TAR Lazio, 21 aprile 2016, n. 4613 e 22 aprile 2016, n. 4663
Se si dovesse sintetizzare l’evoluzione della normativa sul procedimento amministrativo a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso sarebbe possibile caratterizzarla per il riequilibrio del rapporto tra cittadino e amministrazione.
Questo rapporto, segnato tradizionalmente dalla supremazia dell’amministrazione, è infatti divenuto sempre più dialettico; la posizione del cittadino non è infatti, come prima, subordinata a priori all’esercizio del potere amministrativo ma deve essere adeguatamente ponderata nel quadro dell’azione amministrativa a tutela degli interessi pubblici.
Questo nuovo indirizzo ha inciso, tra l’altro, sulla potestà dell’autotutela decisoria con cui l’amministrazione interviene su provvedimenti già adottati per garantirne la legittimità (annullamento d’ufficio) o la rispondenza all’interesse pubblico (revoca).
La normativa sull’annullamento d’ufficio è in questo senso esemplare; l’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 ha infatti previsto, già nel testo originario, che per poter annullare un provvedimento illegittimo l’amministrazione deve verificare la sussistenza delle ragioni di interesse pubblico tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati; non è sufficiente perciò che il provvedimento sia inficiato all’origine dal vizio, pur radicale, dell’illegittimità, poiché l’amministrazione deve dimostrare di aver considerato non soltanto l’interesse pubblico attuale ad annullarlo ma anche gli effetti che l’azione amministrativa ha prodotto nel frattempo nella sfera giuridica dei cittadini.
Questi infatti, se sono in buona fede perché ignari del vizio del provvedimento, hanno maturato un legittimo affidamento alla stabilità dell’azione amministrativa ritenendola fondata su un’istruttoria adeguata quanto alla legittimità dell’atto e alla sua incidenza sulle posizioni giuridiche interessate; ciò che ha motivato l’ulteriore previsione dell’art. 21-nonies per cui l’annullamento deve comunque essere deciso entro un termine “ragionevole” .
Questo parametro, della “ragionevolezza” del termine di adozione del provvedimento di secondo grado, è parso però oggi al legislatore, evidentemente, troppo generico, inidoneo cioè ad assicurare al cittadino la necessaria certezza sui tempi della possibile ulteriore decisione dell’amministrazione; fermo quindi che il termine deve essere <<ragionevole>>, è stato precisato che deve essere comunque <<non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20>> (art. 21 nonies cit. come modificato dall’art. 6 della legge n. 124 del 2015).
In questo quadro vanno lette due recenti pronunce del TAR per il Lazio (21 aprile 2016, n. 4613 e 22 aprile 2016, n. 4663), in cui il Tribunale ha affermato alcuni principi di diretta rilevanza per l’operato del GSE, quale ente terzo deputato ad una valutazione tecnica ed obiettiva dei meccanismi d’incentivazione.
Nel rigettare il ricorso, mosso sulla contestazione al Gestore di aver adottato un provvedimento in autotutela di secondo grado in difetto di tutte le condizioni di legittimità dell’annullamento d’ufficio, come la motivazione sull’attualità dell’interesse pubblico, nonché per la mancata considerazione del tempo trascorso in relazione all’affidamento maturato, il giudice ha infatti chiarito, con la prima sentenza, che l’intervento del GSE con cui si annullano benefici dapprima concessi, a seguito della verifica di difformità, non rientra nella fattispecie dell’annullamento in autotutela ex art. 21-nonies, “perché non consiste nel riesame di una determinazione precedentemente assunta in riferimento ad una illegittimità coeva all’adozione dell’atto”.
Ciò poiché la normativa stessa qualifica l’atto in termini di decadenza dal beneficio a seguito dell’attività di verifica, che è una fase fisiologica del procedimento a valle del provvedimento di ammissione (artt. 42 d.lgs. n. 28/2011 e 11 D.M. 05/09/2011), precisando il TAR che il riconoscimento dei benefici è da qualificare come “fattispecie a formazione progressiva in cui l’attività di verifica rappresenta il contenuto di una fase del tutto ordinaria e normale”; fase questa autonoma, non di revisione né di riesame, ma di esercizio di uno specifico potere di accertamento sostanziale che completa il procedimento finalizzato al riconoscimento dell’incentivazione e non è riferibile perciò alla funzione dell’autotutela.
Ne consegue, afferma il giudice, che non è pertinente, nella specie, la censura riferita all’art. 21-nonies come parametro di legittimità, non potendosi perciò apprezzare l’asserita mancata considerazione delle ragioni di interesse pubblico, del periodo di tempo trascorso e del relativo affidamento che si sarebbe così formato.
Il TAR per il Lazio ha altresì deciso, con la seconda sentenza, una controversia di carattere analogo, relativa all’annullamento del beneficio (maggiorazione del 10% della componente incentivante di cui all’art. 14, comma 1, lettera d), del D.M. 5/5/2011) cui il Gestore ha provveduto in data 3 ottobre 2014, a diciannove mesi dall’accoglimento della domanda di ammissione all’incentivo.
La pronuncia è anche in questo caso di specifico interesse poiché il giudice, nel richiamare la nuova normativa dell’art. 6 della legge n. 124/2015, appare anzitutto qualificare gli artt. 23 e 42 del d.lgs. n. 28/2011 quale normativa speciale, che si potrebbe perciò ritenere prevalente su quella generale, pur poi affermando che il nuovo limite dei 18 mesi non trova comunque applicazione nel caso di specie ratione temporis.
Ma di ulteriore e particolare importanza è l’affermazione della sentenza della peculiarità dell’annullamento in autotutela quando si tratti di contributi pubblici “la cui indebita erogazione determina un danno che non necessita di ulteriori specificazioni”, poiché “non vi sono deroghe”, precisa il giudice, “al mantenimento di rapporti contra legem che determinino esborsi indebiti di denaro pubblico.”, cosicché “Per l’annullamento in autotutela di un provvedimento, non si richiede una specifica e puntuale motivazione ove l’interesse all’attività di autotutela consista nell’evitare l’esborso di denaro pubblico” (la sussistenza e prevalenza in re ipsa dell’interesse pubblico, quando vi sia indebita erogazione di benefici economici a danno delle finanze pubbliche, sono sancite da giurisprudenza costante; oltre Cons. Stato, sez. III, n. 6322/2014, citata dal TAR, si veda anche Cons. Stato: sez. VI n. 3254/2016, n. 5486/2015; sez. V, n. 5772/2012).
I principi così affermati sono stati da ultimo ribaditi dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 3032 del 2016, di rigetto dell’appello avverso la sentenza del Tar per la Lombardia n. 2792 del 2013, rispetto, in particolare, alla tematica dell’autotutela sopra richiamata.
Con la sentenza di primo grado era stata respinta l’impugnazione del provvedimento di recupero degli importi di cui alla convenzione CIP 6/92, per un impianto di produzione di energia elettrica alimentato a biogas, adottato dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas all’esito dei provvedimenti di verifica del GSE del mancato avvio dell’esercizio entro il prescritto termine del 1° luglio 2003 (provvedimenti anche impugnati).
Il Consiglio di Stato, confermando le argomentazioni del primo giudice, ha chiarito che in concreto non era stato esercitato un potere espressivo della funzione di autotutela; questo infatti si ha quando l’autorità amministrativa abbia gli stessi poteri e competenze dell’organo che ha attivato il procedimento di primo grado mentre, nella specie, l’Autorità (con avvalimento allo scopo del GSE) ha esercitato in posizione di terzietà e autonomia una diversa e specifica funzione, quella cioè di vigilanza per la verifica del conseguimento da parte da parte del soggetto vigilato delle finalità indicate dalla legge, non sussistendo, di conseguenza, le asserite violazioni dell’art. 21-nonies.
Non possono perciò essere accolte, prosegue il giudice di appello, la censura di lesione del legittimo affidamento, non trattandosi appunto di revocare i benefici concessi per ragioni diverse dalla vigilanza, né quella sull’asserita tardività dell’adozione dei provvedimenti impugnati (riguardanti, si era dedotto, eventi accertati anni prima) poiché il potere di vigilanza può essere esercitato “per sua natura” in qualsiasi momento dell’attività vigilata.
Quanto affermato dalle sentenze richiamate appare, si diceva, di particolare rilievo per il GSE, poiché vi si indicano due principi convergenti a individuare la specificità propria dell’attività di incentivazione che è al centro della sua missione istituzionale.
Il procedimento di supporto all’incremento delle energie rinnovabili con l’impiego di fondi pubblici risulta infatti caratterizzato, secondo la giurisprudenza, dalla necessità del controllo sull’uso corretto delle risorse; ne consegue, da un lato, che la verifica di difformità, con l’annullamento dei benefici, è parte costitutiva del medesimo procedimento di assegnazione degli incentivi e non di uno successivo, di secondo grado, eventuale e subordinato a condizioni ulteriori rispetto all’esito della verifica, dall’altro, che il provvedimento di annullamento, anche se adottato in autotutela, è di per sé motivato dall’accertato esborso indebito di denaro pubblico, senza la necessità di esporre ulteriori presupposti di fatto e ragioni di diritto.
E’ un procedimento si potrebbe forse dire, atecnicamente, in qualche modo “autosufficiente”, per la sua funzione di presidio dell’uso appropriato di fondi pubblici, volti peraltro ad assicurare l’interesse primario alla tutela dell’ambiente, prezioso per l’impresa beneficiaria, per gli stessi cittadini che vi operano e per l’intera comunità.
Questa specificità del procedimento resta inquadrata, ovviamente, nel contesto dei principi e delle disposizioni della legge n. 241 del 1990 che, ai sensi dell’art. 29 della stessa, si applicano al GSE quando eserciti funzioni amministrative; ciò che, in coerenza con la diversa modalità del rapporto tra amministrazione e cittadino di cui si è detto all’inizio, conferma l’impegno della Società ad una relazione con le imprese fondata sul pieno rispetto dei ruoli e su un’azione amministrativa informata alla massima correttezza e trasparenza.