estratto da "Il nuovo Codice dei contratti pubblici", a cura di F. Caringella e M. Protto, in corso di pubblicazione Dike Giuridica Editrice

 

Art. 176

Cessazione, revoca d'ufficio, risoluzione per inadempimento e subentro

 

1.  La concessione cessa quando:

a)  il concessionario avrebbe dovuto essere escluso ai sensi dell'articolo 80;

b)  la stazione appaltante ha violato con riferimento al procedimento di aggiudicazione, il diritto dell'Unione europea come accertato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;

c)  la concessione ha subito una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di aggiudicazione ai sensi dell'articolo 175, comma 8.

2.  Nelle ipotesi di cui al comma 1, non si applicano i termini previsti dall'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3.  Nel caso in cui l'annullamento d'ufficio dipenda da vizio non imputabile al concessionario si applica il comma 4.

4.  Qualora la concessione sia risolta per inadempimento della amministrazione aggiudicatrice ovvero quest'ultima revochi la concessione per motivi di pubblico interesse spettano al concessionario:

a)  il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l'opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario;

b)  le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione;

c)  un indennizzo a titolo di risarcimento del mancato guadagno pari al 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire ovvero del valore attuale della parte del servizio pari ai costi monetari della gestione operativa previsti nel piano economico finanziario allegato alla concessione,

5.  Le somme di cui al comma 4 sono destinate prioritariamente al soddisfacimento dei crediti dei finanziatori del concessionario e dei titolari di titoli emessi ai sensi dell'articolo 185, limitatamente alle obbligazioni emesse successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione e sono indisponibili da parte di quest'ultimo fino al completo soddisfacimento di detti crediti.

6.  L'efficacia della revoca della concessione è sottoposta alla condizione del pagamento da parte dell'amministrazione aggiudicatrice o dell'ente aggiudicatore delle somme previste al comma 4.

7.  Qualora la concessione sia risolta per inadempimento del concessionario trova applicazione l'articolo 1453 del codice civile.

8.  Nei casi che comporterebbero la risoluzione di una concessione per cause imputabili al concessionario, la stazione appaltante comunica per iscritto al concessionario e agli enti finanziatori l'intenzione di risolvere il rapporto. Gli enti finanziatori, ivi inclusi i titolari di obbligazioni e titoli analoghi emessi dal concessionario, entro novanta giorni dal ricevimento della comunicazione, indicano un operatore economico, che subentri nella concessione, avente caratteristiche tecniche e finanziarie corrispondenti o analoghe a quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione è stata affidata, con riguardo allo stato di avanzamento dell'oggetto della concessione alla data del subentro.

9.  L'operatore economico subentrante deve assicurare la ripresa dell'esecuzione della concessione e l'esatto adempimento originariamente richiesto al concessionario sostituito entro il termine indicato dalla stazione appaltante. Il subentro dell'operatore economico ha effetto dal momento in cui la stazione appaltante vi presta il consenso.

10.  Fuori dalle ipotesi di cui all'articolo 175, comma 1, lettera d), la sostituzione del concessionario è limitata al tempo necessario per l'espletamento di una nuova procedura di gara.

 

SOMMARIO: I COSA CAMBIA −  II INDICAZIONI OPERATIVE: 1. Il coordinamento con le altre ipotesi di risoluzione contemplate nel codice − 2. Revoca e recesso: l’applicabilità dei principi dell’Adunanza plenaria al nuovo codice.

 

I COSA CAMBIA

La norma in commento attua la delega prevista dalla legge n. 11/2016 recependo l’art. 44 della direttiva 2014/23/UE rubricato “Risoluzione delle concessioni” secondo il quale: “Gli Stati membri assicurano che le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori abbiano la possibilità, alle condizioni fissate dal diritto nazionale applicabile, di porre termine alla concessione in vigenza della stessa, se una o più delle seguenti condizioni sono soddisfatte:

a) la concessione ha subito una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di aggiudicazione della concessione ai sensi dell’articolo 43;

b) il concessionario si è trovato, al momento dell’aggiudicazione della concessione, in una delle situazioni di cui all’articolo 38, paragrafo 4, e avrebbe dovuto pertanto essere escluso dalla procedura di aggiudicazione della concessione;

 c) la Corte di giustizia dell’Unione europea constata, in un procedimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, che uno Stato membro ha mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati per il fatto che un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore appartenente allo Stato membro in questione ha aggiudicato la concessione in oggetto senza adempiere gli obblighi previsti dai trattati e dalla presente direttiva.”

L’art. 176 del nuovo codice disciplina al comma 1, dunque, le circostanze al ricorre delle quali alle amministrazioni aggiudicatrici o agli enti aggiudicatori è concessa la possibilità di porre termine, mediante annullamento d’ufficio alla concessione durante la sua vigenza, ove:

a) il concessionario avrebbe dovuto essere escluso ai sensi dell’art. 80;

b) la stazione appaltante ha violato con riferimento al procedimento di aggiudicazione, il diritto dell’Unione Europea come accertato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 258  del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, nel senso che il concessionario avrebbe dovuto essere escluso e la Corte di Giustizia dell’Unione europea abbia accertato l’inadempimento dello Stato agli obblighi derivanti dai trattati in virtù dell’aggiudicazione da parte di una stazione appaltante di un concessione in violazione del diritto dell’Unione europea.;

c)  la concessione ha subito una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di aggiudicazione ai sensi dell’articolo 175, comma 8.

Il comma 2 esclude, inoltre, espressamente l’applicabilità dei limiti di cui all’21 nonies, L. 241/1990, introdotti dalla L. n. 15/2005, che vincolano il potere di auto-annullamento al termine massimo di diciotto mesi dalla concessione del provvedimento favorevole.

I commi 4 e successivi dell'art. 176 ricalcano la disciplina già dettata dall'articolo 158 dell'abrogato D. Lgs. n. 163/2006 in relazione alla sola finanza di progetto.

Nella seconda parte, la disposizione in commento si occupa di disciplinare il regime dei rimborsi che spettano al concessionario in ogni caso se lo scioglimento non dipende da causa allo stesso imputabile.

Se, infatti, la cessazione dipende da causa non imputabile al concessionario quale, ad esempio, l’inadempienza dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero quest’ultima revochi la concessione per motivi di pubblico interesse, spettano al concessionario le somme che di seguito si elencano e che devono prioritariamente essere destinate a soddisfare i crediti dei finanziatori del concessionario e dei titolari di titoli emessi, limitatamente alle obbligazioni emesse successivamente alla data di entrata in vigore della disposizione in commento e sono disponibili fino al completo soddisfacimento di detti crediti:

a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l'opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario;

b)  le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione;

c)  un indennizzo a titolo di risarcimento del mancato guadagno pari al 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire ovvero del valore attuale della parte del servizio pari ai costi monetari della gestione operativa previsti nel piano economico finanziario allegato alla concessione.

La disposizione prevede, infine, che l’efficacia della revoca della concessione venga subordinata alla condizione del pagamento da parte del concedente delle suddette somme.

Il D. Lgs. n. 50/2016 ha previsto, in aggiunta a tali ipotesi già contemplate dall’art. 158 del previgente codice che, nei casi di risoluzione della concessione per cause imputabili al concessionario trova applicazione il regime civilistico delineato dall’art. 1453 c.c..

In tal caso la stazione appaltante comunica per iscritto al concessionario ed agli enti finanziatori l’intenzione di risolvere il rapporto.

Gli enti finanziatori, inclusi i titolari di obbligazioni e titoli analoghi emessi dal concessionario entro novanta giorni dal ricevimento della comunicazione, indicano un operatore economico, che subentri nella concessione, avente caratteristiche tecniche e finanziare corrispondenti e analoghe a quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione e stata affidata, con riguardo allo stato di avanzamento dell’oggetto della concessione alla data del subentro.

L’operatore economico subentrante deve assicurare la ripresa dell’esecuzione della concessione e l’esatto adempimento originariamente richiesto al concessionario sostituito entro il termine indicato dalla stazione appaltante. Il subentro dell’operatore economico ha effetto dal momento in cui la stazione appaltante vi presta consenso.

Fuori dalle ipotesi di cui all’art. 175, comma1, lett. d), la sostituzione del concessionario è limitata al tempo necessario per l’espletamento di una nuova procedura di gara.

I pregi della diposizione in disamina sono connessi al fatto che nella stessa sono stati precisati gli effetti dell’annullamento delle concessioni in caso di revoca e le prestazioni economiche e finanziarie a carico delle parti in tali ipotesi, nonché è stata introdotta l’ipotesi di revoca per motivi di pubblica utilità.

 

II INDICAZIONI OPERATIVE

1. il coordinamento con le altre ipotesi di risoluzione contemplate nel codice

In tema di risoluzione deve, altresì, considerarsi che l’art. 165, comma 5, dispone che: “L'amministrazione aggiudicatrice prevede nel bando di gara che il contratto di concessione stabilisca la risoluzione del rapporto in caso di mancato collocamento delle obbligazioni di progetto di cui all'articolo 185, entro un congruo termine fissato dal bando medesimo, comunque non superiore a ventiquattro mesi, decorrente dalla data di approvazione del progetto definitivo. Resta salva la facoltà del concessionario di reperire la liquidità necessaria alla realizzazione dell'investimento attraverso altre forme di finanziamento previste dalla normativa vigente, purché sottoscritte entro lo stesso termine. Nel caso di risoluzione del rapporto ai sensi del primo periodo, il concessionario non avrà diritto ad alcun rimborso delle spese sostenute, ivi incluse quelle relative alla progettazione definitiva. Il bando di gara può altresì prevedere che in caso di parziale finanziamento del progetto e comunque per uno stralcio tecnicamente ed economicamente funzionale, il contratto di concessione rimanga efficace limitatamente alla parte che regola la realizzazione e la gestione del medesimo stralcio funzionale.

Tale norma disciplina, dunque, un’ipotesi speciale, di risoluzione funzionale al reperimento sul mercato dei necessari finanziamenti, codificando così una fattispecie che ha innumerevoli volte interessato la giurisprudenza.

In relazione alla disciplina, nonché alla nomenclatura, utilizzata per la risoluzione ed il recesso contenuta nel codice si segnala quanto posto in luce dal Consiglio di Stato nel parere 1° aprile 2016, n. 855, atteso che la disposizione impone una corretta disamina della terminologia comunitaria e nazionale, a cui corrispondono nella sostanza istituti diversi.

Come riportato supra, il comma 1, dell’art. 176 recepisce (solo in parte, come si vedrà) l'art. 44 della direttiva 23, che nell'indice è rubricato “cessazione delle concessioni” e nell'articolato è rubricato “risoluzione delle concessioni”.

Nel testo dell'art. 44 della direttiva si parla di “porre termine alla concessione in vigenza della stessa per presupposti che sono legati a vizi originari o sopravvenuti dell'atto concessorio”.

Si tratta di fattispecie che nell'ordinamento nazionale giustificano l’autotutela c.d. pubblicistica nella forma dell’annullamento d’ufficio (in tal senso, il Consiglio di Stato ha segnalato la necessità di integrare la rubrica dell’art. 176 in commento, che nella versione originaria recava “Risoluzione del contratto”.

Nell'ordinamento nazionale, peraltro, per regola generale l'annullamento d'ufficio opera ex tunc.

Nel caso specifico, considerato che l'annullamento d'ufficio può intervenire a distanza di molti anni (a seguito, ad es. di una violazione del diritto comunitario da parte della stazione appaltante, accertata dalla Corte di giustizia UE, il che implica un giudizio nazionale ed un rinvio pregiudiziale alla Corte), e che la direttiva parla di “porre termine alla concessione”, sarebbe stato utile specificare se l'annullamento operi ex nunc o ex tunc e come si regolino i rapporti tra le parti, mentre per il solo caso di annullamento per vizio non imputabile al concessionario, il presente articolo equipara l'annullamento d'ufficio alla risoluzione per inadempimento della stazione appaltante e regola quanto dovuto al concessionario.

Il Consiglio di Stato aveva segnalato, inoltre, come nella versione originaria dell’art. 176 non risultasse recepita una terza ipotesi di “risoluzione” prevista dall'art. 44 della direttiva, per il caso in cui la concessione avesse subito una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di aggiudicazione ai sensi dell'art. 43 della direttiva stessa (art. 175, comma 8).

Occorre, invero distinguere due ipotesi:

- quella in cui, verificandosi una modifica sostanziale, ai sensi dell'art. 175, comma 8, la stazione appaltante dichiari risolta la concessione;

- quella in cui, verificandosi una modifica sostanziale, la stazione appaltante, in violazione dell'art. 175, comma 8, non proceda alla risoluzione della concessione.

In tale secondo caso la violazione delle regole sulla necessità di affidare una nuova concessione rende necessario un intervento di autotutela pubblicistica, che si sostanzia appunto nell’ipotesi disciplinata dalla lett. c) del comma 1 della norma in commento, aggiunta su indicazione dei giudici di Palazzo Spada.

La necessità di un coordinamento e di un linguaggio uniforme è stata espressa dal succitato parere anche con riferimento all’articolo 108 che disciplina (inter alia) ipotesi di “risoluzione” nei settori ordinari e speciali, di recepimento comunitario, e omogenee a talune delle ipotesi regolate nell'art. 176.

In particolare, l’art. 108 disciplina le circostanze al ricorre delle quali la stazione appaltante può procedere motu proprio alla risoluzione del contratto sostituendo gli articoli 135,136 e138 del previgente codice e recependo i casi di risoluzione previsti in sede comunitaria agli articoli 73 della Direttiva 24/2014 e 90 della direttiva 25/2014. In tutti questi casi l’appaltatore ha diritto esclusivamente al pagamento di quanto regolarmente eseguito, decurtato degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto.

 

2. Revoca e recesso: l’applicabilità dei principi dell’Adunanza plenaria al nuovo codice

L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 14, del 20 giugno 2014 ha risolto un complesso dibattito giurisprudenziale incentrato sull’individuazione dello strumento del quale la pubblica amministrazione possa e debba avvalersi allo scopo di privare di efficacia il contratto di appalto già stipulato, qualora dovessero sopravvenire ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto.

La pronuncia conduce a ritenere che, una volta stipulato il contratto di appalto, la pubblica amministrazione non possa più utilizzare il potere di revoca, essendo quindi obbligata ad esercitare il diritto potestativo di recesso riconosciutole dal previgente art. 134 del D. Lgs. n. 163/2006 (oggi articolo 109).

Presupposto tanto della revoca dell’aggiudicazione, quanto del recesso dal contratto è, infatti, a parere dei giudici di Palazzo Spada, la diversa valutazione dell'interesse pubblico a causa di sopravvenienze, ciò che - stante la specialità della previsione sul recesso - precluderebbe, nelle ipotesi in esame, l'esercizio del potere di revoca di cui all'art. 21 quinquies della L. n. 241/1990.

Il punto di partenza delle argomentazioni logico giuridiche della plenaria è la netta distinzione tra la fase di scelta del contraente, conclusa con l’aggiudicazione definitiva (oggi aggiudicazione tout court) da quella di stipulazione e conseguente esecuzione del contratto.

Distinzione che trova piena giustificazione nelle disposizioni del D.Lgs. n.50/2016, dalle quali si evince chiaramente come l'aggiudicazione definitiva non equivalga ad accettazione dell'offerta (cfr. art. 32, comma 6), e come, fino alla stipula del contratto, resti salvo l'esercizio di poteri di autotutela da parte .della stazione appaltante  (cfr. art. 32, comma 8).

Pur guardando a quella giurisprudenza, anche costituzionale, che ha avuto modo di affermare in maniera decisa la natura privatistica della fase che ha inizio con 1a stipulazione del contratto appalto, 1a quale sarebbe quindi sorretta da norme di carattere civilistico (Cfr. Corte Cost., 7 febbraio 2011, n. 43; Corte Cost., 9 febbraio 2011, n. 53), secondo la Plenaria, tuttavia, l’Amministrazione resta portatrice di un interesse pubblico per il quale la legge appresta norme speciali e derogatorie a quelle comuni c.d. di “Autotutela privatistica”.

Tipico esempio di tali norme, è costituito dall’art. è l’art. 109 del D. Lgs. 50/2016 proprio, disciplinante il recesso dal contratto di appalto il quale presenta elementi di specialità non soltanto rispetto alle previsioni generali in materia di recesso, contenute nel codice civile (art. 1373 c.c.) e nella legge sul procedimento amministrativo (art. 21-sexies), ma anche rispetto alla disposizione speciale relativa ai contratti d'appalto, disciplinata dall'art.  1671 c.c..

Le argomentazioni sostenute dall’Adunanza plenaria, articolate in vigenza del precedente codice appalti si attagliano anche alla nuova normativa, con conseguente esclusione della possibilità di esercizio del potere di revoca, da parte della Pubblica amministrazione nella fase di esecuzione del contratto di appalto, anche se, a parere di chi scrive la norma in commenti, insieme all’art. 108 del nuovo codice avrebbero potuto costituire la sede ove codificare i principi prodotti in sede giurisprudenziale.

La disposizione in commento non tratta un ulteriore tema che merita tuttavia di essere considerato, ovvero l’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, che assume un valore certamente rilevante alla luce della natura durevole e continuativa dei rapporti concessori.

In presenza di prestazioni che si rivelino nel tempo eccessivamente onerose in ragione di eventi straordinari e non prevedibili, deve ritenersi applicabile l’art. 1476 c.c.

In tale ipotesi, che risulta nettamente distinta dall’alea che caratterizza il rapporto concessorio, dovrebbe darsi la possibilità all’Amministrazione di ricondurre ad equità il contratto per evitare la risoluzione ex art. 1476, comma 2, c.c.

Si tratta di un’ipotesi peculiare, in cui si verifica un intervento esterno che incide gravemente sul profilo economico delle prestazioni, sicché la stessa non rientra nel regime delle modifiche precedentemente delineato.

È possibile affermare, comunque, che L’amministrazione possa incidere sul rapporto nel rispetto dei limiti costituiti dalla soglia comunitaria.