Corte costituzionale, sentenza del 7 luglio 2016, n. 160
La Corte costituzionale, con la sentenza del 7 luglio 2016, n. 160, si è pronunciata sulla q.l.c. promossa dalla Regione Veneto con riguardo all’art. 1, comma 609, della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015), in base al quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei di cui all'art. 3-bis del decreto-legge 13/08/2011 n. 138.
La Consulta ha ritenuto infondata la questione sollevata dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 123 della Costituzione, nonché all’art. 3, comma 2, della legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1 (Statuto del Veneto), atteso che l’autonomia dei Comuni non implica una riserva intangibile di funzioni, né esclude che il legislatore competente possa modulare gli spazi dell’autonomia municipale a fronte di esigenze generali che giustifichino ragionevolmente la limitazione di funzioni già assegnate agli enti locali.
In particolare - secondo la Corte - le norme che prevedono la partecipazione degli enti locali ad autorità d’ambito alle quali sia trasferito l’esercizio di competenze in materia di servizi pubblici non ledono l’autonomia amministrativa degli enti locali, in quanto si limitano a razionalizzarne le modalità di esercizio, al fine di superare la frammentazione nella gestione.
Infatti - ha osservato la Consulta - l’art. 1, comma 609, della legge n. 190/2014 mira al conseguimento di risultati economici migliori nella gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica e, quindi, a un contenimento della spesa pubblica attraverso sistemi tendenzialmente virtuosi di esercizio delle relative funzioni.
Uno dei punti su cui il ricorso della Regione Veneto si fondava era rappresentato dai dati secondo cui la partecipazione obbligatoria degli enti locali agli ambiti territoriali ottimali risultava più dispendiosa della soluzione basata sul modello convenzionale.
Tuttavia, la Corte costituzionale ha rilevato, da un lato, che si trattava di dati risalenti nel tempo e riguardanti un singolo settore, nonché un diverso assetto normativo; dall’altro, che il rischio che alcuni Comuni vogliano sottrarsi alla partecipazione agli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali, è specificamente affrontato dalla disposizione censurata, mediante la previsione di poteri sostitutivi del Presidente della Regione, a proposito dei quali non erano state formulate specifiche considerazioni critiche.
Pertanto, la norma censurata è stata qualificata come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, analogamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza costituzionale in relazione ad altri, sia pure differenti, istituti di cooperazione tra enti locali (v. Corte cost. sentenze n. 44 e n. 22 del 2014).
La decisione della Consulta, quindi, s’inserisce in un quadro legislativo sempre più incline a imporre aggregazioni obbligatorie, come, ad esempio, nel caso del d.lgs. n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente), che all’art. 200 ha previsto un modello di gestione dei rifiuti urbani organizzato sulla base di ambiti territoriali ottimali, denominati ATO, delimitati dal piano regionale, nel rispetto delle linee guida di cui all'articolo 195, comma 1, lettere m), n) ed o) del citato decreto, e secondo i seguenti criteri:
a) superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti;
b) conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative;
c) adeguata valutazione del sistema stradale e ferroviario di comunicazione al fine di ottimizzare i trasporti all'interno dell'ATO;
d) valorizzazione di esigenze comuni e affinità nella produzione e gestione dei rifiuti;
e) ricognizione di impianti di gestione di rifiuti già realizzati e funzionanti;
f) considerazione delle precedenti delimitazioni affinché i nuovi ATO si discostino dai precedenti solo sulla base di motivate esigenze di efficacia, efficienza ed economicità.
Il citato Codice dell’Ambiente, inoltre, ha stabilito i presupposti e i soggetti preposti all’esercizio dei poteri sostitutivi in materia di gestione dei rifiuti, disponendo all’art. art. 200, comma 4, che “le regioni disciplinano il controllo, anche in forma sostitutiva, delle operazioni di gestione dei rifiuti” ed all’art. 204, comma 3, che “qualora l’Autorità d’ambito non provveda agli adempimenti nei termini stabiliti, il Presidente della Giunta regionale esercita, dandone comunicazione al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, i poteri sostitutivi, nominando un commissario “ad acta” che avvia entro quarantacinque giorni le procedure di affidamento, determinando le scadenze dei singoli adempimenti procedimentali. Qualora il commissario regionale non provveda nei termini così’ stabiliti, spettano al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare i poteri sostitutivi preordinati al completamento”
Pertanto, alle Regioni sono attribuiti poteri di indirizzo e di coordinamento in materia al fine di:
a) garantire che, nel nuovo modello organizzativo e gestionale, l’affidamento della gestione dei servizi di raccolta, spazzamento e trasporto dei RSU nei territori comunali avvenga mediante gare effettivamente trasparenti e pro concorrenziali basati su una congrua documentazione di gara;
b) rendere efficaci gli strumenti amministrativi di prevenzione della corruzione nel sistema degli appalti e concessioni dei servizi de quibus, anche con il coinvolgimento dei Responsabili della prevenzione della corruzione;
c) garantire che i controlli degli organi di governo ARO sulla corretta esecuzione delle prestazioni contrattuali dei gestori d’ambito siano stringenti e sostanziali.
Inoltre, il Governo ha approvato il 20.1.2016, in esame preliminare, il decreto legislativo recante “Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale” attuativo della legge 7 agosto 2015 n. 124, c.d. “Legge Madia”, il quale, tra gli obiettivi, prevede l’«affidamento competitivo» della gestione dei servizi. Con la citata riforma, quindi, rimangono gli ATO e gli enti di governo e alla Regione sarà ancora riconosciuta la possibilità di derogare alla dimensione provinciale, individuando ambiti di dimensione diversa, come con gli ARO (ambiti di raccolta ottimale) basati su modelli convenzionali tra enti locali, mentre gli enti di governo locale eserciteranno, tra l’altro, le funzioni di organizzazione dei servizi, compresa la forma di gestione, di affidamento della gestione e di vigilanza e controllo.
Il modello gestionale suddetto non può essere posto in discussione da eventuali esigenze locali di mantenimento dello status quo anziché perseguire - pur nel rispetto delle legittime prerogative e degli interessi locali - obiettivi sfidanti, migliorativi dello status quo medesimo, che coincidono con la prevenzione della corruzione nel mercato e con la piena contendibilità del ricco mercato dei servizi di gestione unitaria dei rifiuti (cfr. ANAC, deliberazione n. 215/2016).
Certamente, tra le cause di ritardi e d’incertezze nell’attuazione dello stesso modello aggregato di gestione dei servizi pubblici c’è il contenzioso che le gare generano, soprattutto in ordine ad appalti d’importo notevole, considerate le dimensioni dei comuni d’ambito ed il periodo contrattuale previsto, ma a questo fisiologico problema tenta di porre rimedio il Legislatore, come già avvenuto con il d.l. n. 90/2014, e, recentemente, in occasione del nuovo Codice dei contratti pubblici, con il d.lgs. n. 50/2016, che, all’art. 204, ha introdotto importanti novità in tema di processo amministrativo, incidendo significativamente sulla disciplina dell’art. 120 c.p.a..
In particolare, tra le modifiche più interessanti, si segnalano quella che impongono al ricorrente di far valere immediatamente i vizi relativi alla composizione della commissione di gara, all’ammissione dei concorrenti per carenza di requisiti soggettivi di cui all’art. 76 del Codice degli appalti nonché quella che riguarda la fase cautelare, sancendo l’obbligo del giudice di «motivare in ordine alla sussistenza di esigenze imperative connesse ad un interesse generale alla esecuzione delle prestazioni contrattuali».
Le modifiche legislative più recenti, quindi, mirano a razionalizzare il processo in materia di gare pubbliche e avere un effetto deflattivo sul futuro contenzioso, prevedendo termini stretti e rigorosi sia per proporre ricorso che per deciderlo nonché facendo prevalere le esigenze imperative connesse ad un interesse generale all’esecuzione delle prestazioni contrattuali.
Pertanto, da un lato, un auspicabile (quanto ormai improcrastinabile) progresso, sul piano politico-amministrativo, da parte delle amministrazioni locali verso una visione sinergica e unitaria dei servizi, meno campanilistica e localistica, e, dall’altro, la semplificazione normativa degli strumenti del contenzioso in materia di appalti pubblici, potranno consentire di raggiungere i risultati che il Legislatore attende mediane la gestione unitaria ed aggregata dei servizi pubblici economici, specificamente sul piano della concorrenza, dei risparmi di spesa, del miglioramento del livello dei servizi e, non ultimo, della lotta alla corruzione.