SOMMARIO - 1. La rinegoziazione delle condizioni contrattuali nelle sue configurazioni applicative. Cenni.  - 1.1. Segue. Il rilievo pro-concorrenziale della rinegoziazione bilaterale. - 2. Lo sviluppo della disciplina all’interno dell’ordinamento europeo. - 3. La disciplina della rinegoziazione contrattuale all’interno dell’ordinamento italiano dei contratti con le pubbliche amministrazioni. - 3.1. Segue. Casistica delle cause ammissibili di rinegoziazione del contratto di appalto. - 4. Sostanzialità della modifica: figure sintomatiche ed inammissibilità del potere di rinegoziazione. - 5. Trasparenza della rinegoziazione ed obblighi di pubblicità. - 6. Particolarità del regime delle concessioni. - 7. Le procedure di risoluzione alternativa delle controversie come forme di rinegoziazione del contenuto del contratto: il caso della transazione. - 7.1. Segue: un bilanciamento pro-concorrenziale tra l’interesse alla trasparenza e l’interesse alla conservazione del rapporto contrattuale. Conclusioni.

 

Abstract.- L’attuale sistemazione della disciplina europea ed italiana, in tema di contratti soggetti all’obbligo di aggiudicazione con evidenza pubblica, tende evidentemente ad un’applicazione generalizzata delle regole a tutela della concorrenza nel mercato delle commesse pubbliche. Si tratta di un fenomeno che trascende, progressivamente, anche la tradizionale bipartizione tra una fase dominata dalle regole del diritto speciale pubblico, volta alla scelta del contraente privato e all’aggiudicazione del contratto, e una fase lasciata alla prevalenza delle regole del diritto comune dei privati, incentrata quest’ultima sull’esecuzione del contratto in una logica di rapporto paritetico tra i contraenti. Particolarmente significativa, in tal senso, appare l’analisi della più recente normativa in tema di rinegoziazione e di modifica del contratto in corso di esecuzione, nonché della giurisprudenza europea e nazionale che tendono a leggere in chiave proconcorrenziale anche quelle modifiche contrattuali che derivino dall’applicazione dei più tradizionali istituti di diritto comune volti risoluzione alternativa delle controversie, come è il caso della transazione.

1. La rinegoziazione delle condizioni contrattuali nelle sue configurazioni applicative. Cenni.

 

La tematica della rinegoziazione delle condizioni contrattuali attiene al più ampio ambito della disciplina dell’esecuzione dei contratti con le amministrazioni pubbliche, e delle relative ripercussioni in ordine all’esigenza di tutela concreta della concorrenza del mercato dei contratti con le amministrazioni pubbliche, che si estende anche al di là della fase di mera aggiudicazione del contratto[1].

Si tratta, come chiarisce la dottrina[2], di un settore tradizionalmente approfondito prevalentemente dalla scienza contabilistica[3], e solo di recente oggetto di una maggiore attenzione da parte degli studiosi di diritto amministrativo[4].

Il potere di rinegoziare i termini di un contratto in  corso di esecuzione può assumere due differenti configurazioni, nell’ambito del diritto delle amministrazioni pubbliche: un potere unilaterale di revisione delle clausole, in capo alla parte pubblica; oppure un potere bilaterale, in quanto condiviso da entrambe le parti del negozio, di procedere di comune accordo alla revisione contrattuale.

La prima di queste configurazioni, che esula dall’oggetto del presente contributo ed alla quale pare utile solo un cenno in questa sede, è stata letta dalla dottrina di matrice francese come l’applicazione anche in sede di esecuzione contrattuale di un generale principio di supremazia amministrativa sulle controparti private[5]. Afferiscono a questa tipologia di modifica contrattuale l’istituto della revisione prezzi e delle varianti in corso d’opera, laddove oggetto di iniziativa da parte della stazione appaltante pubblica[6].

Ad oggi, tuttavia, la questione deve intendersi profondamente incisa, all’interno del nostro ordinamento, a seguito dell’introduzione del principio generale di soggezione residuale dell’attività amministrativa alle regole del diritto comune, di cui all’art, 1, comma I bis, della Legge n. 7 agosto 1990, n. 241: non pare, in altri termini, più configurabile un generale principio di sovraordinazione dell’amministrazione rispetto ai privati, meno che mai con riferimento alle attività di esecuzione di reciproche prestazioni contrattuali, se non nei casi espressamente previsti dal legislatore: ne consegue che le singole attribuzioni normative di un potere di revisione unilaterale del contratto in sede di esecuzione devono essere intese al livello sistematico come espressione di prerogative strettamente tipizzate e non più generali, con riferimento alla posizione della parte pubblica all’interno del rapporto contrattuale[7].

1.2. Segue. Il rilievo pro-concorrenziale della rinegoziazione bilaterale.

La seconda configurazione del potere di rinegoziazione è, invece, incentrata sull’esercizio di prerogative reciproche delle parti, all’interno di un rapporto contrattuale che si svolge su base essenzialmente paritetica. Si tratta, pertanto, di vicende tradizionalmente ricondotte nell’ambito dell’attività di diritto comune propriamente detta dell’amministrazione.

Eppure, in tempi recenti e con particolare riferimento alle implicazioni del diritto europeo, si registra un crescente livello di attenzione al tema della rinegoziazione bilaterale da parte della giurisprudenza e del legislatore, in ordine non tanto al mantenimento dell’equilibrio di forze tra le parti del rapporto contrattuale in essere, quanto alle garanzie di tutela della concorrenza nel mercato delle commesse pubbliche: queste, infatti, potrebbero trovare spazi elusivi dell’obbligo di aggiudicazione ad evidenza pubblica proprio in ragione della modifica delle clausole di contratti già aggiudicati e in corso di esecuzione.

Deve, infatti, sottolinearsi che nel panorama dell’ordinamento italiano di diritto comune il potere di rinegoziazione bilaterale non ha un diretto riconoscimento normativo, in quanto manca la previsione generale di un obbligo di rinegoziazione dei termini del contratto, in caso di sopravvenienze idonee ad alterarne l’originario equilibrio economico.

Il nostro ordinamento, infatti, preferisce riconoscere in tal caso il diritto allo scioglimento anticipato del rapporto in favore della parte svantaggiata, salva la mera facoltà per la controparte di proporre un’equa modifica, secondo quanto previsto dall’art. 1467 Cod. Civ.

Si tratta di una caratteristica criticata dalla scienza giuridica fin da tempi risalenti[8], e che viene oggi ad essere al centro di un intenso dibattito, alla luce del crescente rilevo normativo che il potere di rinegoziazione bilaterale sta assumendo al livello internazionale e all’interno di ordinamenti nazionali a noi vicini[9]. È, in primis, il caso dell’ordinamento civile tedesco che contempla in via generale l’istituto della rinegoziazione, affidandone l’esercizio al giudice in sede di sindacato sulla sopravvenuta eccessiva onerosità delle prestazioni contrattuali[10].

In un tale contesto assume rilievo per il nostro ordinamento il diritto europeo delle commesse pubbliche, che ha sviluppato una lettura pro-concorrenziale del potere di rinegoziazione paritetica. Tale fenomeno, originato prima in sede giurisprudenziale e poi trasposto al livello normativo, ha comportato la necessità anche per il nostro ordinamento, in ragione delle regole di ricezione interna del diritto sovranazionale dell’Unione, di dare una disciplina giuridica della rinegoziazione paritetica dei contratti con le pubbliche amministrazioni, pur in assenza di una relativa formalizzazione al livello di diritto comune dei contratti.

2. Lo sviluppo della disciplina all’interno dell’ordinamento europeo.

Come si diceva, la questione relativa al potere di rinegoziazione del contratto in fase di esecuzione assume delle fattezze di particolare consistenza giuridica nell’ambito del diritto europeo: è in questo contesto giuridico, infatti, che la garanzia di stabilità dell’oggetto del contratto, così come aggiudicato e stipulato dalla stazione appaltante pubblica, viene per la prima volta interpretata non solo come strumento di tutela speciale degli interessi delle parti, ma come istituto a carattere generale in quanto posto a tutela del corretto confronto concorrenziale tra operatori economici e soggetti istituzionali, all’interno del mercato delle commesse pubbliche.

Rinegoziare in termini sostanziali il contratto di appalto in fase di esecuzione, o più in generale l’atto negoziale già stipulato con un soggetto pubblico, infatti, significa non solo cambiare le regole di un rapporto obbligatorio che già lega l’amministrazione pubblica ad un dato contraente privato, ma anche eludere i termini dell’aggiudicazione ad evidenza pubblica, nella misura in cui le modifiche comportino lo stravolgimento dei termini dell’offerta, del bando e/o degli altri atti di gara originari.

Tale circostanza può finanche rappresentare un’elusione indiretta dell’obbligo di aggiudicazione con evidenza pubblica in sé, nel caso in cui dette modifiche abbiano ad oggetto prestazioni diverse ed ulteriori, di per sé tanto rilevanti poter essere oggetto di un diverso ed autonomo contratto, da aggiudicarsi tramite l’esperimento di una differente procedura ad evidenza pubblica.

In dottrina si è rilevata la formazione di due approcci da parte del giudice europeo sulla questione[11]: un primo indirizzo, infatti, ha valorizzato, come criterio dirimente in ordine alla natura anticoncorrenziale della modifica contrattuale, l’incidenza di questa come stravolgimento dell’originario equilibrio economico tra le prestazioni in contratto, attraverso il c.d. «scope of the contract test»[12].

Un secondo approccio, più recente, si è invece incentrato sul c.d. «scope of the competition test»: una modifica contrattuale risulta, in altri termini, essenziale e quindi non ammissibile se, secondo un giudizio di prognosi postuma, la sua adozione risulti incompatibile con i termini dell’aggiudicazione del contratto originario[13].

Quest’ultima impostazione, fatta propria anche in sede di prassi europea[14], consente di escludere tutte le modifiche contrattuali che, se fatte oggetto di originarie clausole contrattuali e/o previsioni degli atti di gara avrebbero in qualche modo alterato sia i criteri di aggiudicazione, sia i criteri di partecipazione stessa alla procedura di aggiudicazione da parte dei concorrenti privati; di converso, la stessa impostazione pare interpretabile nel senso di un maggior rigore nei confronti delle modifiche peggiorative per la parte pubblica, rispetto a quelle peggiorative per il contraente privato[15].

La natura pro-concorrenziale del richiamato criterio consente, ad ogni modo, di ampliare il novero delle modifiche ammissibili attraverso la chiara indicazione della relativa facoltà di rinegoziazione negli atti di gara originari, a riprova della centralità ivi assunta dal principio di imparzialità nell’aggiudicazione e dal relativo criterio di pubblicità preventiva delle particolari condizioni contrattuali, estese anche valle vicende dell’esecuzione delle prestazioni[16].

Al livello normativo, gli assesti della giurisprudenza appena ricordati hanno trovato oggi espresso riconoscimento normativo in alcuni articoli dedicati della recente disciplina in materia: si tratta, in particolare, dell’art. 43 della Direttiva 2014/23/UE in tema di concessioni, dell’art. 72 della Direttiva 2014/24/UE in tema di appalti e dall’art. 89 della Direttiva 2014/25/UE.

Al livello dell’ordinamento italiano, tale disciplina è stata trasfusa nel Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in particolare in due articoli dedicati l’uno ai contratti di appalto, l’altro alle concessioni pubbliche.

3. La disciplina della rinegoziazione contrattuale all’interno dell’ordinamento italiano dei contratti con le pubbliche amministrazioni.

Come appena ricordato, all’interno del nostro ordinamento la disciplina in ordine al potere di rinegoziazione del contratto ha trovato ingresso con riferimento al mercato delle commesse pubbliche, attraverso un percorso accidentato che solo di recente, con l’introduzione del Decreto legislativo n. 50/2016, pare aver trovato una sistemazione tendente all’organicità.

A ben vedere, la questione in ordine alla generale ammissibilità della modifica di clausole contrattuali in corso di esecuzione, con riferimento al pericolo di elusione delle relative regole di aggiudicazione ad evidenza pubblica, era stata oggetto di una serie di pronunce giurisprudenziali dei giudici nazionali, le più note delle quali relative all’annosa vicenda della privatizzazione della Centrale del Latte di Roma[17].

Qui, con una delle prime chiare prese di posizione in tal senso all’interno dell’ordinamento, si è affermato che l’evidenza pubblica, con i relativi obblighi di trasparenza, coinvolge non solo l’aggiudicazione di un contratto con l’amministrazione pubblica, ma anche le relative attività esecutive allorquando le stesse possano mascherare, come nel caso di mutamento sostanziale del contenuto del contratto, l’affidamento diretto e senza alcuna evidenza pubblica di un nuovo e differente contratto.

Si tratterebbe, secondo questa giurisprudenza, della conseguenza dell’applicazione diretta ed orizzontale dell'obbligo di trasparenza nell’aggiudicazione delle commesse pubbliche, quale necessario corollario delle regole di tutela della concorrenza direttamente sancite dai trattati europei[18].

Con l’introduzione della recente disciplina in tema di contratti con le amministrazioni pubbliche, ad ogni modo, la situazione cambia sostanzialmente: finalmente, infatti, si assicura il riconoscimento normativo degli indirizzi giurisprudenziali appena richiamati, introducendo apposite previsioni in merito alla rinegoziazione dei contratti in corso di esecuzione. Si tratta, a ben vedere, di un primo intervento tendenzialmente organico del legislatore, che tuttavia resta alquanto eterogeneo nei contenuti e di fatto lontano da un soddisfacente livello di sistemazione della materia[19].

3.1. Segue. Casistica delle cause ammissibili di rinegoziazione del contratto di appalto.

Ai sensi dell’articolo 106 del D.lgs. n. 50/2016, con riferimento ai contratti di appalto e agli accordi quadro, si procede, come detto, ad una tipizzazione delle cause ammissibili di modifica del contratto. Una complessiva logica di sistema, all’interno dell’eterogeneo quadro delle relative previsioni, sembra riscontrabile nell’individuazione di un generale principio per cui l’esercizio della facoltà di rinegoziazione del contratto dipende dalla conservazione del contenuto qualificante dell’originario rapporto sinallagmatico, tanto in ordine all’equilibrio economico della relazione tra le parti, quanto in ordine all’ampiezza del confronto competitivo così come posto alla base dell’originaria aggiudicazione.

Si rinviene, infatti, alla lettera a), in combinato disposto con la successiva previsione di chiusura di cui alla lettera e), del primo comma dell’articolo 106 in esame, quello che appare come il criterio generale della materia: è possibile procedere alla rinegoziazione dei contratti di appalto[20], che siano in senso ampio in corso di esecuzione[21], a patto che la modifiche apportate non abbiano l'effetto di alterare la natura generale del contratto.

Tali modifiche al contenuto del rapporto obbligatorio tra amministrazione e contraente privato devono essere previamente autorizzate dal responsabile del procedimento (RUP), con le forme e modalità eventualmente previste nello specifico regime di organizzazione e funzionamento di ciascuna stazione appaltante.

Una prima ipotesi di rinegoziazione legittima, che prescinde da un riferimento diretto al valore monetario delle relative modifiche contrattuali, è contemplata nel caso in cui la relativa facoltà sia stata prevista nel documenti iniziali di gara attraverso «clausole chiare, precise e inequivocabili», come ad esempio è il caso delle frequenti clausole di revisione prezzi.

Si tratta di un importante passo avanti della legislazione in tema di contratti con la pubblica amministrazione, che riconosce dignità sistemica all’interno dell’ordinamento alle c.d. clausole preventive di rinegoziazione, già riconosciute valide negli assesti della giurisprudenza.

Sul punto il legislatore si premura di delineare lo schema essenziale di tali clausole, che non solo dovranno indicare chiaramente le relative condizioni applicative, ma dovranno spingersi fino all’individuazione in linea di massima della natura delle eventuali modifiche contrattuali nonché della descrizione del relativo impatto sull’economia generale del sinallagma contrattuale, eventualmente con riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard laddove applicabili[22].

Per quanto concerne in particolare le variazioni di prezzo si prevede, poi, che per i contratti di lavori queste possano essere valutate, con riferimento ai prezziari di riferimento[23], solo per un’eccedenza del dieci per cento rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà; mentre per i contratti di servizi o forniture, stipulati in forma aggregata, restano ferme le previsioni di cui alla Legge di stabilità per il 2016[24]

Una seconda ipotesi, prevista dalla lettera b) dell’art. 106 del D.lgs. n. 50/2016, contempla il caso delle prestazioni supplementari, rispetto all’oggetto principale del contratto, che si siano rese necessarie nel corso dell’esecuzione contrattuale.

Qui l’ammissibilità di una rinegoziazione, comunque condizionata nei settori ordinari ad un’incidenza non superiore, per ciascuna modifica, al 50 per cento del valore del contratto iniziale[25], è subordinata al verificarsi di due condizioni: da una parte, l’impossibilità tecnica o economica di affidare a terzi l’esecuzione della prestazione supplementare, ad esempio in ragione della necessità di utilizzare macchinari interoperabili già utilizzati in sede di esecuzione del contratto principale; dall’altra, la circostanza per cui un affidamento delle prestazioni supplementari a terzi possa comportare «notevoli disguidi o una consistente duplicazione dei costi» a carico della stazione appaltante.

Alla lettera c) del citato decreto, poi, il legislatore introduce la disciplina delle tradizionali «varianti in corso d’opera», ossia di quelle particolari modificazioni dell’oggetto contrattuale così come definito in sede di aggiudicazione e stipula originari, in ragione di circostanze impreviste e imprevedibili per la stazione appaltante. Anche qui viene introdotto il limite quantitativo del 50 per cento, per ciascuna variante, del prezzo concordato per la prestazione originaria, ma nell’ambito oggettivo di applicazione della fattispecie viene espressamente ricompresa anche il jus superveniens, icasticamente identificato non solo al livello propriamente normativo, ma anche con riferimento agli atti amministrativi e in particolare a quelli a contenuto regolatorio. Chiaramente, anche qui vale il limite oggettivo generale per l’ammissibilità delle modifiche, consistente nella conservazione della natura generale del contratto originario, come peraltro ricordato dallo stesso legislatore con una previsione sostanzialmente ultronea[26].

Per quanto concerne le ipotesi di modificazione soggettiva dell’originario rapporto contrattuale, il legislatore interviene alla lettera d) del primo comma dell’art. 106 di cui si discorre: qui, oltre a prevedersi espressamente la possibilità che tale possa essere il contenuto di una clausola preventiva di rinegoziazione, con le condizioni e nei limiti già ricordati, si considerano anche due ulteriori ipotesi, cui pare ricollegarsi un generale indirizzo di salvaguardia dei rapporti contrattuali con l’amministrazione, e delle relative ricadute negative di ordine economico-sociale, che possano derivare da alcune particolari vicissitudini dell’attività di impresa del contraente privato.

In primo luogo, infatti, si ammette la produzione di una successione nel rapporto sia mortis causa, sia di natura contrattuale[27], a patto che l’operatore economico succeduto all’originario contraente «soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente», sempre che ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sottenda intenti elusivi della disciplina sull’evidenza pubblica. In secondo luogo, si ammette l’ipotesi in cui la parte pubblica succeda al contraente privato, con riferimento ai relativi rapporti nei confronti degli eventuali subappaltatori.

Per quanto, poi, concerne la modifica della durata del contratto in corso di esecuzione il legislatore limita l’ammissibilità della proroga al caso in cui detta facoltà sia oggetto di un’apposita opzione contrattuale, prevista nel bando e negli altri documenti di gara. Detta proroga, inoltre, dovrà essere limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure di individuazione del nuovo contraente, attraverso l’esperimento della relativa procedura ad evidenza pubblica. Le prestazioni dedotte nel contratto dovranno, in tal caso, continuare ad essere eseguite alle condizioni già previste, salva la facoltà di ridurre le stesse ma a solo vantaggio della stazione appaltante.

Una disciplina più elastica, cui pare lecito solo accennare in questa sede, appare dettata, inoltre, con riferimento alle modifiche del rapporto a seguito di errori di progettazione, di cui all’art. 106, comma II, del d.lgs. n. 50/2016 per le quali il legislatore introduce un regime di presunzione di non sostanzialità delle modifiche, fondato su indici meramente riferiti al valore economico delle stesse[28].

4. Sostanzialità della modifica: figure sintomatiche ed inammissibilità del potere di rinegoziazione.

Come ricordato, al centro della nuova disciplina in tema di legittima rinegoziazione del contratto di appalto, come anche dell’accordo quadro, è posto il criterio della non essenzialità della modifica contrattuale[29].

In tale contesto, il comma 4, dell’art. 106, del D.lgs. n. 50/2016 interviene a fissare al livello normativo i relativi parametri ermeneutici, indicando come sostanziale, e quindi non consentita, la modifica dell’accordo contrattuale nella misura in cui essa provochi un’alterazione considerevole degli elementi essenziali del contratto così come originariamente stipulato.

Si tratta, in altri termini, della previsione di un doppio livello di valutazione, rimandata in concreto alle parti o ad un eventuale sindacato giurisdizionale,incentrata in primo luogo su di un apprezzamento «qualitativo» della modifica, che deve incidere sugli elementi essenziali del contratto. Qui, in attesa del formarsi di indirizzi giurisprudenziali in merito, pare lecito al momento solo dubitare dell’efficacia di un criterio ermeneutico eccessivamente rigoroso sul dato testuale, che limiterebbe l’ambito oggettivo di applicazione della norma ai casi in cui la modifica contrattuale incida sugli elementi essenziali del contratto così come individuati dal diritto comune[30], in favore di un criterio interpretativo finalistico e più elastico, che consenta di riconoscere valore essenziale alle singole pattuizioni dedotte in clausole del contratto, in ragione della particolare rilevanza in merito alla complessiva economia del rapporto sinallagmatico tra le parti.

In seconda battuta, la valutazione in ordine alla natura sostanziale deve fondarsi sull’apprezzamento in un certo senso «quantitativo» della modifica contrattuale, la cui portata, per poter rilevare in termini di modifica essenziale, dovrà apprezzarsi come «considerevole» rispetto all’assetto complessivo del rapporto negoziale contrattuale. Anche qui, evidentemente, appare opportuno attendere che sia l’interpretazione giurisprudenziale a dettare criteri obiettivi  di riferimento, parendo ad ogni modo plausibile l’affermazione di un indirizzo volto a valorizzare un’analisi caso per caso.

Il legislatore, comunque, fornisce anche una breve casistica, chiaramente non esaustiva, di alcune condizioni tipizzate, al verificarsi di almeno una delle quali debba presumersi il carattere sostanziale della modifica del contratto[31], secondo una logica affine a quella delle c.d. «figure sintomatiche»[32].

Si tratta, nello specifico, dell’introduzione di condizioni che avrebbero consentito, se poste fin dalla fase di aggiudicazione del contratto in evidenza pubblica, una diversa composizione del novero dei concorrenti per l’aggiudicazione del contratto, se non addirittura l’aggiudicazione ad una differente offerta; oppure una modifica dell’equilibrio economico del contratto in favore del contraente privato, in modo non previsto dal contratto originario; oppure ancora una modifica oggettiva, che estenda «notevolmente» l’ambito di applicazione del contratto, ovvero una modifica soggettiva del rapporto dal lato privato, al di fuori delle richiamate ipotesi di cui al comma 1, lett. d) dell’art. 106.

Il legislatore, inoltre, assegna all’amministrazione aggiudicatrice la facoltà di stabilire, indicandole negli atti di gara, delle soglie quantitative massime di ammissibilità per l’importo delle varianti e/o delle modifiche agli importi oggetto di contratto, fatto ad ogni modo salvo il regime della qualità sostanziale delle modifiche contrattuali appena descritta[33].

5. Trasparenza della rinegoziazione ed obblighi di pubblicità.

L’esercizio legittimo della facoltà di rinegoziazione, con l’adozione delle relative modifiche contrattuali, soggiace nell’economia dell’art. 106 del D.lgs. 50/2016 al generale principio di trasparenza. Questo, con particolare riferimento alla disciplina delle prestazioni supplementari e delle varianti in corso d’opera, ritenute dal legislatore come ambiti particolarmente sensibili in ordine all’esigenza di trasparenza, trova applicazione attraverso una serie di puntuali obblighi di pubblicazione, posti in capo alla parte pubblica e garantiti dalla comminazione di precise sanzioni amministrative in caso di inosservanza.

In primo luogo, con riferimento alle modifiche contrattuali relative a prestazioni supplementari o a varianti in corso d’opera, si prevede l’obbligo di pubblicare un avviso successivo all’adozione della modifica nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, seguendo la disciplina di cui all’articolo 72 del D.lgs. n. 50/2016 nel caso di appalti nei settori ordinari, ovvero quella di cui all’art. 130 del citato decreto nel caso di appalti nei settori speciali.

L’adozione di una modifica per prestazioni supplementari è, inoltre, sottoposta ad un ulteriore obbligo di pubblicità all’interno del regime di regolazione nazionale, che trova applicazione anche con riferimento alle modifiche dovute ad errori di progettazione. Si prevede, infatti, che la stazione appaltante comunichi tali modifiche all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) entro trenta giorni dal relativo perfezionamento, pena l’applicazione di una sanzione amministrativa a computo progressivo, da cinquanta a duecento euro per ogni giorno di ritardo. Di tale comunicazione, l’ANAC è tenuta a dare informazione, nella sezione pubblica del proprio sito informatico istituzionale, attraverso l’inserimento in elenco da cui risultino, per ciascuna modifica contrattuale comunicata, gli estremi di identificazione dell’opera, dell'amministrazione o dell'ente aggiudicatore, dell'aggiudicatario, del progettista e del valore della modifica.

Per quanto concerne le varianti in corso d’opera si prevede, quale ulteriore onere di pubblicità, la comunicazione entro trenta giorni, da parte del Responsabile del Procedimento (RUP) che le abbia autorizzate, all’Osservatorio di cui all’art. 231 del D.lgs. n. 50/2016 nel caso di appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria.

Nel caso, invece, di appalti di importo pari o superiore alla soglia comunitaria l’obbligo di comunicazione si fa più intenso e circostanziato, prevedendosi che il RUP trasmetta all’ANAC, sempre nel termine di trenta giorni dall’approvazione, tutte le varianti eccedenti il dieci per cento dell’importo originario del contratto, unitamente al progetto esecutivo, all’atto di validazione e ad una relazione dello stesso RUP in ordine alla variante. Tutto ciò al fine di consentire all’ANAC di effettuare una circostanziata valutazione in ordine alla legittimità della variante approvata ed eventualmente di esercitare i poteri di cui all’art. 213 del D.lgs. n. 50/2016 nel caso se ne accerti l’illegittimità. L’inadempimento di questi particolari oneri di pubblicità viene sanzionato applicando le sanzioni amministrative di cui allo stesso art. 213, comma 13.

6. Particolarità del regime delle concessioni.

Per quanto concerne la disciplina della rinegoziazione delle concessioni pubbliche, cui il legislatore dedica l’art. 175 del d.lgs. n. 50/2016, vale una logica sostanzialmente conforme a quanto riportato in ordine ai contratti di appalto, seppure con delle significative differenze legate alla diversa natura del rapporto tra privato ed amministrazione pubblica con particolare riferimento alla distribuzione del rischio di impresa.

Se, infatti, è l’accollo di quest’ultimo in capo al contraente privato che caratterizza il regime concessorio in sé, ne consegue la necessità di prevedere una maggiore elasticità dei limiti alle modifiche in corso di esecuzione, rispetto al regime dell’appalto pubblico.

Tale circostanza si apprezza, in particolare, con riferimento alla previsione di cui all’art. 175, commi 4 e 5, del citato decreto laddove si ammettono in via generale, con espressa presunzione normativa della loro natura non essenziale[34], quelle modifiche alle concessioni il cui valore non comporti lo sforamento della soglia di rilevanza comunitaria dell’intero rapporto e sia[35], al contempo, inferiore al dieci per cento del valore della concessione iniziale.

Si tratta, a ben vedere, di una previsione strutturalmente simile a quanto previsto con riferimento all’ammissibilità di modifiche al contratto di appalto per errori nella progettazione[36], ma con una portata oggettiva ben più ampia, segnatamente in ragione della richiamata necessità di rendere più elastico il margine di aggiustamento del rapporto concessorio, rispetto a quello di appalto.

Ma la logica della maggiore elasticità, in generale, delle vicende del rapporto di concessione rispetto a quello di appalto prosegue anche in ulteriori specifiche previsioni.

E così, se l’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016 ammette la possibilità di una proroga del rapporto, seppure strettamente limitata all’espletamento delle procedure di successiva aggiudicazione dell’appalto, nella disciplina del rapporto concessorio tale eventualità è tassativamente esclusa dall’ultimo allinea dell’art. 175, comma 1. lett.a) del citato decreto.

Più marcata, inoltre, appare la differenza tra i due regimi, in ordine alle modifiche contrattuali dovute a circostanze sopravvenute, le c.d. varianti in corso d’opera in senso tradizionale: qui, infatti, l’art. 175, comma I, lett. c) del decreto in esame prevede un limite di ammissibilità più ampio, richiamando le circostanze sopravvenute che la stazione appaltante non poteva prevedere utilizzando «l’ordinaria diligenza», mentre l’art. 106, comma I, lett. c) del citato decreto, applica un criterio ben più specifico per contratti di appalto.

Il ricorso ad una nozione civilistica, di fatto, molto elastica, quale è appunto l’ordinaria diligenza, appare come il riflesso in tale contesto della particolare posizione dell’ente concedente rispetto all’economia del relativo rapporto negoziale in cui, a differenza di quanto accade nell’ambito dei contratti di appalto, si richiede alla parte pubblica un coinvolgimento meno intenso in punto di definizione dei singoli aspetti del rapporto, dato questo alla base della differente distribuzione del rischio di impresa che nelle concessioni grava, appunto, sul concessionario privato.

7. Le procedure di risoluzione alternativa delle controversie come forme di rinegoziazione del contenuto del contratto: il caso della transazione.

L’applicazione del criterio pro-concorrenziale di cui si discorre è stato esteso dal giudice europeo anche ad ambiti tradizionalmente esclusi, nel nostro ordinamento, da considerazioni di carattere pubblicistico, perché ritenuti tutti interni all’attività paritetica di natura privatistica dell’amministrazione in sede di esecuzione del contratto. Il riferimento, in particolare, è ai sistemi di risoluzione delle controversie alternativi all’azione giudiziaria, ed in particolare all’istituto della transazione.

Di recente, sulla questione, è intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea[37], chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con il regime europeo degli appalti pubblici della possibilità riconosciuta da un ordinamento interno[38], per le parti di un contratto di appalto pubblico che presenti rilevanti difficoltà in sede di esecuzione, di comporre transattivamente la relativa controversia a prescindere da una valutazione circa la concreta modificazione dei relativi termini negoziali.

La questione è di particolare interesse perché il giudice europeo, ponendo al centro della decisione il tema dei limiti alla facoltà di rinegoziazione dell’appalto pubblico, legge in una luce sostanzialmente nuova uno degli istituti classici della risoluzione alternativa delle controversie in sede esecutiva, cui in questa sede appare lecito solo accennare in ordine ad alcuni dei relativi tratti caratteristici[39].

La questione della disponibilità, e quindi dell’assoggettabilità anche a transazione, delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte nell’esercizio dell’attività amministrativa rappresenta uno dei temi caldi del dibattito contemporaneo sull’azione amministrativa[40]: in particolare, allorquando si consideri l’esercizio delle funzioni amministrative in senso proprio, con l’esercizio delle relative potestà speciali di diritto pubblico che comportano, almeno tendenzialmente, l’indisponibilità delle relative situazioni giuridiche soggettive[41].

Il riferimento, in questa sede, è tuttavia rivolto alla sola transazione relativa ai rapporti contrattuali tra amministrazione pubblica e contraente privato[42], che si inserisce all’interno di un ambito tradizionalmente ascritto dalla dottrina all’area dell’attività privatistica e di natura paritetica dell’amministrazione[43], in cui ha trovato piena applicazione il paradigma di cui all’art. 1965 del Codice Civile[44], senza l’implicazione, almeno in via diretta, dell’esercizio di pubbliche potestà[45].

In tali casi, non si è mancato di sottolineare come l’interesse pubblico incida essenzialmente sull’opportunità della scelta transattiva, alla luce di una rappresentazione adeguatamente ampia e completa in ordine alle alternative possibili dell’esito di un sindacato giurisdizionale, con la conseguente necessità di applicare i criteri della c.d. «evidenza pubblica interna», ossia volta alla sola dimostrazione dell’opportunità di ricorrere alla data soluzione transattiva[46].

Secondo un’impostazione sostanzialmente condivisa nell’area del diritto privato europeo di ascendenza romanistica[47], infatti, la transazione rappresenta lo strumento principale attraverso cui le parti di un dato rapporto contrattuale possono raggiungere una risoluzione non giudiziaria delle loro controversie, attraverso reciproche concessioni: la circostanza di essere un istituto diffuso in modo sostanzialmente uniforme nell’area europea, inoltre, consente in questa sede di riferire direttamente anche alle vicende dell’ordinamento italiano gli esiti della giurisprudenza europea formatasi con riferimento ad altri ordinamenti nazionali.

È il dato delle reciproche concessioni tra le parti, come sancisce l’art. 1965 del Codice Civile, a caratterizzare l’istituto della transazione, attribuendo ad esso la funzione di modificare i termini del loro preesistente rapporto contrattuale: in ciò la transazione si distingue, secondo l’impostazione prevalente, dal c.d. negozio di mero accertamento finalizzato, invece, a definire in via concordata il contenuto delle clausole di un preesistente contratto, con effetto preclusivo circa future contestazioni ma non di rimodulazione o di modifica del rapporto preesistente[48].

Ne consegue che parlare di transazione, con riferimento alle controversie in sede di esecuzione di un contratto di appalto pubblico, significa in ogni caso dover considerare il relativo regime dei limiti e delle condizioni al potere di rinegoziazione del contratto, anche a prescindere dalla circostanza che la transazione stessa si manifesti o meno in termini di novazione[49], ossia incidendo, ai sensi dell’art. 1965, comma II, Cod. Civ. su rapporti negoziali differenti rispetto al contratto «controverso».

Chiarita, nei termini appena riportati, la centralità dell’istituto della transazione, nell’ambito della disciplina sul potere di rinegoziazione dei contratti pubblici, occorre esaminare i richiamati assesti del giudice europeo.

In gioco, a ben vedere, sono da una parte il principio di parità di trattamento tra gli operatori privati e l’obbligo di trasparenza, che limitano il potere di rinegoziazione del contratto pubblico[50], in favore del ricorso ad autonomi rapporti contrattuali da aggiudicare con procedura ad evidenza pubblica[51]; dall’altra, nel caso particolare della transazione, l’interesse oggettivo, tanto della parte pubblica quanto di quella privata, alla conservazione del rapporto contrattuale in corso di esecuzione, anche a fronte di una vicenda contenziosa che  possa risolversi in via extragiudiziaria.

7.1. Segue: un bilanciamento pro-concorrenziale tra l’interesse alla trasparenza e l’interesse alla conservazione del rapporto contrattuale.

In ordine a quanto appena rilevato, diventa necessario operare un bilanciamento tra i richiamati interessi alla trasparenza nell’aggiudicazione delle commesse pubbliche, da una parte, e alla conservazione del rapporto contrattuale, in ipotesi di controversie in punto di esecuzione, dall’altra.

Secondo un primo indirizzo della giurisprudenza, rimasto poi recessivo, doveva assumersi un criterio di riferimento a contenuto soggettivo, ossia fondato sull’effettiva volontà delle parti di rinegoziare il contenuto del contratto[52]. In applicazione di un tale criterio le modifiche contrattuali apportate a seguito di transazione, tendenzialmente, potevano di per sé considerarsi legittime, in quanto funzionali a superare delle difficoltà, oggettive e imprevedibili, nell’esecuzione del contratto pubblico e pertanto al di fuori dell’ambito della normale volontà negoziale delle parti e dei relativi obblighi di trasparenza preventiva.

In breve tempo, tuttavia, l’approccio giurisprudenziale si è evoluto verso l’adozione di un criterio di natura oggettiva, volto a valorizzare marcatamente il rapporto tra l’oggetto del contratto originariamente stipulato e l’oggetto delle «reciproche concessioni» frutto dell’accordo transattivo: il diritto dell’Unione, si sancisce nelle più recenti decisioni in tal senso, non consente «che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell’appalto iniziale»[53].

Il rilievo decisivo dei principi di parità di trattamento, non discriminazione e relativi obblighi di trasparenza, nell’ambito delle norme del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, viene ad oggi espressamente affermato e tutelato, sempre in ordine alla facoltà di transigere controversie in fase di esecuzione, anche con riferimento alle concessioni pubbliche di servizi o di diritto esclusivi, settore questo tradizionalmente connotato da una disciplina abbastanza elastica[54].

In definitiva, appare significativo rilevare come l’importanza ormai assolutamente centrale dei principi posti a garanzia dell’aggiudicazione, in condizioni di concorrenza, delle commesse pubbliche abbia ormai investito appieno la questione relativa al potere di rinegoziazione dei contratti di appalto e delle concessioni pubbliche: ne consegue non solo la necessità di riconsiderare le condizioni per l’esercizio legittimo di istituti tradizionali, quali la transazione in fase di esecuzione; ma, più in generale, l’attribuzione alle parti contrattuali pubbliche di un più intenso livello di responsabilità, già in fase di studio e di definizione a monte dell’oggetto del contratto, inserendo in clausole chiare fin dagli originari atti di gara l’eventuale facoltà di apportare modifiche al contratto.

Sono, quindi, la presenza e la congruità di tali clausole, in uno con la natura oggettivamente non essenziale della modifica apportata al contratto, a determinare secondo l’ambito del legittimo esercizio del potere di rinegoziazione del contratto pubblico, anche a seguito di transazione: solo così, sancisce la giurisprudenza europea, infatti, «l’amministrazione aggiudicatrice garantisce che tutti gli operatori economici interessati a partecipare a tale appalto ne siano a conoscenza fin dall’inizio e si trovino pertanto su un piede di parità nel momento della formulazione dell’offerta»[55], dovendosi altrimenti necessariamente avviare una nuova procedura di aggiudicazione ad evidenza pubblica[56].

Conclusioni.

Da quanto ricostruito, appare evidente una profonda evoluzione dell’ordinamento positivo in ordine ai poteri di rinegoziazione dei contratti in sede di relativa esecuzione.

L’attuale dimensione della normativa italiana, sviluppata sulla scorta di spinte esogene da parte del diritto europeo, si caratterizza per un approccio decisamente proconcorrenziale della disciplina, con particolare riferimento alle ipotesi di rinegoziazione bilaterale delle clausole del contratto: dinnanzi ad un sistema tipizzato di poteri unilaterali di modifica del contratto, in favore del contraente pubblico, infatti, si frappone un regime del potere di rinegoziazione bilaterale che, nel silenzio dell’ordinamento contrattuale di diritto comune, riconosce rilievo giuridico alle modifiche del contratto quasi esclusivamente in ragione della loro attitudine a mascherare ipotesi di elusione degli obblighi di evidenza pubblica nell’aggiudicazione dei contratti con la pubblica amministrazione.

L’obiettivo proconcorrenziale della trasparenza e della natura non essenziale della rinegoziazione del contratto, pertanto, sembra indirizzato ad assumere il ruolo di principio guida generale della materia, anche in ragione dello sviluppo della giurisprudenza europea e nazionale in tema di esecuzione dei contratti pubblici. Si tratta, infatti, di una tendenza che trascende anche la struttura tradizionale di istituti civilistici propri dell’esecuzione contrattuale, come è il caso della risoluzione transattiva delle controversie, ai quali deve oggi riconoscersi un particolare rilievo giuspubblicistico che ne giustifica una lettura «di diritto speciale», allorquando siano coinvolta una parte contrattuale chiamata ad applicare le regole dell’evidenza pubblica.

 

[1]        Sul tema, Cons. St., sez. III, 9 maggio 2012, n. 2685, in www.giustizia-amministrativa.it.

[2]        Per un recente contributo ricostruttivo in materia, s rimanda ad A. Giannelli, Esecuzione e rinegoziazione degli appalti pubblici, report annuale 2013 – italia, Jus Publicum Network,  marzo 2013, www.juspublicum.com.

[3]        Tra tutti, i principali riferimenti sul tema so o rappresentati dagli studi di S. Buscema, Trattato di contabilità pubblica, Milano, 1981, 965 ss. e di  C. Bentivenga, Elementi di contabilità di Stato, Milano, 1960, 119 e ss.

[4]        Sul tema, infatti, si segnalano gli studi di R. Cavallo Perin, G.M. Racca, La concorrenza nell’esecuzione dei contratti pubblici, in Dir. amm., 2010, 325; M. Comba, L’esecuzione di opere pubbliche. Con cenni di diritto comparato, Torino, 2012; A. Benedetti, I contratti della pubblica amministrazione tra specialità e diritto comune, Torino, 1999; R. Massera, Lo Stato che contratta e che si accorda, Pisa, 2011, 22.

[5]        I contributi più recenti in materia sono rappresentati dagli studi di Hoepffner, La modification du contrat administratif, Parigi, 2009; Brechon Moulenes, Liberté Contractuelle Des Persone Publiques, In AJDA, 1998, 643.

[6] Con riferimento alla natura unilaterale ed imperativa della revisione prezzi negli appalti con le pubblica amministrazione, la dottrina classica si è espressa in modo pressoché uniforme, per cui si rimanda ai più autorevoli studi sul tema di M. S. Giannini, Corso di diritto amministrativo, Vol. II, Milano, 1965, p. 85 e R. Nicolò, Diritto civile, in Enc  dir., Milano, 1964, XII, 916. Concorde anche la giurisprudenza, per cui vedi Cons. St., 12 ottobre 1984, n 723; in Mass. Compl. Cons. Stato, 1984, 371; nonché Corte dei conti, sez. controllo per la regione Sardegna,  n. 5/2009/PAR. Diversamente, afferma la natura non imperativa della revisione prezzi nell’appalti tra privati Cass. civ., 12 giugno 1987, n. 5148, in Rep., voce Appalto 1987, n. 42. Con riferimento all’istituto delle varianti in corso d’opera, e alla relativa riconduzione nell’ambito delle prerogative imperative ed unilaterali dell’amministrazione contraente, si rimanda ad alcuni classici studi, tra cui L.V. Moscarini, Profili civilistici del contratto di diritto pubblico, cit., 131; E. Sticchi Damiani, La nozione di appalto pubblico, Milano, 1999, 51. Contra, A. Benedetti, I contratti della pubblica amministrazione, cit., 202

[7]            Sul punto, D. De Pretis, L'attività contrattuale della P.A. e l'art 1 "bis" della legge n. 241 del 1990: l'attività non autoritativa secondo le regole del diritto privato e il principio di specialità, in F. Mastragostino (a cura di), Tipicità e atipicità nei contratti pubblici, 2007, Bologna, pp. 29 e ss.

[8]        A ben vedere, la dottrina giuridica aveva già in passato suggerito una modifica del codice civile che riconoscesse la rinegoziazione contrattuale come obbligatoria. In tal senso, si rimanda al classico studio di V. Andreoli, Revisione delle dottrine sulla sopravvenienza contrattuale, in Riv. dir. civ., 1938, pp. 309 e ss.

[9]        Il riferimento è al tenore delle previsioni via via introdotte nei codici civili della Grecia e dell’Olanda, nonché alle recenti prospettive di riforma presenti anche dell’ordinamento francese, per cui si rimanda a F. Bottoni, Buona fede e rimedi conservativi del contratto nel sistema francese e nell’avant projet di riforma del diritto delle obbligazioni. In medio stat virtus?, in Rass. dir. civ., 2009, 2, 591. Con riferimento alla tendenza generale in seno alla dimensione internazionale del diritto privato, si rimanda anche ai Principi Unidroit, che contemplano la c.d. clausola di hardship (art. 6.2.3), su cui, in dottrina, F. Volpe, I principi Unidroit e l’eccessivo squilibrio del contenuto negoziale, in Riv. dir. priv., 1999, 40.

[10]      Il riferimento, qui, è alla riforma introdotta nell’ordinamento civile tedesco nel 2001, con la legge sulla modernizzazione del diritto delle obbligazioni (Gesetz zur Modernisierung des Schuldrechts del 26 novembre 2001). Qui, in sostanza, si è recepita recepito una consolidata tendenza giurisprudenziale che riteneva possibile l’intervento correttivo del giudice sul contratto, in forza di una interpretazione estensiva della clausola di buona fede oggettiva di cui ai § 157 e 242 BGB. Nella nostra dottrina il tema è stato oggetto di diversi studi, per cui si rimanda a M. Ambrosoli, La sopravvenienza contrattuale, Milano, 2002, 366; P. Rescigno, La codificazione tedesca della Störung der Geschäftsgrundlage, in G. Cian (a cura di), la riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e contratti?, Padova, 2004, p. 10; G. Cian, Significato e lineamenti della riforma dello Schuldrecht tedesco, in Riv. dir. civ., 2003, 1, 9; F. P. Traisci, Sopravvenienze contrattuali e rinegoziazione nei sistemi di civil law, Napoli, 2003.

[11]      Sul punto, vedi A. Giannelli, Esecuzione e rinegoziazione degli appalti pubblici, cit.

[12]      In tal senso, Corte di Giustizia UE., 5 ottobre 2000, C-337/984, Commission c. France in Racc., 2000, I, 8377.

[13]      Questa l’impostazione di Corte di Giustizia UE, 29 aprile 2004, C-496/99, Commissione v. CAS Succhi di frutta SpA, in Foro amm., 2004, 985; id., 19 giugno 2008, C-454/06, Presstext Nachrichtenagentur Gmbh in www.curia.europa.eu.

[14]      Qui il riferimento è alla comunicazione interpretativa della Commissione n. C(2007)/6661 sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI), in www.europa.eu.

[15]      Così B. Marchetti, Atto di aggiudicazione e potere di rinegoziazione della pubblica amministrazione, in Giorn. dir. amm., 2003, 505.

[16]      Qui il riferimento è a Corte di Giustizia UE, 22 aprile 2010, C- 423/07, Commissione europea v. Spagna, in Racc. 2010, I, 3429.

[17]      Il riferimento è alla serie di pronunce del Consiglio di Stato, di cui la principale costituta dalla decisione della Sez. V, 1 marzo 2010, n, 1156. Sulla vicenda, in dottrina, si rimanda ad A. Marra, Rinegoziazione del contratto dopo l'aggiudicazione e riparto di giurisdizione, in Dir. Amm., 2004, 1160 ss.; R. Giovagnoli, Privatizzazione di imprese pubbliche e giurisdizione del giudice amministrativo, in Urb. App., 2003, 1435 ss.; F. Goisis, Principi in tema di evidenza pubblica e di rinegoziazione successiva del contratto: conseguenze della loro violazione sulla serie pubblicistica e privatistica, autotutela e riparto di giurisdizione, in Dir. Proc. Amm., fasc.2, 2011, pag. 815.

[18]      Così Corte di Giustizia UE, Gr. sez., 13 aprile 2010, C-91/08, Wall AG c. Stadt Frankfurt am Main, in www.curia.europa.eu.

[19]      In tal senso, R. De Nictolis, Il Codice dei contratti pubblici: la semplificazione che verrà, in www.italiappalti.it.

[20]      In tal senso appare lecito riassumere il riferimento a «modifiche e varianti» contenuto nella norma in esame.

[21]      Il legislatore, infatti, si riferisce qui a contratti «in corso di validità», con l’evidente intento di dare alla previsione una portata più ampia rispetto al più circoscritto ambito dell’esecuzione del contratto in senso proprio: deve, quindi, ritenersi che l’ambito oggettivo di applicazione della norma in esame copra tutte le vicende successive all’efficace stipula del contratto, ricomprendendo anche le eventuali fasi preliminari, interruttive o sospensive rispetto all’esecuzione delle prestazioni dedotte in contratto.

[22]      Questo, in altri termini, il senso dell’obbligo di fissare «la portata e la natura di eventuali modifiche», di cui alla richiamata lett. a) del primo comma dell’art. 160.

[23]      Di cui all'articolo 23, comma 7.

[24]      Qui, infatti, come chiarito dal Comunicato 15 luglio 2016, in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164, il riferimento  deve intendersi all'articolo 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

[25]      Così il comma 7 dell’art. 160.

[26]      Il riferimento è alla previsione di cui alla lett.c), n. 2 dell’art. 160.

[27]      Il riferimento è alla lettera e), n. 2 dell’art. 160. Qui il legislatore specifica che l’ammissibilità di una successione contrattuale nella titolarità del rapporto con la pubblica amministrazione possa avvenire «anche a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, scissioni, acquisizione o insolvenza».

[28]      Si prevede, infatti, che «ferma restando la responsabilità dei progettisti esterni, i contratti possono parimenti essere modificati, oltre a quanto previsto al comma 1, anche a causa di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell'opera o la sua utilizzazione, senza necessità di una nuova procedura a norma del presente codice, se il valore della modifica e' al di sotto di entrambi i seguenti valori: a) le soglie fissate all'articolo 35; b) il 10 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di servizio e fornitura sia nei settori ordinari che speciali ovvero il 15 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di lavori sia nei settori ordinari che speciali […]».

[29]      Criterio, infatti, assunto dall’art. 106, comma 1, lett. e) del D.lgs. n. 50/2016 come norma residuale e di chiusura nel descrivere l’ambito della legittima facoltà di modifica contrattuale. 

[30]      Il riferimento è alla disciplina di cui all’art. 1325 del Codice Civile, che identifica gli elementi essenziali del contratto in generale.

[31]      Si tratta delle previsioni contenute nell’art. 160, comma 4, lett. a), b) e c) del D.lgs. 50/2016.

[32]      Si intende in questi termini descrivere la particolare struttura della fattispecie normativa in esame che, posta una generale previsione degli indicatori di rilevanza sostanziale della modifica del contratto, da valutarsi caso per caso, prosegue indicando anche alcune particolari circostanze al verificarsi delle quali il giudizio di rilevanza sostanziale debba presumersi fondato. Si tratta di una struttura simile a quella adottata dal legislatore, in ordine al regime dell’invalidità del provvedimento amministrativo per causa di annullabilità, segnatamente con riferimento al vizio di eccesso di potere, per cui in dottrina si rimanda alle considerazioni svolte in E. Follieri, Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità pura o amministrativa- le figure sintomatiche sono norme giuridiche, non sintomi, in  www.giustamm.it.  L’impostazione appare come l’epigono recente di una posizione espressa da un’ormai classica dottrina, per cui si rimanda a M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993, vol. II, p.p. 316-317, in cui l’Autore descrive il fenomeno dell’elaborazione delle «figure sintomatiche» come il risultato dell’indirizzo della giurisprudenza amministrativa che richiedeva al ricorrente di dimostrare sia l’infondatezza dei motivi addotti nella motivazione del provvedimento, sia di introdurre fatti idonei a provare l’esistenza di motivi  diversi, per arrivare poi all’analisi sintomatica della motivazione sotto l’aspetto della sua sufficienza e della sua rispondenza a logica; in senso analogo, F. Modugno, M. Manetti, Eccesso di potere amministrativo, in Enciclopedia Giuridica Treccani, 1989, ad vocem, 2-3. Sul tema, interessanti anche lo studio di S. Cognetti, Profili sostanziali della legalità amministrativa. Indeterminatezza della norma e limite della discrezionalità, Milano, 1993.

[33]      Il riferimento è alla previsione di cui all’art. 160, comma 1, lett. e) del D.lgs. 50/2016.

[34]      Il legislatore, infatti, prevede che, al verificarsi delle richiamate condizioni di valore delle modifiche, «le concessioni possono essere modificate senza necessità di una nuova procedura di aggiudicazione, nè di verificare se le condizioni di cui al comma 7, lettere da a) a d) sono rispettate».

[35]      Ai sensi dell’art. 35, comma I, lett. a) del D.lgs. n. 50/2016 detta soglia è fissata ad € 5.225.000 per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni.

[36]      Il riferimento, qui, è all’art. 106, comma 2, del D.lgs. n. 50/2016.

[37]      Il riferimento è a Corte di Giustizia UE, Sez. VIII, 7 settembre 2016, causa C 549/14, in www.curia.europa.eu.

[38]      La pronuncia citata è relativa all’art. 2 dell’abrogata Direttiva 2004/108/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, applicabile alla controversia oggetto di giudizio ratione temporis. I principi giurisprudenziali espressi, tuttavia, trovano piena attualità nel contesto della vigente disciplina in materia, di cui alla Direttiva 2014/24/UE.

[39]      Sul tema, nell’ambito dell’ampio dibattito sviluppato in dottrina, si rimanda per tutti agli studi ricostruttivi di E. Valsecchi, Il gioco, la scommessa, la transazione, in Trattato Cicu-Messineo, Vol. XXXVII, t. 2, Milano, 1986; E. Del Prato, voce Transazione (dir. priv.), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992; L. V. Moscarini, V. Corbo, voce Transazione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1994, p. 9 ss.; A. Palazzo, voce Transazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIX, Torino, 1999, p. 386 ss.; L. Balestra, voce Transazione (contratto di), in Il Diritto, Enc. giur., XVI, Milano, 2008, p. 98 ss. Tra le opere monografiche sul tema, si rimanda a F. Santoro-Passarelli, La transazione, Napoli, 1986, p. 204; M. Franzoni, La transazione, Padova, 2001, p. 31 ss. Per una recente ricostruzione dell’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale in merito all’istituto della transazione, vedi T. Galletto, La transazione: complessità dell'istituto ed attualità della funzione, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., fasc.4, 2013, p. 1379.

[40]      Per i principali riferimenti in tema, nella pur ampia produzione scientifica sulla materia, si rimanda a A. De Valles, La transazione degli enti pubblici, nota a Cass., 26 aprile 1933, in Foro it., 1933, I, 46 ss.; F. Guicciardi, Le transazioni degli enti pubblici, Padova, 1936, 5-6; C. Vitta, Diritto amministrativo, vol. I, Torino, 1948, 116; P. Chirulli, P. Stella Richter, voce Transazione (dir. amm.), in Enc. dir., vol. XLIV, Milano, 1992, 867 ss., 869 ss.; C. Ferrari, voce Transazione della Pubblica Amministrazione, in Enc. giur. Treccani., vol. XXXI, Roma, 1994; Più di recente, G. Greco, Contratti ed accordi della Pubblica Amministrazione con funzione transattiva (appunti per un nuovo studio), in Dir. amm., 2005, 223 ss.; F. Goisis, Compromettibilità in arbitri (e transigibilità) delle controversie relative all'esercizio del potere amministrativo, in Dir. proc. amm., fasc.1, 2006, pag. 243.

[41]      Sul tema della necessaria natura disponibile dei diritti, sviluppato in particolare con riferimento al contermine ambito della compromettibilità in arbitri delle relative controversie, si rimanda, tra i molti studi prodotti in dottrina, a F. Cammeo, Corso di diritto amministrativo, vol. III, Padova, 1914, 1563. Nello stesso senso, in tempi più recenti, V. Laschena, voce Arbitrato nelle controversie amministrative, in Enc. giur. Treccani, vol. II, Roma, 1988; M. La Torre, L'arbitrato nel diritto amministrativo, in Riv. dir. pubbl., I, 1935, 327 ss., 339 ss., G. Miele, Limiti all'ammissibilità dell'arbitrato nelle controversie amministrative, in Nuova rassegna, 1950, 1841 ss. Per una sintesi degli orientamenti più recenti, con attenzione anche a profili comparatistici, si veda V. Gasparini Casari, Arbitrato e controversie amministrative, in G. Alpa (coordinato da), Arbitrato, profili sostanziali, vol. II, Torino, 1999, 1005 ss. Id., L'arbitrato nella legge 21 luglio 2000, n. 205, in Dir. econom., 2001, 361 ss. Di rilievo anche lo studio di C. Punzi, Ancora sulla delega in tema di arbitrato: riaffermazione della natura privatistica dell'istituto, in Riv. dir. proc., 2005, 963 ss. G. Ruffini, Arbitrato e disponibilità dei diritti nella legge delega per la riforma del diritto societario, in Riv. arb., 2002, 133 ss. Un posizione ancora più netta è espressa da G. Auletta, in B. Sassani (a cura di), La riforma delle società. Il processo, Torino, 2003, 327 ss., 331, e F. Fiecconi, Il nuovo procedimento arbitrale societario, in Corr. giur., 2003, 971 ss., secondo i quali un arbitrato esteso a materie indisponibili sarebbe incostituzionale, perché non potrebbe trovare fondamento nella volontà delle parti. Con particolare riferimento al diritto amministrativo, F. Caringella, Corso di diritto processuale amministrativo, Milano, 2005, 784; A. Zito, La compromettibilità per arbitri con la pubblica Amministrazione dopo la legge n. 205 del 2000: problemi e prospettive, in Dir. amm., 2001, M. Antonioli, Arbitrato e giurisdizione esclusiva, Milano, 2004, 53 ss.; S. Veneziano, Arbitrato e giurisdizione amministrativa, in www.giustizia-amministrativa.it.

[42]      Sul punto, Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 2001, n. 6443, in Il Cons. Stato, 2001, I, 2752, in motivazione, T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 4 febbraio 2004 n. 1590, T.A.R. Puglia, Bari, 6 agosto 1987, n. 596, in I T.A.R., 1987, I, 3481, sottolineano che in tal caso l'Amministrazione non potrebbe attivare i poteri di autotutela, trattandosi di attività sostanzialmente paritetica tra parti di un rapporto negoziale interamente soggetto al diritto comune.

[43]      Una posizione rimasta isolata in dottrina, tuttavia, legge in modo differente il ricorso alle procedure non contenziose di soluzione delle controversie in sede di esecuzione dei contratti con la PA, laddove si ravvisino delle strutture formalmente procedimentalizzate, come è il caso dell’accordo bonario. In tali casi, a detta di questo indirizzo ermeneutico, l’accordo troverebbe più congrua posizione nell’alveo degli accordi procedimentali dell’amministrazione, ex art. 11 della Legge n. 241/90, dovendo ritenersi, peraltro, che in essi si esplichi l’esercizio di un potere amministrativo. Per tale lettura si rimanda a E. Sticchi Damiani, La nozione di appalto pubblico. Riflessioni in tema di privatizzazione dell'azione amministrativa, Milano, 1999, 106 ss.

[44]      Tale assunto appare confermato dalla giurisprudenza. In particolare, con riferimento al requisito della res dubia, si rimanda a Consiglio di Giust. Amm. Reg. Sic. 22 aprile 2002 n. 206, in Il Cons. Stato, 2002, I, 945; T.A.R. Piemonte, sez. II, 26 ottobre 1993, n. 311, in I T.A.R., 1993, I 4454. La Corte dei Conti sottolinea che tale incertezza non sussiste dopo una sentenza passata in giudicato, in fase di esecuzione della sentenza stessa (sez. contr. Stato, 20 dicembre 1983, n. 1406, in Il Cons. Stato, 1983, II, 525). Nello stesso senso, Consiglio giust. Amm. Reg. Sic., 22 aprile 2002, n. 206, cit. In ordine alla consistenza delle reciproche concessioni oggetto della transazione, poi, si vedano Consiglio giust. Amm. Reg. Sic., 22 aprile 2002, n. 206, cit.; T.A.R. Piemonte, sez. II, 26 ottobre 1993, n. 311, cit.; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 3 dicembre 1994, n. 614, in I T.A.R., 1995, I, 716, che sottolinea che il requisito «delle reciproche concessioni può consistere anche nella mera rinuncia a poteri di azione giudiziaria». Nello stesso senso anche T.A.R. Puglia, Lecce, 12 aprile 1990 n. 451, ivi, 1990, I, 4408.Cass., sez. I, 22 febbraio 2000 n. 1980, sottolinea che le «reciproche concessioni» consistono nel sacrificio di alcune reciproche pretese, indipendentemente da qualsiasi rapporto di equivalenza tra «datum» e «retentum». Sulla necessità che la transazione di un ente pubblico assuma la forma scritta ad substantiam, cfr. Cass., sez. I, 6 giugno 2002, n. 8192, in Il Cons. Stato, 2002, II, 1525., mentre ai sensi dell'art. 1967 c.c. la forma scritta è imposta solo «ad probationem», salvo il disposto dell'art. 1350, n. 12 c.c.

[45]      Il riferimento è all’impostazione classica, ma ancora di tutta attualità di cui a V. Miele, La transazione nei rapporti amministrativi, in L'Amm. It., 1950 e in Scritti giuridici, vol. II, Milano, 1997, in particolare p. 512. Tale assunto è confermato anche con riferimento alle ipotesi dubbie, in cui il contenuto concreto dell’accordo di risoluzione della controversia non presenti il carattere di reciproche concessioni, proprio della transazione, bensì quello di accettazione delle contestazioni, più vicino al paradigma civilistico del negozio di mero accertamento, in tal senso vedi C. Ruperto, Gli atti con funzione transattiva, Milano, 2002, 500 ss.

[46]      In tal senso, in particolare, G. Greco, Contratti e accordi della pubblica amministrazione con funzione transattiva (appunti per un nuovo studio), in Dir. amm., fasc.2, 2005, pag. 223. In giurisprudenza, v. in particolare Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 2001, n. 6443, in Il Cons. Stato, 2001, I, 2752.

[47]      Sul tema si rimanda a G. Melillo, voce Transazione (dir. rom.), in Enc. Dir., XLIV, Milano, 1992 p. 771 ss.; A. Schiavone, voce Transazione (dir. rom.), in Noviss. Dig. It., XIX, Torino, 1977. Per gli sviluppi medievali dell’istituto nell’ambito del sistema del diritto privato europeo, si rimanda a F. Treggiari, voce Transazione (dir. intermedio), in Enc. Dir., XLIV, Milano, 1992, p. 790 ss.

[48]      In dottrina sul punto si rimanda, tra i molti, ai noti studi di A. Falzea, Accertamento (Teoria generale), in Enc. Dir., I, Milano, 1958, p. 205 ss;  e di F. Giorgianni, voce Accertamento (negozio di), in Enc. Dir., I, Milano, 1958, p. 227 ss. La richiamata impostazione della dottrina è stata, poi, assunta anche dalla giurisprudenza sostanzialmente unitaria, per cui si rimanda alle ormai classiche pronunce Cass. Civ, 10 gennaio 1983, n. 161, in Giur. it., 1983, I, c. 710; Cass. Civ., 9 luglio 1987, n. 5998, in Rep. Foro it., 1987, voce «Infortuni sul lavoro», n. 128; in tempi più recenti anche Cass. Civ, 17 settembre 2004, n. 18737, in Rep. Foro it., 2004, voce «Transazione», n. 3.

[49]      Sul tema, Cass., Sez. Lav., 18 maggio 1999 n. 4811, in Mass. giust. civ., 1999, 1098, sottolinea come «caratteristica della transazione novativa è quella di essere, al pari della transazione propria (non novativa) un negozio di secondo grado, ma non un negozio ausiliario, bensì un negozio principale. Pertanto - a differenza di quel che accade nella transazione propria, nella quale il contratto di transazione è complementare rispetto al fatto causativo del rapporto originario ed è quindi fonte concorrente di diritti e di obblighi - nella transazione novativa il contratto di transazione rappresenta l'unica fonte dei diritti e degli obblighi delle parti». Sul punto di attuale rilievo resta l'insegnamento classico di F. Santoro-Passarelli, La transazione, Napoli, cit., 77 ss., secondo il quale la differenza tra i due tipi di transazione non sarebbe di natura, ma di misura, a seconda che sostituisca integralmente o, per converso, si limiti ad integrare solo in parte la situazione preesistente. Per un quadro più completo dell’ampio dibattito sul tema della transazione novativa si rimanda allo studio di R. Morese, Transazione novativa e transazione conservativa: caratteri distintivi, in Vita not., 2006, p. 1311 ss.

[50]      Senza, a ben vedere, escluderlo nel caso in cui fosse stato oggetto di specifica e inequivoca previsione all’interno degli atti di gara originari, come chiarisce Corte di Giustizia UE, 19 giugno 2008, C454/06, punti da 34 a 37, in www.curia.europa.eu.

[51]      Sul punto, Corte di Giustizia UE, 13 aprile 2010, C 91/08, Wall in www.curia.europa.eu.

[52]      Questa era l’impostazione espressa da Corte di Giustizia UE, 5 ottobre 2000, C 337/98, Commissione/Francia, in www.curia.europa.eu.

[53]      Così, da ultima, la decisione Corte di Giustizia UE, 7 settembre 2016, C 549/14, Finn Frogne in www.curia.europa.eu.; sul tema Corte di Giustizia UE, C 454/06, cit., punti da 34 a 37, in cui si precisano, inoltre, alcune ipotesi al verificarsi delle quali, secondo una logica consimile a quella che ispira le figure sintomatiche della nostra tradizione di diritto amministrativo, debba presumersi la modifica sostanziale del contratto originario: «è quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere l’appalto, in modo considerevole, a elementi non previsti, o di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario, oppure ancora se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi».

[54]      In questi termini, Corte di Giustizia UE, 14 novembre 2013, C 221/12, Belgacom, in www.curia.europa.eu, in particolare al punto 40 della decisione.

[55]      Così Corte di Giustizia UE, 7 settembre 2016, C 549/14, cit.

[56]      In tali termini Corte di Giustizia UE, 29 aprile 2004, C 496/99-P, Commissione/CAS Succhi di Frutta, cit. in www.curia.europa.eu.