Consiglio di Stato sez. V 16 gennaio 2017 n. 92

Nonostante la portata apparentemente innovativa dell’art.83 comma 9 del D.lgs. 18 aprile 2016 n.50 la disposizione in esame ha carattere interpretativo e consente di orientare una corretta esegesi in merito alla portata e al contenuto della disciplina pregressa.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 4114 del 2016, proposto da:
Edildebe' Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Ida Martina, Roberta Ciotti, con domicilio eletto presso Roberta Ciotti in Roma, Circonvallazione Clodia, 86;

 

contro

Comune di Piacenza, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Elena Vezzulli, con domicilio eletto presso Giuseppe Dante in Roma, via Taranto, 6;

per la riforma della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - SEZ. STACCATA DI PARMA: SEZIONE I n. 00066/2016, resa tra le parti, concernente escussione parziale cauzione a titolo di pagamento della sanzione pecuniaria per irregolarità essenziale riscontrata nei documenti della gara per l'affidamento dei lavori di manutenzione degli edifici comunali

 

FATTO e DIRITTO

La sentenza di primo grado della quale la società appellante chiede la riforma, ha ritenuto legittima la determinazione dirigenziale n.1671 in data 20.11.2014 con la quale il Comune di Piacenza, nell’ambito della gara aperta bandita per l’affidamento di lavori di manutenzione ordinaria su edifici comunali, applicava ad essa , in ossequio all’art.38 comma 2-bis del d.lgs. 163 del 2006 ( introdotto dall’art.39 comma 1° del D.L 90 del 20214 convertito in legge 114 del 2014, la sanzione di euro 3.279,00, essendosi verificata l’ipotesi della “mancanza , incompiutezza o di ogni altra irregolarità essenziale delle dichiarazioni e dei documenti richiesti dalle norme di gara” .

La società appellante, in particolare, aveva omesso di inserire nel plico contenente la documentazione amministrativa il “ codice PaSSoe di registrazione presso il Servizio AVCP ass”, nonché aveva omesso la presentazione della dichiarazione “ di essere in regola con le norme che disciplinano il lavoro dei disabili”.

Dopo di ciò la Stazione appaltante ha consentito alla ricorrente di sanare le predette omissioni “mediante l’integrazione della documentazione mancata e il pagamento di una sanzione pecuniaria pari allo 0,5 per cento dell’importo economico posto a base di gara” ex art.38, comma 2 bis e 46 co 1 ter , del d.lgs. n.163/2006.

La ricorrente con nota del 27 febbraio 2015, tuttavia, informava la S.A. che non intendeva avvalersi della procedura sanante prevista dalle citate norme.

Con provvedimento del 3 marzo 2015, di conseguenza, la S.A. escludeva dalla gara la società ricorrente.

Quest’ultima con nota del 6 marzo seguente chiedeva la restituzione dell’originale della polizza fideiussoria prodotta.

Con la determinazione impugnata con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado la S.A. disponeva l’escussione parziale della polizza fideiussoria prodotta dalla società ricorrente nei limiti di euro 3.729,00; importo corrispondente alla sanzione pecuniaria di cui al predetto art.38,comma, 2 bis.

Il primo giudice respingeva il ricorso con la sentenza in epigrafe.

Parte appellante ne chiede la riforma di tale sentenza deducendo plurimi profili di violazione ed errata interpretazione di legge nonché per eccesso di potere sotto varie figure sintomatiche.

Il Comune resiste e chiede la conferma della sentenza di primo grado.

All’udienza di merito del 15 dicembre 2016, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Essendo l’appello palesemente fondato ritiene la Sezione di decidere la questione per cui è causa con sentenza ex art.74 c.p.a.

Occorre invero premettere che sulla disciplina contenuta negli art.38 comma 2 bis e 46 comma 1 ter del d.lgs. 12 aprile n.163, con riferimento all’aspetto oggetto della presente controversia, è intervenuto il legislatore innovandone il contenuto con l’art.83 comma 9 del d.lvo 18 aprile 2016 n.50, ove si prevede che “ la sanzione è dovuta esclusivamente in caso di regolarizzazione”, escludendo con ciò la previgente disciplina del citato art.38 comma 2.

Questo Collegio ritiene, pur consapevole del diverso avviso espresso da questa Sezione ( v.sent.n. 3667 del 22 agosto 2016), che , nonostante la portata apparentemente innovativa, la disposizione in esame abbia carattere interpretativo e consenta, quindi, di orientare una corretta esegesi in merito alla portata e il contenuto della disciplina pregressa. L’assunto è corroborato dall’identità della disposizione rispetto alla precedente formulazione, con eccezione del solo inciso virgolettato; e, ancor più, dalla circostanza che, nel silenzio della precedente disposizione sul punto, si erano delineati contrasti interpretativi, dei quali la stessa sentenza di primo grado dà conto citando la determinazione dell’ANAC n.1 dell’8.1.2015, favorevole a una soluzione che escludesse l’applicazione della sanzione in assenza di richiesta di ammissione alla gara. Va rimarcato che la soluzione prescelta- che anche con riferimento al quadro normativo pregresso considera il pagamento pecuniario non alla stregua di sanzione automatica, ma quale onere per la riammissione previa integrazione - è in linea con il principio di proporzionalità, in quanto evita l’applicazione di una misura volta a colpire, anche in assenza di colpa, la mera condotta violativa di obblighi formali e documentali.

In forza della natura interpretativa della disciplina sopravvenuta l’appello deve, in conclusione, essere accolto.

Sussistono motivi per compensare le spese del giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, per l'effetto, annulla la sentenza impugnata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Il combinato disposto degli artt. 38 comma 2 bis e 46 comma 1 ter D.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 delinea la disciplina applicabile nel caso in cui una gara pubblica sia caratterizzata dall’esercizio da parte di un operatore economico dello strumento del soccorso istruttorio.

Com’è noto, il legislatore ha innovato tale istituto prevedendo la comminazione di una sanzione per l’ipotesi in cui la parte inadempiente solo formalmente ricorra ad una sorta di sanatoria ex post delle proprie lacune documentali.

Il vento riformatore portato dal nuovo Codice degli appalti pubblici (D.lgs. 18 aprile 2016 n. 50) ha tuttavia risolto un problema interpretativo posto dalla disciplina del vecchio Codice statuendo espressamente che “la sanzione è dovuta esclusivamente in caso di regolarizzazione”.

Nonostante l’evidente innovatività della nuova prescrizione normativa, il Consiglio di Stato nella pronuncia oggetto di nota afferma che l’art. 83 comma 9 D.lgs. 50/2016 ha carattere interpretativo, il legislatore avendo meramente cristallizzato ciò che precedentemente costituiva la ratio implicita della disposizione.

In buona sostanza, richiamando le considerazioni sviluppate nella determinazione ANAC 8 gennaio 2015 n. 1, il Collegio giudicante ritiene che pur in presenza di differenti strutture lessicali le due disposizioni vanno considerate sostanzialmente identiche, atteso che la lettura non obbligatoria della sanzione rappresenta l’unica possibile alla luce del principio di proporzionalità.

In altri termini la sanzione prevista dalla disciplina concernente l’istituto del soccorso istruttorio, in quanto tale, non può trovare applicazione in assenza di una concreta utilizzazione del predetto strumento.

 

La pronuncia oggetto di nota si sofferma sul delicato tema relativo alla corretta applicazione dello strumento del soccorso istruttorio, in specie con riferimento alla sanzione pecuniaria ad esso connessa dal legislatore.

Come è noto, infatti, l’introduzione del binomio normativo composto dagli artt. 38 comma 2 bis e 46 comma 1 ter Codice appalti ha posto sin da subito un punto di domanda attorno alla reale volontà legislativa: non era chiaro se il legislatore avesse voluto prevedere una sanzione per tutte le ipotesi di mancata indicazione degli elementi essenziali, ovvero se avesse più semplicemente disciplinato un corrispettivo monetario a fronte dell’utilizzo reale da parte dell’operatore economico di tale strumento di sanatoria ex post della documentazione a corredo dell’offerta.

In altri termini ci si è chiesti se la sanzione in esame dovesse trovare applicazione nei soli casi di effettiva fruizione dello strumento del soccorso istruttorio, o se al contrario la stessa dovesse applicarsi in tutti i casi di infruttuoso scorrimento del termine per l’esercizio del diritto alla regolarizzazione postuma. 

Sulla questione due le ricostruzioni interpretative emerse.

Per una prima posizione la sanzione prevista dal legislatore è passibile di automatica applicazione tutte le volte in cui l’offerta risulti contaminata da irregolarità essenziali.

Muovendo dal mero dato letterale del vecchio art. 38 comma 2 bis, infatti, la sanzione pecuniaria sembra essere sconnessa dalla volontà della parte inadempiente di ricorrere alla regolarizzazione della propria offerta, al contrario la stessa risultando un automatismo connesso alla mancanza, incompletezza o altra irregolarità essenziale delle dichiarazioni sostitutive.

In altri termini, non può porsi in discussione l’autonomia esistente tra l’irrogazione della sanzione pecuniaria e l’applicazione della sanzione dell’esclusione dalla gara, atteso che la prima è strettamente connessa all’oggettiva carenza documentale, mentre la seconda segue l’infruttuoso spirare del termine entro cui poter regolarizzare la propria posizione.

In termini Consiglio di Stato 22 agosto 2016, n. 3667 secondo il quale con l’introduzione (ad opera del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014, n. 114) dell’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n. 163 del 2006, e dunque della sanzione pecuniaria proporzionale per il caso di mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2, il legislatore ha inteso prevenire nella fase del controllo delle dichiarazioni, e quindi dell’ammissione alla gara delle offerte presentate, il fenomeno delle esclusioni dalla procedura causate da mere carenze documentali: la sussistenza della semplice irregolarità essenziale genera uno spedito sub-procedimento di “soccorso istruttorio”, ordinato alla produzione, integrazione o regolarizzazione delle dichiarazioni necessarie, e ha previsto l’esclusione solamente quale conseguenza dell’inosservanza, da parte dell’impresa concorrente, dell’obbligo di integrazione documentale entro il termine perentorio accordato, a tale fine, dalla stazione appaltante. 

La sanzione pecuniaria, dunque, mira ad evitare l’abuso del ricorso al soccorso istruttorio e il conseguente aggravamento complessivo delle procedure: lo scopo di questa misura pertanto risiede nell’assicurare la serietà e la completezza originaria delle offerte, e nel responsabilizzare a questi fini i partecipanti alla gara.

A parere di una differente ricostruzione, invece, la sanzione pecuniaria trova applicazione solo allorquando il concorrente inadempiente decida di avvalersi dello strumento del soccorso istruttorio.

A sostegno valga la sopracitata Determinazione n. 1 del 2015 dell’A.N.A.C. a tenore della quale “la sanzione individuata negli atti di gara sarà comminata nel caso in cui il concorrente intenda avvalersi del nuovo soccorso istruttorio…in caso di mancata regolarizzazione degli elementi essenziali carenti, invece, la stazione appaltante procederà all’esclusione del concorrente dalla gara”.

Tale corrente interpretativa appare l’unica possibile alla luce della Direttiva 2014/24/CE, che in virtù del principio di supremazia del diritto sovranazionale deve trovare applicazione all’interno dell’ordinamento nazionale.

Ciò nonostante doverosa appare una riflessione: la primazia del diritto sovranazionale, nel in presenza di una Direttiva non self executing, si traduce in una efficacia mediata della fonte legislativa, consistente nell’assegnare al giudice e al legislatore un obbligo di non interpretare e non dare vita ad una nuova prescrizione normativa in contrasto con la disciplina contenuta nell’atto europeo.

Alla luce di quanto detto deve concludersi per la non contraddittorietà della normativa interna e la Direttiva 2014/24/UE, atteso che la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 38 comma 2 bis cit. afferisce solo e soltanto alle irregolarità essenziali.