T.A.R. Emilia Romagna, Parma, sez. I, 5 gennaio 2017, n. 7

1. Lo scopo della white list non è quello di prendere atto delle risultanze del casellario giudiziale o del certificato dei carichi pendenti, quanto piuttosto quello di selezionare imprese che risultino del tutto esenti da qualunque rischio, anche indiziariamente desunto, di infiltrazioni e/o condizionamenti da parte della criminalità organizzata. (1)

2. In ragione della peculiarità del fenomeno mafioso, la valutazione prefettizia prescinde dall’accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso e non postula la prova di fatti di reato, della effettiva infiltrazione mafiosa nell’impresa o dell’effettivo condizionamento delle scelte dell’impresa da parte di associazioni o soggetti mafiosi, essendo sufficiente il tentativo eventuale di infiltrazione, avente lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa anche senza la prova che tale scopo si sia in concreto realizzato. (2)

3. E’ legittimo il giudizio prognostico condotto dalla Prefettura sul rischio di infiltrazione mafiosa che, per respingere la richiesta di iscrizione nella cd. White List,  si fonda sulla ritenuta esposizione dell’attuale amministratore della società a condizionamento da parte di organizzazioni di tipo mafioso in ragione degli stretti legami di parentela e dagli stabili rapporti con soggetti le cui imprese sono state raggiunte da interdittive antimafia definitive e inoppugnabili. (3)

 

(1) Conformi: Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743

(2)  Conformi: Cons. Stato, sez. III, 4 settembre 2013,  n. 4414 e Cons. Stato, sez. III, 9 maggio 2016, 1849

(3) Conformi: Cons. Stato, sez. III, 10 agosto 2016, n. 3566; Cons. Stato, sez. III, 5 dicembre 2016,  n. 5121

 

Guida alla lettura

 

 

Le sentenze in esame si pongono, in maniera coerente, nel solco di una già consolidata giurisprudenza che, nei fatti, nega la sindacabilità delle valutazioni operate dalle Forze di Polizia prima e dalla Prefettura poi in relazione alla cosiddetta “moralità” (impermeabilità o meno alle infiltrazioni criminali) delle imprese.

Sul punto si può riprendere anche quanto recentemente evidenziato dal Consiglio di Stato, secondo cui “gli elementi posti a base dell’informativa antimafia possono anche essere non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione” (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4230/2016).

Ebbene, a prescindere dai casi concreti oggetto di esame giudiziale, si rileva come sulla materia si stiano consolidando delle keywords quali rischio, giudizio prognostico, prevenzione, pericolo di infiltrazione che sembrano, in una qualche misura, richiamarsi a loro volta al principio - noto in ambito ambientale e non solo - di precauzione.

Nella recente giurisprudenza, quindi, oltre al richiamo ad una ormai debolissima sindacabilità delle scelte in senso lato amministrative, si provvede ad una sorta di inversione dell’onere probatorio. Non è un organo amministrativo e/o terzo che deve provare l’immoralità, ma è il presunto “untore” che deve dimostrare la propria piena salute e bontà.

In pratica le conseguenze sono le seguenti:

1) Le Forze dell’Ordine e la Prefettura hanno il più ampio potere di emanare giudizi e valutazioni circa le cosiddette “contiguità”. Grande rilievo viene dato ai legami familiari e neppure la separazione e i divorzi possono costituire un elemento dissociativo rispetto alle condotte criminose.

2) Il Giudice (penale) può anche assolvere, i reati possono non esserci, ma la parvenza comunque rimane e si trasforma, ai fini amministrativi, in prova (“Così è se vi pare”, direbbe Pirandello). L’apparenza diventa sostanza.

3) All’imprenditore, nella sostanza, viene addebitato un onere della prova assai difficoltoso, se non impossibile. Chi ha un nome tristemente famoso e ha dei legami di parentela “pericolosi” viene quindi di diritto estromesso dal poter esercitare una trasparente attività di impresa.

4) E’ del resto quasi impossibile poter dimostrare di essere “impermeabili”, di non essere “collusi”. Non è facile cioè poter provare un fatto negativo (gli stessi ragionamenti valgono per le problematiche relative al “collegamento sostanziale”).

5) Ci si affida pertanto all’intuito ed alla serietà delle Forze di Polizia ed alla Prefettura, che non godono dell’indipendenza di cui gode il Giudice, per decretare chi è impermeabile alle infiltrazioni o meno, per decidere chi possa godere della libertà di cui all’articolo 41 della Costituzione. 

La disciplina, la giurisprudenza e le tendenze recenti si pongono pertanto nell’ottica della normativa dell’emergenza: mondo nel quale il principio di legalità, pur non venendo meno, viene come “sospeso”.

Il Giudice Amministrativo si trova a sua volta essenzialmente impreparato ad affrontare un tema che non gli è familiare (la criminalità organizzata) e tende a “ritirarsi” dietro lo schermo della insindacabilità.

Sull’argomento, peraltro ben sviluppato nelle sentenze in esame (che per il vero non usano come schermo l’insindacabilità), occorrerà quindi riflettere onde evitare fenomeni di pericolosa interruzione dei “sentieri della legalità” (cfr. F.Merusi, Sentieri interrotti della legalità, Bologna, 2007).

 

 

 

 

N. 00007/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00119/2015 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 119 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla G.M.C. Immobiliare Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Zoppolato, Angela Francesca Canta, Alberto Bertoi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Roberto Ollari in Parma, borgo Zaccagni, 1;

contro

Ministero dell'Interno - U.T.G. - Prefettura di Reggio Emilia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale di Bologna, domiciliato in Bologna, via Guido Reni 4;

per l'annullamento

del provvedimento datato 26/1/2015 con il quale la Prefettura di Reggio Emilia ha respinto la richiesta presentata da G.M.C. Immobiliare srl di iscrizione nell’elenco dei fornitori, dei prestatori di servizi e degli esecutori di lavori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso (c.d. “white list”) della Prefettura di Reggio Emilia ai sensi dell’art. 5 bis legge 122/2012 e di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale al provvedimento impugnato e/o comunque lesivo degli interessi della ricorrente, ivi compreso, per quanto possa occorrere, il verbale della riunione del Gruppo Operativo Interforze svoltasi in data 23 gennaio 2015;

nonché per la condanna

della Prefettura di Reggio Emilia-Ufficio Territoriale del Governo e per essa del Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., al risarcimento dei danni patiti e/o patiendi dalla ricorrente per effetto dei provvedimenti impugnati;

con motivi aggiunti (depositati il 29 aprile 2016)

per l’annullamento

del provvedimento datato 12 febbraio 2016 con il quale il Prefetto della Provincia di Reggio Emilia ha respinto la richiesta, presentata il 23 aprile 2015, di riesame e di revoca del provvedimento di diniego di iscrizione nella cd. white list ai sensi dell’art. 5 bis della legge 122/2012 e di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale al provvedimento impugnato e/o comunque lesivo degli interessi della ricorrente, ivi compreso, per quanto possa occorrere, il verbale della riunione del Gruppo Operativo Interforze svoltasi in data 22 gennaio 2016;

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Reggio Emilia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2016 il cons. Anna Maria Verlengia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso, notificato il 30 marzo 2015 e depositato il successivo 24 aprile 2015, la società edilizia G.M.C. Immobiliare (d’ora in poi G.M.C.) impugna il diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori, dei prestatori di servizio e degli esecutori di lavori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso (c.d. “white list”) della Prefettura di Reggio Emilia ai sensi dell’art. 5 bis legge 122/2012.

Premette la ricorrente di essere stata costituita nel novembre 2004, su iniziativa dell'Arch. Giuseppe Todaro, a tutt’oggi amministratore unico, nonché proprietario delle quote, unitamente alla sorella sig.ra Maria Teresa Todaro, ciascuno per il 50%.

Avverso il suddetto provvedimento la G.M.C. articola il seguente motivo di doglianza:

- violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 91 e 94, d.lgs. 6.9.2011 n. 159, della Circolare del Ministero dell'Interno n. 559 del 18 dicembre 1998, dell'art. 5 bis d.l. 6.6.2012 n. 74 (convertito in l. 1.8.2012 n. 122 e ss. modif. e integr.), dell'art. 3 l. 7.8.1990 n. 241, eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto d'istruttoria e motivazione carente/apparente, travisamento dei fatti, carenza d'attualità ed ingiustizia manifesta, per violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità dell'atto amministrativo nonché violazione degli artt. 3, 4 co. 1, 27 co. 2, 41 e 97 Cost., sostenendosi nel diniego che la società sarebbe esposta al rischio di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell'impresa sulla base di circostanze ed elementi inidonei, benchè suggestivi, a fondare il predetto giudizio. Tali elementi non integrerebbero nessuna delle situazioni che l'art. 84, comma 4, d.lgs. 159/2011, elenca come sintomatiche del tentativo di infiltrazione mafiosa ai fini della informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3. Essi si sostanziano invece nelle seguenti circostanze:

- i titolari delle quote di G.M.C. (vale a dire i succitati Arch. Giuseppe Todaro e la Sig.ra Maria Teresa Todaro) sono figli del sig. Raffaele Todaro e nipoti del Sig. Francesco Todaro, detentori, rispettivamente, del 95% e del 5% delle quote della società GIADA srl, destinataria di interdittiva antimafia emessa nel luglio 2010 e di provvedimento di rigetto dell'iscrizione nella white-list adottato nel gennaio 2013;

- il sig. Raffaele Todaro è stato anche amministratore unico del "Consorzio Primavera", anch'esso destinatario di interdittiva antimafia del luglio 2010, provvedimento quest'ultimo —sottolinea la Prefettura — che, così come quelli succitati adottati nei confronti di GIADA s.r.l., ha "superato il vaglio dell'autorità giudiziaria amministrativa".

Ad avviso della ricorrente, dette circostanze si sostanziano nei rapporti di coniugio e di parentela che, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, sono insufficienti a fondare l’interdittiva ed esse, inoltre, attengono ad analoghi provvedimenti adottati nei confronti di società diverse ed ai rapporti del Consorzio con ditte con le quali la GMC non ha contatti. I precedenti penali del padre del ricorrente, inoltre, sono ora risalenti, ora di modesta entità, ora oggetto di intervenute archiviazioni e/o assoluzioni e non costituiscono prova della sua appartenenza e/o contiguità alla criminalità organizzata. Del pari irrilevante, oltre che inattuale, sarebbe la frequentazione, da parte del sig. Todaro Raffaele, di persone pregiudicate appartenenti alla cosca "Dragone", operanti nel Comune di Cutro, in quanto coniugato all’epoca con un componente della famiglia Dragone e da trent’anni residente lontano da detto Comune. Quanto al sig. Francesco Todaro, zio dell’amministratore della GMC, si tratta di persona incensurata, raggiunto dall’interdittiva per la ditta Giada solo perché quest’ultima partecipava al Consorzio Primavera di cui era procuratore speciale il fratello. Quanto alla madre, sig.ra Caterina Dragone, essa è legalmente separata dal marito da 15 anni e la figlia Maria Teresa non convive con la madre dal novembre 2013. La difesa della ricorrente censura inoltre i riferimenti all'interdittiva emessa nei confronti dell'impresa "La Fenice di Todaro Simone", quest'ultimo cugino dei titolari delle quote di G.M.C. e non fratello, come assume la Prefettura, in quanto figlio di Rosario Todaro e non di Raffaele Todaro. Quanto alla coincidenza delle sedi legali della società GMC, del Consorzio Primavera e della società Giada, tutte ubicate in Reggiolo alla Via Amendola 88, da essa non potrebbe desumersi alcun elemento significativo del condizionamento, né sarebbe stato esplicitato in cosa consisterebbero le rilevate cointeressenze economiche.

Il 15 maggio 2015 si è costituita la Prefettura la quale resiste nel merito contestando la fondatezza delle doglianze.

Il 29 aprile 2016 la ricorrente ha presentato motivi aggiunti avverso il provvedimento datato 12 febbraio 2016 con il quale il Prefetto della Provincia di Reggio Emilia ha respinto la richiesta, presentata il 23 aprile 2015, di riesame e di revoca del provvedimento di diniego di iscrizione nella cd. white list ai sensi dell’art. 5 bis della legge 122/2012.

Avverso il suddetto provvedimento la ricorrente deduce l’illegittimità derivata dai provvedimenti antecedenti gravati con il ricorso principale nonché l’illegittimità in via autonoma per i seguenti motivi:

1) violazione degli artt. 3 e 10 bis legge 241/1990, eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto assoluto di motivazione, violazione dei principi di buon andamento, buona fede e lealtà dell’azione amministrativa, violazione dell’art. 97 Cost., per omessa valutazione degli elementi e dei documenti portati dalla ricorrente a confutazione degli argomenti della Prefettura nel rifiutare l’iscrizione nella white list, nonché delle valutazioni operate dal giudice penale in relazione alla estraneità del sig. Raffaele Todaro alla attività della criminalità organizzata calabrese;

2) violazione degli artt. 3 e 10 bis L. 7.8.1990 n. 241, eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto assoluto di motivazione, violazione dei principi di buon andamento, buona fede e lealtà dell'azione amministrativa nonché dell'art. 97 Cost., in considerazione degli errori che avrebbero viziato le interdittive adottate nei riguardi del Consorzio Primavera e di Giada srl, poste a fondamento del provvedimento qui impugnato, nonché per la mancanza di attualità degli elementi posti a sostegno delle predette interdittive e di contatti diretti tra appartenenti ad organizzazioni criminali e l’Amministratore Unico della società ricorrente;

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 91 e 94 d.lgs 6.9.2011 n. 159, della Circolare del Ministero dell'Interno n. 559 del 18 dicembre 1998, dell'art. 5 bis D.L. 6.6.2012 n. 74 (convertito in L. 1.8.2012 n. 122 e ss. modif. e integr.), dell'art. 3 L. 7.8.1990 n. 241, eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto d'istruttoria e motivazione carente/apparente, travisamento dei fatti, carenza d'attualità ed ingiustizia manifesta, per violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità dell'atto amministrativo e degli artt. 3, 4 ce. 1, 27 co. 2, 41 e 97 Cost., atteso che, con riguardo alla circostanza per la quale l'Arch. Giuseppe Todaro ed il padre Raffaele Todaro titolare, a sua volta, di altra ditta interdetta, entrambi in accordo tra loro, svolgerebbero, di fatto, la loro attività tramite ditta prestanome (Padana Costruzioni srl con sede legale in Reggiolo (RE)), alla quale è stata rigettata l’iscrizione nella white list, essa è inidonea ad avvalorare l’attualità dell’esposizione dell’impresa al pericolo in concreto di ingerenze mafiose, non trovando conferma l’ipotizzata costituzione della suddetta società al fine di aggirare l’interdittiva emessa nei confronti di G.M.C., in quanto la Padana Costruzioni è stata costituita il 23 gennaio 2015 ovvero prima dell’adozione del provvedimento di diniego qui impugnato e non successivamente.

Anche ai suddetti motivi aggiunti l’Avvocatura Erariale resiste, eccependo la carenza di legittimazione del ricorrente Giuseppe Todaro con riguardo al provvedimento di interdittiva che ha colpito la società Padana Costruzioni, dal momento che lo stesso non ricopre alcuna carica sociale nell’ambito di detta società.

Alla pubblica udienza del 21 dicembre 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Oggetto del ricorso è il diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori, dei prestatori di servizi e degli esecutori di lavori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso (c.d. “white list”) della prefettura di Reggio Emilia ai sensi dell’art. 5 bis legge 122/2012 della società G.M.C. Immobiliare (d’ora in poi GMC) di cui è amministratore unico e socio al 50% l’arch. Todaro Giuseppe e socia, per il restante 50%, la sorella Maria Teresa.

Avverso il predetto diniego, confermato dal rigetto della richiesta di riesame del 12 febbraio 2016, la società ricorrente, con plurimi motivi di gravame, contesta l’inidoneità degli elementi fattuali posti a base del provvedimento, in quanto si tratterebbe di circostanze in taluni casi errate, in altre inattuali e nel complesso prive di consistenza quanto ai supposti rapporti tra appartenenti ad organizzazioni criminali e l’Amministratore Unico della società ricorrente.

Le suddette censure sono infondate.

Il quadro indiziario su cui si basa il provvedimento qui gravato si fonda sui legami familiari tra i due soci della GMC e gli amministratori di altre società operanti nello stesso settore, già raggiunte da interdittive antimafia, per rischio di infiltrazioni mafiose.

L’arch. Todaro e la sorella Maria Teresa, titolari, in parti uguali, delle quote della GMC, sono i figli di Todaro Raffaele e Caterina Dragone (figlia di un boss della cosca Dragone) e nipoti di Todaro Francesco.

La GMC, al pari del Consorzio Primavera, amministrato da Todaro Raffele, e della società Giada, le cui quote sono detenute al 95% da Todaro Raffaele e per il restante 5% dal fratello di quest’ultimo, Todaro Francesco, operano tutte nell’ambito edilizio ed hanno sede legale nello stesso immobile. Le cointeressenze economiche delle suddette società sono avvalorate dalla identità di sede e dallo svolgimento di attività analoghe.

Richiamando la stessa giurisprudenza citata da parte ricorrente, si fa notare che nel caso di specie non si tratta di mera frequentazione di soggetti malavitosi, ma di stabili rapporti con familiari e parenti le cui imprese sono state raggiunte da interdittive antimafia definitive e inoppugnabili e ciò è circostanza che certamente valorizza l’elemento della contiguità, connotandolo del requisito della stabilità e della pluralità dei rapporti (CdS III 96/2013).

Le conclusioni cui è giunta la Prefettura non possono ritenersi smentite dal fatto che i procedimenti penali ascritti a Todaro Raffaele non abbiano accertato l’appartenenza di quest’ultimo alla criminalità organizzata, dal momento che il rischio di condizionamento non richiede necessariamente la commissione, ed il relativo accertamento giudiziale, di reati da parte dell’imprenditore. Sul punto la consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, ha statuito che “Gli elementi posti a base dell'informativa antimafia possono anche essere non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione” (v. da ultimo CdS III n. 04230/2016).

Quanto alla attualità degli elementi indiziari sui quali è stata basata la decisione si rileva che:

- la società Giada, al 95% del padre Todaro Raffaele ed al 5% dello zio, è ancora attiva e destinataria di interdittiva antimafia allo stato non revocata;

- la separazione di Todaro Raffaele dalla sig.ra Caterina Dragone, madre dell’amministratore della GMC, è vicenda relativamente recente, del 2010, e non assume particolare rilevanza atteso che Todaro Giuseppe risulta ancora residente nello stesso stabile della madre e lo stesso Todaro Raffaele ha spostato altrove la sua residenza ancor più di recente (solo nel 2013);

- i titolari della GMC sono poi cugini di Todaro Simone, titolare dell’impresa individuale “La Fenice”, anch’essa destinataria di un diniego di iscrizione alla white list, impugnato avanti a questo Tribunale che ha respinto la richiesta sospensione per carenza di fumus boni iuris.

Lo scopo della white list, invero, non è quello di prendere atto delle risultanze del casellario giudiziale o del certificato dei carichi pendenti (scopo, appunto, già assolto da separati istituti previsti dall’ordinamento), quanto piuttosto quello di selezionare imprese che - in coerenza con l’aggettivo che le qualifica - risultino del tutto esenti da qualunque rischio, anche indiziariamente desunto, di infiltrazioni e/o condizionamenti da parte della criminalità organizza (Cons. Stato, III, n. 1743 del 3 maggio 2016).

Nel caso di specie il giudizio prognostico sul rischio di infiltrazione mafiosa, sulla cui base è stata rifiutata l’iscrizione, si fonda, come rileva l’Avvocatura Erariale, sulla presenza di “un gruppo familiare che svolge la medesima attività imprenditoriale in modo coordinato, con evidenti cointeressenze societarie tra i vari fratelli, spostamenti di quote tra parenti, partecipazioni societarie nelle diverse società variamente denominate, sempre e comunque riconducibili alla famiglia”.

La circostanza che il Consorzio gestito da Raffaele Todaro, padre dell’amministratore unico della GMC, e la società Giada, le cui quote sono detenute dal padre e dallo zio (fratello di Raffaele Todaro) dell’Amministratore Unico della società ricorrente, siano state entrambe raggiunte da interdittive definitive e ormai inoppugnabili è elemento significativo e non smentito.

Gli errori che, secondo la difesa della ricorrente, avrebbero inficiato i fatti a fondamento delle suddette interdittive, oltre a non smentire gli elementi di base del giudizio, ovvero i legami familiari e le comuni attività economiche dei soci della società ricorrente con soggetti (padre e zio) titolari di analoghe attività sospette di infiltrazione, sono irrilevanti nella parte in cui assumono a presupposto necessario l’accertamento giudiziale dell’appartenenza di Todaro Raffaele alla criminalità organizzata.

Secondo la giurisprudenza condivisa dal Collegio, in ragione della peculiarità del fenomeno mafioso, la valutazione prefettizia prescinde dall’accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso e non postula la prova di fatti di reato, della effettiva infiltrazione mafiosa nell’impresa o dell’effettivo condizionamento delle scelte dell’impresa da parte di associazioni o soggetti mafiosi, essendo sufficiente il tentativo eventuale di infiltrazione, avente lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa anche senza la prova che tale scopo si sia in concreto realizzato (vedi, ex multis, CdS III n. 04414/2013 e, più di recente, CdS III n. 01849/2016).

Il giudizio sulla legittimità di una informativa antimafia non si fonda su alcuna valutazione di colpevolezza nei confronti delle persone interessate, atteso che la ragione stessa della prevenzione mediante informative prefettizie risiede nell’esigenza di anticipare la soglia di tutela anche rispetto a fatti privi di qualsiasi rilevanza penale.

Nel caso di specie, la circostanza che il padre dei giovani soci della GMC non sia stato mai raggiunto da una condanna penale per reati associativi non è prova di assenza di condizionamenti da parte di soggetti che appartengono alle sue frequentazioni nel Comune di Cutro.

La madre dei proprietari della società ricorrente, Caterina Dragone, è poi la figlia di Antonio Dragone, capo della consorteria mafiosa operante in Cutro, ucciso in un agguato nel 2004. Nello stesso stabile della madre risiede l’amministratore della GMC, Giuseppe Todaro.

Il quadro indiziario complessivo fornito dalla Prefettura, anche depurato dalle imprecisioni denunciate da parte ricorrente, costituisce idonea base logico fattuale della ritenuta esposizione dell’attuale amministratore della società a condizionamento da parte di organizzazioni di tipo mafioso, in quanto concorre a rappresentare una vicinanza con gli ambienti della criminalità organizzata che, secondo l’id quod plerumque accidit, depone per la sussistenza di un rischio di infiltrazione mafiosa (cfr. Cons. Giust. Amm. Sic., 16-11-2016, n. 398).

Né appare sindacabile l’avere fondato tale giudizio prognostico di probabilità anche, sebbene non solo, sugli stretti legami di parentela con la famiglia Dragone, la cui appartenenza alla criminalità organizzata (‘ndrangheta) risulta giudizialmente accertata, alla luce della notoria modalità di funzionamento su base familiare delle consorterie in questione.

Per quanto sopra osservato i provvedimenti impugnati devono ritenersi esenti dalle dedotte censure con le quali si lamenta l’insufficienza degli elementi posti a base del rischio di condizionamento mafioso, come anche della dedotta violazione dell’art. 84 d.lgs. 6.9.2011 n. 159.

L’art. 84 citato, nell’elencare le fonti da cui desumere “le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all'adozione dell'informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3”, menziona tra gli altri, al comma 4, lett. d), “gli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell'interno ai sensi del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all'articolo 93 del presente decreto”.

Alla previsione citata si aggiunge la disciplina sulla cosiddetta iscrizione nella “white list” di cui all’art. 5 bis, del d.l. 06/06/2012, n. 74 (contenente “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012”), articolo inserito dalla legge di conversione 1° agosto 2012, n. 122, ove prevede che “ Le prefetture-uffici territoriali del Governo effettuano, al momento dell'iscrizione e successivamente con cadenza periodica, verifiche dirette ad accertare l'insussistenza delle condizioni ostative di cui all'articolo 10, comma 7, lettere a), b) e c), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252”.

E’ quanto avvenuto nel caso di specie nel quale la Prefettura, prima di adottare i provvedimenti gravati, ha acquisito le risultanze dei verbali della riunione del Gruppo Interforze costituito ai fini dell’attività di monitoraggio ed analisi di eventuali infiltrazioni mafiose nella ricostruzione post sisma in Emilia Romagna.

In detti verbali risultano riversate le notizie di cui agli accertamenti svolti dalle forze di polizia nel corso della suddetta attività, come si legge nella parte motiva di entrambi i provvedimenti, e su tale base, in conformità alla normativa sopra citata, il Prefetto ha respinto la richiesta iscrizione nella “white list” della GMC e la revoca di detto provvedimento.

Per quanto sopra osservato il ricorso e i motivi aggiunti sono infondati e vanno respinti, poiché infondati.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Sergio Conti, Presidente

Anna Maria Verlengia, Consigliere, Estensore

Marco Poppi, Consigliere

 

   

 

   
 

 

N. 00036/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00002/2016 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
-OMISSIS-in qualità di Legale Rappresentate dell'Omonima Ditta Individuale, rappresentato e difeso dagli Avvocati Franca Porta e Daniele Turco, con domicilio eletto presso l’Avvocata Paola Da Vico, in Parma, via Girolamo Cantelli n. 9;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliato, in Bologna, via Guido Reni n. 4;

per l'annullamento

del provvedimento prot.n.1649/2014/AM/Area I_white list del 06/10/2015, mediante il quale la Prefettura di Reggio Emilia ha rigettato l'istanza di iscrizione nella c.d. White List provinciale dell'impresa individuale ricorrente, disponendo la cancellazione della stessa dall'elenco prefettizio delle imprese richiedenti l'iscrizione;

di ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale ivi compresi, proposte o valutazioni ed ivi compreso il verbale della riunione del Gruppo Interforze, riunitosi il 21 maggio 2015 presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale ed allargato al GIRER, ancorché non conosciuto;

nonché, con proposizione di motivi aggiunti:

del verbale della riunione del Gruppo Interforze, riunitosi il 21 maggio 2015 presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale ed allargato al GIRER;

di ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale ivi compresi verbali delle forze dell'Ordine, pareri, proposte, valutazioni ed atti richiamati in quelli impugnati;

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2016 il dott. Marco Poppi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Con decreto del 6 ottobre 2015 il Prefetto di Reggio Emilia, ritenendo sussistente “il pericolo di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della impresa” del ricorrente disponeva il rigetto dell’istanza di iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso (White List) dal medesimo presentata.

Con nota datata 30 novembre 2015 il ricorrente chiedeva alla Prefettura l’annullamento in autotutela del citato diniego.

In assenza di riscontro da parte dell’Amministrazione, con ricorso notificato il 7 dicembre 2015, impugnava il diniego di iscrizione alla White List unitamente al presupposto verbale del Gruppo Interforze del 25 novembre 2015 (non conosciuto ma richiamato nel provvedimento impugnato) evidenziandone una pluralità di profili di illegittimità.

L’Amministrazione si costituiva in giudizio con memoria del 15 dicembre confutando le avverse doglianze e chiedendo la reiezione del ricorso.

Nella camera di consiglio del 16 marzo 2016, con ordinanza n. 65/2016, veniva respinta l’istanza di sospensione.

Nelle more, con atto a firma del Direttore della Struttura Tecnica del Commissario Delegato datato 13 ottobre 2015, la Regione Emilia Romagna, preso atto dell’intervenuto rigetto dell’istanza di iscrizione oggetto del presente giudizio, invitava la -OMISSIS-(appaltatrice di lavori) “a non utilizzare” la Ditta del ricorrente “per eventuali ulteriori lavorazioni o forniture o interventi richiesti per il rilascio del certificato di collaudo tecnico amministrativo e a rescindere il contratto di sub-appalto” con la medesima sottoscritto.

In data 21 gennaio 2016 l’Autorità Nazionale Anticorruzione comunicava al ricorrente l’inserimento della Ditta nel Casellario informatico degli operatori economici esecutori di contratti pubblici relativi a lavori servizi e forniture dell’annotazione pervenuta dalla Prefettura di Reggio Emilia relativa all’adottato diniego di iscrizione alla White List.

Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 22 febbraio 2016 il ricorrente impugnava le due note da ultimo citate e formulava censure riferite al verbale del Gruppo interforze nel frattempo acquisito replicando sostanzialmente le doglianze già oggetto del ricorso introduttivo.

Con memoria dell’11 novembre 2016 il ricorrente rassegnava le proprie conclusioni che successivamente precisava con memoria di replica del 23 novembre 2016 pur in assenza di depositi da parte dell’Amministrazione.

All’esito della pubblica udienza del 14 dicembre la causa veniva decisa.

Con il presente ricorso, integrato da motivi aggiunti, il ricorrente censura il provvedimento con il quale il Prefetto di Reggio Emilia, recependo le conclusioni rassegnate dal Gruppo Interforze, negava l’iscrizione nella White List della Ditta del ricorrente sui seguenti presupposti (di seguito elencati sinteticamente intendendosi per richiamati i contenuti dell’informativa):

- il ricorrente, oltre che titolare dell’omonima Ditta individuale è, altresì, amministratore unico della -OMISSIS-. destinataria di interdittiva antimafia datata 1 febbraio 2011 (il cui contenuto viene dal Prefetto richiamato integralmente): atto non impugnato e, quindi, ad oggi inoppugnabile;

- fra gli aderenti alla citata Società figurano soggetti con precedenti penali a carico (-OMISSIS-classe 1991, -OMISSIS-classe 1969 e -OMISSIS-classe 1961) e/o aventi frequentazioni (risultanti da controlli di polizia) con personaggi pregiudicati per gravi reati (-OMISSIS-classe 1968 e -OMISSIS-classe 1991) e, in alcuni casi, con soggetti a carico dei quali risultano precedenti per associazione mafiosa e destinatari di interdittiva antimafia (-OMISSIS-controllato insieme a -OMISSIS-e -OMISSIS-classe 1961 controllato insieme a -OMISSIS-);

- l’impresa del ricorrente sino al 30 dicembre 2014 partecipava alla compagine del -OMISSIS- del quale facevano parte imprese riconducibili a soggetti pregiudicati e in rapporti con esponenti contigui ad ambienti mafiosi (per essere stati perseguiti per lo specifico reato o in contatto con personaggi contigui alle cosche mafiosi calabresi) fra i quali spicca la -OMISSIS-il cui titolare “pluripregiudicato” è ritenuto “affiliato alla cosca calabrese -OMISSIS-”.

Detto Consorzio, inoltre, fa parte della compagine del-OMISSIS-destinatario di diniego di iscrizione alla White List e partecipato da una pluralità di soggetti economici destinatari di interdittive antimafia “per l’accertata sussistenza di elementi che hanno comprovato, a vario titolo, la familiarità e le frequentazioni dei consorziati con elementi appartenenti o contigui alle organizzazioni ndranghetistiche cutresi radicate nel territorio della Provincia di Reggio Emilia”.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2, commi 2 e 3 del D.P.C.M. n. 164/2013 e degli artt. 84 commi 3 e 4, e 91 commi 5 e 6, del D. Lgs. n. 159/2011 contestando le conclusioni cui sarebbe pervenuta l’Amministrazione allegando di essere incensurato e di non avere alcun collegamento con persone o ambienti riconducibili alla criminalità organizzata.

Il ricorrente, che si dichiara incensurato e non colpito da misure di prevenzione personali, evidenzia di non rientrare in nessuna delle ipotesi di cui alle lett. a), b), c), e) ed f), dell’art. 84 comma 4, né nelle previsioni di cui alla prima e ultima parte del comma 6 dell’art. 91, residuando in astratto la possibilità di adozione a proprio carico della misura impugnata sulla sola base degli “accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell'interno ai sensi del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all'articolo 93 del presente decreto” previsti alla lett. d) o di cui alla lett. d) o in presenza di “concreti elementi da cui risulti che l’attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata” nei sensi di cui all’art. 91, comma 6.

Fatta tale premessa il ricorrente allega che gli elementi sulla base dei quali il Prefetto avrebbe adottato l’impugnato diniego si fonderebbero su dati risalenti nel tempo e privi del carattere di attualità e, in ogni caso, basati su risultanze di polizia rilevate a carico dei personaggi con i quali sarebbe in rapporti personali o professionali, mai condannati per reati strumentali alle attività delle organizzazioni criminali.

Il motivo è infondato nei termini di seguito illustrati.

L’art. 2, comma 2, del D.P.C.M. n. 164/2013 prevede che l’iscrizione alla White List sia subordinata alla “assenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell'impresa, di cui all'art. 84, comma 3, del Codice antimafia”.

Ai sensi del richiamato art. 84, comma 3, “l'informazione antimafia consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67, nonché', fatto salvo quanto previsto dall'articolo 91, comma 6, nell'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4”.

Il comma 4 dell’art. 84 del Codice specifica, infine, che “le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa” rilevanti ai fini in esame devono essere desunte:

a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all'articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356;

b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione;

c) salvo che ricorra l'esimente di cui all'articolo 4 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dall'omessa denuncia all’autorità giudiziaria dei reati di cui agli articoli 317 e 629 del codice penale, aggravati ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, da parte dei soggetti indicati nella lettera b) dell'articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste;

d) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell'interno ai sensi del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all'articolo 93 del presente decreto;

e) dagli accertamenti da effettuarsi in altra provincia a cura dei prefetti competenti su richiesta del prefetto procedente ai sensi della lettera d);

f) dalle sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché' nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b), con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché' le qualità professionali dei subentranti, denotino l'intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia”.

L’art. 91, comma 6, del Codice dispone che il Prefetto possa desumere il pericolo di infiltrazione mafiosa “da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché' dall'accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall'articolo 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689. In tali casi, entro il termine di cui all'articolo 92, rilascia l'informazione antimafia interdittiva”.

Premesso il richiamato contesto normativo di riferimento, il Collegio rileva che, come ripetutamente affermato dalla più recente giurisprudenza con orientamento consolidato e dal quale non vi è motivo di discostarsi, nelle misure interdittiva di cui agli artt. 91 e ss. del Codice deve ravvisarsi una “una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la Pubblica amministrazione, cosicché, proprio per il suo carattere preventivo, essa prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell'esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la Pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia e analizzati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente, la cui valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità, in relazione alla rilevanza dei fatti accertati. Essa, inoltre, essendo il potere esercitato dal Prefetto espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da fattori sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata” (TAR Campania, Napoli, Sez. I, 2 aprile 2015, n. 1979).

In ossequio ai richiamati principi, non può ritenersi dirimente nei sensi invocati dal ricorrente, il non aver riportato condanne o non essere stato sottoposto a misure di prevenzione personale poiché non si tratta di circostanze individuate dalla norma quali elementi strutturali della fattispecie e, come tali, imprescindibili.

Irrilevante ai fini in esame deve ritenersi, altresì, l’esistenza a carico dei soci della -OMISSIS-di sole segnalazioni di reato non seguite da condanne o la frequentazione con soggetti condannati per reati non “strumentali all’attività delle organizzazioni criminali”.

Non è, infatti, necessario che il contesto relazionale del ricorrente (parentela, frequentazioni personali e rapporti professionali) assunto a presupposto della misura in questione si caratterizzi per la presenza di soggetti necessariamente condannati per reati di mafia poiché la valutazione rimessa all’Autorità nella specifica materia, in quanto tesa a tutelare in via preventiva il bene protetto dalla norma, può essere basata su ulteriori elementi, anche di per sé non decisivi, ma che relazionati con il complesso delle risultanze investigative e di polizia, concorrano a determinare un quadro complessivo che possa ragionevolmente supportare il giudizio circa la sussistenza di un pericolo di infiltrazione.

Nell’espressione di tale giudizio il Prefetto gode di una ampia discrezionalità che in questa sede non può essere sindacata se non in presenza di concreti elementi, ictu oculi rilevabili, capaci di palesare un distorto esercizio del potere amministrativo.

Tali evidenze non ricorrono nel caso di specie.

Quanto alla posizione dei soci della -OMISSIS- (v. pagg. 2 e 3 dell’impugnato provvedimento, cui si rimanda) il Prefetto, premette che il ricorrente è Amministratore unico della-OMISSIS-. già colpita da provvedimento interdittiva antimafia emesso dalla stessa Prefettura in data 1 febbraio 2011, mai impugnato e oggi inoppugnabile.

Tuttavia il Prefetto non si limitava a richiamare la circostanza ma, come precisato a pag. 1 del provvedimento impugnato, provvedeva ad “attualizzare gli elementi di conoscenza nei confronti del ricorrente”.

I soci della predetta società (v. provvedimento impugnato, pagg. 2 e 3 cui si rimanda) presentano (ad eccezione di uno) precedenti di polizia e/o frequentazioni con personaggi a loro volta pregiudicati.

Sul punto deve evidenziarsi, sotto un primo profilo, che, contrariamente a quanto affermato, non tutte le vicende evidenziate nel decreto impugnato (segnalazioni all’Autorità giudiziaria e controlli in compagnia di pregiudicati) sono risalenti nel tempo (la maggior parte degli elementi contestati è relativa all’ultimo triennio).

Sotto altro profilo, i dati allegati dal Prefetto non possono essere considerati come “non attualizzati” poiché la compagine aziendale della -OMISSIS-sarebbe stata ricostruita dall’Amministrazione sulla base del verbale di assemblea dei soci del 30 aprile 2015, ovvero, 18 mesi prima dell’adozione del diniego impugnato atteso che non è documentata una attuale diversa situazione societaria e, in ogni caso, tenuto conto delle illustrate finalità preventive della misura in questione e in assenza di puntuali allegazioni, 18 mesi non possono essere considerati un lasso di tempo eccessivo ai fini del giudizio di rilevanza circa la permanenza del quadro relazionale già accertato.

La descritta situazione societaria è, pertanto, sufficiente a sorreggere sotto il profilo motivazionale, l’impugnato diniego.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente censura il provvedimento adottato dalla Prefettura in pari data (6 ottobre 2015) di diniego dell’iscrizione alla White List opposto a -OMISSIS-che, afferma il ricorrente, “viene qui preso in esame esclusivamente in quanto (illegittimo) presupposto del provvedimento emanato nei confronti dell’odierno ricorrente e qui gravato”.

Il motivo è inammissibile poiché diretto a censurare un provvedimento estraneo al giudizio.

Il Prefetto, infatti, nella parte motiva del decreto oggetto del presente giudizio (n. 1649/2014) menziona il “provvedimento antimafia interdittivo prot. 1521/Area I/AM emesso dalla Prefettura di Reggio Emilia in data 01/02/2011 il cui contenuto si richiama integralmente” (come più volte evidenziato non impugnato) ed è con riferimento a tale atto che il Prefetto riteneva “opportuno attualizzare gli elementi di conoscenza” ivi contenuti.

La circostanza priva di significato nel presente giudizio le doglianze riferite alla pretesa rilevanza della partecipazione dell’impresa del ricorrente al -OMISSIS- (oggetto di contestazione da parte del Prefetto) poiché formulate unicamente in relazione a tale ultimo provvedimento, come anticipato, non oggetto id impugnazione nel presente giudizio.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dell’art. 3, comma 3, del D.P.C.M. 18 aprile 2013.

In particolare il ricorrente evidenzia che la norma invocata prevede che “qualora dalla consultazione della Banca dati nazionale unica risulti che l'impresa non è tra i soggetti ivi censiti ovvero gli accertamenti antimafia siano stati effettuati in data anteriore ai dodici mesi ovvero ancora emerga l'esistenza di taluna delle situazioni di cui agli articoli 84, comma 4, e 91, comma 6, del Codice antimafia, la Prefettura competente effettua le necessarie verifiche, anche attraverso il Gruppo interforze di cui all'art. 5, comma 3, del decreto del Ministro dell'interno 14 marzo 2003. Nel caso in cui sia accertata la mancanza delle condizioni previste dall'art. 2, comma 2, la Prefettura competente, nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, adotta il provvedimento di diniego dell'iscrizione, dandone comunicazione all'interessato. Il diniego dell'iscrizione è altresì comunicato ai soggetti di cui all'art. 91, comma 7-bis, del Codice antimafia. Diversamente, la Prefettura competente procede all'iscrizione dell'impresa. La Prefettura competente conclude il relativo procedimento nel termine di novanta giorni a decorrere dalla data di ricevimento dell'istanza di iscrizione”.

Nonostante il contenuto della riportata disposizione normativa, a fronte di un’stanza di iscrizione presentata il 18 novembre 2014 il procedimento si concludeva solo il 6 ottobre 2015 nonostante i dati contenuti nell’informativa consistessero in risultanze telematiche acquisibili in tempi brevi senza ulteriori acquisizioni sulla base di attività sul territorio.

Oltre al lamentato ritardo il ricorrente allega ulteriormente che il provvedimento impugnato conterrebbe alcuni refusi evidenziando, in particolare, che la partita Iva attribuita alla propria impresa a pag. 17 del diniego sarebbe in realtà quella della -OMISSIS-.

Il motivo è inammissibile stante la mancata specificazione dei concreti profili di pregiudizio riconducibili alle rilevate criticità.

Per quanto precede il ricorso deve essere in parte respinto (primo motivo) e in parte dichiarato inammissibile (secondo e terzo motivo).

Detto esito determina, altresì, il rigetto dei motivi aggiunti mediante ei quali il ricorrente replica sostanzialmente le medesime doglianze.

Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico del ricorrente nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, definitivamente pronunciando sul ricorso ed i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, in parte li respinge e in parte li dichiara inammissibili, nei sensi di cui in motivazione.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in € 2.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del ricorrente e della ragione sociale delle Ditte menzionate.

Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Sergio Conti, Presidente

Anna Maria Verlengia, Consigliere

Marco Poppi, Consigliere, Estensore