Mistero e diffidenza accompagnano ancora questa nuova figura di dipendente pubblico

Il whistleblower, questo sconosciuto.

di Anna Corrado

L’alone di mistero e ancora di più di “diffidenza”  che accompagna  questa nuova figura  di   dipendente pubblico, fin dalla sua introduzione nel panorama amministrativo italiano  con la legge n. 190/2012, più nota come legge anticorruzione, non può certamente ritenersi scomparso. A circa quattro anni, sebbene  si  registri meno scetticismo e maggiore “tolleranza”, la strada per la piena e compiuta legittimazione del whistleblower italiano  ( alla lettera “soffiatore di fischietto”)  è ancora lunga.

Prima di illustrare il monitoraggio  fatto sullo stato di applicazione del whistleblowing in Italia, approvato dal Consiglio dell’Anac e i cui risultati sono pubblicati sul sito dell’Autorità (leggi qui),appare necessario introdurre brevemente l’istituto.

 L’art. 1, comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione”  (“Legge Severino”) ha inserito l’articolo 54 bis nel corpo del Testo Unico del Pubblico Impiego (T.U.P.I., d. lgs. 165/2001) introducendo un regime di speciale tutela del pubblico dipendente che denuncia all’Autorità giudiziaria o alla Corte dei Conti o ancora all’A.N.A.C. ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia stato spettatore diretto in ragione del rapporto di lavoro.

L’istituto del whistleblowing, di derivazione anglosassone,  è stato introdotto nel nostro ordinamento quale misura di prevenzione della corruzione sulla scorta della considerazione per cui il dipendente pubblico può accorgersi di eventuali condotte illecite o corruttive che stanno per consumersi o sono state perpetrate  nella propria amministrazione di appartenenza prima di altri soggetti.

La disposizione mira, oltre a stimolare le segnalazioni di condotte illecite da parte dei dipendenti pubblici, anche a garantire il dipendente stesso da possibili misure discriminatorie che potrebbero derivargli dalla denuncia effettuata.

Oltre al divieto di ritorsioni, la norma dispone che l’identità del segnalante non vada rivelata senza il suo consenso, a meno che la conoscenza della identità del segnalante sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato e la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, proprio sulla segnalazione ricevuta.

L’articolo 54 bis citato prevede anche il coinvolgimento del Dipartimento della funzione pubblica in caso di adozione di misure discriminatorie, segnalate queste ultime dallo stesso soggetto che ha già denunciato condotte illecite ovvero segnalate dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione nella quale le dette condotte sono state poste in essere.

Per come già ricordato, la menzionata tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti è stata introdotta nel nostro ordinamento quale misura di prevenzione della corruzione, imponendosi peraltro alle amministrazioni di individuare una procedura finalizzata a garantire tale tutela e a porre in essere iniziative atte a stimolare le segnalazioni da parte del dipendente pubblico.

Oltre alla richiamata disposizione, deve qui ricordarsi che nel nostro ordinamento segnalare condotte illecite, quindi, avere un comportamento collaborativo, rientra in realtà tra gli obblighi di condotta previsti nel Codice di comportamento dei pubblici dipendenti (d.P.R. 62/2013), che espressamente impone, infatti, al dipendente pubblico di segnalare al proprio superiore gerarchico o al Responsabile della prevenzione della corruzione eventuali situazioni di illecito nell’amministrazione, di cui sia venuto a conoscenza.

A completamento di questa breve disamina della disciplina nazionale, in materia di whistleblowing vanno ricordate anche le Linee guida adottate dall’A.N.AC. con la determinazione n. 6 del 28 aprile 2015, con cui l’Autorità ha inteso, da una parte, delineare l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell’art. 54 bis richiamato e fornire indicazioni in ordine alle misure che le pubbliche amministrazioni devono approntare per tutelare la riservatezza dell’identità dei dipendenti che segnalano condotte illecite; dall’altra, dare conto delle procedure sviluppate da A.N.AC., per la tutela della riservatezza dell’identità sia dei propri dipendenti che dei dipendenti delle altre amministrazioni che trasmettano all’Autorità una segnalazione.

Appare, infine, importante fare anche un richiamo alle prospettive di riforma dell’istituto, tenuto conto che un importante contributo verso una applicazione più “piena e partecipata” dello stesso potrebbe giungere dalla riforma dell’art. 54 bis del T.U.P.I. quale prevista da apposito disegno di legge ora al vaglio del Senato, con il quale espressamente si estende la disciplina anche al settore privato.

Solo per citare alcune delle novità che potrebbero essere introdotte in futuro mette conto qui ricordare la previsione della impossibilità, in futuro, di utilizzare la segnalazione nel corso del procedimento disciplinare se il segnalante non dà il suo consenso, anche quando la segnalazione sia l’unico evento che abbia fatto emergere situazioni di illegalità, ciò comportando la possibilità che il nome non venga mai rivelato, mentre al fine di scoraggiare condotte discriminatorie nei confronti del segnalante viene  introdotta una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del responsabile della condotta medesima, così come viene prevista una sanzione quando non è adottata la procedura per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni.

 

Lo stato di applicazione del whistleblowing in Italia.

In disparte  le prospettive di riforma, va detto che la vigente disciplina ha ricevuto da parte delle amministrazioni una applicazione che, a distanza di più tre anni dalla legge, può oggettivamente ritenersi poco soddisfacente: da una parte, infatti, deve considerarsi che quasi tutte le amministrazioni hanno adottato una procedura informatica con annesso indirizzo mail per ricevere le segnalazioni; dall’altra parte, deve tuttavia rilevarsi che le stesse hanno prestato scarsa attenzione alla possibilità di affiancare l’applicazione delle norme con percorsi di formazione in grado di avviare un  cambiamento culturale capace di superare la percezione diffusa che “soffiare nel fischietto” sia un comportamento affine alla delazione. E’ del tutto evidente che una tale “rivoluzione culturale” si può avviare solo se la persona che ha conoscenza della condotta illecita percepisca il vantaggio che dalla critica, dalla segnalazione, dalla denuncia può derivare, sia in termini individuali che collettivi.

Proprio per comprendere meglio lo stato di applicazione della disciplina in Italia il Consiglio dell’A.N.AC. ha inteso realizzare un monitoraggio sullo “stato dell’arte” del whistleblowing nel nostro Paese, per capire non solo quanto le amministrazioni abbiano fatto per mettere a punto una procedura di tutela dei segnalanti, ma anche per apprezzare il più generale livello di applicazione che ha ricevuto la norma, quale misura di prevenzione della corruzione e, in particolare, per sapere quante segnalazioni sono arrivate e quali condotte illecite esse hanno riguardato.

Il monitoraggio, i cui esiti sono in allegato, si è svolto in due direzioni: da una parte, sono state considerate le segnalazioni pervenute all’A.N.AC. a partire dal mese di settembre 2014 fino al 31 maggio 2016, estrapolandone i dati più significativi al fine di delineare le caratteristiche del  segnalante italiano e la tipologia delle condotte segnalate; dall’altra, è stato realizzato un monitoraggio su un campione costituito da 34 amministrazioni e 6 società pubbliche (in controllo o in partecipazione) per un totale di 40 soggetti coinvolti e intervistati, con il quale, oltre al dato relativo all’adozione o meno del sistema di tutela previsto dalla legge, sono posti in evidenza il numero e la tipologia di segnalazioni ricevute dal 31/12/2014 al 31/12/2015.

 

I dati del monitoraggio

L’A.N.AC. è stata ricompresa tra i soggetti che ricevono le denunce solo con la modifica recata dall’art. 31, comma 1 del d.l. 90/2014, conv. in legge 114/2014, al richiamato art. 54 bis. Con la citata determinazione n. 6 del 28 aprile 2015, l’A.N.A.C. ha chiarito gli aspetti applicativi e procedurali finalizzati a ricevere le segnalazioni provenienti dai dipendenti delle amministrazioni pubbliche e dagli enti e società pubbliche.

Le segnalazioni giunte all’A.N.AC. che sono state prese in considerazione ai fini del monitoraggio riguardano un arco temporale che va dal primo settembre 2014 al 31 maggio 2016. Le segnalazioni ricevute sono state 299, tendenzialmente in netto aumento rispetto al primo anno. Ma il dato più significativo riguarda la qualità delle segnalazioni, nel senso che sempre di più si tratta di segnalazioni di condotte  che pienamente rientrano nell’ambito di applicazione della legge e non di ipotesi che vi sfuggono destinate ad essere archiviate. Tant’è che la percentuale dell’indice di rilevanza “alta”, assegnato dall’ufficio ricevente, alle condotte segnalate, è in progressivo aumento tra le tre annualità considerate.

Nell’ambito del monitoraggio sono stati evidenziati, poi, quali sono gli esiti che conseguono alla segnalazioni e quali soggetti  istituzionali possono essere coinvolti in esito alle segnalazioni presentate, idonee appunto ad attivare attività di controllo e vigilanza finalizzata a prevenire fatti di corruzione ovvero ad attivare attività di indagine.

Le segnalazioni possono condurre, infatti, a provvedimenti di ordine dell’Anac o a provvedimenti dell’Ufficio Vigilanza Appalti dell’Autorità.  Ancora possono essere trasmesse alla competente Procura della Repubblica, alla Corte dei Conti o alla Guardia di Finanza. Infine, possono essere trattate dal responsabile della prevenzione della corruzione dell’amministrazione cui appartiene il segnalante o inviate alle amministrazioni competenti per materia.

Un dato rilevante riguarda la provenienza geografica dei segnalanti che appartengono, in misura prevalente, ad aree geografiche del Sud del paese. Si tratta quasi sempre di pubblici dipendenti, che sottoscrivono le denunce e tra questi vi sono dirigenti, responsabili della prevenzione della corruzione, militari e appartenenti alla polizia municipale. Si registrano segnalazioni anche da parte di consiglieri comunali.

Tra le condotte segnalate all’A.N.AC una percentuale abbastanza elevata ha riguardato le procedure di appalti: 5% nel 2014, 18,3% nel 2015, 21,1 % nel 2016.

Il whistleblowing in Italia