1. A quasi un anno dalla riforma della normativa degli appalti e delle concessioni, poco si è detto su taluni aspetti, invero fondamentali nelle direttive e nel nuovo codice, che ove ben attuati sarebbero idonei a determinare un profondo mutamento nei principi di fondo che governano la contrattualistica pubblica: conferendo al sistema un assetto rinnovato, tendente al bilanciamento delle istanze liberiste, che hanno connotato agli albori la Comunità economica, con le tutele sociali, afferenti i diritti fondamentali della persona, riconosciuti da tutte le Costituzioni degli Stati membri.

Confermata la centralità dei principi di libera concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, le nuove direttive e il codice che le recepisce estendono lo sguardo ad aspetti sociali a sfondo solidaristico, indicando la strada di una più intensa tutela contro le diseguaglianze, in favore dei diritti dei lavoratori e delle fasce più deboli, con una rinnovata sensibilità, altresì, verso i temi ambientali. Nuovo e vecchio si alternano, dunque, nelle direttive di ultima generazione, nell'ambizioso tentativo di coniugare le tradizionali istanze del libero mercato con la tendenza all'inclusione, che caratterizza il nuovo corso dell'Unione europea dal Trattato di Lisbona, nel senso dell'attuazione delle politiche "inclusive".

Il quadro è completato dalla spinta propulsiva al miglioramento delle condizioni di accesso al mercato pubblico in favore delle micro, piccole e medie imprese, introducendosi per tal via, tra i pilastri dell’Unione, un nuovo modello di libertà economica e d’impresa, idoneo a contemperare gli effetti favorevoli del libero mercato con le esigenze di una maggiore diffusione della ricchezza, attraverso la spinta allo sviluppo tecnologico: obiettivi ai quali, in  un’epoca in cui fioriscono i populismi e nell’Unione cresce l’antieuropeismo, la sopravvivenza stessa delle democrazie occidentali, alla prova con gli estremismi di ogni sorta, invoca un netto cambiamento di rotta[2].  

 

2. Sul primo profilo, attinente agli aspetti sociali, ambientali e del lavoro, l'art. 30 del nuovo codice, nel fissare una nuova gerarchia tra i principi fondamentali della contrattualistica pubblica, stabilisce che <<Il principio di economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente>> (art. 30, comma 1, ult. per., d.lgs. 50/2016).  

Come noto il principio di economicità è riferibile al dovere dell’amministrazione di fare un adeguato uso delle risorse a disposizione, per conseguire gli obiettivi prefissati con il minor dispendio di costi.

La deroga prevista dalla richiamata norma è ammessa a tre condizioni: i) che sia espressamente prevista nel bando; ii) che sia consentita dalle norme vigenti; iii) che abbia ad oggetto esigenze sociali o la tutela della salute e dell’ambiente.

La prima condizione non è tuttavia imprescindibile, in quanto alcune previsioni del nuovo codice comportano ex se il sacrificio del principio di economicità e vanno applicate a prescindere da un’esplicita previsione di gara. Altre volte, è invece richiesta un’espressa indicazione nel bando.

 

Senza pretesa alcuna di esaustività, si darà conto degli uni e degli altri casi, anche alla luce dei primi interventi della giurisprudenza sul nuovo codice.

 

3. Il d.lgs. n. 50/2016 ha introdotto una dettagliata disciplina della programmazione e della progettazione, solo in parte già esistente e comunque oggi estesa agli appalti di servizi e forniture (cfr. gli artt. 22 e 23, del d.lgs. n. 50/2016).

 

Già in tali fasi – relative, per così dire, alla pre-gara – sono evidenti le implicazioni dei nuovi principi solidaristici cui si fa qui riferimento.

 

L'attuazione degli accordi internazionali sulle politiche ambientali volte al miglioramento climatico nell'ambito degli acquisiti pubblici impone, ad esempio, già in fase di progettazione, l'inclusione nella documentazione progettuale e di gara di specifiche tecniche rispettose dei criteri ambientali minimi (CAM), stabiliti con decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per i diversi settori merceologici[3]. È evidente che il rispetto di tali prescrizioni comporta un incremento dei costi per la P.A.; e che il principio di economicità è così sacrificato, a fronte della superiore esigenza di tutela dell’ambiente, a prescindere dall’esistenza di prescrizioni espresse nella lex specialis.

 

Dev’essere invece contenuta nel bando di gara la tutela del diritto alla stabilità occupazionale degli operatori che eseguono appalti di lavori e di servizi "ad alta intensità di manodopera", essendo previsto che l’amministrazione “possa” inserire nella lex specialis la cd. "clausola sociale" (art. 50, d.lgs. n. 50/2016). Lo schema di correttivo attualmente all’esame delle commissioni parlamentari prevede peraltro l'obbligatorietà di un siffatto contenuto del bando; confermando così la piena compatibilità della clausola sociale con la libertà d’impresa (tutelata dall'art. 41 Cost.), sebbene nei limiti imposti dai principi generali del Trattato UE (cfr. l'art. 50 cit.): che - è bene rimarcarlo - nella sua attuale versione, impone un contemperamento delle libertà d’impresa con gli obiettivi dell'integrazione sociale, della solidarietà (e, quindi, anche della lotta alla disoccupazione).

 

In uno dei primi interventi giurisprudenziali sul tema, il TAR Toscana ha avuto modo di affermare che la norma recepisce quell’indirizzo giurisprudenziale di compromesso secondo il quale la clausola sociale è legittima, a patto che con essa la stazione appaltante si limiti a prevedere l’assunzione “prioritaria” del personale in essere. È invece precluso alla stazione appaltante – ad avviso del TAR – imporre un vincolo stringente, prevedendo l’assunzione obbligatoria di tutti gli addetti a prescindere dalle effettive esigenze del servizio (che nel caso di specie era stato ridotto rispetto alla sua precedente edizione)[4]. La precisazione può senz’altro essere condivisa, a patto che, attraverso la tesi della positivizzazione di una prassi già ammessa, non si finisca con il rendere indifferente, rispetto al sistema previgente, il rafforzamento delle tutele sociali e occupazionali voluto dal nuovo codice, in linea, peraltro, con i principi del Trattato e delle direttive[5].

V'è da soggiungere che, mentre la ratio della previsione è pienamente condivisibile con riguardo agli appalti di servizi labour intensive, lascia piuttosto perplessi l’estensione della disciplina agli appalti di lavori. Nel primo caso, infatti, a differenza che nel secondo, si tratta di contratti di durata, che le amministrazioni aggiudicatrici devono comunque acquisire per un tempo indefinito, con ogni conseguenza sulle esigenze di tutela della stabilità occupazionale. Il valore aziendale delle imprese di lavori è peraltro intimamente connesso alla specializzazione acquisita nel tempo dalle maestranze, cosicché l’appaltatore uscente non avrebbe alcun interesse a cedere quota parte del proprio "patrimonio umano" a quello subentrante. Al limite, l'obbligatorietà della clausola sociale potrebbe essere giustificata negli appalti di manutenzioni, nei limitati casi in cui questi possano ancora essere considerati di lavori, o ai casi di subentro di nuovo appaltatore in corso d’esecuzione, a seguito della risoluzione anticipata del contratto.

 

Ancora, il bando di gara può prevedere che la stazione appaltante vincoli i concorrenti al rispetto di un determinato CCNL, tra i diversi potenzialmente applicabili, stipulati tra i sindacati e le associazioni di categoria <<comparativamente più rappresentative>> (art. 50, d.lgs. n. 50/2016).

La previsione mira a garantire che il fenomeno del cd. dumping sociale[6], tra imprese appartenenti a settori merceologici affini (si pensi ai servizi di portierato e accoglienza, cui sono teoricamente applicabili almeno tre contratti collettivi), non si ritorca in danno dei lavoratori e, soprattutto, del buon diritto di questi ad una retribuzione adeguata e dignitosa (art. 36 Cost.).

 

4. Pubblicato il bando e avviata la procedura di gara, anche in sede di valutazione dell'offerta le stazioni appaltanti tengono conto dei criteri ambientali, sociali e del lavoro, tutelati dal TFUE e dalle nuove direttive (art. 95, comma 6, d.lgs. cit.). Tra gli elementi oggetto di possibile valutazione rientrano ad esempio i criteri relativi all'accessibilità per le persone con disabilità, al possesso delle certificazioni sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, al contenimento del consumo energetico e al costo del ciclo di vita (art. 96).

 

Ispirato alla tutela dei diritti dei lavoratori è anche il divieto di far ricorso al sistema del prezzo più basso nelle gare di servizi "ad alta intensità di manodopera" (art. 95, comma 3).

Secondo la migliore interpretazione, conforme ai criteri di delega, si tratterebbe di un divieto assoluto e inderogabile, anche nelle specifiche ipotesi contemplate dall’art. 95, comma 4 (riferite ai casi di affidamento di lavori d’importo inferiore a 1 milione di euro, agli appalti di servizi e forniture a carattere standardizzato e a quelli di servizi e forniture di valore inferiore alla soglia europea, caratterizzati da elevata ripetitività), per i quali è esplicitamente ammesso il ricorso al criterio del prezzo più basso[7]. Non convince, invece, il contrario indirizzo, in base al quale in tali ipotesi l’amministrazione potrebbe scegliere di aggiudicare la gara (anche) con il criterio del solo prezzo[8], in quanto una siffatta lettura, oltre a prestare il fianco a dubbi di costituzionalità[9], non tiene conto del fatto che nel caso di servizi labour intensive la competizione sul solo prezzo pone a rischio il rispetto di valori assoluti, assunti al rango di principi fondamentali dell'Unione europea.

 

Sempre con riguardo alla fase di selezione, in esito alla gara la stazione appaltante può decidere di non aggiudicare l'appalto qualora risulti che l'offerta <<non soddisfa gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro, stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell’allegato X>> (art. 94, comma 3, d.lgs. n. 50/2016). L'ipotesi, che ricalca invero la facoltà, già attribuita alla stazione appaltante dal previgente codice, di non aggiudicare la gara nel caso in cui nessuna offerta risulti conveniente o idonea[10], costituisce applicazione del generale potere di autotutela ed è ora declinata in un'ottica di massima protezione delle comprimarie esigenze sottese al riconoscimento dei nuovi “diritti di cittadinanza europea”.

 

5. Ispirata dalle medesime finalità è, infine, la riforma dell'istituto dell'anomalia delle offerte.

Da sempre, la disciplina in materia costituisce lo specchio fedele degli obiettivi di fondo che governano la contrattualistica pubblica.

Se nell'ordinamento contabilistico l'istituto era diretto a garantire l'amministrazione circa l’effettiva eseguibilità dell'appalto al prezzo proposto, con l'avvento delle prime direttive europee a tale finalità si era affiancata, sino a divenire prevalente, quella della tutela della concorrenza e dei principi di non discriminazione e par condicio.

Nel codice previgente l'esclusione per anomalia era quindi disposta qualora, in esito al subprocedimento in contraddittorio con l'interessato, la stazione appaltante avesse accertato la complessiva inaffidabilità economica dell'offerta (cfr. l'art. 88, comma 7, del D.lgs. n. 163/2006), secondo un giudizio globale e sintetico nell’ambito del quale non rilevavano singoli errori o inesattezze inidonei a condurre l'offerta in perdita[11].

Ebbene, il temperamento dei principi di economicità e di libera concorrenza, in un giusto  compromesso con quelli solidaristici richiamati dall’art. 30, comporta che all'esclusione per anomalia possa ora procedersi, con il nuovo codice, alternativamente:

(i) qualora il concorrente, la cui offerta sia assoggettata a verifica, non abbia idoneamente giustificato il basso livello dei prezzi o dei costi proposti (secondo le coordinate già conosciute dal vecchio codice);

 (ii) ovvero, qualora la stazione appaltante abbia accertato che l'offerta non rispetta le condizioni minime indicate nelle lettere da a) ad e) dell'art. 97, tra le quali rientrano le esigenze connesse al rispetto del diritto dei lavoratori alla giusta retribuzione, alla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, all’inclusione sociale e al rispetto ambientale[12].

Ancora una volta, cambia dunque l'approccio dell’ordinamento sull'istituto dell’anomalia in conformità alle finalità della disciplina che governa, più in generale, la contrattualistica pubblica: passandosi da un'impostazione di stampo liberistico ad un ordinamento che, pur mantenendo al centro del sistema i principi della libertà d'impresa e della libera circolazione di persone e servizi, ne attenua gli effetti, attraverso il giusto contemperamento con i principi solidaristici, assunti a obiettivo prioritario – al pari degli altri – del rinnovato patto europeo tra i Paesi membri.

 

6. Da quanto sin qui visto possono già trarsi due prime conclusioni: 1) l'estensione delle tutele ambientali, sociali e del lavoro riguarda, nel codice come nelle direttive, tutta la procedura di gara, dalla fase preparatoria sino a quella esecutiva[13]; 2) l'attuazione della nuova disciplina comporta necessariamente il sacrificio del principio di economicità e, dunque, un notevole aggravio dei costi degli acquisti pubblici che ad essa si conformino.  

 

Il rispetto dei criteri ambientali minimi, la clausola sociale obbligatoria nei bandi, l’imposizione del CCNL applicabile e la valutazione premiale delle offerte tecniche in base a criteri sociali e ambientali, la valutazione d’anomalia, con riferimento ad aspetti che prescindono da un giudizio di complessiva inaffidabilità economica: sono tutte novità che comportano un prevedibile aggravio della spesa pubblica, in una fase in cui i vincoli europei di bilancio ne imporrebbero, invece, il massimo contenimento.

 

Si mira a un nuovo modello economico, che passa attraverso una redistribuzione delle risorse, da attuarsi in conformità ai principi del libero mercato, ora declinati anche nel senso della massima espansione del ruolo delle PMI nel gioco della concorrenza.

 

Per centrare l'obiettivo occorre dunque fare i conti con le (scarse) risorse disponibili.

 

7. Le più recenti politiche di contenimento della spesa pubblica puntano tutto sulla centralizzazione della committenza, volta a favorire, da un lato, la professionalizzazione delle stazioni appaltanti (e, per tali via, la lotta ai fenomeni corruttivi), e, dall'altro, il conseguimento di economie di scala nell'acquisto di beni e servizi. Sono d'altra parte le stesse direttive ad ammettere l'importanza della centralizzazione per il conseguimento di economie di scala, ove possibili. Ma è lo stesso legislatore europeo ad avvertire che “Tuttavia, l’aggregazione e la centralizzazione delle committenze dovrebbero essere attentamente monitorate al fine di evitare un’eccessiva concentrazione del potere d’acquisto e collusioni, nonché di preservare la trasparenza e la concorrenza e la possibilità di accesso al mercato per le PMI” (59° considerando della direttiva 24/2014/EU).

 

Si pone dunque il tema della compatibilità delle politiche di centralizzazione della spesa con gli obiettivi della lotta alle collusioni di ogni tipo: tra imprese, per prevenire comportamenti anticompetitivi; e tra imprese e amministrazioni, con riguardo al più allarmante fenomeno corruttivo.

 

Si pone, altresì, il tema della compatibilità della centralizzazione con l’obiettivo prioritario dell’ampliamento del mercato pubblico in favore delle PMI.

 

La migliore analisi economica avverte che, per sortire un effettivo risparmio di spesa, la centralizzazione della committenza dovrebbe essere tenuta distinta (e distante) dall'aggregazione della domanda, in quanto questa, come pure evidenziato dai più recenti e autorevoli interventi della giurisprudenza[14], può provocare conseguenze deleterie sia sul principio di massima partecipazione alle gare che, per tal via, sulle politiche di riduzione della spesa pubblica[15]

 

8. Il Consiglio di Stato, con due successive sentenze pubblicate a distanza ravvicinata di tempo, ha messo in rilievo proprio come una (mal attuata) politica di centralizzazione della committenza possa provocare restrizioni della concorrenza in favore delle imprese di più grandi dimensioni, favorendo così la creazione di mercati oligopolistici all'interno dei quali vi è il concreto rischio del proliferare di accordi collusivi.

 

Il primo intervento ha riguardato, in particolare, la conferma dei provvedimenti sanzionatori comminati dall'Autorità Antitrust ai più rilevanti player del settore del facility, per aver questi concluso e condotto a compimento un cartello imprenditoriale volto alla spartizione di un appalto miliardario, indetto dalla Consip e suddiviso in (soli) quattordici macro-lotti di ampiezza ultra-regionale (CdS, Sez. VI, 928/2017). A breve distanza di tempo, altra Sezione del Consiglio di Stato (CdS, Sez. V, n. 1038/2017) ha confermato la sentenza del TAR Lazio[16] con la quale era stata annullata la gara per l’affidamento dei servizi di vigilanza attiva e passiva in favore di tutte le pubbliche amministrazioni, tenute all’approvvigionamento attraverso Consip SpA[17].

 

La pronunzia da ultimo richiamata coglie appieno la problematicità del tema qui in rilievo, relativo ai rapporti tra centralizzazione della committenza, aggregazione della domanda e politiche di contenimento della spesa pubblica.

 

9. L’appalto aveva ad oggetto i servizi di vigilanza armata e portierato per tutte le amministrazioni pubbliche tenute ad aderire alle convenzioni Consip. Tali servizi, come noto, rientrano tra quelli "ad alta intensità di manodopera" (art. 50 del nuovo codice), in relazione a quali – come visto – il necessario rispetto dei costi del lavoro comporta che non sia plausibilmente conseguibile alcuna economia di scala.

 

Su tali presupposti, il Consiglio di Stato, condividendo appieno la tesi del TAR Lazio, dell’appellata e delle associazioni di categoria intervenienti (FNIP e Confcommercio, in rappresentanza degli interessi delle PMI), ha osservato che “le dimensioni dei lotti, i requisiti di fatturato richiesti, la possibilità di partecipare a più di lotti e il cumulo di requisiti imposto per questa eventualità sono sproporzionate rispetto alle esigenze di massima concorrenzialità e irragionevolmente lesive dell’interesse della stessa amministrazione a favorire la più ampia partecipazione di operatori privati al fine di conseguire i maggiori risparmi economici che solo un confronto competitivo ampio può assicurare[18].

 

10. Il Consiglio di Stato ritiene dunque, con il TAR, che il principio di massima partecipazione delle PMI alle gare persegua al tempo stesso gli obiettivi di libera concorrenza e di contenimento della spesa pubblica. E che tali finalità vadano garantite - secondo la disciplina già contenuta nell'abrogato codice, ora ulteriormente ampliata da quello vigente - attraverso la suddivisione dei grandi appalti in lotti "funzionali", di dimensione e valore tale, cioè, da poter assicurare la piena attuazione dei predetti principi.

La questione si sposta dunque sull'interpretazione da darsi al concetto di lotto "funzionale”[19] (cfr. l'art. 2, comma 1 bis, d.lgs. n. 163/2006 e l'art. 51, d.lgs. n. 50/2016); e sul grado di vincolatività dell'obbligo di suddivisione dei grandi appalti in lotti connotati da tale caratteristica.

Alla luce delle definizioni contenute nel nuovo codice [cfr. l'art. 3, comma 1, lett. qq) e ggggg)], il TAR del Lazio, con l'intervento confermato dal Consiglio di Stato, ha ritenuto che il lotto "funzionale" consista in un "ambito territoriale ottimale", di dimensioni ragionevoli e proporzionate al fine di garantire l'esigenza di massima partecipazione delle PMI alle gare[20].

Si propugna dunque un'interpretazione "finalistica" della normativa vigente, che trova conferma nella previsione espressa del nuovo codice secondo la quale l’appalto suddiviso in lotti deve comunque essere "adeguato in modo da garantire l’effettiva possibilità di partecipazione da parte delle microimporese, piccole e medie imprese" (art. 51, d.lgs. n. 50/2016).

La discrezionalità che la legge riconosce all’amministrazione è dunque limitata, secondo i consueti canoni sul corretto esercizio del potere, dalle finalità della nuova disciplina:  se è pur vero che la stazione appaltante può decidere di non suddividere l’appalto in lotti, una volta che tale scelta sia stata effettuata[21] la piena attuazione dei principi eurounitari impone una suddivisione ragionevole e proporzionata, tale cioè da garantire la più ampia partecipazione alla gara.

11. A margine, de iure condendo, si osserva che, considerato l’elevato potere d’acquisto rimesso dalla legge alle centrali di committenza - e considerato, altresì, che la piena attuazione dei nuovi obiettivi dell’inclusione e dell'allargamento del benessere collettivo passa inevitabilmente attraverso il perseguimento di un delicato equilibrio tra l'incremento dei costi, conseguente all'innalzamento delle tutele, e le contrapposte esigenze di contenimento della spesa pubblica - non appaiono del tutto condivisibili alcune scelte di tipo organizzativo contenute nel nuovo codice, come quelle che prevedono l’iscrizione ex lege di Consip, Invitalia e dei soggetti aggregatori regionali di cui all’art. 9 del D.L. n. 66/2014, nell’albo costituito presso l'Anac per la qualificazione delle stazioni appaltanti (cfr. l'art. 38 del d.lgs. n. 50/2016). Per i medesimi motivi, ancor meno convincente è l’istituzione di un albo speciale dei commissari, dal quale, a differenza che per le altre stazioni appaltanti, dovrebbero essere attinti i nominativi dei soggetti da sorteggiare per la costituzione delle commissioni di gara che le centrali di committenza e i soggetti aggregatori potrebbero nominare, in alcuni casi addirittura tra i funzionari e i dirigenti interni e di ruolo.

Paradossalmente, proprio per le centrali di committenza e per i soggetti aggregatori - e cioè per quei soggetti chiamati ad attuare le politiche di centralizzazione della domanda finalizzate al contenimento della spesa pubblica, che è condizione imprescindibile per l'attuazione dei "nuovi diretti di cittadinanza europea" - meno stringenti sono i vincoli dettati a fini anticorruttivi, apparendo attenuati, nei loro confronti, i poteri di stretta sorveglianza conferiti all'Anac.

12. È pur vero che, come autorevolmente sostenuto, le rivoluzioni, per essere tali, richiedono il tempo necessario per essere attuate nel diritto vivente[22], oltre che un quadro legislativo chiaro, completo e stabile, anch'esso indispensabile per prevenire i fenomeni corruttivi[23]. Ma è altrettanto vero che, in un quadro di crisi sistemica, per un verso politico-economica ma, prima ancora, culturale, morale e sociale, affinché la rivoluzione si realizzi davvero, occorre prendere coscienza delle difficoltà della sfida e dell'inesistenza di scorciatoie rispetto alla necessaria osservanza di regole chiare, certo, ma valide per tutti gli attori coinvolti.

 

[1] Relazione resa in occasione dell'intervento tenuto il 23 febbraio 2017 alla tavola rotonda su "Il Sistema dei Contratti Pubblici dopo il D.Lgs. n. 50/2016: bilanci e prospettive", presso l'ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda.

[2] Così, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, nella sua ultima intervista a Repubblica, rilasciata il 16 ottobre 2016 in occasione della visita alla Casa Bianca dell’allora Presidente Consiglio italiano Matteo Renzi. 

[3] È previsto, a tal proposito, che in fase di prima attuazione il rispetto dei CAM debba riguardare percentuali variabili tra un minimo del 50% del valore dell'appalto - per lavori, forniture e servizi diversi da quelli relativi alla ristorazione ospedaliera, assistenziale, scolastica e sociale - e sino al 100% del valore del contratto, se si tratti dell'affidamento di appalti relativi all'acquisto di attrezzature elettriche, elettroniche, lampade ad alta intensità e illuminazione pubblica in genere, o di progettazione e lavori per nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione, nonché riscaldamento e raffrescamento di edifici (art. 34, D.Lgs. n. 50/2016).

[5] Invero, il caso sottoposto all’esame del TAR toscano si sarebbe potuto risolvere, senza sminuire il carattere in qualche misura innovativo dell’art. 50 del nuovo codice, attraverso l’applicazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003, per come modificato dall’art. 30 della Legge 122/2016 (cd. legge comunitaria per il 2016), secondo il quale il passaggio diretto dei dipendenti dall’impresa uscente a quella subentrante non integra cessione di ramo d'azienda -  con la conseguenza che non si verificano gli effetti di cui all'art. 2112 cod. civ. - solo qualora: (i) il nuovo appaltatore sia dotato di una propria struttura organizzativa ed operativa, che ha dichiarato di voler impiegare nell'appalto; (ii) siano presenti, nella nuova organizzazione, elementi di discontinuità rispetto alla precedente gestione dell’appalto, che determinano una specifica identità d'impresa.  In difetto di tali condizioni, l'applicazione della clausola sociale comporta la qualificazione del subentro come cessione di ramo d’azienda ed impone all’appaltatore subentrante di garantite agli addetti le medesime condizioni normative e retributive già riconosciute dal precedente appaltatore (anzianità di servizio, inquadramento, trattamento retributivo etc.). Una diversa interpretazione porrebbe questioni di incompatibilità comunitaria della normativa interna, com’è evidente dal fatto che con la modifica dell’art. 29, d.lgs. n. 276/2003 il legislatore interno ha voluto evitare una procedura di infrazione comunitaria, già avviata dalla Commissione UE (Caso EU Pilot 7622/15/EMPL).       

 

[6] Che si verifica quando i minori costi del lavoro, di cui l’impresa può eventualmente godere, vengono trasferiti sul prezzo finale del bene o del servizio per fini concorrenziali. Un’accusa di dumping sociale è stata ad esempio rivolta al Regno Unito nel 1992 quando questo Stato rifiutò di aderire al Protocollo sulla politica sociale: non essendo obbligate a dare attuazione alle disposizioni sulla politica sociale, le imprese britanniche potevano infatti vantare un costo del lavoro più basso, che attraeva investimenti esteri e garantiva una maggiore concorrenzialità ai beni prodotti nel Regno Unito.

[7] TAR Calabria, Sez. di Reggio Calabria, sentenza 30 novembre 2016, n. 1186; TAR Lazio, Sez. III-ter, 13 dicembre 2016 n. 12439.

[8] T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 13 gennaio 2017 n. 30, secondo la quale il rapporto tra i commi 3 e 4 dell’art. 95 sarebbe di complementarità e non di alternatività.

[9] In quanto, come giustamente osservato in giurisprudenza, in relazione ai servizi ad alta intensità di manodopera la legge delega ha previsto espressamente l'inderogabilità del ricorso al criterio qualità/prezzo: cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. III-ter, 13 dicembre 2016 n. 12439.

[10] Art. 81, comma 3, D.Lgs. n. 163/2006

[11] In ultimo, cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 13 febbraio 2017, n.607

[12] TAR Calabria, Sez. di Reggio Calabria, 15 dicembre 2016, n. 1315.

[13] Sulla tutela degli aspetti sociali e ambientali in fase esecutiva, cfr. l'art. 30, comma 3, e gli artt. 100 e ss. del d.lgs. n. 50/2016.

[14] Consiglio di Stato, Sez. V, 6 marzo 2017, n. 1038, che conferma TAR Lazio, Roma, Sez. II, 20 agosto 2016, n. 9441.

[15] Cfr. Couch, King, Gossett, Parris, (2004), in “Economie di scala e la fornitura di beni pubblici da parte delle municipalità”, che così concludono la loro ricerca: “questo lavoro non fornisce supporto alla ipotesi che un governo ampio si avvantaggi di economie di scala e eviti duplicazioni e sprechi. Di fatto, le diseconomie esistono quando si esaminano decisioni di spesa aggregata e nella fornitura di servizi di sicurezza pubblica”.

[16] TAR Lazio, Roma, Sez. II, 20 agosto 2016, n. 9441.

[17] Consiglio di Stato, Sez. V, 6 marzo 2017, n. 1038.

[18] Ibidem

[19] Cfr. l’art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163/2006 e, ora, l’art. 51 e l’art. 3, comma 1, lett. qqqqq), del d.lgs. d.lgs. 50/2016, che di lotto funzionale fornisce una compiuta definizione.

[20] È questo il fulcro dell’intervento del TAR Lazio, Roma, Sez. II, 20 agosto 2016, n. 9441, confermata dal Consiglio di Stato con il precedente richiamato nel testo, che ha ben evidenziato come l’apertura alla concorrenza propugnata dalla disciplina comunitaria e quella al risparmio della spesa pubblica sottesa all’ordinamento contabilistico non confliggono affatto, l’una anzi essendo condizione imprescindibile del realizzarsi dell’altra.

[21] Ciò che è consentito dalla circostanza che il legislatore interno non si è avvalso della facoltà, pur riconosciuta dalle direttive, di rendere obbligatoria la suddivisione in lotti: cfr. l’art. 46, par. 4, della Direttiva 24/2014/UE.

[22] Cfr. F. Caringella, "Codice dei contratti pubblici: riforma o rivoluzione", in Italiappalti.

[23] Cfr. M. Giustiniani, "Una rivoluzione (ancora) in rodaggio", in Italiappalti.