Sommario: 1. Profili introduttivi: genesi del fenomeno in house e requisiti costitutivi – 2. Il requisito dell’iscrizione nell’elenco di cui all’art. 192 d.lgs 50/2016: natura giuridica, funzione ed effetti  – 3. Diniego dell’ANAC: conseguenze e tutela giurisdizionale – 4 Note conclusive.

1. Profili introduttivi: genesi del fenomeno in house e requisiti costitutivi

L’affidamento in house rappresenta una modalità attraverso la quale una Pubblica Amministrazione si avvale di soggetti sottoposti al suo controllo al fine di erogare prestazioni di pubblico servizio ovvero reperire determinati beni e servizi. Rappresenta una modalità di tipo alternativo rispetto alla disciplina comunitaria in materia di appalti e servizi pubblici e si sostanzia in un modello organizzatorio attraverso il quale la P.A. reperisce prestazioni al proprio interno, servendosi di un ente strumentale, caratterizzato da alterità rispetto alla P.A. dal punto di vista formale, ma non anche dal punto di vista sostanziale.  Il fenomeno in house riguarda infatti ipotesi in cui manca un rapporto intersoggettivo formale e sostanziale, essendo di contro il soggetto affidatario un tutt’uno con la P.A. che procede all’affidamento diretto. L’istituto nasce come figura da contrapporre alle due principali forme di esternalizzazione: la concessione e l’appalto. Con la prima la P.A. affida al concessionario, tramite provvedimento amministrativo, l’esecuzione di attività da svolgere in favore della collettività, prevedendo come corrispettivo a favore del concessionario il prezzo pagato dagli utenti per la prestazione resa. Con l’appalto invece l’amministrazione, mediante procedura di affidamento, affida al terzo la produzione di beni e servizi dietro pagamento di un corrispettivo. Per la concessione e l’appalto non è mai possibile procedere ad affidamento diretto, a differenza dell’ in house, in quanto entrambi si caratterizzano per un’alterità e terzietà non solo formale, ma anche sostanziale, con la P.A. affidante. L’ in house ha cercato di coniugare il principio di concorrenza con quello c.d. di autorganizzazione, per effetto del quale l’amministrazione, piuttosto che esternalizzare attività, può attendervi in proprio. L’istituto nasce dunque come fenomeno derogatorio al generale principio di concorrenza che impone l’obbligo di espletare gare. La ratio deve esser rinvenuta nella necessità di autoproduzione, espressione dell’autonomia organizzativa, intesa come alternativa di mercato all’esternalizzazione. Tale eventualità non pone problemi nel caso in cui all’espletamento delle attività sia deputato un ufficio, una direzione, un dipartimento, un servizio tecnico o una struttura organicamente inserita all’interno dell’ente stesso. Il problema sorge invece nel caso in cui l’affidamento sia diretto ad un soggetto societario formalmente distinto dall’ente. In questo caso occorre distinguere, al fine di tutelare in maniera adeguata la concorrenza e il mercato, quando l’ente cui si vuole affidare in maniera diretta l’esecuzione dell’attività, possa ritenersi una proiezione organizzativa dell’ente affidante o meno. La Corte di Giustizia ha proceduto a delineare i contorni dell’istituto, enucleando i requisiti in vista dei quali viene meno l’obbligatorietà della procedura di evidenza pubblica. Solo al ricorrere di tali requisiti può ritenersi che non vi sia dualità soggettiva tra ente affidante ed ente in house, configurandosi al contrario l’ente in house come longa manus dell’amministrazione. In tale caso si darebbe luogo ad autoproduzione e autorganizzazione e non ad out-sourcing.

L’avvento del nuovo Codice Appalti[1] in materia di affidamenti in house ricalca sostanzialmente quanto previsto dalle direttive europee[2] con riferimento ai requisiti previsti.

In particolare, l’art. 5 del Codice, individua i presupposti al ricorrere dei quali gli affidamenti effettuati da un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore ad una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato  (c.d. in house classico) sono sottratti all’applicazione delle norme del Codice. Tali  presupposti ricorrono allorquando:

a) l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;

b) oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi;

c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

Le disposizioni del Codice vanno coordinate con le previsioni del d.lgs. 175/2016 – Testo unico sulle società partecipate. Tale normativa ha come finalità la razionalizzazione del sistema delle partecipazioni pubbliche, in un’ottica di riduzione della spesa pubblica e della promozione di adeguati livelli di pubblicità e trasparenza. In particolare, l’art. 4 individua le finalità perseguibili mediante l’acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche e l’art. 16 reca la disciplina delle società in house. Le stesse finalità di pubblicità e trasparenza sono perseguite attraverso l’art. 192 d.lgs. 50/2016, il quale prevede l’istituzione presso l’ANAC dell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti a proprie società in house. L’art. 192 espressamente prevede che l’elenco è istituito «anche al fine di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici». L’Autorità definisce poi con proprio atto le modalità e i criteri per l’iscrizione.

 

2. Il requisito dell’iscrizione nell’elenco di cui all’art. 192 dlgs 50/2016: natura giuridica, funzione ed effetti

La disciplina degli affidamenti in house è contenuta, come precedentemente anticipato,  anche nella Parte IV dedicata al partenariato pubblico privato e, in particolare, nel Titolo II, all’art. 192. Tale previsione impone degli oneri ulteriori al fine di poter procedere ad affidamenti diretti, i quali oneri sarebbero integrati dall’adozione di adeguate forme di pubblicità e trasparenza e dal rispetto di principi di economicità ed efficienza. Con riferimento a questi ultimi si richiede che l’amministrazione aggiudicatrice valuti la congruità dell’offerta del soggetto in house qualora i beni da essa richiesti siano disponibili anche sul mercato. In relazione agli oneri di pubblicità e trasparenza si richiede la pubblicazione degli atti connessi all'affidamento diretto nonché l’iscrizione nell’elenco, istituito presso l’ANAC, delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house.  È previsto che l’iscrizione avvenga a domanda, a seguito della verifica della sussistenza dei requisiti che giustificano l’affidamento in house, da effettuarsi secondo modalità e criteri definiti dall’Autorità. La norma aggiunge altresì che la «domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sotto la propria responsabilità, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all’ente strumentale».

Il potere di dettare disposizioni vincolanti sulla tenuta dell’elenco di cui è stato investito l’ANAC ex art. 192, co. 1, si caratterizza per essere un potere che non sfocia nell’adozione di regolamenti in senso proprio, ma di atti di portata generale e con efficacia vincolante, dunque sottoposti alle garanzie procedimentali e impugnabili in sede giurisdizionale ex art. 120 cpa.

In attuazione del richiamato art. 192, l’Autorità ha elaborato le Linee guida inerenti l’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti. Attraverso le stesse è stato definito l’ambito soggettivo di riferimento della previsione normativa e sono state individuate le modalità per la presentazione della domanda e l’avvio del procedimento, i soggetti legittimati a richiedere l’iscrizione, le regole dell’istruttoria, nonché la documentazione da produrre al fine di comprovare il possesso dei requisiti di legge. Le Linee guida hanno ad oggetto i soli requisiti “soggettivi” dell’in house e non le regole di trasparenza dei singoli affidamenti, previsti dai commi 2 e 3 dell’art. 192, quali: l’onere per le stazioni appaltanti di motivare le ragione del mancato ricorso al mercato, l’obbligo di pubblicazione e aggiornamento di tutti gli atti connessi all’affidamento,  in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.

Ci si è interrogati in merito alla valenza del requisito dell’iscrizione ex art. 192.

Secondo una prima impostazione il legislatore con tale previsione avrebbe inteso inserire un terzo ed ulteriore requisito sostanziale rispetto a quelli previsti. L’onere aggiuntivo inserito dal legislatore mostrerebbe l’atteggiamento di diffidenza da parte dell’ordinamento nazionale nei confronti degli affidamenti diretti, in quanto possibile minaccia per la concorrenza e per il mercato. L’iscrizione assumerebbe dunque efficacia abilitante con funzione di accertamento costitutivo, ovvero atto amministrativo con cui si riscontrano i requisiti previsti ex art. 5 d.lgs 50/2016. L’efficacia costitutiva avrebbe come pendant quello dell’impossibilità di fare affidamenti diretti sino al momento dell’avvenuta iscrizione, frutto dell’esito positivo susseguente al vaglio dei requisiti. La tesi costitutiva va tuttavia incontro ad una serie di obiezioni non facilmente superabili. In primo luogo si osserva come la collocazione della norma sia indicativa. Essa infatti sarebbe contenuta in un ambito diverso da quello deputato a delineare i requisiti sostanziali dell’in house, quale quello dell’art. 5, considerato norma di portata generale e “auto-sufficiente”. Tale affermazione troverebbe conferma anche nell’art. 16 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 [3] che, nel fissare i requisiti sostanziali di tale modello alternativo all’esternalizzazione, non contempla il profilo pubblicitario. Ulteriore elemento sarebbe rappresentato dall’incompatibilità con i criteri direttivi per il recepimento delle direttive comunitarie, i quali esprimono il divieto di introdurre ulteriori oneri costitutivi rispetto a quelli previsti dalle direttive medesime. Viene infine in rilievo il dato emergente dalla bozza originaria della norma in cui era previsto che l’affidamento diretto potesse esser reso solo a seguito dell’iscrizione. Tale  norma non è stata trasposta nella versione definitiva, nella quale invece si prevede che l’ente possa affidare anche sulla base della sola domanda. Sarebbe dunque irragionevole paralizzare l’affidamento diretto nelle more della procedura pubblicitaria.

Alla luce di tali rilievi, una seconda impostazione ha affermato quindi come l’iscrizione sia stata prevista unicamente per ragioni di trasparenza e pubblicità. Rappresenterebbe una forma di pubblicità notizia gestita in via amministrativa dall’ANAC, con mera funzione di controllo esterno del mercato. Anche questa interpretazione tuttavia non pare in linea anzitutto con il tenore letterale della norma. L’art.192 statuisce che l’iscrizione sarebbe disposta “anche al fine di garantire livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici”, emergendo cosi come la funzione pubblicitaria non sia l’unica funzione. La stessa disposizione evidenzia poi come possano essere fatti affidamenti diretti dopo la sola domanda e sotto la propria responsabilità, e che anche per questi affidamenti debbano essere verificati i requisiti di cui all’art. 5.

Al fine di rendere un’interpretazione della norma che sia compatibile con il meccanismo di autoproduzione delle P.A., sottoposto ai soli requisiti sostanziali previsti per legge, è necessario accedere ad un terzo orientamento. La domanda d’iscrizione non riveste la funzione di atto di iniziativa procedimentale volto ad ottenere un titolo abilitativo. Essa di contro avrebbe una duplice funzione. In primo luogo consentirebbe ex se di porre in essere affidamenti diretti senza necessitare di un’autorizzazione preventiva dell’Autorità, seguendo uno schema procedimentale simile a quello previsto ex art. 19 L. 241/1990. In secondo luogo avrebbe la funzione di attivare il controllo ad opera dell’ANAC circa la sussistenza dei requisiti di legge. La domanda di iscrizione consente di per sé all’amministrazione di procedere “sotto la propria responsabilità”[4] all’affidamento senza gara, non essendo previsto che l’Autorità adotti un provvedimento di iscrizione. L’esito positivo del controllo, in armonia con la duplice funzione sopra descritta, darebbe luogo ad un mero riscontro dei requisiti, non anche ad un consenso, a causa dell’assenza di un regime autorizzatorio. Solo in caso di esito negativo l’Autorità potrebbe dar luogo ad un atto di accertamento negativo dei presupposti, equiparabile al provvedimento inibitorio ex art. 19 L.241/90. Alla luce di tale ricostruzione, la richiesta di iscrizione già abilita l’ente a porre in essere un affidamento diretto. La successiva iscrizione avrebbe quindi la funzione di render certo l’affidamento, non anche quella di attribuire una prerogativa, già assunta con la semplice domanda[5].

3. Diniego dell’ANAC: conseguenze e tutela giurisdizionale

È stato precedentemente affermato come esito eventuale del controllo dell’ANAC, innescato ad opera della domanda di iscrizione, sia il diniego di iscrizione. Solo il diniego rappresenterebbe provvedimento amministrativo, qualificabile come atto di accertamento negativo dei presupposti, non anche come rigetto dell’istanza di iscrizione. Tale diniego sarebbe equiparabile al provvedimento frutto dell’ esercizio del potere inibitorio-repressivo del citato art. 19 della legge 241/1990. La conseguenza di un simile esito è quello di rendere le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori incapaci di procedere per il futuro ad affidamenti diretti, così sortendo un effetto autoritativo di tipo ablatorio, poiché comporta una deminutio delle facoltà dell’amministrazione[6].

Il provvedimento finale di accertamento negativo dei requisiti è comunicato al soggetto istante e indica i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione. Avverso il provvedimento di rigetto dell’iscrizione, viene accordata tutela giurisdizionale nel caso in cui l’amministrazione insista nell’affermare la legittimità del proprio operato. Si prevede che lo stesso possa esser impugnato ad opera dell’amministrazione che vanta un interesse oppositivo relativo alla propria libertà di autorganizzazione. Le Linee guida stabiliscono infatti che il provvedimento di diniego “indica, altresì, il termine e la possibilità di impugnazione innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa”. In caso di impugnazione del diniego, la questione relativa alla legittimità dello stesso è pregiudiziale rispetto alla legittimità dell’affidamento, in ipotesi di contemporanea impugnazione, da parte di un’impresa terza, dell’affidamento diretto. 

Qualora l’amministrazione decida di non procedere ad impugnare il diniego, la stessa deve conformarsi ad esso. In assenza di una norma legittimante, deve ritenersi come l’effetto del diniego sugli affidamenti già effettuati, abbia efficacia viziante e non caducante, in armonia con i principi comunitari di legittimo affidamento e sécurité juridique. Il punto 8.8. delle Linee guida prevedeva che, dalla data di cancellazione dall’elenco, “i contratti già aggiudicati devono essere revocati e affidati con le procedure di evidenza pubblica previste dal Codice. La continuità del servizio può essere garantita disponendo che, nelle more dello svolgimento delle procedure di gara, l’esecuzione del contratto prosegua da parte dell’organismo controllato”. Come precedentemente evidenziato, in assenza di adeguata copertura legislativa, l’ANAC non gode di un diretto potere di annullamento o di revoca dell’affidamento e dei contratti già stipulati. È, al contrario, titolare di un potere di raccomandazione nei confronti della pubblica amministrazione che lo abbia adottato, finalizzato alla rimozione dello stesso. Accogliendo quanto osservato sul punto dal Consiglio di Stato, l’ANAC ha previsto che  “per i contratti già aggiudicati mediante il modulo dell’in house providing l’Autorità può esercitare il potere di raccomandazione vincolante di cui all’art. 211, comma 2, del d.lgs. 50/2016”.  Il Consiglio di Stato ha esaminato l’istituto della raccomandazione vincolante nel parere relativo allo schema di regolamento in materia di attività di vigilanza sui contratti pubblici[7] e in quello relativo alla bozza del nuovo Codice degli appalti[8], sottolineando la necessità di una riformulazione in termini di vigilanza collaborativa. In assenza di espressa previsione normativa, tale da legittimare una forma di autotutela sostitutiva in capo all’ANAC, occorre evidenziare come l’amministrazione affidante rimanga l’unica titolare del potere di autotutela. Tale autotutela sarebbe tuttavia connotata da profili di eccentricità in quanto esercitata “doverosamente”, a fronte di un ordine dell’Autorità. Non possono non esser adombrati i punti di attrito di tale previsione con il carattere discrezionale del potere di autotutela, non solo dal punto di vista contenutistico ma anche relativamente all’an del procedere. In caso di mancata rimozione dell’affidamento, la conseguente sanzione irrogata dall’ANAC ex art. 211 finirebbe per sanzionare il rifiuto di autotutela. 

Per quanto riguarda la sorte del contratto, la stessa resta disciplinata dalle apposite norme in tema di risoluzione, recesso e inefficacia previste dal Codice.

In merito agli affidamenti già effettuati e non rimossi, deve dirsi come gli stessi siano tacciati da profili di illegittimità sopravvenuta e dunque autonomamente impugnabili. La legittimità che li caratterizzava al momento delle loro adozione, successivamente alla richiesta di iscrizione, viene retroattivamente meno a causa del diniego opposto dall’ANAC.

Per quanto concerne invece l’esecuzione di affidamenti diretti posti in essere successivamente al diniego ed in violazione dello stesso, questi ultimi devono essere qualificati come illegittimi sin dalla loro adozione. Il diniego non rispettato introduce infatti la violazione dell’art. 192 e dunque rende i relativi affidamenti annullabili per violazione di legge.

4. Note conclusive

La proposta di Linee guida adottata dall’ANAC in attuazione dell’art.192 d.lgs. 50/2016, regolante il regime speciale degli affidamenti in house, la cui disciplina è contenuta negli artt. 5 e 192 d.lgs. 50/2016, nonché nel d.lgs. 175/2016, è stata oggetto di recente parere del Consiglio di Stato. Con atto n. 282/2017 del 1/2/2017 (affare n. 1/2017) il Consiglio di Stato ha reso il parere sullo schema di Linee guida. Nella redazione del testo finale dell’atto l’Autorità ha recepito le osservazioni formulate dal Supremo Consesso.

È opportuno dunque trarre le prime conclusioni in ordine al regime entro cui dovrà operare l’affidamento in house.

Al fine di porre in essere l’affidamento diretto l’amministrazione deve procedere preventivamente ad inoltrare la domanda di iscrizione nell’elenco istituito presso l’ANAC. Entro 30 giorni dalla data di presentazione della domanda è avviato il procedimento per l’accertamento dei requisiti di iscrizione. Il termine per la conclusione del procedimento è di 90 giorni decorrenti dall’avvio dello stesso. Resta fermo che la domanda di iscrizione già consente al richiedente di effettuare sotto la propria responsabilità affidamenti diretti dei contratti all’organismo in house. Nel caso in cui si accerti la carenza dei requisiti richiesti, l’Autorità comunica al soggetto richiedente le risultanze istruttorie, “indicando gli elementi ritenuti carenti e invitando lo stesso a far pervenire eventuali controdeduzioni e/o documentazione integrativa”[9], dando così avvio al procedimento in contraddittorio con il richiedente. Nel caso in cui l’amministrazione ritenga sussistente la legittimità del proprio operato, potrà impugnare il diniego innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa.

 Deve ritenersi come l’effetto del diniego sugli affidamenti già effettuati, abbia efficacia viziante e non caducante, innescando l’esercizio di poteri inibitori da parte dell’ANAC. L’art. 211, comma 2, del d.lgs. 50/2016 infatti autorizzerebbe l’Autorità ad emettere un atto di raccomandazione vincolante nei confronti del soggetto istante, mediante il quale invitare lo stesso ad agire in autotutela per rimuovere l’affidamento diretto, illegittimamente posto in essere. Il mancato adeguamento, entro il termine fissato, della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante, è punito con l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.  

Il Consiglio di Stato nel parere reso sull’attività di vigilanza [10] ha evidenziato come l’efficacia in concreto del meccanismo sia dubbia, anche in considerazione della incerta forza dissuasiva della sanzione pecuniaria. Non si esclude infatti che la stazione appaltante possa sottrarsi alla raccomandazione. Ciò in quanto, oltre ad impugnare la raccomandazione vincolante, potrebbe rimanere inerte oppure confermare l’aggiudicazione ritenuta illegittima, preferendo andare incontro alle sanzioni suddette.

 Non potrebbe neanche escludersi, in via teorica, la legittimazione dell’ANAC ad agire in giudizio contro il silenzio serbato dall’amministrazione nei confronti della raccomandazione vincolante o contro l’eventuale provvedimento di diniego di autotutela. Si tratterebbe di un’ipotesi in cui la stessa ANAC scelga di contrastare in sede giurisdizionale le condotte elusive o violative delle sue raccomandazioni, al fine di evitare che gli affidamenti illegittimi si consolidino definitivamente in danno dell’interesse pubblico alla trasparenza e all’anticorruzione.

Non ultimi i rilievi secondo cui il potere di raccomandazione vincolante strida con diversi principi. Anzitutto, come precedentemente evidenziato, con la natura discrezionale del potere di autotutela, resa invece doverosa con l’adozione della raccomandazione vincolante, pena l’irrogazione della sanzione. Ciò sarebbe inoltre in contrasto con il riparto di competenze riconosciuto alle singole amministrazioni. La sanzione adottata in caso di mancato esercizio del potere di autotutela da parte del soggetto istante, sarebbe inoltre contraria al principio di presunzione di legittimità degli atti amministrativi sino al loro annullamento. Alla luce di quanto osservato è stato evidenziato dal Consiglio di Stato come il potere di raccomandazione vincolante finirebbe per integrare una forma di “annullamento mascherato[11].

 

 

[1] Dlgs 50/2016

[2] Direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25 UE

[3] C.d. testo unico in materia di società pubbliche

[4] Ex art. 192 Dlgs 50/2016

[5] Tali conclusioni sono state confermate con atto n. 282/2017 del 1/2/2017 (affare n. 1/2017) del Consiglio di Stato. Nella redazione del testo finale dell’atto l’Autorità ha recepito le osservazioni formulate dal Supremo Consesso.

[6] Punto 2, atto n. 282/2017 del 1/2/2017 (affare n. 1/2017) del Consiglio di Stato.

[7] Cons. Stato, Comm. spec., n. 2777/2016.

[8] Cons. Stato, Comm. spec.,n. 855/2016.

[9] Punto 5.5, Linee guida n. 7, di attuazione del dlgs 18 aprile 2016, n. 50

[10] Cons. Stato, Comm. Spec., n.2777/2016

[11] Punto 5.5., Cons. Stato, Comm. Spec., n.2777/2016