TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 2 novembre 2016 n. 2069
1. Ai fini dell’adozione dell’informazione interdittiva antimafia, l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa si può ravvisare in fatti in sé e per sé privi dell’assoluta certezza, ma che, nel loro insieme, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l’attività d’impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata, per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni mafiose. (1)
2. L’intervenuta prescrizione del reato posto a fondamento dell’informativa antimafia non è circostanza significativa della non attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa, in quanto non esclude la responsabilità del soggetto interessato. (2)
3. Il diniego di iscrizione nella white list, basato sull’informazione interdittiva antimafia a carico della società, assume carattere del tutto vincolato, sicché, ai sensi dell’art. 21 octies della Legge n. 241/1990, al giudice è attribuito il potere di non procedere all’annullamento del provvedimento di diniego, seppur adottato in violazione di norme sul procedimento. (3)
(1) In senso conforme: Cons. Stato, sez. III, 15 settembre 2016 n. 3889; id., 3 maggio 2016 n. 1743; id., 22 ottobre 2014 n. 5201; id., 15 settembre 2014, n. 4693; Tar Campania, Napoli, sez. I, 11 gennaio 2012 n. 50; Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 16 aprile 2010 n. 479.
(2) Sull’attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa: Tar Campania, Napoli, sez. I, 27 maggio 2016, n. 2756; Cons. Stato, sez. III, 29 settembre 2016, n. 4030; id., 31 agosto 2016, 3754; id., 24 luglio 2015, n. 3653.
(3) In senso conforme: Tar Piemonte, Torino, sez. I, 28aprile 2016 n. 574.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1716 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Angelo Clarizia, Andrea Gemma, Carlo Comandé, Sergio Di Nola, Andrea Ciulla, elettivamente domiciliata in Catanzaro, viale Pio X n. 63, presso lo studio dell’avv. Bruno Doria;
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso cui è domiciliato in Catanzaro, via Gioacchino da Fiore n. 34;
per l’annullamento
dell’informazione interdittiva antimafia del 20 luglio 2015, emessa dal Prefetto di Vibo Valentia;
della nota n. -OMISSIS-del 31 luglio 2015 della Prefettura di Vibo Valentia, concernente l’esistenza di motivi ostativi alla positiva definizione del procedimento volto all’iscrizione della società ricorrente nell’elenco dei fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di infiltrazioni mafiose (c.d. white list), in ragione dell’adozione dell’informativa prefettizia oggetto di causa;
- di tutti gli atti e documenti su cui si fonda l’informazione interdittiva antimafia;
- della nota del 13 aprile 2015 della Questura di Vibo Valentia, nella parte in cui afferma che i fatti ivi dedotti sarebbero valutabili ai fini di cui all’art. 84, c. 4 bis, d.lgs. n. 159/11;
- del parere del 12 giugno 2015 espresso dal Gruppo tecnico presso la Prefettura e del verbale del 25 giugno 2015 della Riunione di Tecnica di Coordinamento della Forze di Polizia;
nonché, con ricorso per motivi aggiunti
del provvedimento del 22 dicembre 2015, con il quale il Prefetto di Vibo Valentia ha negato l’iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecuzione di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa (c.d. white list);
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visto il ricorso per motivi aggiunti proposto dalla ricorrente;
Vista l’ordinanza n. -OMISSIS-del-OMISSIS-, con la quale è stata respinta l’istanza cautelare proposta da parte ricorrente;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 28 settembre 2016 il dott. Giovanni Iannini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il 14 settembre 2006 il Prefetto di Vibo Valentia ha comunicato alla Banca Nazionale del Lavoro, che ne aveva fatto richiesta nel quadro di procedimento di erogazione di incentivi pubblici, che a carico della -OMISSIS-S.r.l. e dell’amministratore unico -OMISSIS--OMISSIS-non esistevano cause di divieto, di sospensione e di decadenza ai sensi dell’art. 10 della legge n. 575/1965. Ha, tuttavia, comunicato, ai sensi dell’art. 1 septies del d.l. 6 settembre 1982 n. 629, che il -OMISSIS- risultava indagato per il reato di cui all’art. 378 c.p. e all’art. 7 della legge n. 23/1991 (favoreggiamento personale aggravato dalla finalità di agevolare l’attività delle associazioni mafiose).
A seguito di ricorso proposto innanzi a questo Tribunale amministrativo è stata emessa ordinanza con cui il Prefetto è stato invitato a effettuare nuova valutazione, in quanto nell’avviso di conclusione delle indagini, emesso nel procedimento penale di cui sopra, si faceva riferimento al reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.).
In data 25 gennaio 2012 il Prefetto ha effettuato altra comunicazione ai sensi dell’art. 1 septies del d.l. n. 629/1982, nella quale è stato evidenziato, innanzi tutto, che nel procedimento penale a carico del -OMISSIS-è stato emesso avviso di conclusione delle indagini preliminari con l’imputazione di falsa testimonianza per avere testimoniato il falso nell’ambito di un giudizio instaurato a carico di due soggetti (esponenti della cosca Mancuso), imputati e poi condannati in appello, per il delitto di estorsione con l’aggravante di aver posto in essere l’attività criminosa con modalità di tipo mafioso, ai danni, tra gli altri, dello stesso -OMISSIS-. È stato, infatti, accertato che una somma di € 1000,00 non è stata consegnata a titolo di prestito, per come dichiarato dal -OMISSIS-, bensì quale prezzo di un’azione criminale condotta dai due esponenti del clan Mancuso.
Nell’informazione atipica è stato, inoltre rilevato che uno dei due soggetti, già sottoposto alla misura dell’avviso orale di P.S. nel 1998 e gravato da pregiudizi penali per estorsione in concorso e truffa, dal 1987 al 1998, è stato operaio alle dipendenze della ditta “-OMISSIS--OMISSIS-S.r.l.”, di cui il -OMISSIS--OMISSIS-era, all’epoca, direttore tecnico.
Altra circostanza richiamata, la denuncia del -OMISSIS--OMISSIS-da parte del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Catanzaro per attività di gestione di rifiuti non autorizzata in concorso.
Ulteriore elemento alla base dell’informazione atipica, il fatto che il -OMISSIS-è risultato essere amministratore di altra società, la -OMISSIS-S.r.l., con sede in -OMISSIS-, aggiudicataria di un appalto per i lavori di realizzazione di un impianto di depurazione nel Comune di -OMISSIS-, il cui cantiere è stato oggetto di accesso da parte del Gruppo Provinciale Interforze, che, nella propria relazione, ha evidenziato pericolo di infiltrazioni e condizionamenti mafiosi in capo alla ditta appaltatrice e subappaltatrice.
Con sentenza n. -OMISSIS- l’adito Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso. L’appello proposto avverso la sentenza è stato respinto.
2. Successivamente il GIP presso il Tribunale di Catanzaro ha dichiarato l’estinzione per prescrizione del reato di falsa testimonianza contestato al -OMISSIS-.
Il Tribunale di Crotone, inoltre, ha dato atto dell’intervenuta prescrizione in relazione al reato di attività di gestione di rifiuti anche pericolosi.
Sulla base di ciò la società -OMISSIS-ha presentato domanda di riesame o revoca dell’informazione atipica.
Con provvedimento in data 20 luglio 2015 il Prefetto di Vibo Valentia ha rilevato che:
“nei confronti di -OMISSIS--OMISSIS-, in data 19.07.2013, è stato dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione, dal Tribunale di Catanzaro, in ordine al reato di falsa testimonianza, nell’ambito di un procedimento penale che vedeva imputati due soggetti, entrambi esponenti della ‘ndrina dei Mancuso di Limbadi, per il delitto di estorsione attuato in danno del predetto -OMISSIS-; in seguito a ciò si è accertata la falsità delle dichiarazioni rese in udienza dal -OMISSIS-a proposito della consegna, ai predetti imputati, della somma di € 1000,00. In realtà si è acclarato che tale somma non è stata consegnata a titolo di prestito, per come dichiarato dallo stesso -OMISSIS-, bensì quale prezzo dell’azione criminale condotta dai due esponenti del clan Mancuso. Al riguardo, si evidenzia che ai sensi dell’art. 531 del C.P.P., nella parte in cui richiama il 2° comma dell’art. 129 c.p.p. il giudice, qualora debba pronunciarsi in merito ad una causa di estinzione del reato (la prescrizione è una di esse), ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, deve emettere sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la forma prescritta. Nel caso in esame la sentenza nr. -OMISSIS-del Tribunale di Catanzaro non fa alcun riferimento alle ipotesi illustrate dal menzionato articolo del Codice di Procedura Penale e, quindi, deve naturalmente desumersi l’assenza delle suddette condizioni per cui la falsa testimonianza, resa in udienza, è valutabile ai fini dell’applicazione di quanto disposto dall’art. 84, del D.LGS. 159/2011.
In tal senso, anche il Consiglio di Stato nella citata sentenza -OMISSIS-, fa riferimento, in relazione alla sentenza con cui il Tribunale di Crotone il 1° luglio 2013 ha dato atto della intervenuta prescrizione nei confronti di -OMISSIS--OMISSIS-per il reato di gestione di rifiuti pericolosi, alla rilevanza della circostanza in base alla quale il giudice, dichiarando la prescrizione, ha escluso “formule di assoluzione nel merito ai sensi dell’art. 129/2° C.P.P.
lo stesso -OMISSIS-è amministratore di altra società “-OMISSIS-Srl” con sede in -OMISSIS-, società aggiudicataria di un appalto per i lavori di realizzazione di un impianto di depurazione nel Comune di -OMISSIS-, il cui cantiere è stato oggetto di accesso da parte del Gruppo Provinciale Interforze. Dalla relazione del suddetto Gruppo è emerso il pericolo di infiltrazioni e condizionamenti mafiosi in capo alla ditta appaltatrice e subappaltatrice”.
Sulla base di ciò il Prefetto ha dichiarato che a carico della -OMISSIS-S.r.l., con sede in -OMISSIS-, sussiste la presenza di situazioni relative a tentativi di infiltrazione mafiosa, di cui all’art. 84 del d.lgs. n. 159/2011 e che, pertanto, l’informazione ha carattere interdittivo dei rapporti con la pubblica amministrazione.
3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso la società -OMISSIS-, deducendone l’illegittimità e chiedendone l’annullamento, con vittoria delle spese del giudizio.
Si è costituito il Ministero dell’Interno, che ha prodotto documenti e chiesto il rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. -OMISSIS-del-OMISSIS- è stata respinta l’istanza cautelare proposta dalla società ricorrente.
Con ordinanza n-OMISSIS-il Consiglio di Stato, Sezione Terza, ha accolto l’istanza cautelare, ai fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito.
Con ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha esteso l’impugnazione al provvedimento del 22 dicembre 2015, con il quale il Prefetto di Vibo Valentia ha negato l’iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecuzione di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa (c.d. white list), chiedendo l’annullamento di tale atto per vizi propri e per illegittimità in via derivata.
4. Alla pubblica udienza del 28 settembre 2016 la causa è stata assegnata in decisione.
5. Con il primo motivo la società ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 24, 41 e 97 Cost., degli artt. 84 e 91 del d.lgs. n. 159/2011, dell’art. 3 della legge n. 241/90, per difetto ed erroneità di motivazione, eccesso di potere per difetto di istruttoria ed omessa valutazione di documenti rilevanti, illogicità, carenza dei presupposti, travisamento dei fatti e contraddittorietà.
5.2 Un primo ordine di censure è rivolto a rilevare il difetto di motivazione, di istruttoria e l’infondatezza delle argomentazioni di cui all’informazione interdittiva, basate sull’esito dei procedimenti penali a carico del -OMISSIS-, amministratore della società ricorrente.
Non sarebbe esatta, innanzi tutto, l’affermazione per la quale risulterebbe acclarato che il versamento della somma da parte del -OMISSIS-non possa ascriversi a un semplice prestito.
A tale conclusione la Prefettura sarebbe giunta valutando la circostanza che il giudice penale ha disposto non doversi procedere per prescrizione, anziché pronunciare, ai sensi dell’art. 129, 2° comma, c.p.p., sentenza di assoluzione o di non doversi procedere con la formula prescritta, risultando evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato.
Tale circostanza, facente leva sulla mancata applicazione di una norma posta a favore dell’imputato, non implicherebbe affatto alcun accertamento dei fatti. Mancherebbe, pertanto, il presupposto stesso della misura interdittiva.
La mancata applicazione della norma di cui all’art. 129 c.p.p., nei due procedimenti penali a carico del -OMISSIS-, non potrebbe, pertanto, assumere alcuna rilevanza ai fini dell’adozione dell’informazione antimafia.
D’altra parte, non si sarebbe tenuto in alcun conto il fatto che è stata esclusa l’aggravante di cui all’art. 7 del d.l. n. 152/1991, in un primo tempo contestata al -OMISSIS-.
Le censure richiamate sono prive di fondamento.
L’attenzione va concentrata sui fatti relativi al procedimento per falsa testimonianza, giacché l’altra vicenda non può considerarsi di per sé rilevante ai fini che interessano in questa sede.
Occorre, innanzi tutto, tenere distinti due profili, quello attinente all’estorsione in danno del -OMISSIS-e quello relativo alla falsa testimonianza.
Riguardo al primo profilo, v’è da dire che un accertamento giudiziale è intervenuto, giacché è stata prodotta sentenza n. -OMISSIS-, pronunciata il 12 dicembre 2006 e depositata in Cancelleria il 12 marzo 2007, con cui la Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Catanzaro che aveva irrogato a -OMISSIS-e -OMISSIS-, la pena di anni tre di reclusione e la multa di euro 1.400,00 ciascuno, per il reato di estorsione ai danni, tra gli altri, di -OMISSIS--OMISSIS-.
Questo fatto può considerarsi acclarato.
Non è stata accertata la responsabilità del -OMISSIS-per il reato di falsa testimonianza, ma ciò non esclude che il complesso delle circostanze, alcune delle quali, come detto, giudizialmente accertate, possa delineare un quadro sufficiente ai fini dell’emissione della misura interdittiva.
Al riguardo, occorre tenere presente che il giudizio che l’autorità prefettizia è chiamata a effettuare non deve necessariamente basarsi su fatti dotati sul grado di certezza richiesta ai fini dell’accertamento della responsabilità penale, ma deve essere effettuata sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza dell’ipotesi che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali nelle funzioni della pubblica amministrazione. Pertanto, si può ravvisare l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell’assoluta certezza, ma che, nel loro insieme, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l’attività d’impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata, per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni mafiose (sul tipo di valutazione che l’autorità prefettizia è chiamare a fare e sui requisiti del provvedimento interdittivo, Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016 n. 1743; cfr., inoltre, Tar Campania, Napoli, sez. I, 11 gennaio 2012 n. 50; Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 16 aprile 2010 n. 479; C.G.A., sez. giurisd., 24 novembre 2009 n. 1129; Cons. Stato, sez. V, 3 ottobre 2005 n. 5247; Tar Lazio, -OMISSIS-, sez. II, 9 novembre 2005 n. 10892).
Quanto al riferimento all’art. 129 c.p.p., è evidente che il Prefetto ha inteso affermare che l’Autorità giudiziaria, non avendo emesso sentenza di assoluzione o di non doversi procedere con la formula prescritta, non ha escluso la sussistenza del reato e la responsabilità del -OMISSIS-, non già che il fatto della falsa testimonianza e la responsabilità dell’amministratore della società sono state accertate. Sulla base di ciò è stata affermata la possibilità di valutare la circostanza ai fini dell’emissione del provvedimento interdittivo.
Rilevato quanto sopra, v’è da aggiungere che le circostanze evidenziate appaiono sufficienti a supportare il giudizio espresso riguardo all’esistenze di situazioni relative a tentativi di infiltrazioni mafiose, in quanto la fattispecie presenta caratteristiche assimilabili a quelle ipotizzate dall’art. 84, quarto comma, lett. c), del d.lgs. n. 159/2011, che si riferisce alla mancata denuncia del reato di cui all’art. 629 c.p., aggravato ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 152/1991. Si tratta, infatti, di una fattispecie di ipotizzata falsa testimonianza in relazione a un’estorsione perpetrata avvalendosi del vincolo associativo di cui all’art. 416 bis (sulla necessità, in ipotesi del genere, di applicare a fattispecie pregresse le norme sopravvenute in materia Cons. Stato, sez. III, -OMISSIS-).
A tale proposito, deve richiamarsi la recente giurisprudenza che, con riferimento all’attività svolta dalla criminalità organizzata, ha evidenziato che “...persino imprenditori soggiogati dalla sua forza intimidatoria e vittime di estorsioni sono passibili di informativa antimafia” (Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016 n. 1743, cit.).
Alla luce di ciò, non può essere esclusa l’esistenza di un quadro indiziario sufficiente, anche se il reato contestato non è risultato aggravato ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 152/1991.
5.2 Un secondo ordine di censure si riferisce alla circostanza, rilevata nel provvedimento, che il -OMISSIS-è amministratore della -OMISSIS-S.r.l. con sede in -OMISSIS-, aggiudicataria di un appalto per i lavori di realizzazione di un impianto di depurazione nel Comune di -OMISSIS-, presso il cui cantiere è stato effettuato un accesso da parte del Gruppo Provinciale Interforze, che, con relazione in data 24 maggio 2011, ha evidenziato il pericolo di infiltrazioni e condizionamenti mafiosi in capo alla ditta appaltatrice e alla ditta subappaltatrice.
Parte ricorrente ha contestato la fondatezza dei rilievi, sottolineando che l’informazione antimafia emessa a carico della ditta subappaltatrice -OMISSIS-è stata annullata con sentenza del Consiglio di Stato (sez. III,-OMISSIS-), che, con riferimento alla presenza di un dipendente della ditta con numerosi precedenti, ha rilevato che la posizione di lavoratore subordinato non implica alcun ruolo di rilievo nella compagine sociale che possa influire sugli indirizzi e sulle scelte imprenditoriali. La ricorrente ha, inoltre, sottolineato che nella sentenza del Consiglio di Stato è stato precisato che “il dato oggettivo che altre imprese, che si affermano collegate alla criminalità organizzata locale, abbiano operato nel cantiere in virtù di distinti contratti di sub appalto, non può essere elevato ad elemento indiziario del tentativo di infiltrazione, in assenza di ulteriori elementi, anche sul piano solo indiziario, di colleganza, cointeressenza e reciproca influenza con la ditta monitorata”.
Con riferimento alla ditta subappaltatrice -OMISSIS-, nei cui confronti si sono appuntati i rilievi del Gruppo Provinciale Interforze, la ricorrente ha evidenziato che la stessa Prefettura di Vibo Valentia, con nota del 29 maggio 2012, ha attestato la totale assenza in capo alla ditta di cui sopra di cause di divieto, di sospensione e di decadenza di cui all’art. 67 del d.lgs. n. 159/2011 e che nei confronti di essa non risultano emersi elementi che possano suffragare eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della ditta di cui trattasi.
La ricorrente ha, infine, rilevato che la -OMISSIS-ha prudenzialmente provveduto a rescindere i contratti con le ditte subappaltatrici.
Le censure non appaiono fondate.
Esse, infatti, si concentrano solo su alcuni dei rilievi rinvenibili nella relazione del Gruppo Interforze (prodotta dalla stessa ricorrente), nella quale, però, sono stati evidenziati rapporti intrattenuti dall’appaltatrice -OMISSIS-con altre imprese fornitrici, oltre la ditta -OMISSIS-e la ditta -OMISSIS-, sulle quali si sofferma la ricorrente. Si tratta, in particolare, della -OMISSIS-S.r.l., in relazione alla quale il Gruppo Interforze ha evidenziato numerosi elementi rilevanti concernenti i soci.
L’intervenuto annullamento della misura interdittiva a carico della ditta -OMISSIS-e l’esclusione di pericoli di infiltrazione riguardo alla ditta -OMISSIS- non possono escludere, pertanto, la rilevanza delle altre risultanze della relazione del Gruppo Interforze.
D’altra parte, il fatto che, in mancanza di ulteriori elementi, la presenza in cantiere di ditte legate alla criminalità non possa supportare una misura interdittiva a carico della ditta -OMISSIS-, non implica certamente che uguale circostanza non possa essere valutata in un quadro complessivo di elementi riguardanti altri soggetti e, in particolare, l’amministratore della società odierna ricorrente.
5.3 Con ulteriore censura parte ricorrente rileva la mancata indicazione delle ragioni per le quali sono state disattese le ampie argomentazioni sulla base delle quali l’odierna ricorrente aveva richiesto la revisione delle informazioni antimafia. Ciò implicherebbe una carenza motivazionale del provvedimento.
La censura non ha fondamento, giacché l’obbligo motivazionale incombente sull’amministrazione non può essere dilatato al punto da implicare la necessità di valutare analiticamente le osservazioni della parte, essendo sufficiente che sia percepibile il percorso motivazionale attraverso cui si è giunti a una determinazione non collimante con quella auspicata dall’interessata.
5.4 La ricorrente ha rilevato, ancora, che l’amministrazione non ha dato atto dell’attualità del pericolo di infiltrazione.
L’intervenuta prescrizione dei reati ascritti al -OMISSIS-e l’accoglimento anche in sede di appello del ricorso presentato dalla ditta -OMISSIS-avverso il provvedimento interdittivo adottato sulla base della relazione del Gruppo Interforze avrebbero dovuto condurre l’Amministrazione a effettuare una nuova istruttoria e ad accogliere la richiesta di riesame, non essendovi indizi attuali di possibili infiltrazioni mafiose in relazione alla ricorrente ed al suo amministratore.
Le argomentazioni della ricorrente non sono condivisibili, atteso che le circostanze richiamate (dichiarazione di prescrizione e pronuncia di annullamento) non sono significative della non attualità dei pericoli di infiltrazione.
D’altra parte, occorre tenere presente che l’emissione della misura interdittiva risulta basata essenzialmente sull’esito del procedimento penale, che non ha escluso la fondatezza dell’accusa di falsa testimonianza riguardo a una fattispecie di estorsione. È chiaro che la valutazione dell’attualità del pericolo di infiltrazione non può prescindere da tale circostanza, che ha dato maggiore concretezza all’ipotesi che l’impresa sia soggetta alla forza intimidatoria di organizzazioni criminali.
5.5 Con un’ultima censura la ricorrente ha rilevato la manifesta contraddittorietà in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione, che, in relazione ai medesimi fatti, avrebbe emesso, in un primo tempo, informazioni atipiche, con le quali è stato escluso il pericolo di infiltrazioni mafiose, e, in un secondo tempo, un’informativa interdittiva, basata sull’esistenza del rischio di infiltrazioni.
Anche tale censura è priva di fondamento.
Il Consiglio di Stato (sez. III, -OMISSIS-, già citata in precedenza), in relazione a fattispecie in cui si era posta analoga problematica, ha affermato che “In presenza, dunque, della normativa sopravvenuta e della rilevanza ai sensi della stessa del citato elemento ai fini della emanazione della informativa interdittiva ( rilevanza del tutto assente nel quadro normativo precedente ), è evidente che l’ampliato novero delle condizioni ostative consentiva l’emanazione di una informativa prefettizia con portata automaticamente inibitoria pur in presenza di quegli “identici elementi concernenti la persona di --OMISSIS--” puntualmente rilevati dal T.A.R., ma non fatti oggetto di altrettanto puntuale verifica quanto al differente sopravvenuto loro rilievo nello specifico, nuovo, quadro normativo”.
Ciò è quanto riscontrabile nel caso di specie, poiché l’art. 84 del d.lgs. n. 159/2011 (entrato in vigore il 13 febbraio 2013, quindi dopo l’informazione del 25 gennaio 2012) ha attribuito specifica e autonoma rilevanza ostativa a fatti quali la falsa testimonianza resa in relazione a reati di estorsione, aggravati ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 152/1991.
Essendo mutato il quadro normativo di riferimento, non può, quindi, considerarsi contraddittoria la valutazione dell’Amministrazione in ordine all’esistenza del pericolo di infiltrazioni mafiose.
6. L’infondatezza delle censure sopra richiamate implica l’infondatezza del mezzo di impugnazione con cui viene dedotta l’illegittimità in via derivata della nota del 31 luglio 2015 della Prefettura di Vibo Valentia, con cui cui è stata negata l’iscrizione nell’elenco fornitori, prestatori ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa nonché dei motivi di illegittimità derivata riproposti con ricorso per motivi aggiunti avverso il decreto del 22 dicembre 2015 del Prefetto di Vibo Valentia, con cui è stata negata l’iscrizione nell’elenco ora richiamato.
È evidente, del resto, che l’impugnazione della nota del 31 luglio 2015 sarebbe comunque inammissibile, trattandosi di mera comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
7. Il ricorso per motivi aggiunti proposto avverso il decreto del 22 dicembre 2015, ora richiamato, contempla autonomi profili di illegittimità del diniego di iscrizione nella white list.
È stata dedotta, innanzi tutto, la violazione degli artt. 10 e 10 bis della legge n. 241/1990, dell’art. 3 del D.P.C.M. 18 aprile 2013 ed eccesso di potere per difetto ed erroneità della motivazione.
La ricorrente ha rilevato, in sostanza, la mancata considerazione delle argomentazioni presentate dall’interessata a sostegno della tesi dell’insussistenza dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
La censura è infondata.
Occorre tenere conto, innanzi tutto, del fatto che il diniego di iscrizione è basato sull’informazione interdittiva antimafia a carico della società. La presenza dell’informazione, come evidenziato nel provvedimento impugnato, osta all’iscrizione nell’elenco in questione e il provvedimento di diniego, nel caso concreto, assume carattere del tutto vincolato.
Ne consegue che, ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990, non potrebbe comunque procedersi all’annullamento del provvedimento.
D’altra parte, la censura sarebbe comunque infondata, essendo pacifico che non sussiste la necessità che la motivazione dell’atto amministrativo contenga un’analitica confutazione delle osservazioni e controdeduzioni svolte dalla parte, essendo invece sufficiente che sia possibile evincere che l’Amministrazione ha effettivamente tenuto conto, nel loro complesso, quelle osservazioni e controdeduzioni per la corretta formazione della propria volontà e si rendano percepibili le ragioni del mancato recepimento delle medesime (così, tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2015 n. 2011).
Con altro autonomo motivo di ricorso sono stati dedotti la violazione dell’art. 3 del D.P.C.M. 18 aprile 2013 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza dei presupposti.
Secondo la ricorrente la previsione menzionata avrebbe imposto di effettuare, anche attraverso il coinvolgimento del Gruppo Interforze, una nuova attività istruttoria volta ad accertare l’insussistenza di cause ostative all’iscrizione nell’elenco in questione.
Si tratta di tesi palesemente infondata, giacché, al contrario, come già evidenziato, in presenza di un’informazione interdittiva il diniego di iscrizione nella white list è atto del tutto vincolato.
È chiaro, infatti, che gli accertamenti previsti nel decreto richiamato dalla ricorrente hanno un senso solo laddove non siano stati ancora effettuati accertamenti in ordine a possibili interferenze mafiose, ma non nel caso in cui tali accertamenti siano stati già effettuati ai fini dell’emissione di provvedimento interdittivo.
8. Consegue a quanto sopra l’infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti, che devono essere, pertanto, rigettati.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) rigetta il ricorso e i motivi aggiunti.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore del Ministero dell’Interno di spese e competenze del presente giudizio, che liquida in complessivi € 3.100,00, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda la Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS-S.r.l., -OMISSIS--OMISSIS-, -OMISSIS--OMISSIS-S.r.l., -OMISSIS-S.r.l., -OMISSIS-, -OMISSIS-, ditta -OMISSIS--OMISSIS-, -OMISSIS-S.r.l., ditta -OMISSIS-.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 28 settembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Giovanni Iannini, Consigliere, Estensore
Francesco Tallaro, Referendario
Guida alla lettura
Con la sentenza in commento, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria si è pronunciato in materia di informativa prefettizia antimafia cd. interdittiva, disciplinata dagli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del D.Lgs. n. 159 del 2011, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, come modificato ed integrato dai decreti legislativi 15 novembre 2012, n. 218 e 13 ottobre 2014, n. 153.
Secondo le richiamate disposizioni di legge, l’informativa in parola è un istituto mediante il quale l’autorità prefettizia esprime un motivato giudizio, in chiave preventiva, circa il pericolo di infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa, interdicendole l’inizio o la prosecuzione di qualsivoglia rapporto con l’Amministrazione o l’ottenimento di qualsiasi sussidio, beneficio economico o sovvenzione. Il provvedimento comporta, quindi, che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti ‘affidabile’) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge.
Quanto ai presupposti, l’orientamento della giurisprudenza è costante nel ritenere che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l’informativa non richiede la prova certa di un fatto, ma la sola presenza di uno specifico quadro indiziario, in base al quale non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di infiltrazioni o collegamenti con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste. In altri termini, le informative del Prefetto in merito alla sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell'impresa non devono provare l'intervenuta infiltrazione - essendo questa un “quid pluris”- ma devono sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi – da considerare nel loro insieme ed unitariamente - dai quali sia deducibile il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata.
Ciò posto, è evidente che gli elementi che giustificano l’adozione di un’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura, come nel caso di specie, essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito favorevole al soggetto colpito dalla misura interdittiva.
Su tali presupposti, il Tribunale adito ha ritenuto che le circostanze poste a fondamento dell’informativa antimafia, solo in parte giudizialmente accertate, fossero comunque sufficienti a supportare il giudizio espresso dal Prefetto.
In particolare, nella fattispecie in esame, l’Autorità prefettizia ha fondato il provvedimento interdittivo essenzialmente sull’esito di un procedimento penale che ha disposto di non doversi procedere, nei confronti dell’interessato, per intervenuta prescrizione del reato di falsa testimonianza – in relazione ad un’ipotesi di estorsione – resa nell’ambito di un procedimento penale, che vedeva imputati alcuni soggetti appartenenti alla criminalità organizzata.
A tal proposito, il Collegio ha precisato che la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione (e non con formule assolutorie nel merito, ai sensi dell’art. 129, comma 2, cp.c.) non può in alcun modo far presumere la mancanza di responsabilità penale dell’interessato. Anzi, siffatta circostanza, secondo l’acclarato principio del ‘più probabile che non’, dona maggiore concretezza e attualità al rischio di permeabilità delle scelte di impresa alle infiltrazioni della criminalità organizzata, non rilevando, per converso, l’attualità del fatto di reato.
Infine, il Collegio ha chiarito che la presenza dell’ informazione interdittiva antimafia a carico della società osta all’iscrizione della stessa nella cd. white list .
La disciplina di riferimento è contenuta all’art. 1, commi 52-57, della Legge n. 190 del 6 novembre 2012, come modificata dal D.L. 190/2014, e nel d.p.c.m. 18 aprile 2013, che ne detta le modalità operative.
In particolare, l’espressione white list indica l’elenco, istituito presso ogni Prefettura, dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa, operanti nei settori considerati maggiormente a rischio, individuati dall'art. 53 della Legge Anticorruzione (trasporto di materiali a discarica per conto terzi; trasporto e smaltimento di rifiuti per conto terzi; estrazione,fornitura e trasporto di terra e materiali inerti, calcestruzzo e bitume; noli a freddo di macchinari e a caldo; fornitura di ferro lavorato; autotrasporti per conto terzi; guardiania dei cantieri).
A tal riguardo, secondo quanto motivato dal Collegio, in presenza di un’informazione interdittiva il provvedimento di diniego di iscrizione nella white list assume carattere del tutto vincolato, con conseguente possibilità per l’Autorità giudiziaria di applicare l’art. 21 octies della Legge n. 241/1990.
Invero, l’iscrizione nel suddetto elenco è ricollegata ad attività istruttorie della medesima tipologia e contenuto di quelle previste ai fini della redazione delle informative antimafia, per cui il provvedimento prefettizio di diniego non potrebbe che essere atto del tutto vincolato dal tenore interdittivo della pregressa informativa.
D’altra parte, in ossequio al principio di unitarietà dell’azione amministrativa, si rende necessario assicurare un esito coerente tra le statuizioni conclusive dei due distinti procedimenti, l’uno riferibile ad una richiesta di informazione antimafia, l’altro innescato da una domanda d’iscrizione nella white list.