarazioni carenti entro il termine assegnato dalla stazione appaltante e non più da carenze originarie” (TAR Lazio, sez. III, sent. 9656/2016).
In altri termini, dal combinato disposto delle due norme è emersa, quindi, la “chiara volontà del legislatore di evitare (nella fase del controllo delle dichiarazioni e, quindi, dell’ammissione alla gara delle offerte presentate) esclusioni dalla procedura per mere carenze documentali (ivi compresa anche la mancanza assoluta delle dichiarazioni), di imporre un’istruttoria veloce, ma preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni (prima della valutazione dell’ammissibilità della domanda), e di autorizzare la sanzione espulsiva quale conseguenza della sola inosservanza, da parte dell’impresa concorrente, all’obbligo di integrazione documentale”(Cons. St. Ad. n. 16/2014 cit.).
È evidente allora che tale novità ha segnato un importante svolta nella disciplina del soccorso istruttorio, avendo, da un lato, confermato le fattispecie ascrivibili alla categoria delle cause tassative di esclusione (l’art. 39 del d.l. 90/2014 non è intervenuto, sui commi 1 e 1-bis dell’art. 46) ma, dall’altro, “operando «a valle» di tale individuazione” ha consentito che fossero “resi, integrati o regolarizzati (nella fase iniziale della gara) anche gli elementi e le dichiarazioni (anche di terzi) prescritti dalla legge, dal bando o dal disciplinare di gara, la cui assenza o irregolarità sotto la previgente disciplina determinavano l’esclusione dalla gara)”(ANAC, Determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015).
Ed è altrettanto evidente che, attraverso l’introduzione del comma 2 bis, il legislatore ha condiviso l’interpretazione di quel filone giurisprudenziale che, adottando un approccio di tipo sostanzialistico, ai fini dell’esclusione, aveva dato prevalenza alla sussistenza in concreto dei requisiti di cui all’art. 38, in luogo della completezza delle autodichiarazioni rese dai concorrenti.
Sotto tale profilo, come affermato dall’ANAC, la novella in esame sembra esser stata finalizzata, altresì, “alla deflazione del contenzioso derivante da provvedimenti di esclusione dalle gare d’appalto, per vizi formali – cui non corrisponda l’interesse sostanziale alla reale affidabilità del concorrente – sulle dichiarazioni rese dai partecipanti, con conseguente possibile riduzione dei casi di annullamento e di sospensione dei provvedimenti di aggiudicazione, ciò che, peraltro, si desume dalla collocazione dello stesso art. 39, nel Titolo IV del d.l. 90/2014 conv. in l. 114/2014, dedicato alle «misure per lo snellimento del processo amministrativo e l’attuazione del processo civile telematico»” (ANAC, ult. cit.).
Il legislatore, attraverso le modifiche introdotte con l’art. 39 ha quindi ampliato i margini applicativi del soccorso istruttorio ed ha introdotto una sanzione pecuniaria, in luogo dell’esclusione dalla gara, limitata ai casi di mancata regolarizzazione degli elementi essenziali carenti.
Ma è proprio l’introduzione della sanzione pecuniaria ad aver generato varie perplessità.
Anzitutto, la fissazione dell’importo era rimessa alla discrezionalità delle stazioni appaltanti (seppur nei limiti normativamente previsti), senza possibilità di graduare la sanzione in ragione della gravità dell’irregolarità commessa o in relazione alle singole fattispecie escludenti contemplate nel comma 1 dell’art. 38.
Ma soprattutto, nel silenzio della norma, ad avviso di parte della giurisprudenza amministrativa, l’applicazione della sanzione era da effettuarsi tanto nei confronti del partecipante, che, di fronte ad un’irregolarità essenziale, avesse dichiarato di avvalersi del soccorso istruttorio, quanto nei confronti di quello che decidendo di non avvalersi del soccorso, venisse conseguentemente escluso dalla gara.
Secondo tale ricostruzione, pertanto, la sanzione pecuniaria era diretta conseguenza dell’essenzialità della carenza documentale, indipendentemente da altre circostanze.
A sostegno di tale interpretazione, la giurisprudenza prevalente adduceva, sostanzialmente, due ordini di argomenti (si richiama quanto sintetizzato dal TAR Napoli, sez. I^, nella sent. 2749/2016, che, a sua volta, richiama le argomentazioni di TAR Palermo, sent. n. 1043/2016; TAR Parma, n. 66/2016; TAR L’Aquila, n. 784/2015):
In primo luogo, l’obbligo del concorrente di pagare la sanzione pecuniaria prevista dal bando, a prescindere dalla circostanza che questi avesse aderito o meno all’invito, si sarebbe ricavato “chiaramente” dalla formulazione letterale della disposizione.
L’esclusione, invece, sarebbe stata una conseguenza sanzionatoria diversa e in parte autonoma da quella pecuniaria, nel senso che il concorrente vi sarebbe incorso solamente in caso di mancata ottemperanza all’invito alla regolarizzazione da parte della stazione appaltante.
In secondo luogo, tale soluzione interpretativa avrebbe garantito la serietà delle domande di partecipazione e delle offerte presentate dai partecipanti ed avrebbe favorito la responsabilizzazione delle imprese partecipanti nel confezionamento della documentazione di gara.
In altri termini, la disposizione, così interpretata, avrebbe contribuito “a garantire la celere e sicura verifica del possesso dei requisiti di partecipazione, in un’ottica di buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa, a cui devono concorrere anche gli operatori economici in ossequio ai principi di leale cooperazione, di correttezza e di buona fede” (TAR Napoli, sez. I^, sent. 2749/2016).
Di segno opposto, invece, il parere dell’ANAC, secondo cui la sanzione non si sarebbe applicata al concorrente che non intendesse regolarizzare la propria posizione, perché “il nesso tra la sanzione e la sanatoria nascerebbe, da un lato, dall’esigenza di evitare eccessive ed immotivate vessazioni delle imprese e, dall’altro, dal principio di primazia del diritto comunitario che impone di interpretare la normativa interna in modo conforme a quella comunitaria” (Comunicato del Presidente del 25 marzo 2015).
Ed infatti, la Direttiva appalti 2014/24/UE, da un lato, prevede la possibilità di integrare o chiarire i certificati presentati relativi al possesso dei requisiti generali e speciali senza il pagamento della sanzione; dall’altro, all’art. 59, par. 4, in materia di Documento di gara unico europeo (DGUE) che “l’amministrazione aggiudicatrice possa chiedere a offerenti e candidati, in qualsiasi momento nel corso della procedura, di presentare tutti i documenti complementari o parte di essi, qualora questo sia necessario per assicurare il corretto svolgimento della procedura”, senza disporre il pagamento di alcuna sanzione.
In linea con quanto affermato dall’ANAC si è poi espressa quella giurisprudenza che rinvenendo nella sanzione “una misura di "fiscalizzazione" dell'irregolarità o dell'incompletezza documentale” costituente “una contropartita da corrispondere alla stazione appaltante per l'aggravamento del procedimento di verifica della regolarità e completezza della documentazione amministrativa”, ha dedotto che “è evidente che tale aggravamento consegue solo all'attivazione e alla effettiva fruizione da parte del concorrente medesimo del soccorso istruttorio mentre, qualora il partecipante non intenda avvalersi del beneficio, la selezione concorsuale procederà più spedita”(TAR Napoli, sez. I^, sent. 2749/2016) .
È evidente allora che la sanzionabilità economica dell’errore, seppur obiettivamente configurante un importante deterrente e una forma di responsabilizzazione per i concorrenti, non potesse essere così disciplinata, tanto alla luce della richiamata normativa comunitaria, quanto in ragione dell’iniquità derivante dall’assenza di una gradazione sulla base della gravità dell’irregolarità, su cui anche la giurisprudenza (minoritaria) stava convincendosi.
Di talché, è altrettanto evidente che il legislatore, cogliendo l’occasione della riscrittura del Codice, non poteva non intervenire anche sotto questo aspetto.
3. La nuova disciplina codicistica e la riduzione della sanzione
L’art. 83 del nuovo codice, come del resto era possibile aspettarsi, sotto alcuni punti di vista, è stato il risultato della ricezione delle istanze sollevate dagli operatori negli anni precedenti, di cui si è tentato di dare sommariamente conto; sotto altri, non è altro che un’applicazione non ponderata delle norme comunitarie; sotto altri ancora, costituisce un’inesatta applicazione dei principi contenuti nell’art. 1, comma 1, lett. z) della Legge delega, n. 11 del 2016.
Quest’ultima, in particolare, nell’individuare i principi cui si sarebbe dovuto attenere il legislatore delegato, ha affermato la necessaria “riduzione degli oneri documentali ed economici a carico dei soggetti partecipanti, con attribuzione a questi ultimi della piena possibilità di integrazione documentale non onerosa di qualsiasi elemento di natura formale della domanda”.
È palese, allora, che l’intento del legislatore delegante fosse quello di superare definitivamente la novella del 2014, ed introdurre una disciplina del soccorso istruttorio totalmente gratuita.
Allo stesso tempo, la Legge delega ha confermato il divieto d’integrazione documentale per ciò che concerne “gli elementi oggetto di valutazioni sul merito dell’offerta, e semplificazione delle procedure di verifica da parte delle stazioni appaltanti, con particolare riguardo all’accertamento dei requisiti generali di qualificazione”.
Ebbene, la nuova disciplina, all’art. 83, comma 9, ha statuito che: “Le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda possono essere sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio” e che, “la mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo di cui all'articolo 85, con esclusione di quelle afferenti all'offerta tecnica ed economica, obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 5.000 euro”.
Già dalla lettura di questa prima parte della disposizione emergono due novità più che significative.
In primis, recependo il contenuto della Legge delega sopra richiamato, è stato finalmente chiarito a livello legislativo che le uniche regolarità insanabili sono quelle concernenti l’offerta tecnica ed economica.
In secundis, la sanzione pecuniaria è stata ridotta notevolmente, essendo prevista per un massimo di Euro 5.000, in luogo dei 50.000 di cui al vecchio codice.
In questo caso, però, il legislatore non ha osservato il principio di cui alla Legge delega sopra citato, e quindi la gratuità del soccorso, ma ha anche disatteso quanto affermato dal Consiglio di Stato nel parere sullo schema di decreto posto al suo esame.
In quella sede, infatti, il Consiglio in sede consultiva aveva segnalato “la dubbia conformità con la previsione della legge delega”, affermando altresì che “non si può riproporre il meccanismo del c.d. soccorso istruttorio a pagamento, di cui all'attuale art. 38 co. 2- bis dell'abrogando codice”.
Ulteriore importante novità è che il concorrente che intende regolarizzare la propria posizione, entro il termine stabilito dalla stazione appaltante (comunque non superiore a dieci giorni), oltre ad allegare la documentazione integrativa, dovrà fornire la prova dell’avvenuto pagamento della sanzione, pena l’esclusione della gara.
Ma vi è di più.
Lo stesso comma 9, infatti, superando il dibattito sopra riportato avente ad oggetto la sanzionabilità del concorrente che decide di non avvalersi del soccorso, ha stabilito che “La sanzione è dovuta esclusivamente in caso di regolarizzazione”.
L’articolo precisa, poi, che in presenza di irregolarità formali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non essenziali, la stazione appaltante ne richiede comunque la regolarizzazione, ma non applica alcuna forma di sanzione.
Il sistema della nuova disciplina, seppur “innovativamente incentrato sul concetto di sanatoria conseguente al soccorso istruttorio”, non consentirebbe, tuttavia, di interpretare in tal senso la previgente disciplina, applicabile tutt’oggi alle controversie pendenti al momento dell’introduzione del nuovo codice (Cons. St. sez. V, sent. 3667/2016).
Di diverso avviso, invece, è stata la stessa sezione del Consiglio di Stato, allorquando ha recentemente affermato che la disposizione sarebbe solo “apparentemente innovativa”, e che, avendo carattere interpretativo, consentirebbe “di orientare una corretta esegesi in merito alla portata e il contenuto della disciplina pregressa” (Cons. St., sez. V, sent. n. 92/2017).
Detto assunto, sarebbe “corroborato dall’identità della disposizione rispetto alla precedente formulazione, con eccezione del solo inciso virgolettato; e, ancor più, dalla circostanza che, nel silenzio della precedente disposizione sul punto, si erano delineati contrasti interpretativi”.
Con riferimento a tale contrasto interpretativo - di rilevanza non così trascurabile, a dire il vero, atteso che molte sono le controversie pendenti, cui si applica la vecchia disciplina – l’interpretazione più corretta sembra essere la seconda.
Come sottolineato dal Collegio nella sentenza da ultimo citata, infatti, detta soluzione si pone “in linea con il principio di proporzionalità, in quanto evita l’applicazione di una misura volta a colpire, anche in assenza di colpa, la mera condotta violativa di obblighi formali e documentali”.
4. L’intervento del correttivo: approdo alla gratuità
Alla luce di un’attenta analisi dell’art. 83, così come formulato inizialmente all’interno del codice, era possibile affermare che l’esclusione, tralasciando le irregolarità non sanabili - ovverosia, “le carenze della documentazione che non consentono l'individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa”, nonchè quelle concernenti l’offerta – sarebbe stata limitata alla presenza di irregolarità (essenziali, formali, o non essenziali) sanabili, ma non sanate entro il termine individuato dalla stazione appaltante (comunque non superiore a dieci giorni) e alla mancata allegazione della prova dell’avvenuto pagamento della sanzione.
A dette cause escludenti, tuttavia, si sarebbero aggiunte necessariamente la carenza originaria del requisito di qualificazione, la falsità della dichiarazione già resa nella gara e le irregolarità che concernono la segretezza dell’offerta, non richiamate dall’art. 83.
Nei restanti casi, ove il concorrente avesse voluto regolarizzare la propria posizione, si sarebbe applicata la sanzione pecuniaria di 5.000 Euro.
Il legislatore codicistico, pertanto, nel tentativo di bilanciare i parzialmente antitetici principi dell’autoresponsabilità e del favor partecipationis, attraverso l’ulteriore limitazione delle cause di esclusione, la riduzione della sanzione pecuniaria e la sua non applicabilità al concorrente che non regolarizza la propria posizione, aveva inizialmente compresso il primo in favore del secondo, attenuando sensibilmente il carattere sanzionatorio dell’istituto.
Il nuovo codice avrebbe così perso l’occasione di rendere il soccorso istruttorio gratuito.
Tale scelta appariva criticabile, sotto doversi punti di vista.
Anzitutto, perché l’esclusione della sanzione pecuniaria, si sarebbe posta in linea con quanto prescritto dalla direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici che, nè al considerando n.84, nè agli artt. 56, comma 3, e 59, paragrafo 4, subordina l’utilizzo del soccorso istruttorio al pagamento di una sanzione pecuniaria, ma soltanto al rispetto dei principi di parità di trattamento e trasparenza.
Si noti, peraltro, che il mancato recepimento dell’indirizzo contenuto nella direttiva richiamata sarebbe potuto risolversi finanche in una violazione del c.d. divieto di “goldplating”, (recepito in Italia con l’art. 32, comma 1, lett. c) della L. 234/2012), che non consente agli Stati membri di introdurre oneri aggiuntivi rispetto a quelli già prescritti a livello comunitario.
In secondo luogo, perché la totale gratuità del soccorso è stata auspicata anche dal legislatore delegante (art. 1, comma 1, lett. z) della Legge delega n. 11/2016) e dal Consiglio di Stato (Parere n. 855/2016 – art. 83).
Infine, perché appare la soluzione la più rispettosa dei principi di disparità di trattamento e di libera concorrenza, oltre che la più ragionevole.
Ebbene, a distanza di un anno dall’emanazione del nuovo codice, il legislatore è intervenuto nuovamente nella materia degli appalti pubblici, e, almeno per ciò che concerne il soccorso istruttorio, lo ha fatto entrando “a gamba tesa”, disponendone la gratuità.
Per quel che qui rileva, l’art.52 del D.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 recante “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50” (c.d. Decreto correttivo) ha sostituito il comma 9 dell’art. 89 con il seguente: “Le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda possono essere sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio di cui al presente comma. In particolare, in caso di mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo di cui all'articolo 85, con esclusione di quelle afferenti all'offerta economica e all'offerta tecnica, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine non superiore a dieci giorni, perchè siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. In caso di inutile decorso del termine di regolarizzazione, il concorrente è escluso dalla gara. Costituiscono irregolarità essenziali non sanabili le carenze della documentazione che non consentono l'individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa.”.
La modifica proposta in relazione al comma 9 ha dato una nuova forma al soccorso istruttorio, agendo, fondamentalmente su due aspetti essenziali della disciplina: la soppressione di ogni onere economico per la regolarizzazione della documentazione e la ridefinizione dell’ambito entro cui è ammesso il soccorso istruttorio.
Le valutazioni fatte sopra sul bilanciamento tra principio di autoresponsabilità e favor partecipations sono evidentemente differenti a seguito della lettura del nuovo comma 9.
Ed infatti, anche il legislatore delegato ha necessariamente dovuto prendere atto della parziale e criticabile innovatività della formulazione adottata con il nuovo codice, nonché della sua dubbia conformità ai principi comunitari e della legge delega.
Non a caso, la relazione illustrativa al decreto correttivo, come auspicabile, ha evidenziato che la modifica dell’istituto è stata finalizzata ad evitare ogni possibile contrasto con la disciplina comunitaria, che, come accennato sopra, non consentirebbe il soccorso istruttorio a pagamento.
La gratuità del soccorso, insomma, sembra la soluzione giuridicamente e sistematicamente più corretta.
Allo stesso tempo, però, la scelta dell’assenza di sanzioni economiche comporta l’assenza di deterrenti significativi per i partecipanti.
È proprio per questo che il Consiglio di Stato, nel proprio parere al correttivo, nel riconoscere che “la previsione di un ragionevole contributo imposto all’operatore economico si porrebbe in contrasto con il diritto dell’Unione europea”, ha comunque sottolineato che “a fronte dell’ampio perimetro di operatività del soccorso istruttorio, è ragionevole far gravare sul concorrente che vi ha dato causa, se non una sanzione, quanto meno le spese sostenute dalla stazione appaltante (e in ultima analisi dalla collettività) derivanti dall’aggravio procedimentale e dalla dilatazione dei tempi necessari per realizzare la prescritta integrazione documentale”[3].
Ed in effetti l’eliminazione delle sanzioni potrebbe incentivare l’adozione di comportamenti disattenti, negligenti e “poco virtuosi” da parte degli operatori, “con il rischio di un ulteriore allungamento delle procedure”[4].
Sicché, ad avviso del Consiglio di Stato, “a tal fine è necessario e quanto mai auspicabile un intervento legislativo primario, non sembrandovi essere adeguato spazio nell’ambito dell’esercizio della delega”[5].
5. Conclusioni
Le difficoltà affrontate dal legislatore nel disciplinare in modo chiaro e definitivo un istituto come il soccorso istruttorio, che assume un rilievo centrale per un efficiente svolgimento della procedura di gara, anche in funzione di prevenzione del contenzioso, devono indurre alla riflessione.
Anzitutto, perché dopo la lunga gestazione necessaria per arrivare all’emanazione del nuovo codice, un istituto così importante è stato praticamente rivoluzionato nei suoi principi, dopo appena un anno, nonostante la chiarezza e l’univocità degli indirizzi forniti dal legislatore comunitario e dal Consiglio di Stato.
In secondo luogo, perché l’assenza di di chiare linee direttrici, in un panorama normativo già estremamente caotico e nebuloso come quello della legislazione in materia di appalti pubblici, non fa altro che acuire l’incertezza nella comprensione e nell’applicazione delle norme.
In terzo luogo, perché nonostante la riscrittura, la soluzione adottata non è ancora pienamente soddisfacente.
A tal proposito, si deve anzitutto sottolineare come il legislatore abbia perso l’occasione dedicare un articolo apposito al soccorso istruttorio, nonostante detta necessità fosse stata chiaramente prospettata dal Consiglio di Stato in sede consultiva (vd. Parere n. 855 del 2016 – art. 83).
L’art. 83, infatti, attuando le previsioni di cui all’art. 58 della direttiva 2014/24/UE e individuando, in generale, le modalità di carattere oggettivo attraverso le quali le stazioni appaltanti possono procedere a una selezione quantitativa del numero dei partecipanti, risulta visibilmente eterogeneo.
A questo si aggiunga che la totale assenza di sanzioni economiche potrebbe risolversi in un incentivo rispetto a comportamenti negligenti da parte degli operatori, non essendo stata individuata alcuno strumento deterrente alternativo.
Con riferimento a ciò, il Consiglio di Stato, nel sottolineare l’esigenza di sopperire all’assenza di un diverso contrappeso sanzionatorio, ha evidenziato come, nelle more di un (ulteriore) intervento legislativo, “una possibile soluzione a diritto vigente potrebbe essere quella di considerare la non necessità di ricorso alla procedura di soccorso istruttorio un indizio della virtuosità dell’impresa, e dunque un elemento valutabile ai fini del rating di impresa”[6].
Questa però, allo stato, non è che una proposta del Supremo Consesso.
Sicchè, forse più di quanto accade solitamente, bisognerà attendere la concreta applicazione del nuovo istituto prima di poter formulare dei giudizi definitivi in merito alle scelte operate dal legislatore.
Da un lato, perché, nel dubbio, è lecito sperare nella buona fede degli operatori, che potrebbero comportarsi diligentemente pur in assenza di forme di sanzione pecuniaria.
Dall’altro perché, allo stato, visto il deficit sanzionatorio segnalato anche dal Consiglio di Stato, non è escluso un nuovo intervento normativo.
[1] Per una più ampia disamina dei risvolti applicativi dell’istituto alla luce del nuovo codice, si veda CIPRIANO L., “Il nuovo volto del soccorso istruttorio”, www.italiappalti.it.
[2] CIPRIANO L., op. cit.
[3] CDS, Adunanza della Commissione speciale del 22 marzo 2017, Num. Aff. 00432/2017.
[4] CDS, Ad. ult. cit.
[5] CDS, Ad. ult. cit.
[6] CDS, Ad. ult. cit.