T.A.R. Emilia - Romagna, Bologna, sez. II, 22 novembre 2016, n. 951

1. Sussiste la giurisdizione del Giudice ordinario e non di quello amministrativo a conoscere della domanda di risarcimento del danno proposta da un’impresa nei confronti della stazione appaltante e dell’operatore economico con cui quest’ultima ha stipulato un contratto d’appalto, per la mancata adozione del provvedimento di risoluzione del contratto ex art. 136 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nonostante asseriti inadempimenti dell’appaltatore (1).

 

(1) Sempre sul tema della giurisdizione in ordine a presunti inadempimenti dell’appaltatore, si veda anche T.A.R. Campania, Napoli, IV, 30 gennaio 2014, n. 726.

 

 

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 527 del 2016, proposto da: 
ATZWANGER s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato Federico Liccardo, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del TAR Emilia Romagna in Bologna, Strada Maggiore 53; 

contro

HERA AMBIENTE s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandro Lolli, con domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via G. Vaccaro 6; 

nei confronti di

CESARO MAC IMPORT s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Pavanini, Valeria Zambardi e Maria Giovanna Addario, quest’ultima domiciliataria in Bologna, via della Zecca 2; 

per

la condanna al risarcimento del danno causato dalla mancata adozione da parte della Hera Ambiente s.p.a. del provvedimento di risoluzione del contratto di appalto del 29.01.2016 intercorso con la CESARO MAC IMPORT s.r.l.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di HERA AMBIENTE s.p.a. e di CESARO MAC IMPORT s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 novembre 2016 la dott.ssa Rosalia Maria Rita Messina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Il ricorso in esame può essere deciso con sentenza resa in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., sussistendone i presupposti di legge. Di ciò è stato dato avviso alle parti.

La ATZWANGER s.p.a. agisce, ai sensi dell’art. 30 c.p.a., contro HERA AMBIENTE s.p.a. e nei confronti della controinteressata CESARO MAC IMPORT s.p.a., per la condanna al risarcimento del danno che sostiene di subire a causa del comportamento omissivo di HERA AMBIENTE s.p.a., la quale dovrebbe adottare, secondo parte ricorrente, un provvedimento di risoluzione del contratto di appalto stipulato il 29 gennaio 2016 con la predetta controinteressata. Invoca in favore della propria tesi l’art. 136 del d. lgs. n. 163/2006 e il punto B della lettera di invito e dell’art. 22 del capitolato speciale.

Con sentenza di questa Sezione n. 73 del 22 dicembre 2015 è stata sancita la legittimità dell’aggiudicazione a CESARO MAC IMPORT della gara per la fornitura, installazione e messa in esercizio di un impianto di digestione anaerobica per la produzione di biogas da rifiuti organici provenienti da raccolta differenziata, nonché della legge di gara; ciò all’esito del giudizio intentato dalla medesima ATZWANGER, seconda graduata nella procedura selettiva predetta.

Secondo la ricorrente, che segue un percorso argomentativo su cui si tornerà poco oltre, HERA AMBIENTE dovrebbe risolvere il contratto stipulato con l’aggiudicataria a causa di una serie di inadempimenti della stessa; pertanto essa innanzitutto chiede che si ordini alla stazione appaltante di adottare il provvedimento di risoluzione del contratto di appalto in danno della controinteressata; in secondo luogo, chiede che si condanni la medesima stazione appaltante al risarcimento del danno in forma specifica (mediante stipula del nuovo contratto di appalto con la ricorrente), o, in subordine, per equivalente (nella misura del 10% del valore dell’appalto, al netto del ribasso d’asta).

Il Collegio ritiene di essere sfornito di giurisdizione sulla controversia in esame (come per altro eccepito dalle parti resistenti), tenuto conto del fatto che, al di là della formulazione adoperata dalla ricorrente (che chiede un “provvedimento” di risoluzione), con il ricorso in esame s’intende ottenere: a) l’accertamento della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 136 del codice dei contratti; b) di conseguenza, l’accertamento della sussistenza dell’obbligo da parte della stazione appaltante di risolvere il contratto con la società oggi controinteressata; c) la condanna al risarcimento del danno.

Il già citato articolo 136 (Risoluzione del contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo) recita:

«1. Quando il direttore dei lavori accerta che comportamenti dell'appaltatore concretano grave inadempimento alle obbligazioni di contratto tale da compromettere la buona riuscita dei lavori, invia al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei lavori eseguiti regolarmente e che devono essere accreditati all'appaltatore.

2. Su indicazione del responsabile del procedimento il direttore dei lavori formula la contestazione degli addebiti all'appaltatore, assegnando un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle proprie controdeduzioni al responsabile del procedimento.

3. Acquisite e valutate negativamente le predette controdeduzioni, ovvero scaduto il termine senza che l'appaltatore abbia risposto, la stazione appaltante su proposta del responsabile del procedimento dispone la risoluzione del contratto.

4. Qualora, al fuori dei precedenti casi, l'esecuzione dei lavori ritardi per negligenza dell'appaltatore rispetto alle previsioni del programma, il direttore dei lavori gli assegna un termine, che, salvo i casi d'urgenza, non può essere inferiore a dieci giorni, per compiere i lavori in ritardo, e dà inoltre le prescrizioni ritenute necessarie. Il termine decorre dal giorno di ricevimento della comunicazione.

5. Scaduto il termine assegnato, il direttore dei lavori verifica, in contraddittorio con l'appaltatore, o, in sua mancanza, con la assistenza di due testimoni, gli effetti dell'intimazione impartita, e ne compila processo verbale da trasmettere al responsabile del procedimento.

6. Sulla base del processo verbale, qualora l'inadempimento permanga, la stazione appaltante, su proposta del responsabile del procedimento, delibera la risoluzione del contratto. »

Orbene, è notissimo che il momento temporale che funge da discrimine tra la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo, in materia di contratti pubblici, va individuato nell’aggiudicazione (cfr.: TAR Emilia Romagna – Bologna, n. 851/2016; TAR Toscana, I, n. 1088/2016 e n. 610/2016, in cui ulteriore ragguaglio di giurisprudenza). Dopo l’aggiudicazione, una volta stipulato il contratto (e addirittura nei casi in cui ancora un contratto non sia stato formalmente stipulato ma si controverta comunque, nell’ambito di un rapporto paritetico, delle conseguenze dell’inadempimento del privato agli obblighi assunti: cfr. TAR Campania – Napoli, I, 11 aprile 2016, n. 1772, che richiama Cass., SS.UU., 14 giugno 2006 n. 13690; Idem, n. 9100/2005; Idem, n. 9391/2005), si passa dalla fase della scelta del contraente, caratterizzata da poteri autoritativi, alla fase esecutiva, in cui il privato contraente vanta diritti soggettivi e non più interessi legittimi (Cons. Stato, Ad. pl., n. 6/2014, in cui, in relazione a un caso di revoca di agevolazioni pubbliche (materia in cui pure si individuano due fasi, la prima caratterizzata dall’esercizio di poteri discrezionali a fronte di situazioni di interesse legittimo e la seconda caratterizzata da situazioni di diritto soggettivo in capo al privato) si richiama l’analoga disciplina dello speciale potere di autotutela privatistica che è riconosciuto all’amministrazione anche nell’ambito dell’esecuzione dei contratti pubblici – artt. 134, 135 e 136 del codice dei contratti pubblici – distinguendosi tale tipo di potere da quello generale e pubblicistico di autotutela).

Nel caso in esame non si tratta dell’autotutela riferita all’aggiudicazione e alla legge di gara; parte ricorrente prospetta infatti una lesione postuma della par condicio dei concorrenti riferibile all’omessa risoluzione del contratto d’appalto.

Non può attribuirsi la giurisdizione al g.a. per il fatto che, nella specie, agisce in giudizio un soggetto terzo rispetto al rapporto contrattuale tra amministrazione e privato (a prescindere dalla questione della sussistenza della legittimazione in capo a tale soggetto); né rileva il fatto che la società ricorrente mira a ottenere da HERA un “provvedimento di risoluzione”. Dal punto di vista sostanziale, infatti, l’illegittimità che parte ricorrente denuncia attiene alla violazione di disposizioni della legge di gara che espressamente disciplinano l’«ambito di esecuzione del presente contratto» (art. 1 del capitolato); oggetto della controversia sono l’adempimento di una obbligazione complessa cui è tenuto l’appaltatore e le ragioni per le quali detta obbligazione si ritiene non adempiuta.

Orbene, è evidente che ogni controversia relativa all’inadempimento si colloca non più nella fase di evidenza pubblica, bensì in quella negoziale. Inoltre l’eventuale inadempimento, lapalissianamente, riguarderebbe la sola stazione appaltante, non già la società ricorrente, che in alcun modo partecipa al rapporto contrattuale del quale invoca la risoluzione e pertanto non può vantare alcun diritto né interesse, neppure in via ipotetica e astratta, nei confronti del contratto al quale è del tutto estranea.

Né è possibile seguire parte ricorrente nel ragionamento secondo cui il danno che essa sostiene di subire deriverebbe, come già si è accennato, da una pretesa lesione postuma della par condicio dei concorrenti.

Una simile lesione nella fase dell’evidenza pubblica sarebbe stata scongiurata, secondo la sentenza (già citata) di questa Sezione n. 73 del 18 gennaio 2015, dal fatto che alcune caratteristiche del progetto sarebbero state previste dalla legge di gara come vincolanti «per la sola redazione del progetto definitivo che sarebbe stato presentato, in sede di esecuzione del contratto, soltanto dall’aggiudicatario. »

Secondo un altro passaggio della medesima decisione, «il concorrente che, sulla base delle suddette dichiarazioni, consegue l’aggiudicazione, ne resta vincolato in sede di esecuzione del contratto. Ne discende che, in caso di mancato rispetto delle dichiarazioni cui si è autovincolato, l’appaltatore diventa sanzionabile con la risoluzione del contratto in danno (pag. 16 della lettera di invito), oltre che con i provvedimenti dell’ANAC».

Il ragionamento della ricorrente sembra svolgersi attraverso i seguenti passaggi: a) la legittimità della legge di gara è stata affermata in relazione alla predetta interpretazione di tale disciplina; b) nel caso in cui di fatto, durante l’esecuzione del contratto, l’amministrazione si discosti da tale interpretazione, omettendo di risolvere il contratto per inadempimento, risulta (o forse si conferma, nella prospettazione della ricorrente) l’illegittimità delle clausole della legge di gara, accertabile a posteriori, con ogni conseguenza anche in tema di tutela risarcitoria.

Osserva in proposito il Collegio che la legittimità della legge di gara, accertata con la ripetuta sentenza di questa Sezione, resta un dato immutabile (a meno che non intervenga una riforma della predetta decisione di prime cure da parte del giudice d’appello); ciò si afferma solo in relazione all’individuazione del giudice fornito di giurisdizione, poiché solo di ciò deve occuparsi un organo giudicante che non ha giurisdizione su una controversia. Ma non si può sostenere, sulla base di comportamenti (che si pretendono omissivi) situati comunque al di qua della linea di confine tra la fase dell’evidenza pubblica e quella negoziale costituita dell’aggiudicazione, che – alla stregua dell’interpretazione data alla legge di gara con provvedimento giurisdizionale – «la stazione appaltante non può quindi consentire né tollerare che l’attuale appaltatore dia corso alla fornitura nonostante il ricorrere dei descritti gravi inadempimenti». In pratica, gli asseriti inadempimenti retroagirebbero, per così dire, alla fase anteriore all’aggiudicazione: si sostiene infatti in ricorso che «L’adozione del provvedimento di risoluzione nelle suddette fattispecie fotografa, in altri termini, una situazione che, ove accertata in sede di gara, avrebbe determinato l’esclusione del concorrente ovvero l’attribuzione di un punteggio minore».

Una simile ricostruzione della fattispecie non può essere condivisa per tutte le ragioni già esposte, alle quali può aggiungersi che il risarcimento del danno non è una materia di giurisdizione esclusiva ma solo uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto a quello demolitorio; tale principio, già enunciato dalla Cassazione nella vigenza dell’art. 34 del d. lgs. n. 80/1998, è ritenuto ancora valido pur dopo l’emanazione del c.p.a., negandosi dalle SS.UU. (ord. n. 6595/2011; Idem, n. 1162/2015) che in detto codice la tutela risarcitoria sia configurata come un'autonoma ipotesi di giurisdizione esclusiva. Poco conta che le fattispecie tenute presenti dalla Corte riguardassero altre materie, in quanto il principio enunciato ha chiaramente carattere generale e può essere applicato anche al di fuori dei casi contemplati.

Non può quindi farsi applicazione del comma sesto dell’art. 30 c.p.a., secondo il quale «Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo». Nel caso in esame non vi è lesione di interessi legittimi, vertendosi in fattispecie che attiene alla fase esecutiva (nonostante i tentativi della ricorrente di inquadrarla come fattispecie che in qualche modo attiene alla fase anteriore all’aggiudicazione), né in relazione a tale fase è possibile invocare la nozione di giurisdizione esclusiva, che riguarda le sole “procedure di affidamento” degli appalti (art. 133, comma primo, lett. e, punto 1).

In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del g. a.; il processo potrà proseguire dinanzi al giudice ordinario competente per territorio ai sensi dell’art. 11, comma secondo, cod. proc. amm., nei modi e nei termini ivi indicati.

Le spese fanno carico alla parte ricorrente e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Seconda) dichiara il ricorso in epigrafe inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, con possibilità di riassunzione del processo dinanzi al giudice ordinario competente per territorio nei modi e nei termini di cui all’art. 11, comma secondo cod. proc. amm.

Pone le spese di lite a carico della parte ricorrente e le liquida, in favore delle parti resistenti, in € 14.000,00 (quattordicimila/00), oltre accessori di legge, in ragione di € 7.000,00 (settemila/00) per ciascuna di esse.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 15 novembre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Mozzarelli, Presidente

Rosalia Maria Rita Messina, Consigliere, Estensore

Maria Ada Russo, Consigliere

 

 

 

Guida alla lettura

Attraverso la sentenza in esame il T.A.R. ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione a conoscere della domanda proposta da un’impresa, ai sensi dell’art. 30 del codice del processo amministrativo, nei confronti della stazione appaltante e dell’operatore economico con cui questa ha stipulato un contratto d’appalto a seguito dell’espletamento di una procedura ad evidenza pubblica, al fine di ottenere la condanna al risarcimento del danno subito per non aver la prima adottato il provvedimento di risoluzione del contratto di cui all’art. 136 del d. lgs. n. 163/2006, nonostante la presenza di supposti inadempimenti da parte dell’appaltatore.

Per inquadrare appieno la questione, occorre anche dare conto di come lo stesso T.A.R. si fosse in precedenza pronunciato sulla predetta procedura di gara, accertandone la legittimità, con il rigetto del ricorso proposto dall’odierna ricorrente.

Nel dettaglio, l’azione in questione è stata proposta per conseguire:

a) l’accertamento della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 136 del d. lgs. n. 163/2006;

b) il conseguente accertamento della sussistenza dell’obbligo in capo alla stazione appaltante di risolvere il contratto con l’appaltatore;

c) la condanna al risarcimento del danno della stazione appaltante.

Nella motivazione il Giudice, dopo aver ricordato la cesura netta che, ai fini dell’individuazione della giurisdizione, il provvedimento di aggiudicazione definitiva determina, precisa che ogni controversia relativa all’inadempimento si colloca non più nella fase di evidenza pubblica, bensì in quella negoziale e che, comunque, l’operatore economico non può vantare alcun diritto, né interesse, neppure in via ipotetica e astratta, nei confronti di un contratto rispetto al quale è del tutto estraneo.

Nemmeno trova accoglimento la, pur suggestiva, tesi secondo cui il danno che la ricorrente afferma di subire deriverebbe da una lesione postuma della par condicio dei concorrenti, conseguente ai comportamenti omissivi dell’aggiudicataria rispetto all’adempimento di obblighi fissati dalla lex specialis della gara, la cui legittimità è stata accertata dallo stesso T.A.R. nella propria precedente pronuncia resa tra le stesse parti di cui s’è detto.

Osserva, in proposito, la sentenza in oggetto che l’eventuale presenza di comportamenti omissivi dell’appaltatore, proprio perché situati al di qua della linea di confine tra la fase dell’evidenza pubblica e quella negoziale costituita dell’aggiudicazione, non possono essere fatti retroagire, ai fini della giurisdizione, ad una fase a questa anteriore, tanto più, si aggiunge, che il risarcimento del danno non è una materia di giurisdizione esclusiva, ma solo uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto a quello demolitorio.

Nemmeno può trovare applicazione, prosegue la sentenza, l’art. 30, co. 6 del codice del processo amministrativo, non verificandosi nella fattispecie una lesione di interessi legittimi – giacché ci si trova nella fase di esecuzione del contratto di appalto –, dovendosi, inoltre, escludere la sussistenza della giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133, co. 1, lett. e), punto 1 del codice del processo amministrativo, che trova applicazione solo per la diversa ipotesi delle “procedure di affidamento” degli appalti pubblici.

Al di là della peculiarità della vicenda, ci si limita a segnalare che, secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 14 maggio 2015, n. 9861), è la stipula del contratto e non l’aggiudicazione definitiva a porre termine alla procedura di evidenza pubblica volta alla scelta del contraente e, dunque, a segnare il discrimine per l’attribuzione della competenza giurisdizionale a favore del Giudice ordinario.