Tar Sicilia, Palermo, III, 14 maggio 2021, n. 1536

Riveste un sicuro rilievo la recente pronuncia del Tar Sicilia, n. 1536/2021 in tema di mancato utilizzo delle procedure semplificate emergenziali (ex lege 120/2020), in particolare per le differenti letture che ha determinato.

Già si anticipa che il giudice in realtà conferma le posizioni già espresse dall’ANAC (con il commento del 3 agosto 2021 sul DL 76/2020), del MIT e dello stesso dato letterale che emerge dai provvedimenti emergenziali (DL 76/2020 e legge di conversione 120/2020).

In pratica, ed in sintesi, la scelta di adottare una procedura di aggiudicazione differente da quella “suggerita” dal legislatore dei provvedimenti sopra citati esige una motivazione ma non per la legittimità degli atti ma, evidentemente, per contrastare/superare un potenziale problema di responsabilità del RUP che, per effetto della maggior strutturazione della procedura di aggiudicazione giunga tardi all’aggiudicazione determinando un danno erariale. 

Quanto è ciò che si legge nella sentenza che sottolinea come i provvedimenti emergenziali (DL 76/2020 e legge di conversione 120/2020) in realtà non revocano né sospendono “la disciplina ordinaria”.

Detto altrimenti, prosegue il giudice, “l'affidamento diretto non costituisce il modulo procedimentale sottosoglia al quale le stazioni appaltanti debbano obbligatoriamente fare ricorso. “

Ciò non è contestato, ed effettivamente non vi erano dubbi, né dal MIT con il parere n. 735/2020, che si limita a suggerire “in ogni caso, solamente (…)  di dare un riscontro nella motivazione per la scelta della procedura di evidenza pubblica ordinaria rispetto a quella “emergenziale” in deroga dell’affidamento diretto”.

E ciò accade anche nel più recente parere n. 893/2021.

In quest’ultimo caso, posto all’attenzione dell’ufficio di consulenza del Ministero, l’istanza mira a comprendere se sia (o meno) corretta   la decisione di adottare una procedura negoziata in luogo del possibile affidamento diretto.

Il MIT ribadisce affermazioni già nota ovvero che con la legge 120/2020 si è in presenza di procedure  non semplicemente facoltativa ed il cui scostamento richiede una motivazione.

Vien da sé, però, vista l’ovvietà che tale motivazione non può essere necessaria per legittimare il procedimento prescelto ma, appunto, perché il RUP possa chiarire anticipatamente, per evitare problemi di responsabilità, le ragioni che lo inducono ad utilizzare una diversa procedura rispetto a quella suggerita dal legislatore dell’emergenza.  Ponendosi, potenzialmente, consapevolmente in condizioni di aggiudicare tardivamente l’appalto.

E’ bene rammentare come tale aspetto sia stato anticipato dalla stessa ANAC nel documento di commento al DL 76/2020 – anche citato nella sentenza in commento –, con richiesta  di fissare per norma la possibilità di utilizzare il procedimento ordinario ma con motivazione che escludesse un mero intento defatigatorio.

Tale suggerimento, evidentemente, non è stato accolto dal legislatore considerato che, oggettivamente, una simile impostazione avrebbe fatto assurgere la motivazione della scelta del procedimento ordinario durante l’emergenza sanitaria, a requisito di  legittimità complicando enormemente l’attività delle stazioni appaltanti.

La motivazione, pertanto, è sì necessaria in fattispecie simili (in cui non si utilizzino le procedure semplificate suggerite dal legislatore per altre procedure maggiormente articolate) ma non per la legittimità degli atti ma solamente con un “pregio/rilevanza” interna. In pratica, consentire al RUP di rispondere nel caso in cui dall’articolazione del procedimento e quindi dalla ritardata aggiudicazione possa derivare un danno.

E ciò viene chiaramente esplicitato in sentenza nel passaggio successivo relativo alla “ritardata” aggiudicazione rispetto ai termini previsti nel DL 76/2020 e successiva legge di conversione n. 120/2020.   

Ritardata aggiudicazione su cui si fondava ulteriore doglianza del ricorrente per ritenere l’assegnazione illegittima. Il giudice, evidentemente, non condivide neanche detta censura.

In questo senso, in sentenza si legge come sia “privo di pregio (…) ulteriore profilo circa il mancato rispetto dei termini, previsto dal decreto semplificazioni per la conclusione della procedura di gara: tale rilievo, infatti, limitato alla procedure semplificate qui non applicabili per le considerazioni di cui sopra, non potrebbe comunque comportare l’illegittimità, per ciò solo, degli atti di gara riverberandosi, se del caso, unicamente sulla responsabilità amministrativa del R.U.P..”.

 

Il termine di aggiudicazione

In realtà il termine di aggiudicazione, la cui violazione non può determinare l’illegittimità dell’assegnazione, riguarda anche la procedura ordinaria   come indicato nell’articolo 2, coma 1 della legge 120/2020. Un termine di 6 mesi dalla data di adozione dell’atto che avvia il procedimento.

Ciò detto, non è superfluo considerare comunque che il termine di aggiudicazione rappresenta – sempre sotto il profilo interno e, quindi per quanto concerne, potenzialmente, la responsabilità del RUP -, un dato importante   della legislazione emergenziale improntata ad individuare strumenti per elocizzare/incentivare gli investimenti e consentire una ripresa economica del Paese (tra l’altro con il recovery prerogative estese fino al 30 giugno 2023).

E’ chiaro però che il mutamento o meglio, la scelta di una procedura di aggiudicazione diversa da quella suggerita dal legislatore dell’emergenza non può anche consentire una dilatazione del tempo fissato dal legislatore per l’aggiudicazione.

Se non fosse così l’utilizzo dei procedimenti maggiormente articolati, laddove possibile, ad esempio, l’affidamento diretto, verrebbero giustificati sempre con una motivazione strumentale per beneficiare di un termine più ampio. Ma è ciò che le norme della legge 120/2020 tendono a scongiurare con la “minaccia” della responsabilità erariale del RUP. 

In ogni caso, il giudice sottolinea l’inadeguatezza della violazione del termine di aggiudicazione  a determinarne l’illegittimità  riconoscendo, pertanto, nel momento in cui lo riferisce alla possibile responsabilità del RUP che un  termine quindi esiste (ed è chiaramente esplicitato nelle norme, artt. 1 e 2 della legge 120/2020).    

Ne ammette l’esistenza, il giudice, nel momento in cui collega tale violazione unicamente alla responsabilità del RUP (un fatto interno quindi non esterno). 

Ma questa affermazione, a leggerla sotto il profilo anche operativo, ha una consistenza ed una intensità ancora più profondi: la scelta di una differente procedura rispetto a quella suggerita dal legislatore potrebbe avere (ha) delle implicazioni che non si riverberano sul procedimento ma sulla posizione del RUP.

Se il RUP quindi è tenuto a valutare quale procedura utilizzare, tenendo a mente la propria potenziale responsabilità, vien da sé che la decisione di procedere con una procedura maggiormente articolata, ponendo in pericolo l’aggiudicazione nei termini previsti nella legge 120/2020, dovrà avere per forza una motivazione plausibile (che probabilmente non potrà essere limitata alla necessità di assicurare una maggior concorrenza o dalla necessità di evitare l’applicazione della rotazione).      

 

La formula dubitativa

Si diceva della rilevanza della sentenza soprattutto per la formula dubitativa espressa in relazione al rapporto motivazione – oggetto del contratto.

Il giudice, ad un certo punto, non sembra escludere in assoluto la rilevanza della motivazione anche esterna nel momento in cui acclara che nel caso in esame non è venuto in considerazione un appalto   che implichi “investimenti pubblici” e/o avesse impatto sulle ricadute dell’emergenza Covid.

In pratica il giudice analizza gli obiettivi nazionali scolpiti nei primi periodi dell’articolo 1 e 2 della legge 120/2020 certificando che l’articolo 1, comma 1 del provvedimento in parola (ovvero il preteso affidamento diretto come richiesto dal ricorrente) nel caso di specie “non possa trovare applicazione” considerato che norma prevede la possibilità di un affidamento diretto "al fine di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché al fine di far fronte a le ricadute negative" dell'emergenza COVID”.

Ora, prosegue il giudice, “sotto tale profilo, ha buon gioco la parte resistente nel rilevare che il “servizio di ripristino stradale”, oggetto del presente contenzioso, non comporti "investimenti pubblici", tanto che la gara non prevede costi per l’Amministrazione” visto che non “afferisce al settore delle "infrastrutture e dei servizi pubblici" e non ha alcun impatto sulle ricadute delle emergenza COVID.

Quasi a dire che, comunque, in tal caso, stante l’oggetto dell’appalto – non riconducibile alla fattispecie delineata dal legislatore dell’emergenza (che a questo punto sarebbe perentorio solo rispetto agli appalti che riguardano investimenti pubblici o risultino finalizzati alla ripresa economica del Paese) – una motivazione non era necessaria per la “specificità” della norma.

Come se gli obiettivi di celerità/tempestività fossero relativi, per intendersi, solamente ad un certo tipo di appalti.

Questa sottolineatura apre ad ulteriori riflessioni che potrebbero indurre a ritenere la motivazione necessaria, e di conseguenza le procedure semplificate non facoltative, nel caso di appalti di investimento e/o finalizzati ad assicurare la ripresa economica dalle ricadute negative del Covid.

Affermazione che, se confermata, potrebbe portare a ritenere riconducibili nell’ambito in parola, praticamente,  solamente i lavori pubblici (e neanche tutti).