Nell'ambito del codice degli appalti di cui al D. Lgs. 18 aprile 2016 n. 50, la normativa sulla pianificazione programmazione e progettazione di opere e servizi occupa il titolo III della parte prima, (articoli da 21 a 27) risultando concentrata e semplificata rispetto a quanto previsto dal D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 s.m.i. nell'ambito del quale la materia veniva disciplinata agli artt. 90-98 e, per quanto si riferiva alla programmazione, agli artt. 126-128: previsioni, queste ultime che, a loro volta costituivano lo sviluppo delle disposizioni degli artt. 14-16 della legge n. 109 del 1994.
La rimodulazione della materia ha consentito di meglio regolare – semplificandoli - i singoli aspetti significativi su alcuni dei quali è opportuno richiamare l'attenzione anche perché non tutti i problemi risultano superati ad iniziare da quelli del raccordo dei singoli corpi normativi: tutela ambientale; disciplina urbanistica; tutela archeologica; profili del rischio idrogeologico; ecc..
Per mappare il contenuto delle disposizioni introdotte dal nuovo codice si deve evidenziare che l'art. 21 si occupa della programmazione mantenendo, per i lavori, il programma triennale e rinviando, però, (comma 8) ad una decretazione successiva alcuni aspetti di rilievo ed introducendo (comma 2) l'obbligo di tenere conto nella formulazione dei programmi delle opere non terminate. L'art. 22 disciplina nell'ambito del sistema le regole sulla pubblicità in senso conforme a quanto indicato dalla disciplina europea ed in consonanza con i principi fondamentali dell'ordinamento (legge n. 241 del 1990 e s.m.i. artt. 4 e segg.) oggi sussunto tra le regole di rango costituzione sotto il profilo della trasparenza dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.).
Gli artt. 23 e 24 si occupano del problema della progettazione sia sotto il profilo del contenuto, che delle regole sulla redazione dei progetti e relative procedure.
L'art. 25 si dedica ad una attenta articolazione del procedimento di verifica dell'interesse archeologico affinando quella che è sempre stata una esigenza fondamentale della materia: esigenza che si risolve nella costruzione di un sistema che sollevi le Soprintendenze ed il Ministero da impegnare somme (non facilmente disponibili) per indagini di interesse, magari, marginale per l'Amministrazione dei beni culturali e, d'altro lato, prevede tempi ed esiti certi delle procedure di verifica (dato fondamentale per quanto si riferisce alla stessa fattibilità dei lavori pubblici).
Gli artt. 26, sulla verifica della progettazione, e 27, sull'approvazione dei progetti relativi ai lavori chiudono il titolo terzo.
Nel panorama delle disposizioni rimodellate del nuovo codice un interesse particolare assumono le disposizioni di cui agli artt. 23, 24 e 27 che costituiscono la chiave di tutti i rapporti tra l’opera pubblica e gli interessi pubblici rilevanti attinenti al territorio ed al contesto in cui l'intervento si colloca.
Prima di inoltrarci nella complessa ramificazione dei profili delle fonti e degli strumenti relativi che l'intervento di realizzazione dei lavori pubblici coinvolge è bene richiamare l'attenzione su di uno specifico aspetto che semplifica molto la trattazione delle varie questioni, essendo oggi stabilito dal nuovo codice che pur essendo mantenuta la ripartizione in tre livelli della progettazione è stato determinato che "è consentita l'omissione di uno o di entrambi i primi due livelli di progettazione, purché il livello successivo contenga tutti gli elementi previsti per il livello omesso salvaguardando la qualità della progettazione".
Ed è di tutta evidenza la fondamentale importanza della previsione che codifica una esigenza di compattazione dei tempi della progettazione spesso avvertita dalle Amministrazioni.
Il punto che assume rilievo è, comunque, ed anzitutto, quello di cui al comma 1 dell'art. 23 nel quale sono indicate le funzioni della progettazione nel suo complesso. In particolare, nell'ottica che si va esaminando, rilevano le funzioni relative (lett. c del comma 1) al raggiungimento della "conformità alle norme ambientali, urbanistiche e di tutela dei beni culturali e paesaggistici, nonché il rispetto di quanto previsto dalla normativa e in materia di tutela della salute e della sicurezza". Quelle di cui alla lett. e) dello stesso comma relative al "rispetto dei vincoli idro-geologici, sismici e forestali nonché degli altri vincoli esistenti", oltreché di quelle di cui alle lett. g). ed i). (compatibilità con le preesistenze archeologiche oltre alla compatibilità geologica, geomorfologica e idrogeologica”).
Infine deve rilevarsi che secondo il successivo comma 5 dell’art. 23 il progetto di fattibilità (ovvero, dopo la modifica apportata con la stessa normativa che si commenta il progetto che ne tiene il posto) deve consentire l’avvio delle procedure espropriative e, secondo il comma 6 è con il progetto di fattibilità che deve procedersi alla verifica dell’impatto ambientale nonché all’adozione delle misure di mitigazione e di infrastrutturazione.
Nella sostanza – non dissimilmente da quanto già ormai del tutto pacifico nella materia – è in esito alla progettazione e prima di ogni trasformazione materiale ovvero assunzione di obblighi giuridici attraverso l’aggiudicazione che debbono trovare soluzione tutte le problematiche relative all’opera che si intende realizzare ed alla sua collaborazione e rapporto con il contesto territoriale di riferimento.
Tra i profili menzionati alla lett. c/ del comma 1 dell'art.23 non è dubbio che quello sul quale si incontrano i minori attriti applicativi è quello del raggiungimento della conformità in termini urbanistici ed edilizi.
E' ben noto che, quanto al primo profilo, l'ordinamento difetta di una codificazione organica e si può, dunque, fare riferimento ai soli principi fondamentali tra i quali quello di cui all'art. 29 della legge 17 agosto 1942 n. 1150 secondo il quale "compete al Ministero dei Lavori Pubblici accertare che le opere da eseguirsi da Amministrazioni statali non siano in contrasto con le prescrizioni del piano regolatore e del regolamento edilizio vigente nel territorio comunale in cui esse ricadono "(c.d. accertamento di conformità).
Si tratta, evidentemente, di un principio di carattere generalissimo per dare veste al quale occorre fare ricorso a varie fonti e principi che si ricavano dal testo unico degli espropri (D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327) e da quello sull'edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380).
Quanto a quest'ultimo viene in riferimento, anzitutto, l'art. 7 da ritenersi rilevante in quanto indica quali opere si sottraggono alle regole dell'edilizia privata e sono, invece, soggette alle procedure previste per la realizzazione delle opere pubbliche anche per quanto si riferisce al raggiungimento della conformità urbanistica.
Si tratta, in particolare, delle opere e degli interventi assoggettati a procedimenti svolti in accordo di programma di cui all'art. 34 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, delle opere pubbliche statali o da realizzarsi da enti istituzionalmente competenti e da concessionari: previa la procedura di accertamento di conformità di cui al D.P.R. n. 383 del 18 aprile 1994. Ed, infine, delle opere dei comuni approvate dagli organi competenti di questi ultimi e (all'epoca della formazione della norma) validati ai sensi dell'art. 47 del D.P.R. n. 554 del 1999.
Per definire quali siano le procedure e le norme che disciplinano il raggiungimento della conformità occorre poi far riferimento, oltre che alla disposizione dell'art. 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 s.m.i. a quanto indicato dal D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 agli artt. 8-10. A norma, infatti, dell'art. 8 del T.U. sugli espropri le fasi che procedono l'emanazione del decreto di esproprio sono costituite proprio ed anzitutto dal raggiungimento della conformità urbanistica con la costituzione di un vincolo espropriativo efficace che si realizza attraverso le forme ordinarie dello strumento urbanistico comunale di carattere primario (Piano regolatore generale, ovvero altra figura equivalente secondo le norme proprie di ogni singola regione). Ovvero di una variante specifica di questo (nel caso del Piano regolatore, dunque, con la modalità di cui all'art. 9 e segg. della legge 17 agosto 1942 n. 1150 s.m.i.). Formazione che si intende operata secondo le ordinarie procedure nell'ambito delle quali si annovera l'adozione, una fase di partecipazione da parte degli interessati e l'approvazione..
Dove l'efficacia richiesta dalla norma allude da un lato all'entrata in vigore dello strumento (che si realizza con la pubblicazione del relativo provvedimento di approvazione) e, dall'altro, al fatto che - come ben noto - (a norma dell'art. 2 della legge n. 1187 del 1968) le previsioni della pianificazione che comportano un effetto espropriativo rimangono efficaci per il periodo di cinque anni decorsi i quali o la prescrizione della pianificazione viene portata in attuazione ( anche attraverso l'inserimento in uno strumento urbanistico attuativo) ovvero diviene inefficace comportando l'esigenza della ricostituzione della previsione stessa (rinnovando il procedimento di pianificazione nell'osservanza di tutti gli anzidetti adempimenti).
La conformità si realizza, comunque, anche attraverso altri provvedimenti con effetti urbanistico equivalenti tra i quali la normativa del D.P.R. n. 327 del 2001, menziona dei meccanismi di approvazione dell'intervento attraverso la conferenza dei servizi (modulata secondo la previsione dell'art. 14 bis della legge n. 241 del 1990 s.m.i.), l'accordo di programma e varie modalità di intesa (tra le quali, ad esempio, quelle di cui all'art. 3 comma 203 della legge n. 966 del 1996).
La conformità si raggiunge, infine, attraverso l'approvazione del progetto con effetto di variante urbanistica, operata, perciò, dagli Enti istituzionalmente competenti, di cui all'art. 19 del T.U. sugli espropri ed oggi dunque a norma dell'art. 27 del T.U. sugli appalti che - in proposito - al comma 7 tiene ferme le disposizioni vigenti che stabiliscono gli effetti dell'approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi e, dunque, delle ricordate disposizioni del T.U. sugli espropri ma anche dei principi affermati e ribaditi in merito tra i quali quello che esclude un effetto di variante automatica a seguito della sola approvazione richiedendo sempre che si realizzino le forme procedurali e le garanzie previste dell'ordinamento (cfr. Corte Cost. 19 novembre 2007 n. 401).
Più complessa è la procedura prevista dal D. L.gs. 3 aprile 2006 n. 152 in tema di valutazione ambientale strategica e di valutazione di impatto ambientale (ed accertamenti collegati) essendo suddivisa tra legislazione di rango statale e singole previsioni regionali; quelle norme già in sé complesse ed articolate debbono anche essere correlate con quelle qui in esame (cfr. art. 23 comma 6 che regola il rapporto tra la progettazione di fattibilità ed il conseguimento del giudizio sull'impatto ambientale e le eventuali misure di mitigazione).
Per quanto di interesse si richiama, dunque, la sola previsione dell'art. 9 del D. Lgs. n. 152 del 2006 (norme procedurali generali) nel punto in cui al comma 1 richiama le previsioni degli artt. 7 - 10 della legge n. 241 del 1990 che disciplinano la partecipazione al procedimento e là ove lo stesso art. 9 al comma 3, richiama l'esigenza delle consultazioni con il pubblico.
Relativamente più semplice dal punto di vista procedurale anche se assai complesso sul piano dei contenuti e delle previsioni e dei raccordi è il problema del raggiungimento della conformità rispetto alle disposizioni di tutela dei beni culturali e paesaggistici.
Per una porzione di essi (quelli archeologici) viene disposta dall'art. 25 del codice una specifica procedura suddivisa in due fasi frutto della elaborazione e dell’esperienza già maturati in esito all’attuazione delle analoghe disposizioni contenute agli artt. 90 e segg. della precedente stesura del codice (D. Lgs. n. 163 del 2006).
Per quanto invece attiene al problema generale del rapporto tra progettazione delle opere e disciplina di tutela dei beni paesistici è opportuno evidenziare quanto stabilito dall’art. 143 comma 3 del D. Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, ove si stabilisce che le previsioni paesaggistiche di cui agli artt. 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni” …. e, nella sostanza, sono posti al vertice della scala degli interessi pubblici sì da assumere una condizione di gestione del bene pianificato virtualmente intangibile e modificabile solo con grande difficoltà anche operativa oltreché di principio essendo ben noto che i Piani territoriali paesistici regionali, che costituiscono l’esito delle previsioni del D. Lgs. n. 42 del 2004, nella parte in cui stabiliscono limiti e vincoli lo fanno con aderenza ad un modo d’essere ed ad una qualità del bene che si presume oggettiva e propria del bene stesso (ovvero di carattere generale comune ad una serie di beni), così che essa non è soggetta ad un indennizzo e risarcimento di alcun genere in rapporto alla non modificabilità edilizia. Nella sostanza, ciò rende vantaggiosa al sistema la previsione del piano paesistico, ma rende lo strumento – almeno per alcuni profili – estremamente rigido anche a fronte delle sopraggiunte esigenze di interesse pubblico collegate alla necessaria realizzazione delle opere pubbliche che comportino la trasformazione del territorio vincolato: essendo, come osservato, quelle prescrizioni dichiarate in via di principio inderogabili.
Il profilo sopra evidenziato viene qui in rilievo, però, non nella sua totalità e complessità, ma solo in relazione al fatto che anche la pianificazione paesaggistica è accompagnata da adeguate norme di partecipazione e trasparenza che sono delineate dall’art. 144 del D. Lgs. n. 42 del 2004 ed alle quali deve ritenersi si rimanga assoggettati anche nella ipotesi in cui si debba procedere a modificare la pianificazione paesistico- paesaggistica (ad esempio, nel caso in cui per l’esigenza di approvazione di un progetto di opera pubblica si renda necessario rivalutare le determinazioni di tutela di un singolo contesto territoriale).
Vale comunque richiamare l’attenzione sul fatto che, a norma del successivo art. 147 stesso D. Lgs. n. 42 del 2004, le autorizzazioni preventive per le opere delle Amministrazioni statali sono rilasciate utilizzando lo strumento della conferenza di servizi di cui agli artt. 14 e segg. della legge n. 241 del 1990 s.m.i.
Analoghi meccanismi vengono in evidenza in riferimento alla compatibilità dei progetti rispetto alle norme ambientali (lett. c. del comma 1 dell’art. 23 della norma stessa del Codice) del rispetto dei vincoli idrogeologici (lett. e dello stesso comma 1) e della compatibilità geologica geomorfologica ed idrogeologica (lett. i dello stesso comma 1).
Qui il riferimento è da compiersi con la pianificazione delle aree naturali protette (piani di sviluppo dei parchi di cui alla legge n. 394 del 1991 s.m.i. e conseguentemente legislazione regionale) anche qui accompagnata da ampie garanzie di partecipazione e trasparenza (cfr. art. 12 comma 4 della legge n. 394 del 1991).
Ed è da compiere altresì con la pianificazione degli ambiti di bacino di cui alla legge 18 maggio 1989 n. 183 e poi di cui al D. Lgs. n. 152 del 2006 cit., per questi ultimi per quanto si riferisce al profilo della tutela dalle esondazioni e dal pericolo di frana. Qui, peraltro, con assai minori problemi considerato che la pianificazione dei bacini è sostanzialmente una pianificazione di tipo ricognitivo di fenomeni ai quali può porsi riparo sul piano della elaborazione di un progetto di intervento attraverso l’adozione di misure di contenimento e prevenzione.
Nella sostanza i progetti a norma dell’art. 23 del codice debbono verificare e/o conseguire la “conformità” ambientale, urbanistica, paesaggistica; debbono risultare posti nel “rispetto” dei vincoli idro-geologici , sismici e debbono, infine risultare “compatibili” con i vincoli archeologici, geologici e idrogeologici.
Si tratta di una diversificazione significativa che interessa relativamente alla maggiore o minore rigidità del giudizio da compiere ed al fatto che taluni di quei profili sono collegati alla possibilità, anche a fronte di un riscontrato contrasto, di conseguire un giudizio positivo essendo previste procedure che - come brevemente osservato – possono condurre alla conformità mancante: così è certamente per il profilo urbanistico, per quello ambientale (con correttivi ed interventi), per quella paesistica (con notevoli difficoltà).
Tutto si gioca nella sede di approvazione dei progetti (art. 27 del codice) che interessa perciò sotto due profili: anzitutto, perché è stabilito che si proceda a mezzo di conferenza dei servizi ai sensi dell’art. 14 bis della legge nl 241 del 1990 s.m.i. (comma 1 dell’art. 27); e perché vengono tenuti fermi gli effetti dell’approvazione del progetto ai fini urbanistica ed espropriativi oltreché delle procedure VIA (comma 7 dello stesso art. 27).
In relazione quanto stabilito dall'art.27 emergono una serie di considerazioni. La conferenza dei servizi di cui alla legge n. 241 del 1990 s.m.i., nonostante i continui aggiornamenti e le sollecite cure che ne hanno più volte modificato i principi e gli elementi, sembra dover subire non indifferenti ulteriori variazioni.
Ricordiamo anzitutto che la conferenza stessa non è un disegno procedimentale che intenda modificare la sequenza e le componenti degli atti preordinati al provvedimento per cui si agisce, sicché questi rimangono quelli previsti dalla normativa di base solo riuniti e contestualizzati in modo tale da azzerare il fattore tempo.
Ciò comporta, dunque, che se si deve conseguire la conformità sotto i profili richiesti dalla normativa sui progetto di opere pubbliche dovrà procedersi secondo una delle modalità procedurali ammesse dal sistema (operando ciò attraverso una "variante" ovvero una nuova valutazione di interessi). Come osservato, però la quasi totalità dei procedimenti di pianificazione del territorio prevede come componente essenziale ed ineliminabile quella della partecipazione di chi abbia interesse ai profili disposti nel procedimento. Tale elemento è essenziale agli effetti dell'osservanza dei principi di partecipazione e trasparenza.
Per vero sia la normativa ambientale che lo stesso codice prevedono forme adeguate di pubblicità ma quelle modalità non risultano esaurire le necessità in esame.
In proposito è sufficiente osservare che l'art. 22 del codice, che disciplina le forme di pubblicità, fa riferimento al fatto che la pubblicazione del progetto ed i relativi dibattiti pubblici si svolgono in un momento anteriori all'esame da parte della conferenza dei servizi (cfr. comma 4 dell'art. 22). Con l'effetto che la pubblicità ed il dibattito si svolgano sul progetto ma non nell'ambito del procedimento che è successivo e non prevede se svolto in forma di conferenza dei servizi ed in quel contesto tali apporti.
La conclusione a prima lettura risulta dunque essere nel senso che la normativa che regola la conferenza di servizi dovrà ancora essere riesaminata non solo e non tanto in termini formali (in quanto la versione attuale non è adeguata rispetto a quanto oggi previsto dalla riscrittura delle norme del codice), quanto in termini sostanziali in quanto le relative disposizioni deve ritenersi non possano omettere di considerare in modo più ampio ed articolato il profilo della partecipazione e quello della trasparenza come elementi essenziali dello svolgimento delle operazioni al fine della valutazione delle regolarità dell'agire introducendo fasi di apertura delle procedure al pubblico.
Non è inutile considerare che il principio di trasparenza - come già ricordato - è stato oggi, a seguito della riforma "Boschi", inserito come principio di rango costituzionale nell'ordinamento con l'effetto che gli elementi relativi non possono essere trascurati dalla legislazione anche di principio se non producendo un evidente "vulnus" del sistema. E se si ammette l'accesso di chi risulti portatore di un interesse qualificato agli atti del procedimento non si vede come si possa non consentire la partecipazione ai relativi atti nella fase del loro compimento.