estratto da "Il nuovo Codice dei contratti pubblici", a cura di F. Caringella e M. Protto, in corso di pubblicazione Dike Giuridica Editrice

Articolo 211

Pareri di precontenzioso dell’ANAC

Sommario: I COSA CAMBIA: 1. Introduzione. II INDICAZIONI OPERATIVE: 1. Il parere di precontenzioso - 2. La raccomandazione. III QUESTIONI APERTE: 1. Rapporti tra la tutela preventiva presso l’Autorità nazionale anticorruzione e la tutela giurisdizionale.

I COSA CAMBIA

 

1. Introduzione.

 

L’art. 211 reca due nuovi strumenti di risoluzione delle controversie alternative alla giurisdizione: i pareri di precontenzioso, cui si riferisce in modo esclusivo (e incompleto) la rubrica dell’articolo, e la raccomandazione. Competente per entrambi è l’Autorità nazionale anticorruzione.

La caratteristica fondamentale dei pareri di precontenzioso e delle raccomandazioni, che vale a distinguerli dai tradizionali istituti deflattivi del contenzioso in materia di appalti pubblici (accordo bonario, arbitrato, transazione), è che essi sono destinati ad intervenire nel corso dell’esecuzione del contratto, ma nella prodromica fase ad evidenza pubblica, e dunque per le controversie insorte nel corso della procedura di gara. Più precisamente, i pareri di precontenzioso sono espressi dall’Autorità anticorruzione, su richiesta dell’amministrazione o dei concorrenti, su «questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara»; le raccomandazioni si sostanziano, invece, in inviti ufficiosi rivolti dalla medesima Autorità alla stazione appaltante affinché essa rimuova in autotutela possibili vizi di legittimità verificatisi nella fase di gara e gli eventuali effetti derivanti da tali atti illegittimi, entro un termine massimo di sessanta giorni.

Diversa è l’efficacia dei due atti. Il parere di precontenzioso non è vincolante per le parti, se queste non vi abbiano «preventivamente consentito». Malgrado il nomen impiegato la raccomandazione è invece un vero e proprio provvedimento autoritativo, come si evince dal secondo periodo del comma 2, in cui è impiegata l’espressione ossimorica «raccomandazione vincolante», fonte di obblighi per la stazione appaltante. Al riguardo, nel parere sullo schema di Decreto legislativo il Consiglio di Stato ha qualificato la raccomandazione come «decisione» (parere 1º aprile 2016, n. 855). Il mancato esercizio del potere di autotutela è infatti sanzionato in via amministrativa, con l’applicazione da parte dell’Autorità della sanzione pecuniaria da un minimo di 250 a un massimo di 25.000 euro. La responsabilità è tuttavia posta a carico «del dirigente responsabile». Nei confronti della stazione appaltante è prevista unicamente una ricaduta negativa sul sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, di cui all’articolo 38 del Codice. La norma, riferita al sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, richiama per mero errore materiale l’art. 36.

Infine, entrambi gli atti sono dichiarati impugnabili in sede giurisdizionale amministrativa ai sensi dell’art. 120 del Codice del processo di cui al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Con specifico riguardo al parere di precontenzioso, questa previsione rappresenta un’aggiunta del Governo rispetto alla formulazione dello schema di Decreto legislativo, che nulla prevedeva al riguardo, sulla base della raccomandazione formulata dal Consiglio di Stato nel citato parere, in cui si erano rappresentati i rischi che lo strumento deflattivo del contenzioso si trasformasse in uno strumento alternativo alla giurisdizione amministrativa, con possibili profili di incostituzionalità per eccesso di delega e per contrasto con le garanzie di tutela contro gli atti della pubblica amministrazione sancite dalla Carta fondamentale. Il parere del Consiglio di Stato risulta anche recepito nell’ulteriore previsione, diretta a «rafforzare l’impegno delle parti al rispetto del parere a cui esse stesse abbiano preventivamente acconsentito e scongiurare liti temerarie» (così nel parere), in base alla quale rigetto del ricorso contro il parere costituisce comportamento valutabile ai sensi e per gli effetti dell’articolo 26 del Codice del processo amministrativo.

 

 

II INDICAZIONI OPERATIVE

 

1. Il parere di precontenzioso.

 

L’art. 211 ha segnato un “salto di qualità” del parere di precontenzioso. In base al previgente Codice dei contratti pubblici (art. 6, comma 7, lett. n), D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163) il parere su questioni insorte durante lo svolgimento della gara era espressamente qualificato come «non vincolante» per le parti che lo avessero richiesto. Il nuovo Codice tenta di rafforzare lo strumento, la cui efficacia a fini di deflazione del contenzioso si era rivelata minima, prevedendone il carattere vincolante, sempreché le parti vi consentano.

Come segnalato dal Consiglio di Stato nel parere sullo schema di Decreto legislativo, deve innanzitutto precisarsi che il presupposto volontaristico su cui si basa l’istituto del parere vincolante comporta che questa efficacia è circoscritta sul piano soggettivo alle parti che hanno lo chiesto, non potendosi quindi estendere ad altri soggetti interessati alla procedura di gara.

Sul piano procedurale la norma in esame tace. Come evidenziato a questo riguardo dal Consiglio di Stato nel parere più volte citato, difetta in particolare una disciplina dei termini di conclusione del procedimento finalizzato all’emissione del parere preventivo e, eventualmente, dei termini per le parti diverse da quelle richiedenti di aderire all’iniziativa, acconsentendo a sottostare alla decisione dell’Autorità. Questa lacuna, eventualmente colmabile da quest’ultima attraverso i propri poteri regolatori, potrebbe porsi in contrasto con le esigenze di speditezza della procedura di gara.

Il parere vincolante deve essere motivato, come del resto quello non vincolante, che proprio in ragione di ciò deve avere una maggiore persuasività. Sul punto, la norma in esame non prevede alcunché, ma l’esposizione delle ragioni alla base della decisione assunta sul contrasto insorto tra le parti richiedenti discende dall’obbligo generale di motivazione del provvedimento amministrativo sancito dall’art. 3 della Legge generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241. Nella sua versione originaria il carattere vincolante era addirittura subordinato ad una motivazione adeguata. Tuttavia, recependo l’avviso del Consiglio di Stato, il Governo ha soppresso questa previsione, la quale avrebbe determinato una singolare vincolatività a geometria variabile «dipendente dallo spessore motivazionale» del parere (così nel parere 1º aprile 2016, n. 855).

Infine, l’espressa impugnabilità del parere davanti al giudice amministrativo costituisce un corollario indispensabile sul piano costituzionale del carattere decisorio di tale determinazione su posizioni soggettive di interesse legittimo e, inoltre, come segnalato dal Consiglio di Stato nel parere sullo schema di Decreto legislativo, dell’indisponibilità di tali situazioni giuridiche, diversamente da quanto previsto, da ultimo nel Codice del processo amministrativo, per le posizioni di diritto soggettivo della pubblica amministrazione (art. 12).

 

2. La raccomandazione.

 

La raccomandazione prevista dal secondo comma dell’art. 211 consiste in un singolare “invito” all’autotutela amministrativamente sanzionato.

Espressione dei «poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio» attribuiti all’Autorità nazionale anticorruzione nell’ambito della riforma della riorganizzazione della governance del settore dei contratti pubblici (art. 1, comma 1, lett. t), della Legge delega 28 gennaio 2016, n. 11), l’invito in realtà si sostanzia in un vero e proprio ordine, dalla cui inosservanza discendono conseguenze sfavorevoli per l’amministrazione e per il dirigente competente che non si conformi.

Rispetto al paradigma tipico del potere di autoannullamento, l’istituto in esame assume caratteristiche affatto peculiari.

In primo luogo, la previsione di sanzioni per il mancato rispetto dell’invito dell’autorità rende l’esercizio della potestà di autotutela doveroso, sovvertendosi in questo modo la consolidata ricostruzione dell’istituto, discendente dalla lettura dell’art. 21-octies L. 7 agosto 1990, n. 241, che attribuisce ad essa carattere discrezionale, in quanto conseguente ad un giudizio comparativo tra l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata e il contrapposto affidamento ingenerato dal privato. Deve, peraltro, evidenziarsi che la giurisprudenza amministrativa altrettanto pacifica ritiene configurabile nei partecipanti ad una procedura di gara un affidamento tutelabile solo nei confronti dell’aggiudicatario definitivo, mentre prima di tale momento gli effetti eventualmente favorevoli di atti adottati dalla stazione appaltante sono stabili ed interinali e conseguentemente rimuovibili senza necessità di rispettare le forme e i presupposti sostanziali del potere di autotutela (ex multis: Cons. St., V, 18 luglio 2012, n. 4189). Una vera e propria autotutela è dunque configurabile solo nei confronti dell’atto conclusivo della procedura di gara, ovvero l’aggiudicazione definitiva e ora, con il nuovo Codice, aggiudicazione tout court (rispetto alla proposta di aggiudicazione: cfr. artt. 32 e 33).

In ogni caso, per come disciplinato dalla disposizione in esame l’invito all’autotutela dell’Autorità anticorruzione assorbe ogni potere valutativo della stazione appaltante circa l’effettiva sussistenza del vizio riscontrato e del quale viene ordinata la rimozione. Di fronte ad esso quest’ultima non può sfuggire all’alternativa di adeguarsi o proporre l’impugnativa davanti al giudice amministrativo. L’infruttuosa scadenza del termine assegnato dall’Autorità comporta invece l’applicazione della sanzione amministrativa, che il dirigente sanzionato potrà a sua volta impugnare nella medesima sede giurisdizionale. Infatti, pur non qualificato in modo espresso dalla norma come perentorio, il termine massimo di sessanta giorni da essa previsto costituisce comunque lo spazio temporale massimo concesso alla stazione appaltante, decorso il quale la sanzione può essere applicata o - più correttamente - il procedimento sanzionatorio può essere avviato. La disposizione si esprime infatti in termine «non superiore» e l’obbligo di adeguarvisi è stabilito «entro il termine fissato» dall’Autorità. In particolare, sembra doversi escludere la possibilità che quest’ultima possa soprassedere in presenza di dubbi o esigenze di approfondimento rappresentate dalla stazione appaltante, dal momento che - come sopra rilevato - ogni valutazione in ordine al vizio di legittimità spetta in via esclusiva all’ANAC.

In sede di parere sullo schema di Decreto legislativo il Consiglio di Stato ha tuttavia evidenziato profili di irragionevolezza di un sistema che correla la sanzione al solo mancato adeguamento dell’invito all’autotutela, per via del superamento della presunzione di legittimità degli atti amministrativi che esso introduce. Nondimeno, il sede di approvazione definitiva il Governo ha confermato nella sostanza la norma, espungendo unicamente il potere di sospensione cautelare degli atti di gara ritenuti illegittimi dall’Autorità.

Per quanto concerne i destinatari delle sanzioni, si rileva in primo luogo che la norma “rompe” il rapporto di immedesimazione organica del titolare dell’organo nell’organizzazione dell’ente pubblico, chiamando il primo a rispondere per atti (o omissioni) commessi nell’esercizio di funzioni di pertinenza del secondo.

Inoltre, l’impiego del termine di «stazione appaltante», rimanda alla definizione contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. o), del Codice, nella quale rientrano non solo soggetti formalmente o sostanzialmente pubblici (amministrazioni aggiudicatrici e enti aggiudicatori), ma anche i «soggetti privati» tenuti all’osservanza delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici, ai sensi della lett. f) della medesima disposizione. Conseguentemente, devono ritenersi esposti al potere sanzionatorio dell’ANAC anche i dirigenti privati.

L’incidenza sul sistema reputazionale della stazione appaltante comporta invece che il mancato adeguamento all’invito all’autotutela sarà oggetto di valutazione ai fini del rinnovo della qualificazione da questa ottenuta ai sensi dell’art. 38 del Codice o di verifiche apposite dell’Autorità, ai sensi del comma 5 di quest’ultima disposizione.

 

 

III QUESTIONI APERTE

 

1. Rapporti tra la tutela preventiva presso l’Autorità nazionale anticorruzione e la tutela giurisdizionale.

 

In caso di consenso preventivo ad assoggettarsi alla decisione dell’Autorità, possono dunque profilarsi questioni di non agevole risoluzione in ordine ai rapporti tra la procedura amministrativa presso quest’ultima e la determinazione finale da essa adottata, da un lato, ed eventuali contenziosi instaurati in sede di gara da parte di altri soggetti partecipanti alla procedura che non abbiano acconsentito alla richiesta di parere dall’altro lato. Il problema è destinato vieppiù ad aggravarsi a causa dell’onere di immediata impugnativa nei confronti dei provvedimenti di ammissione delle offerte, introdotto ex novo dall’art. 204 del Codice e dalla specialità del rito previsto per questa tipologia di atti rispetto a quello “ordinario” valevole per i giudizi di impugnazione delle procedure di affidamento di contratti pubblici. Il principale rischio è quello che sulla medesima questione controversa possano essere richiesti di pronunciarsi il giudice amministrativo e l’ANAC, con la conseguente necessità di individuare i correttivi rispetto a rapporti di pregiudizialità tra procedimento amministrativo e procedimento giurisdizionale.

Analoghe interferenze potrebbero porsi con riguardo all’invito all’autotutela e l’eventuale corollario della sanzione pecuniaria. L’invito dell’Autorità di settore e l’atto di annullamento d’ufficio della stazione appaltante potrebbe poi intervenire quando si è ormai consolidato un affidamento privato sulla legittimità della procedura, in conseguenza dell’intervenuta aggiudicazione della gara o addirittura della stipulazione del contratto. Anche quest’ultima ipotesi non può essere infatti esclusa, dal momento che l’art. 211, comma 2, non pone limiti temporali all’esercizio di questo potere. Quindi, nelle ipotesi descritte il coordinamento con l’art. 21-octies della Legge generale sul procedimento amministrativo è quanto mai arduo, dal momento che - come sopra accennato - questa disposizione conforma il potere di annullamento in autotutela come tipica espressione della discrezionalità amministrativa, nell’ambito della quale il ripristino alla legalità deve essere comparato con l’interesse al mantenimento dell’atto maturato dal privato destinatario. La stazione appaltante si troverebbe quindi esposta sia nei confronti dell’Autorità anticorruzione o che confronti dell’aggiudicatario o affidatario del contratto, in un caso a sanzioni e nell’altro al rischio di contenziosi. Rispetto all’invito all’autotutela la possibile presenza di controinteressati sembrerebbe inoltre richiedere che il contraddittorio con essi sia assicurato già nella fase procedimentale.

Un’ulteriore ricaduta negativa derivante dall’esercizio del potere di invito all’autotutela potrebbe derivare dall’impugnazione di questa da parte della stazione appaltante. L’art. 211, comma 2, del Codice non prevede espressamente l’impugnabilità di tale atto, ma essa è comunque ricavabile in base ai principi generali di diritto amministrativo, in considerazione in particolare del suo carattere lesivo per la stazione appaltante destinataria. In questa evenienza la procedura di gara potrebbe quindi subire una dilazione, derivante dalla necessità di definire prima la questione della legittimità dell’atto di gara oggetto dell’invito dell’Autorità, per le evidenti ricadute sull’intera procedura di gara. Tuttavia, la decisione della stazione appaltante di attendere l’esito di questo giudizio potrebbe a sua volta essere impugnata in sede giurisdizionale dalle imprese partecipanti alla procedura di gara e determinare quindi ulteriori fronti di contenzioso.