Consiglio di Stato, sez. V, 21 aprile 2015 n. 2013

Il provvedimento con il quale la Stazione appaltante, a seguito dell’aggiudicazione provvisoria della gara, revoca la procedura di gara per difficoltà finanziarie, procedendo al «ritiro del bando di gara e degli atti conseguenti ivi inclusa l’aggiudicazione», non può essere qualificato come una revoca dell’aggiudicazione provvisoria; in tal caso non è pertanto applicabile la giurisprudenza secondo cui tale provvedimento non è riconducibile al potere di autotutela amministrativa, tenuto conto del chiaro tenore motivazionale del provvedimento in questione e dei prodromici atti, nonchè della medesima sequenza procedimentale dai quali emerge invece che la Stazione appaltante ha revocato in autotutela l’intera gara a partire dal bando. In tal caso, quindi, il provvedimento deve considerarsi espressivo del generale potere previsto dall’art. 21-quinquies della l. n. 241/1990.

Le sopravvenute difficoltà finanziarie possono legittimamente fondare provvedimenti di ritiro in autotutela di procedure di gara, benché queste siano giunte all’aggiudicazione definitiva, e fino a che il contratto non sia stato stipulato. La perdita della copertura finanziaria rappresenta infatti una circostanza che legittimamente può indurre l’Amministrazione a rivalutare i motivi di interesse pubblico sottesi all’affidamento di un contratto e dunque riconducibile alla principale ipotesi di revoca di provvedimenti amministrativi, secondo l’ampia nozione recepita dall’art. 21-quinquies della legge generale sul procedimento amministrativo.

Nel caso di legittima revoca della procedura di gara, disposta a seguito dell’aggiudicazione provvisoria della gara stessa, l’impresa dichiarata aggiudicataria provvisoria ha diritto ad avere ristorati  i «pregiudizi» previsti dal primo comma art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990, considerato l’affidamento maturato sulla positiva definizione della procedura di gara, ragionevolmente ingeneratosi dopo il conseguimento dell’aggiudicazione provvisoria. In tal caso, tuttavia, la quantificazione dell’indennizzo deve essere limitata alle spese inutilmente sopportate dalla impresa aggiudicataria provvisoria per partecipare alla gara, con esclusione di qualsiasi altro pregiudizio dalla stessa lamentato.

 

 

 

BREVI OSSERVAZIONI

OGGETTO DELLA SENTENZA

 

La delibera diretta a revocare l’intera procedura di gara, a partire dal bando e gli atti conseguenti ivi inclusa l’aggiudicazione, è atto espressione del potere di autotutela ex art. 21 quinquies l. 241/90.

L’emissione di un provvedimento legittimo di revoca fa sorgere in capo alla P.A. un obbligo di indennizzo circoscritto al solo danno emergente in favore dei soggetti direttamente interessati.

 

 

PERCORSO ARGOMENTATIVO

 

La vicenda sottoposta all'attenzione dei giudici del Consiglio di Stato ha ad oggetto una delibera emessa dal Consorzio A diretta a revocare la procedura di affidamento di un appalto integrato per sopravvenuta carenza della copertura finanziaria.

L'appalto era stato indetto dal Consorzio A per la realizzazione della nuova sede consortile e presupposto della sua indizione era che una parte della provvista economica, necessaria per coprire l'80% dei costi stimati per la realizzazione dell'opera, doveva provenire dalla cessione a terzi di porzioni dell'immobile. Sicché il coinvolgimento delle società firmatarie del Protocollo d'Intesa per la realizzazione del polo tecnologico costituiva parte imprescindibile del piano economico finanziario dell'opera sottostante all'appalto integrato. Tuttavia, le società interessate, nelle more della definizione della procedura di affidamento, rimanevano inerte.

Nel frattempo la Società Y veniva dichiarata aggiudicataria provvisoria restando in tale status per diversi mesi e fino a quando la stessa con diffida, chiedeva al Consorzio A di concludere la gara per l'affidamento dell'appalto integrato.

Il predetto Consorzio, in riscontro a detto atto, deliberava la revoca della procedura di gara per sopraggiunti motivi di interesse pubblico (sopravvenuta carenza della copertura finanziaria) e, di conseguenza, procedeva al “ritiro del bando di gara e degli atti conseguenti ivi inclusa l'aggiudicazione”.

La Società Y impugnava il suddetto provvedimento e all'esito del giudizio vedeva respingere la sua istanza e le connesse domande di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale o di pagamento dell'indennizzo ex art. 21 quinquies l. n. 241/1990.

I Giudici di prime cure non hanno accolto il ricorso della Società Y ritenendo legittimo l'atto di delibera impugnato. In particolare, hanno reputato il provvedimento gravato come una mancata conferma dell'aggiudicazione provvisoria in ragione di un rivalutato apprezzamento della convenienza economica del contratto da affidare.

Così inteso, i Giudici hanno dedotto che il provvedimento di revoca, a prescindere dal nomen iuris, si sostanzi in un mero ritiro dell’atto di aggiudicazione provvisoria, con effetti interni ed, in quanto tale, non espressione del generale potere di autotutela di cui all’art. 21 quinquies l. 241/90.

Né tantomeno è configurabile, a dire dagli stessi giudicanti, un'ipotesi di responsabilità precontrattuale in capo al Consorzio A, non potendola ritenere responsabile della mancata copertura finanziaria sopravvenuta all'indizione della gara.

La questione in oggetto giungeva innanzi al Consiglio di Stato che accoglieva parzialmente il ricorso nei sensi di cui in motivazione.

I Giudici, da un lato, confermavano la decisione di primo grado nella parte in cui è stato reputato legittimo il provvedimento di revoca, dall'altro lato se ne discostavano in quanto hanno reputato il provvedimento impugnato espressione del generale potere di autotutela previsto dall'art. 21 -quinquies l. 241/1990.

Dall'impianto motivazionale della sentenza emerge infatti che diversamente “da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, il provvedimento impugnato non si sostanzia in una revoca dell'aggiudicazione provvisoria” ma in un provvedimento di revoca in autotutela attraverso il quale il Consorzio A ha ritirato l'intera gara a partire dal bando, dopo aver riconsiderato la convenienza economica dell’interesse pubblico alla luce di un quadro finanziario mutato negativamente.

Proprio in ordine alla perdita della copertura finanziaria, la pronuncia in commento richiama un orientamento giurisprudenziale consolidato ritenuto applicabile anche alle procedure aggiudicate solo in via provvisoria.

Secondo tale orientamento le sopravvenute difficoltà finanziarie possono indurre l'amministrazione a rivalutare i motivi di interesse pubblico sottesi all'affidamento di un contratto e, se ritenuto opportuno, adottare un provvedimento in autotutela diretto a revocare l'intera procedura anche quando dopo l'aggiudicazione provvisoria non sia seguito alcuno sviluppo procedimentale per molti mesi.

Così facendo l’amministrazione esercita un potere ampiamente discrezionale addivenendo ad una decisione fondata su una ponderazione tra l’interesse pubblico e l’interesse rappresentato dal vantaggio generatasi in favore del destinatario dell’atto.  

Quanto agli effetti pregiudizievoli che possono discendere dall’atto di revoca, é indubbio che un simile provvedimento, benché legittimo, possa   determinare nella sfera giuridica patrimoniale del destinatario dell'atto, effetti pregiudizievoli che l'amministrazione dovrà indennizzare nei limiti del danno emergente così come previsto dall’art. 21 quinquies, co. 1, l. 241/90.

 

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

La sentenza in rassegna affronta la questione della revoca della procedura di gara per sopraggiunti motivi di interesse pubblico quale atto espressivo del generale potere previsto dall’art. 21 quinquies l. 241/90.

La norma richiamata disciplina la revoca dei provvedimenti amministrativi intesa come quel potere al quale l’amministrazione vi può ricorrere laddove si verifichino taluni presupposti idonei a determinare la caducazione del provvedimento di primo grado ad efficacia durevole.

Con la positivizzazione del potere di revoca si è posto fine al pregresso dibattito circa l’ampiezza dei presupposti e, a tal fine, il legislatore ha optato per la tesi estensiva secondo la quale la revoca può essere fondata su tre alternativi presupposti: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) nel caso di mutamento della situazione di fatto; c) di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

Ogni qualvolta ricorre una delle suddette ipotesi l’amministrazione può revocare con effetti ex nunc l’atto amministrativo.

La revoca, in questo modo, interviene su atti viziati nel merito cioè divenuti inopportuni rispetto alla tutela dell’interesse pubblico che quell’atto amministrativo doveva perseguire o, divenuti inopportuni a seguito di una successiva valutazione dei vari interessi coinvolti dall’atto stesso. 

L’istituto della revoca, nel corso degli anni, ha posto sempre più l’accento sull’interesse pubblico e, a tal proposito, lo si è ritenuto ammissibile soltanto quando il mutamento dello stato materiale delle cose comporta, inevitabilmente, anche il mutamento della valutazione concreta dell’interesse pubblico.

Ma proprio in relazione alla possibilità di rivalutare l’interesse pubblico, non sono mancati in giurisprudenza diversi orientamenti che talvolta hanno identificato detto interesse alla revoca con il medesimo interesse perseguito con il provvedimento originario, “diversamente apprezzato” in ragione ad una nuova valutazione della situazione originaria, connotata da fatti o situazioni precedentemente sussistenti ma non conosciuti (tesi tradizionale).

Un’altra tesi, invece, ha condizionato il potere di revoca al confronto tra l’interesse primario e le situazioni dei soggetti che dal provvedimento revocato hanno ricevuto un vantaggio.

Altra tesi ancora ha semplicemente condizionato l’interesse pubblico alla revoca al mutamento dello stato di fatto e/o alla sopravvenienza di fatti nuovi.

Con la novella del 2005, il legislatore ha finalmente dettato una esplicita previsione normativa che ricomprende in essa sia il c.d. “ius poenitendi” consistente nel mero ritiro dell’atto, sia il potere di rivedere il proprio operato in corso di svolgimento e di modificarlo, perché evidentemente ritenuto affetto da inopportunità, in virtù di una rinnovata diversa valutazione dell’interesse pubblico originario (cfr. Cons. Stato sez. V, 21 aprile 2010, n. 2244).

Nella fattispecie oggetto della sentenza in commento, l'istituto in parola interviene nell'ambito di una procedura di affidamento di un appalto integrato non conclusasi a causa delle mutate condizioni economiche finanziarie della stazione appaltante.

Il mutamento in peius delle condizioni economiche, per costante giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. V, 29 dicembre 2014, n. 6406; Cons. Stato, sez. V 14 gennaio 2013 n. 156; Cons. Stato, sez. V, 2 maggio 2013, n. 2400) rappresenta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 11, co. 7 e 9, D.lgs. n. 163 del 2006, e 21 quinquies l. n. 241/90, una valida ragione per disporre la revoca di un affidamento; ciò vale anche quando vi sia stata la sola aggiudicazione provvisoria come nel caso di specie.

Certamente, le sopravvenute difficoltà finanziarie della stazione appaltante inducono quest'ultima a rivalutare i motivi d'interesse pubblico sottesi all'affidamento del contratto e, di conseguenza, se ritenuto opportuno, ad adottare un atto di revoca in autotutela dell'intera gara (a partire dal bando e degli atti conseguenti ivi inclusa l'aggiudicazione) i cui effetti si estendono a tutti i destinatari dei diversi provvedimenti emessi nel corso della procedura, e non solo nei confronti della specifica concorrente aggiudicataria provvisoria.

Va da sé che con l’atto in questione l’amministrazione esprime la volontà assoluta di non voler stipulare il contratto; circostanza questa che non si verifica nell’ipotesi di revoca del solo provvedimento di aggiudicazione provvisoria o definitiva, attraverso cui l’amministrazione si limita invece ad esercitare il proprio ius poenitendi con riguardo a quella specifica concorrente destinataria dei predetti provvedimenti. Un atto di questo tipo ha un valore meramente interno rispetto al quale non può ragionevolmente formarsi un affidamento dei destinatari.

Chiarito pertanto che l'atto di revoca dell'intera procedura di affidamento per sopraggiunti motivi di interesse pubblico costituisce manifestazione del potere di autotutela di cui all'art. 21 quinquies l. n. 241/90, si ritiene opportuno volgere l'attenzione al profilo dell'indennizzo.

Prima della novella del 2005 l’orientamento giurisprudenziale prevalente era teso a non ammettere l’indennizzo in ipotesi di revoca legittima o comunque prevederlo soltanto in particolari casi.

Il processo di graduale evoluzione dell’intero sistema dell’ordinamento amministrativo verso la risarcibilità anche di posizioni quali interessi legittimi ha determinato una sensibilizzazione anche nei confronti di quei profili di danno e pregiudizi derivanti dall’emissione di provvedimenti di secondo grado.

In tale ottica è stata introdotta, con la Legge n. 15 del 2005, la previsione normativa dell’indennizzo in caso di revoca legittima.

In questo modo il legislatore ha voluto introdurre un principio di equilibrio economico finalizzato a compensare la preminenza dell'interesse pubblico sull'eventuale contrapposto interesse del privato nella stabilità del provvedimento oggetto di successiva revoca.

Per cui l'amministrazione ha sì il potere di rivedere il proprio operato per ragioni di opportunità, in virtù di una rinnovata diversa valutazione dell'interesse pubblico originario, ma ha anche l’obbligo di ristorare il contrapposto interesse privato sacrificato mediante l’indennizzo, ove risultino i presupposti (cfr. Cons. Stato sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5082; Cons. Stato, sez. VI, 18 dicembre 2012, n. 6488).

Ne deriva che l’amministrazione prima di intraprendere la via della revoca in autotutela dovrà effettuare un’attenta valutazione anche con riguardo al costo sociale dell’indennizzo.

In ordine alla quantificazione dell’indennizzo, l’art. 21 quinquies co. 1 l. 241/90 se da un lato prevedeva la regola dell’indennizzabilità dei pregiudizi subiti dai privati in conseguenza di provvedimenti di revoca legittimamente adottati dalla P.A., dall’altro lato, nulla disponeva in merito alla sua quantificazione. Con l’entrata in vigore del D.l. n. 7 del 31 gennaio 2007 - c.d. Decreto Bersani bis - all'art. 13, comma 8 duodecies, conv. con modificazioni in L. 2 aprile 2007, n. 40, la disposizione in esame viene completata con l’introduzione di un nuovo comma che parametra l'indennizzo al solo danno emergente e quindi nei limiti del c.d. interesse contrattuale negativo.

In questi termini, il destinatario del provvedimento di revoca legittimo potrà ottenere il ristoro solo delle eventuali spese di partecipazione alla procedura per lesione della pretesa a non essere coinvolto in trattative inutili. Non potrà, invece, ottenere un ristoro integrale per mancato guadagno trattandosi di una voce di danno risarcibile soltanto nell’ipotesi di provvedimento illegittimo.

Ciò posto, nel caso oggetto della pronuncia in rassegna, all’aggiudicataria provvisoria è stato riconosciuto il solo indennizzo per le spese di partecipazione.

Non è stato, invece, ritenuto indennizzabile il c.d. danno curriculare ovvero derivante dalla mancata stipulazione ed esecuzione del contratto, in quanto trattasi di voce di danno diretta a ristorare l’interesse positivo all’ottenimento del contratto ed alla sua esecuzione, e dunque, attinente al profilo della responsabilità precontrattuale della P.A. che nel caso di specie non ricorreva.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso, proposto dalla ……..., rappresentata e difesa dall'avvocato ……..., con domicilio eletto presso……………;

contro

Consorzio, rappresentato e difeso dall'avvocato ……, con domicilio eletto presso ………….., via (...);

nei confronti di

……;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - SEZ. STACCATA DI LATINA, SEZIONE I, ……….., resa tra le parti, concernente una revoca della procedura di gara d’appalto - risarcimento danni

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La Società Y impugnava davanti al TAR Lazio – sez. staccata di Latina gli atti con cui il Co. aveva revocato per sopravvenuta copertura finanziaria la procedura di affidamento dell’appalto integrato per la realizzazione della nuova sede consortile, di cui al bando pubblicato il ……… 2012, nella quale la società ricorrente era stata dichiarata aggiudicataria provvisoria (verbale di gara n. .. del 2012; in particolare, veniva impugnata la delibera del consiglio di amministrazione del consorzio n. .. del 2013 ed i relativi atti presupposti).

2. Con la sentenza in epigrafe il TAR adito ha respinto il ricorso e le connesse domande di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale o di pagamento dell’indennizzo ex art. 21-quinquies l. n. 241/1990, statuendo che:

- malgrado la sua autoqualificazione, la delibera impugnata non costituisce manifestazione del potere di autotutela, ma si sostanzia una mancata conferma dell’aggiudicazione provvisoria, di un provvedimento, quindi, internale ed insuscettibile di generare affidamenti tutelabili, palesandosi come ipotesi del tutto fisiologica quella in cui a tale provvedimento non faccia seguito l’aggiudicazione definitiva, in ragione della facoltà di apprezzamento della convenienza economica del contratto da affidare pacificamente attribuita alla stazione appaltante;

- nel caso di specie, le ragioni addotte nel provvedimento impugnato della mancata positiva conclusione sono date dalle "mutate condizioni economiche finanziarie espressamente richiamate nella delibera oggetto della presente impugnazione", le quali per costante giurisprudenza amministrativa legittimano un simile esito della procedura di evidenza pubblica, e nel caso di specie sono state espressamente previste nel bando di gara come ipotesi nella quale il Consorzio si era riservato la possibilità di non procedere all’aggiudicazione definitiva;

- essendo la mancata copertura finanziaria sopravvenuta all’indizione della gara ed all’aggiudicazione provvisoria, oltre che dipendente da fattori non imputabili al consorzio resistente, quest’ultimo non può essere ritenuto responsabile ex art. 1337 cod. civ.

3. La società Y ha appellato questa decisione, riproponendo le domande già svolte nel proprio atto introduttivo del presente contenzioso.

4. Si è costituito in resistenza il Consorzio A.

DIRITTO

1. Il collegio reputa opportuno esporre i punti salienti della presente vicenda contenziosa:

I) il provvedimento impugnato nel presente giudizio, vale a dire la delibera del consiglio d’amministrazione del Consorzio industriale odierno appellato n. del 2013, consiste in un atto di "revoca per sopraggiunti motivi di interesse pubblico della procedura di gara" nella quale la società Y era stata dichiarata aggiudicataria provvisoria (così nella motivazione del provvedimento), con il quale il Consorzio ha quindi proceduto al "ritiro del bando di gara e degli atti conseguenti ivi inclusa l’aggiudicazione" (così nel dispositivo);

II) la revoca in questione è stata adottata all’esito di un procedimento avviato dal Consorzio in riscontro alla diffida dell’aggiudicataria provvisoria a concludere la gara per l’affidamento dell’appalto integrato, come si evince chiaramente dalla delibera del consiglio d’amministrazione n. ..del 2013, oggetto di comunicazione ex art. 7 l. n. 241/1990 alla società odierna appellante, nella quale si fa appunto menzione della diffida di quest’ultima;

III) nella delibera da ultimo citata l’organo amministrativo del Consorzio prende atto "della sopravvenuta carenza dell’interesse pubblico quale presupposto della stipula del Protocollo d’Intesa del 25 maggio 2009", da esso sottoscritto insieme ad altre società ed il Comune per la realizzazione del polo tecnologico e dell’innovazione, nel quale sarebbe stata realizzata la nuova sede consortile;

III.1) a questo specifico riguardo, nel provvedimento in esame il consiglio di amministrazione constata che le società interessate, pur richieste dal Consorzio in seguito all’aggiudicazione provvisoria, non hanno manifestato la volontà di acquistare o prendere in locazione alcune parti della struttura da adibire a propria sede, né tanto meno hanno compiuto i propedeutici atti di vendita delle loro attuali sedi (in particolare per quanto riguarda la società Z, firmataria del protocollo d’intesa);

III.2) di seguito, la delibera ricorda che in base al piano economico finanziario del polo tecnologico e dell’innovazione, presupposto all’indizione della gara provvisoriamente aggiudicata all’odierna appellante, "una parte della provvista economica necessaria (...) sarebbe derivata dalla cessione a terzi di porzioni dell’immobile";

III.3) inoltre, viene fatto riferimento alla "attuale contingenza economica dell’Ente", richiamandosi sul punto la relazione del responsabile dell’ufficio di ragioneria (nota del 2013), nella quale si certifica innanzitutto il mancato riscontro degli istituti bancari alle richieste di finanziamento (per circa 3 milioni di euro, pari al costo dell’opera); inoltre, perdite di bilancio provvisorio per oltre 500 mila euro; nonché la soccombenza riportata in alcuni contenziosi, con possibili uscite per l’ente di 7 milioni di euro;

IV) tutte queste circostanze sono poi riprodotte nella delibera di revoca della gara, in cui il Consorzio dà anche conto dell’impraticabilità dell’opzione consistente nel finanziamento mediante la Cassa depositi e prestiti, stante la comunicazione ricevuta in data 23 novembre 2012, con la quale l’istituto ha subordinato il finanziamento integrale dell’opera al rilascio di una fideiussione bancaria o degli enti territoriali interessati; ed inoltre che delle 11 banche private interpellate, sin dal luglio dello stesso anno, solo una (la Banca ) aveva offerto di sovvenire il consorzio (nota del 19 dicembre 2012), ma a condizioni diverse da quelle richieste (in particolare con mutuo fondiario decennale anziché ventennale);

V) infine, dopo avere richiamato le norme del disciplinare di gara contenenti una riserva in favore del consorzio di non procedere all’aggiudicazione definitiva (punti 18.11 e 6.4 del disciplinare), confutato di seguito le controdeduzioni della D., e posto in rilievo che questa aveva conseguito unicamente l’aggiudicazione provvisoria, nella delibera finale l’organo amministrativo evidenzia la sussistenza di sopravvenuti motivi di interesse pubblico legittimanti la revoca e, per contro, l’assenza di contrapposti pregiudizi in danno dell’aggiudicataria provvisoria;

VI) degno ancora di menzione è la circostanza che in base al piano economico finanziario predisposto ed approvato dal Consorzio per la realizzazione del polo tecnologico destinato ad ospitare la nuova sede, l’80% delle fonti di finanziamento sarebbe derivato da mutui, mentre solo il restante 20% da mezzi propri, e che l’ammortamento del mutuo ipotizzato era appunto ventennale, con previsione della capacità dell’ente di farvi fronte grazie alla propria "alta disponibilità di risorse liquide", ulteriormente destinate ad accrescersi grazie al venir meno delle spese sostenute per l’affitto dell’attuale sede, nonché per "l’introito derivante dall’affitto di una parte della nuova struttura non utilizzata direttamente dall’Ente" (conclusioni finali del piano).

2. Ciò precisato in fatto, deve innanzitutto puntualizzarsi che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, il provvedimento impugnato non si sostanzia in una revoca dell'aggiudicazione provvisoria, e che non è pertanto applicabile la giurisprudenza pacifica di questo Consiglio di Stato secondo cui tale provvedimento non è riconducibile al potere di autotutela amministrativa: (ex plurimis: Sez. III, 24 maggio 2013, n. 2838; Sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5266; Sez. VI, 19 gennaio 2012, n. 195). Dal chiaro tenore motivazionale della delibera consiliare conclusiva e dei prodromici atti, sopra esaminati, della medesima sequenza procedimentale emerge invece che il Consorzio ha revocato in autotutela l'intera gara a partire dal bando.

3. Da quanto ora osservato si deve quindi trarre la conseguenza che l'atto impugnato e quelli prodromici sono espressivi del generale potere previsto dall'art. 21-quinquies l. n. 241/1990.

L'ulteriore corollario è che - esclusa in ragione qualsiasi rilevanza delle previsioni del disciplinare di gara sopra citate, perché meramente riproduttive del potere poc'anzi menzionato, o di quello di non procedere all'aggiudicazione definitiva - occorre verificare la sussistenza dei presupposti in concreto di tale potere, alla luce delle censure svolte nel presente giudizio dalla Società Y, e dunque se effettivamente sussistano le ragioni sopravvenute di pubblico interesse richiamate dal Consorzio industriale nelle proprie determinazioni.

4. Sul profilo ora enucleato l'atto di appello non contiene ragioni per discostarsi dalle considerazioni già espresse dal TAR a sostegno della legittimità dei provvedimenti impugnati, dovendosi quindi la sentenza di primo grado essere confermata sotto questo profilo.

Decisive sul punto sono le seguenti considerazioni:

a) le società firmatarie del protocollo d'intesa per la realizzazione del polo tecnologico e delle innovazioni, nel quale era prevista la nuova sede del Consorzio appellato, non hanno dato alcun seguito ai loro impegni e la circostanza non è specificamente contestata dalla Società Y, facendo dunque effettivamente venire meno le ragioni di interesse pubblico sottostanti all'opera;

b) inoltre, diversamente da quanto sostiene l'appellante, il coinvolgimento di queste società costituiva parte imprescindibile del piano economico finanziario dell'opera sottostante all'appalto integrato, giacché l'onere riveniente dall'ammortamento del mutuo previsto per il relativo finanziamento avrebbe dovuto essere coperto anche grazie all'affitto a queste di parte della struttura;

c) tutto ciò nell'ambito di un quadro più generale nel quale il ricorso a mezzi di terzi era decisivo, essendo destinato a coprire ben l'80% dei costi stimati dell'opera;

d) su questo fondamentale profilo, il Consorzio ha dovuto constatare a posteriori l'impossibilità o la gravosità del ricorso alle fonti di finanziamento, come debitamente rappresentato negli atti impugnati e, ancora una volta, non ex adverso contestato;

e) a quest'ultimo riguardo, la società appellante si limita, da un lato, a porre in dubbio che il Consorzio sia soggetto ai rischi di esborso per soccombenze riportate nei contenziosi nei termini esposti dal suo responsabile di ragioneria nella citata relazione allegata alla delibera di avvio del procedimento di revoca, grazie ad una transazione intervenuta successivamente con una delle controparti, e dall'altro lato a prospettare una favorevole situazione di liquidità di controparte, in ragione di crediti da incassare;

f) tuttavia, le istanze istruttorie formulate dalla Società Y al fine di comprovare le circostanze dedotte devono essere respinte, per irrilevanza di queste ultime, oltre che per estrema genericità della deduzione concernenti i crediti;

g) infatti, in primo luogo, l'incontestato venir meno della principale fonte di copertura dei costi stimati per l'opera costituisce di per sé evento comportante uno stravolgimento del quadro economico per essa previsto;

h) come sopra rilevato, infatti, il piano prevedeva un arco temporale di finanziamento di venti anni, grazie al quale il Consorzio avrebbe potuto sostenere gli oneri di ammortamento, mentre l'unica proposta di finanziamento ricevuta dalle banche consisteva in un mutuo decennale, evidentemente più oneroso su base annua;

i) in secondo luogo, la transazione riferita dall'appellante costituisce circostanza in grado di ridurre, ma non già di elidere completamente una perdita comunque conseguente alla soccombenza riportata in sede giudiziale;

l) inoltre, l'incasso di crediti non fornisce alcuna certezza sul relativo buon fine, e sul conseguente reperimento della liquidità necessaria per far fronte ad un ammortamento finanziario comunque più oneroso su base annua rispetto a quello inizialmente previsto.

5. Tutto ciò conduce dunque a ritenere legittimi il provvedimento di revoca e gli atti presupposti impugnati nel presente giudizio, sebbene la società odierna appellante si dolga anche delle modalità con cui il Consorzio è addivenuto alla relativa emanazione, ed in particolare al lungo lasso temporale intercorso tra l'aggiudicazione provvisoria e l'avvio, immediatamente successivo al ricevimento della diffida stragiudiziale a concludere la gara, del procedimento di revoca in autotutela della stessa.

A quest'ultimo riguardo deve essere richiamata la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, dalla quale non vi è motivo per discostarsi anche nel caso di specie, secondo cui le sopravvenute difficoltà finanziarie possono legittimamente fondare provvedimenti di ritiro in autotutela di procedure di gara, benché queste siano giunte all'aggiudicazione definitiva (in questo senso, da ultimo, Sez. V, 29 dicembre 2014, n. 6406, in precedenza: Sez. IV, 14 gennaio 2013, n. 156; Sez. V, 2 maggio 2013, n. 2400), e fino a che il contratto non sia stato stipulato (Ad. plen. 20 giugno 2014, n. 14).

La perdita della copertura finanziaria rappresenta infatti una circostanza che legittimamente può indurre l'amministrazione a rivalutare i motivi di interesse pubblico sottesi all'affidamento di un contratto e dunque riconducibile alla principale ipotesi di revoca di provvedimenti amministrativi, secondo l'ampia nozione recepita dal citato art. 21-quinquies della legge generale sul procedimento amministrativo.

A ciò va aggiunto nel caso di specie la decisiva circostanza che le imprese cointeressate alla realizzazione del polo tecnologico, firmatarie del protocollo di intesa insieme al consorzio appellato, non hanno dato seguito agli impegni inizialmente assunti.

6. L'indirizzo da ultimo richiamato è peraltro applicabile a fortiori a procedure aggiudicate solo in via provvisoria, ed anche se ad essa non sia seguito alcuno sviluppo procedimentale per molti mesi, lasciando l'impresa in una situazione di incertezza ed attesa per lungo tempo.

Per confutare tutte le doglianze svolte dalla Società Y sul punto, è innanzitutto pacifico che l'aggiudicazione definitiva è necessariamente emessa in forma espressa, anche se sia spirato il termine per l'approvazione dell'aggiudicazione provvisoria ex art. 12, comma 1, cod. contratti pubblici (in questo senso: Sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1766, citata dall'appellante, la quale ha infatti precisato che «il meccanismo del silenzio assenso prefigurato dall'art. 12, comma 1, riguarda solo l'approvazione dell'aggiudicazione provvisoria, mentre l'aggiudicazione definitiva richiede una manifestazione di volontà espressa dell'Amministrazione, ossia un provvedimento»; negli stessi termini anche Sez. III, 16 ottobre 2012, n. 5282, parimenti citata dall'appellante; ancora, la stessa III Sezione nella sentenza 31 gennaio 2014, n. 467, in cui si è precisato che anche dopo l'infruttuoso spirare del termine previsto dalla disposizione del codice dei contatti pubblici da ultimo richiamata l'amministrazione conserva il potere di recedere dalla gara; sulla necessità che l'aggiudicazione definitiva sia espressa si vedano anche le pronunce di questa Sezione del 23 ottobre 2014, n. 5238 e 13 marzo 2014, n. 1251).

Deve inoltre evidenziarsi che, come sopra rilevato, la revoca è stata disposta nei confronti dell'intera gara e che rispetto un provvedimento di autotutela di simile portata anche l'aggiudicazione definitiva è destinata ad essere travolta. Infatti, con il ritiro dell'intera gara l'amministrazione si determina nel non stipulare in assoluto il contratto, dopo averne riconsiderato le ragioni originarie, non limitandosi, come nel caso di revoca dell'aggiudicazione definitiva o provvisoria, ad esercitare il proprio ius poenitendi con riguardo a quella specifica concorrente destinataria di questi ultimi provvedimenti.

Di fronte ad un atto espressivo di apprezzamenti di carattere ampiamente discrezionale, riconducibile ad una diversa valutazione del medesimo interesse pubblico che aveva originariamente indotto l'amministrazione ad emettere l'atto poi ritirato, qualsiasi affidamento privato è destinato a soccombere, tanto è vero che l'art. 21-quinquies più volte citato non attribuisce ad esso alcun rilievo impeditivo all'esercizio del relativo potere, diversamente da quanto previsto per l'annullamento d'ufficio dal successivo art. 21-nonies. La prima delle norme della legge generale sul procedimento amministrativo ora citato tutela infatti il contrapposto interesse destinato unicamente sul piano patrimoniale, attraverso l'indennizzo e dunque mediante un ristoro pecuniario conseguente ad un atto lecito ma pregiudizievole per i contrapposti interessi privati (in questi termini: Sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5082).

Occorre ancora evidenziare che le ragioni che hanno indotto il Consorzio a rimuovere l'intera gara sono in ogni caso preclusive della possibilità di dare corso alla procedura di affidamento ed alla conseguente stipula del contratto, cosicché a fronte di tale inconfutabile constatazione diviene irrilevante ogni questione concernente il lasso temporale concretamente intercorso tra l'aggiudicazione provvisoria e l'avvio del procedimento di revoca in autotutela della gara.

7. Respinte dunque tutte le censure concernenti la legittimità degli atti impugnati, devono a questo punto essere esaminate le conseguenti domande di carattere patrimoniale.

8. Richiamato quanto poc'anzi osservato a proposito del potere di revoca si appalesa innanzitutto fondata la richiesta di indennizzo ai sensi del citato art. 21-quinquies, che infatti la stessa società odierna appellante correla in via di immediata derivazione dall'accertamento della legittimità della revoca dalla stessa impugnata.

Nel caso di specie è indubbio che gli atti impugnati abbiano comportato per la Società Y i «pregiudizi» previsti dal primo comma della disposizione in esame e che questi debbano essere ristorati dal Consorzio appellato, considerato l'affidamento maturato dalla prima sulla positiva definizione della procedura di gara, ragionevolmente ingeneratosi dopo il conseguimento dell'aggiudicazione provvisoria (in una fattispecie analoga si è espressa negli stessi termini la citata pronuncia della III Sezione 16 ottobre 2012, n. 5282).

9. Venendo alla quantificazione dell'indennizzo, lo stesso deve essere limitato alle spese inutilmente sopportate dalla Società Y per partecipare alla gara, con esclusione di qualsiasi altro pregiudizio dalla stessa lamentato nella presente impugnativa.

Ciò in base ad un duplice ordine di rilievi.

In primo luogo perché si tratta di un rimedio posto a protezione di interessi lesi da atti legittimi, come sopra accertato, e dunque leciti. Conseguentemente con esso non possono essere reintegrate tutte le conseguenze patrimoniali negative risentite dai relativi destinatari, come invece nel risarcimento del danno per fatti che l'ordinamento giuridico riprova, e dunque illeciti ex art. 2043 c.c. o, per venire al caso oggetto del presente giudizio, commessi in violazione del dovere di buona fede nelle trattative precontrattuali sancito dall'art. 1337 c.c. L'indennizzo è per contro un istituto di giustizia distributiva, che impone una condivisione sul piano economico di tali negative conseguenze di carattere patrimoniale, secondo un bilanciamento rimesso all'equo componimento delle parti interessate o, in caso di disaccordo, al giudice amministrativo.

In secondo luogo, si trae conferma di quanto ora osservato dal comma 1-bis dell'art. 21-quinquies, il quale, nello specifico caso di revoca di atti amministrativi incidenti su rapporti negoziali circoscrive l'indennizzo «al solo danno emergente». La previsione in questione è applicabile a fortiori al caso, oggetto del presente giudizio, in cui la revoca non incida su tali rapporti, essendo i contrapposti affidamenti privati evidentemente meno meritevoli di tutela rispetto a coloro che vedano vanificate le aspettative di integrale esecuzione di un contratto ormai stipulato.

10. Venendo dunque alle spese sostenute per la predisposizione dell'offerta, la Società Y deduce di avere sostenuto a tale titolo una spesa complessiva di Euro 31.360,00.

La prova di tale deduzione è fornita attraverso i documenti sub. 24 degli allegati al ricorso di primo grado.

11. Ad avviso del Collegio devono essere indennizzate le seguenti spese:

- fattura dello studio tecnico A per un importo di Euro 952,56;

- fattura B di Euro 1.799,28;

- fattura C di Euro 1.058,40;

- fattura D di Euro 436,80;

- fattura E di Euro 1.210,00;

- fattura F di Euro 11.806,50;

- fattura G di Euro 11.425,47;

Il tutto, per un ammontare di Euro 28.689,01

Tutte queste fatture costituiscono idonea prova del pregiudizio lamentato, poiché recano una causale consistente nella redazione della documentazione di gara, e sono corredate dalla relativa contabile del bonifico di pagamento, a comprova quindi dell'effettività dell'esborso sostenuto.

Alle spese per il pagamento delle fatture in questione devono essere aggiunte le commissioni bancarie per i relativi bonifici di pagamento, complessivamente ammontanti, in base alle contabili prodotte, ad Euro 18,90, e così per un importo di Euro 28.707,91.

A questo ammontare devono quindi essere aggiunte le somme sborsate a titolo di cauzione provvisoria, per il contributo A.v.c.p. e per l'acquisito di cd recanti gli elaborati progettuali dell'appalto in contestazioni, di cui vi è parimenti documentazione agli atti di gara, per un totale di Euro 360,00, che sommato al sub-totale precedente comporta la somma finale di Euro 29.067,91.

Non possono infatti essere riconosciuti gli oneri sostenuti per il personale impiegato per la redazione della documentazione amministrativa e la redazione del progetto tecnico, a conforto del quale la Società Y ha prodotto le buste paga.

Tali oneri sono infatti connessi alla normale operatività dell'azienda e sarebbero stati in ogni caso oggetto di esborso, in esecuzione dei contratti di lavoro intercorrenti tra la medesima appellante ed i dipendenti in questione. Difetta dunque il necessario nesso di causalità dell'asserito pregiudizio con l'atto di revoca.

12. Quanto sopra liquidato è tutto ciò che in questo giudizio può essere riconosciuto alla Società Y.

Infatti, a prescindere dall'astratta configurabilità di una violazione del dovere di buona fede precontrattuale ex art. 1337 c.c. del Consorzio, non possono in ogni caso essere riconosciuti gli ulteriori danni invocati all'odierna appellante.

13. In primo luogo, deve essere escluso il risarcimento delle chance di ulteriori occasioni contrattuali asseritamente perse per effetto del comportamento tenuto dall'amministrazione, per assoluta carenza di allegazione e prova.

Sul punto la Società Y si limita infatti a specificare il quantum risarcibile, determinandolo in misura forfetaria rispetto al valore dell'offerta presentata nella procedura d'appalto oggetto del presente giudizio, senza invece indicare quali sarebbero state in concreto le alternative contrattuali alle quali la stessa avrebbe rinunciato in vista dell'aggiudicazione dell'appalto oggetto della gara in contestazione nel presente giudizio, come invece avrebbe dovuto.

14. La società appellante invoca inoltre il danno curriculare (anch'esso parametrato dall'appellante al valore del contratto d'appalto con il Consorzio), il quale deve invece essere escluso perché il suo risarcimento è configurabile in caso di responsabilità da mancata aggiudicazione, trattandosi di voce diretta a ristorare l'interesse positivo all'ottenimento del contratto ed alla sua esecuzione, ma non già l'interesse negativo a non essere coinvolto in trattative contrattuali inutili, il quale viene invece in rilievo nella culpa in contrahendo (sebbene in senso affermativo si siano espresse alcune pronunce di questo Consiglio di Stato: Sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 662, 14 gennaio 2013, n. 156).

15. In conclusione, può essere riconosciuto il solo indennizzo per le spese di partecipazione alla gara, come sopra quantificate, con gli accessori consistenti negli interessi al saggio legale dal 28 agosto 2013, data di adozione della delibera consiliare di revoca della gara sino all'effettivo pagamento (trattandosi di debito di valuta). Pertanto, solo sotto questo profilo l'appello deve essere accolto, fermo invece il rigetto delle domanda di impugnazione e di risarcimento per responsabilità precontrattuale.

16. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza, che fa comunque capo all'amministrazione, e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.

Condanna il Consorzio per lo sviluppo industriale di…… a rifondere alla Società Y le spese del doppio grado di giudizio, complessivamente liquidate in Euro 10.000,00, oltre al contributo unificato ed agli altri accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.