Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza del 20 marzo 2024, n. 2696

Nella concessione il carattere pubblicistico dell'affidamento fa sì che sia garantita una gestione ottimale del bene, con il principale fine del soddisfacimento dell‘interesse pubblico primario.

La concessione-contratto, pur manifestando contemporaneamente aspetti pubblicistici e privatistici, non determina la trasformazione del rapporto da una natura pubblica ad una paritetica. Pertanto la pubblica Amministrazione mantiene un tipico potere precettivo, soggetto al rispetto di precise regole formali.

La concessione è un istituto che non solo individua lo specifico concessionario più adatto al perseguimento del medesimo interesse pubblico primario ma detta le regole affinché il concessionario adotti le misure tese al giusto compimento dii quanto stabilito.

In questo contesto la revoca della concessione durante il rapporto esecutivo è ammissibile, pur nel rispetto degli interessi pubblici e delle normative vigenti, se l’atto amministrativo da eliminare grava su rapporti contrattuali derivanti da ulteriori e diversi contratti stipulati dall'amministrazione.

Il nuovo codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 31 marzo 2023, n.36- Codice dei contratti pubblici in attuazione dell'articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici) ha evidenziato la centralità dei rapporti di collaborazione che devono sussistere tra soggetto pubblico e parte privata.

La sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 20.03.2024 n. 2696 esamina, in particolare, la natura del contratto di concessione.

Tale figura riveste, nell’ambito degli appalti non privatistici, un ruolo primario in quanto con la stessa si attua il trasferimento dall’amministrazione al cives di quel rischio operativo che rappresenta il nucleo centrale della fattispecie. Di conseguenza la regolare funzione dell’istituto di cui agli articoli 176-181 del suddetto d.lgs. 36/2023 potrà essere garantita solo con l’instaurazione di reciproco rispetto e fiducia proprio tra gli intervenienti alla selezione[1].

Nel caso di specie la figura in argomento è stata costituita in modo che la stessa fosse contraddistinta da vincoli allo sfruttamento del bene; pertanto tali criteri hanno reso ancor più evidente il profilo pubblicistico dell’affidamento.

A tal proposito i magistrati evidenziano come, anche a valorizzare la presenza di una convenzione che regolamenta la concessione nel suo complesso, ciò non determina, a sua volta, la trasformazione del rapporto di diritto pubblico in relazione di natura paritetica.

In sintesi il Collegio desume che quello che si è instaurato fra l’ente locale e l’operatore economico rientra proprio nel settore pubblico. Qui le parti che si incontrano assumono, rispettivamente, una posizione di soggetto pubblico e una connessa situazione di interesse legittimo.

Di conseguenza i giudici deducono che, anche in costanza di rapporto esecutivo, la pubblica amministrazione può esercitare la revoca; quest’ultima espressione, come è noto, di potere autoritativo.

Sul punto il Consiglio di Stato compie un’importante precisazione, delineando due differenti ipotesi che producono, a loro volta, diversi effetti. Nel primo caso la stipula del contratto genera un rapporto giuridico paritetico fra organismo pubblico e operatore economico; quindi successive problematiche devono essere gestite tramite l’esercizio del potere di recesso, previsto in generale dall’art. 21 sexies (Recesso dai contratti) della legge n. 241 del 1990, e, in termini più peculiari, dal sopra indicato codice dei contratti pubblici[2].

Al contrario, in altra differente situazione, il perfezionamento del contratto non modifica la qualificazione del legame, che continua a manifestarsi, anche dopo il venir in essere del negozio, come una tipica relazione di diritto pubblico.

In particolare il Collegio rammenta che la medesima concessione mantiene la funzione pubblica oltre la fase di individuazione del concessionario. Infatti, in tale contesto, si instaura una riserva di amministrazione, finalizzata al controllo della regolare esecuzione della stessa concessione. Da ciò i giudici sottolineano che la missione pubblicistica consiste nel garantire l’utilizzo del bene nel rispetto di quanto stabilito nella citata concessione.

In conclusione il supremo Organo di giustizia amministrativa afferma che l’amministrazione, con il fine di tutelare il proficuo soddisfacimento dell’interesse pubblico, possa ricorrere alla revoca dell’istituto in argomento e della convenzione accessiva, in costanza di rapporto esecutivo.

Premesso quanto sopra bisogna tuttavia ricordare come anche il soggetto privato possa trovarsi in un momento in cui lo stesso necessiti di tutela. Precisamente, nel caso in cui la stazione appaltante non tenga un comportamento finalizzato al rispetto dei principi della correttezza e della buona fede.

Su tale argomento è intervenuto ancora il Consiglio di Stato, con sentenza  n. 8273 del  12.09.2023.

Qui i giudici hanno rilevato un’ipotesi di responsabilità precontrattuale della stazione appaltante, sempre nel caso in cui l’autorità ha proceduto alla revoca dell’aggiudicazione della gara.

Nello specifico la Sezione ha osservato che le regole di legittimità e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi, l’altro concernente la responsabilità del soggetto pubblico e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte. Peraltro il Collegio ricorda che la responsabilità precontrattuale della p.a. può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi condotta successiva che risulti contraria ai doveri di correttezza e buona fede.

Di conseguenza non viene in rilievo l’attività provvedimentale della medesima p.a. bensì il comportamento complessivamente tenuto dalla stazione appaltante nel corso della gara, di modo che rilevano regole di diritto privato che danno vita a responsabilità civile.
In conclusione i magistrati attribuiscono profili di detta responsabilità, di natura precontrattuale, a carico del comune, per comportamento scorretto nella fase delle trattative.

Infatti, a seguito dell’aggiudicazione provvisoria, il predetto ente locale si è comportato in modo manifestamente superficiale; precisamente, nel non aver lo stesso avvisato l’operatore economico sulle difficoltà nel frattempo createsi, violando, di conseguenza, i canoni di lealtà e di correttezza.

Nel caso in esame, una revoca eseguita correttamente dall’ente locale è stata tuttavia seguita da un comportamento non leale e valido da parte dello stesso Comune.

Quest’ultimo, infatti, non ha avvisato l’operatore economico, come sopra rammentato, dell’esistenza di fondate cause che avrebbero seriamente ostacolato la giusta aggiudicazione dell’appalto.

 

LEGGI LA SENTENZA

 

Pubblicato il 20/03/2024

N. 02696/2024REG.PROV.COLL.

N. 01983/2021 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1983 del 2021, proposto da
-OMISSIS- a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Mandolesi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Rimini, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Bragagni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Bologna, Strada Maggiore 31;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Seconda) n. 761/2020, resa tra le parti,


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Rimini;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2024 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati Mandolesi e Bragagni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

1. La controversia riguarda la revoca della concessione per la gestione e l’uso dell’impianto sportivo (campo da calcio) di Viserba, ubicato in Via Dante di Nanni n. 7, stipulata il 13 agosto 2012, a seguito di determinazione di aggiudicazione 11 luglio 2012 n. -OMISSIS-.

2. -OMISSIS- società sportiva dilettantistica a r.l. (di seguito: “-OMISSIS-”) ha impugnato il provvedimento 23 dicembre 2014, recante la revoca degli atti di gara e della concessione dell’impianto sportivo comunale di Viserba (gestione e uso) e gli atti presupposti, connessi e conseguenti, e in particolare la relazione 25 novembre 2014 e la deliberazione giuntale 25 novembre 2014 n. -OMISSIS-.

3. Il Tar Emilia Romagna – Bologna, con sentenza 25 novembre 2020 n. 761, ha respinto il ricorso.

4. -OMISSIS- ha appellato la sentenza con ricorso n. 1983 del 2021.

5. Nel corso del giudizio di appello si è costituito il Comune di Rimini.

6. All’udienza dell’8 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. In via pregiudiziale il Collegio rileva che l’esito del giudizio esime lo stesso dal valutare le eccezioni di inammissibilità del gravame avverso gli atti presupposti rispetto al provvedimento di revoca, in quanto non oggetto di specifiche censure.

8. Con il primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar ha ritenuto corretto il modus operandi dell’Amministrazione comunale laddove, in luogo dell’istituto del recesso ex art. 21 sexies della legge n. 241 del 1990, ha utilizzato l’istituto della revoca di cui all’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, che “non poteva trovare applicazione nel caso di specie poiché intervenuto nella fase successiva a quella di stipulazione del contratto”, dal momento che per i “contratti ad evidenza pubblica, come nel caso oggetto di odierna impugnazione”, “la pubblica amministrazione non è legittimata a svincolarsi dal rapporto contrattuale, attraverso il semplice esercizio del potere di revoca”.

8.1. Il Collegio osserva quanto segue.

Il rapporto qui controverso fra il Comune di Rimini e -OMISSIS- è qualificabile in termini di concessione.

In data 12 agosto 2012 è stata sottoscritta fra le parti la “Convenzione per la concessione della gestione e dell’uso dell’impianto sportivo comunale per il calcio di Viserba”.

Detto atto presenta un contenuto complesso in quanto contiene non solo la concessione del bene da parte dell’Amministrazione comunale e l’imposizione di obblighi di gestione ma anche la regolamentazione degli aspetti patrimoniali.

Attraverso la concessione il Comune ha accordato al privato una posizione che altrimenti non avrebbe avuto nell’ambito dell’ordinamento, quella di utilizzatore del bene pubblico. -OMISSIS- ha ottenuto prerogative che, in mancanza di detta concessione, sono proprie soltanto del soggetto pubblico, essendo il portato della situazione di riserva sul bene e della posizione di autorità che lo connota, e che comportano un uso esclusivo di quella posizione (tradizionalmente qualificato in termini di uso eccezionale), laddove per uso si intende lo sfruttamento delle utilitas economiche a esso connesse. E infatti “gli impianti sportivi di proprietà comunale (nella specie, piscina comunale) appartengono al patrimonio indisponibile del Comune, ai sensi dell'art. 826, ult. comma, c.c., essendo destinati al soddisfacimento dell'interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive (Cons. St., sez. V, 12 febbraio 2020 n. 1064).

I beni patrimoniali indisponibili, al pari di quelli demaniali, attesa la comune destinazione alla soddisfazione di interessi pubblici, possono essere attribuiti in godimento a privati, quale che sia la terminologia adottata nella convenzione ed ancorché essa presenti elementi privatistici, soltanto nella forma della concessione amministrativa, essendo l’unico strumento che assicura, nel corso del tempo, di rendere effettiva la non sottrazione alla destinazione pubblica (art. 828 comma 2 c.c.): “Lo strumento giuridico utilizzabile per la cessione in godimento di beni appartenenti al patrimonio indisponibile a privati è rappresentato dalla concessione amministrativa e solo se il bene appartiene al patrimonio disponibile la cessione in godimento è riconducibile allo schema della locazione privatistica” (Cons. St., sez. V, 2 febbraio 2021 n. 965). Ciò in quanto l’attribuzione ai privati di beni del patrimonio indisponibile, qualunque sia la terminologia adottata nella convenzione ed ancorché essa abbia connotazioni privatistiche, va ricondotto esclusivamente alla figura della concessione-contratto, atteso che il godimento di beni pubblici, stante la loro destinazione alla diretta realizzazione di interessi pubblici, può essere legittimamente attribuito ad un soggetto diverso dall'ente titolare del bene solo mediante concessione amministrativa (Cons. St., sez. V, 29 ottobre 2020 n. 6638). Peraltro, anche a ritenere che “l'affidamento in via convenzionale di immobili, strutture, impianti, aree e locali pubblici, anche quando appartenenti al patrimonio indisponibile dell'ente, ai sensi dell'art. 826 c.c., purché destinati al soddisfacimento dell'interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive, non è sussumibile nel paradigma della concessione di beni, ma struttura, per l'appunto, una concessione di servizi” (Cons. St., sez. V, 18 agosto 2021, n. 5915), comunque si tratta di rapporto pubblico di tipo concessorio. Non è pertanto necessario, per lo scrutinio del presente motivo, approfondire la tematica della qualificazione del rapporto de quo in termini di concessione di servizi o di bene pubblico, che necessiterebbe di approfondire la rilevanza dei vari obblighi imposti al concessionario, di cui alcuni afferenti alla riqualificazione del bene.

Attraverso la concessione si è instaurato un rapporto di diritto pubblico fra Amministrazione concedente e concessionario: la prima ha una posizione autoritativa e il secondo ha una situazione soggettiva di interesse legittimo.

Nell’ambito della convenzione sottoscritta il 12 agosto 2012 la concessione vera e propria è disciplinata nell’art. 2, dove si individua la determinazione del soggetto pubblico che concede il bene sulla base di una decisione autoritativa, mettendo in luce l’accettazione degli effetti che ne derivano da parte del privato, che non trova causa nella determinazione consensuale del contenuto ma costituisce il portato degli effetti favorevoli che ne derivano, che la parte privata appunto si limita ad accettare (“il concedente concede al gestore, che accetta”).

Nel caso di specie la concessione è stata connotata dal Comune apponendo dei vincoli allo sfruttamento del bene, che hanno reso ancor più evidente il profilo pubblicistico dell’affidamento, il cui scopo è stato individuato nell’esigenza di garantire la gestione alle migliori condizioni possibili, valorizzare e riqualificare gli impianti anche attraverso alcuni interventi di messa a norma e risparmio energetico, incrementare la fruizione da parte dei cittadini e anche da parte dei non residenti (così dal bando di gara).

Tale rapporto si connota anche di profili patrimoniali, che sono regolati nell’ambito della convenzione stipulata fra i due enti (c.d. concessioni-contratto).

La circostanza che i due aspetti siano contenuti nello stesso atto, denominato “concessione”, non fa venir meno i suddetti aspetti, fra loro connessi, e predeterminati dall’Amministrazione.

Invero, anche a valorizzare la presenza di una convenzione che regolamenta il rapporto concessorio nel suo complesso, ciò non comporta la trasformazione del rapporto di diritto pubblico in rapporto paritetico. Invero, il potere che l’Amministrazione ha esercitato nell’affidare la gestione dell’impianto sportivo è comunque potere precettivo, soggetto allo statuto tipico dell’azione amministrativa in quanto non solo è sottoposto al vincolo di scopo della soddisfazione dell’interesse pubblico, ma è anche sottoposto a regole formali e sostanziali (procedimentali, di imparzialità, proporzionalità e buon andamento), che consentono di tenere conto delle plurime situazione coinvolte dall’esercizio del potere (non solo di quelle di cui è titolare il destinatario dell’atto).

Non fa venir meno la connotazione pubblicistica del rapporto concessorio la circostanza che l’instaurazione del rapporto sia stata preceduta da una procedura a evidenza pubblica.

L’evidenza pubblica, infatti, è una categoria procedimentale, che dal punto di vista sostanziale può essere applicata a contratti diversi, ordinari, speciali e a oggetto pubblico.

La qualificazione dell’accordo non dipende dal tipo di procedura svolta (anche se la tipologia di convenzione stipulanda influenza la disciplina procedurale applicabile). E’ a dire che lo svolgimento di una procedura a evidenza pubblica non qualifica di per sé l’accordo siglato in termini di “contratto a evidenza pubblica”.

Ciò è tanto più vero se si considera che l’aspetto procedimentale, e l’imposizione di regole che garantiscano concorrenza fra gli aspiranti, trova il proprio ancoraggio, nell’ambito dell’ordinamento italiano, nel principio di uguaglianza e di libertà economica e, nell’ambito del diritto UE, nei principi del mercato comune e di libera prestazione dei servizi, oltre che nelle direttive di settore (dir. 89/440/CEE, direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, attuate con il d. lgs. n. 163 del 2006, applicabili ratione temporis, e direttive n. 2014/23, 2014/24 e 2014/25/UE, attuate con il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50).

In tale contesto l’oggetto specifico della disciplina UE è la fase della gara, e quindi la procedura a evidenza pubblica, mentre il contratto che si va a stipulare non viene regolamentato dal diritto eurounitario se non per alcune norme di esecuzione, volte principalmente a declinare in maniera uniforme il rapporto esecutivo nell’ambito degli Stati membri, spesso declinazione di tipiche facoltà civilistiche.

Pertanto, indipendentemente dalla procedura svolta per scegliere il contraente, è la natura del contratto a determinare il regime delle cause estintive del rapporto una volta stipulato il contratto.

E nel caso in esame il rapporto che si è instaurato fra Comune di Rimini e -OMISSIS-, anche se è stato preceduto da una procedura a evidenza pubblica, è un rapporto concessorio di diritto pubblico, nel quale si confrontano una posizione di autorità e una (connessa) situazione di interesse legittimo.

Sicché resta consentita, anche in costanza di rapporto esecutivo, la revoca in quanto espressione del potere autoritativo.

Mentre infatti nel caso in cui la stipula del contratto dia luogo a un rapporto giuridico paritetico fra parte pubblica e parte privata, titolari quindi di (reciproche) situazioni giuridiche di diritti soggettivi e di obblighi giuridici, successive sopravvenienze debbono essere gestite (fatte salve le specifiche previsioni di legge, che comunque non sono idonee a mutare un rapporto che rimane privatistico) attraverso l’esercizio del potere di recesso, previsto in generale dall’art. 21 sexies della legge n. 241 del 1990, e in termini più specifici dal codice dei contratti pubblici, non avviene così nel caso in cui la stipulazione del contratto non modifica la qualificazione del rapporto, che continua, anche dopo il perfezionamento del negozio, la qualificazione di rapporto di diritto pubblico.

La concessione, dal punto di vista dell’ordinamento italiano, non esaurisce la sua funzione pubblica nel momento in cui, attraverso il provvedimento amministrativo, a seguito di una procedura, viene individuato il concessionario e affidato al medesimo il servizio. Essa, piuttosto, affondando le proprie radici in una riserva di amministrazione (quindi in un settore di interesse pubblico), è tesa alla regolamentazione e al controllo dell’esercizio della prerogativa concessa. La sua missione pubblicistica è proprio quella di garantire l’implementazione di quella prerogativa e, nel caso di concessione di bene pubblico, lo sfruttamento del bene nel senso delineato dalla concessione.

In tale contesto trova ragion d’essere l’impostazione che ammette la revoca della concessione e della convenzione accessiva in costanza di rapporto esecutivo, “restando consentita la revoca di atti amministrativi incidenti sui rapporti negoziali originati dagli ulteriori e diversi contratti stipulati dall’amministrazione, di appalto di servizi e forniture, relativi alle concessioni contratto (sia per le convenzioni accessive alle concessioni amministrative che per le concessioni di servizi e di lavori pubblici), nonché in riferimento ai contratti attivi” (Cons. St., ad. plen., 20 giugno 2014 n. 14).

Né depone in senso contrario la previsione della l.r. n. 11 del 2007, in base alla quale “l’individuazione dei soggetti affidatari del servizio di gestione degli impianti sportivi avviene nel rispetto delle procedure di evidenza pubblica” (art. 3) e “gli enti locali proprietari degli impianti stipulano con il soggetto affidatario una convenzione per la gestione dell’impianto sportivo”, che stabilisce “i criteri d’uso dell’impianto, le condizioni giuridiche ed economiche della gestione nel rispetto delle finalità e dei criteri contenuti nella presente legge”.

L’imposizione dello svolgimento della procedura a evidenza pubblica si spiega infatti in ragione della disciplina dei contratti pubblici ratione temporis vigente, che non prevedeva tale obbligo procedurale in caso di concessioni di servizi o contratti attivi di beni (a seconda di come si qualifica la concessione de quo), ma non determina conseguenze in punto di qualificazione del rapporto, considerato anche che la stessa legge, nel disciplinare il contenuto del contratto, implementa aspetti prettamente pubblicistici del rapporto, funzionali “alla massima fruibilità” degli impianti (art. 1).

E ciò non in quanto:

- se trattasi di concessione di servizi è esclusa l’applicazione delle disposizioni del d. lgs. n. 163 del 2006, applicandosi solo i principi (art. 30);

- se trattasi di concessione di beni non rientra nell’ambito di applicazione delineato dall’art. 1 del d. lgs. n. 163 del 2006 (“Il presente codice disciplina i contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori, aventi per oggetto l'acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere”), con le relative conseguenze in punto di applicazione dei principi di cui al successivo art. 27.

Pertanto la l.r. ha ritenuto di imporre un vincolo procedurale specifico, non facendo venir meno la natura concessoria dell’affidamento.

In ragione di quanto sopra pertanto, e quindi del fatto che il rapporto che si è instaurato fra Comune di Rimini e -OMISSIS- è un rapporto concessorio anche se è stato preceduto da una procedura a evidenza pubblica, l’Amministrazione aveva il potere di revocare la concessione-contratto, così come sostenuto dalla stessa parte appellante.

Viene quindi meno l’assunto speso da -OMISSIS- per dedurre l’illegittimità della revoca impugnata.

8.3. Il motivo è quindi infondato.

9. Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar ha ritenuto che “l’ente pubblico può addivenire alla revoca anche quando vi sia una diversa valutazione dell’interesse pubblico originario”.

Il Comune era, secondo l’appellante, a conoscenza degli “attriti e delle irrimediabili spaccature” che avrebbero impedito il raggiungimento degli obiettivi che il Comune di Rimini si era prefissato con l’affidamento già al tempo della stipulazione del contratto, così come del fatto che le criticità hanno trovato causa nell’aggressività “messa in campo dai precedenti gestori che, non accettando il risultato del bando, hanno intrapreso ogni possibile azione volta a screditare l’immagine e la condotta della ricorrente” e nella condotta del Comune.

9.1. Si premette che lo scrutinio di legittimità del provvedimento amministrativo prescinde dal profilo soggettivo, non potendosi quindi attribuire rilievo alla prospettazione di rimproverabilità della condotta tenuta dai competitors e dal Comune.

Il canone di lealtà e correttezza non costituisce infatti parametro che può venire in aiuto nel giudizio di legittimità, rilevando piuttosto rispetto al riconoscimento delle forme di responsabilità disciplinate dall’ordinamento vigente.

Nell’ambito dell’azione di annullamento il profilo della (non) colpevolezza rileva solo con riferimento ai provvedimenti di esercizio dell’autotutela, in quanto deve essere considerato l’affidamento incolpevole del destinatario (nel caso di revoca, peraltro, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo), ma non al fine di individuare la sussistenza dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto ma solo al fine del bilanciamento delle posizioni coinvolte dall’esercizio del potere di autotutela.

La revoca non costituisce un provvedimento avente finalità afflittive ma rappresenta lo strumento di ripristino della continuità dell’azione amministrativa funzionalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico, nel senso che l’Amministrazione deve assicurare il fine pubblico non solo quando adotta il provvedimento ma anche nel corso del tempo. E infatti presupposti della revoca sono i “sopravvenuti motivi di pubblico interesse”, il “mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento” e, “salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, la nuova valutazione dell'interesse pubblico originario” (art. 21 quinquies legge n. 241 del 1990).

La revoca è disposta quindi in ragione della sussistenza di un interesse pubblico alla rimozione dell’atto desumibile da dati oggettivi e prescinde dalla circostanza che sia, o meno, rimproverabile la condotta del concessionario, o delle altre parti coinvolte nell’operazione amministrativa, basandosi piuttosto sulla rispondenza degli effetti prodotti nel corso del tempo dal provvedimento all’interesse pubblico perseguito.

9.2. Nel caso di specie la revoca trova causa nel fatto che la situazione di fatto si è evoluta in senso contrario all’interesse pubblico perseguito, individuabile nella massima fruibilità dell’impianto, nella valorizzazione delle realtà locali e nell’esigenza di qualificare l’impianto sportivo.

Il qui impugnato provvedimento 23 dicembre 2014, di revoca della concessione, è motivato, per quanto di interesse in questa sede, in ragione del fatto che:

- la l.r. n. 11/2007 afferma che l’uso degli impianti sportivi deve improntarsi alla massima fruibilità di cittadini, associazioni e società sportive, ed essere garantito a tutti gli enti che praticano l’attività (funzione sociale della gestione);

- il regolamento comunale, in coerenza, individua la prioritaria e stabile destinazione alla promozione e pratica dell’attività sportiva, motoria e ricreativa a tutti i livelli, allo stimolo dell’aggregazione e della solidarietà sociale;

- lo scopo perseguito dal Comune con l’affidamento a terzi è quello di garantire la gestione alle migliori condizioni possibili, valorizzare e riqualificare gli impianti anche attraverso alcuni interventi di messa a norma e risparmio energetico, incrementare la fruizione dei cittadini e anche dei non residenti;

- nei primi 2 anni si sono verificati problemi gestionali e organizzativi che hanno impedito di raggiungere gli obiettivi, causati dai rapporti conflittuali insorti tra la ricorrente e gli utenti della struttura;

- si è registrata una significativa riduzione di utenti e un forte ridimensionamento delle attività svolte (con diminuzione da 37,5 ore medie settimanali di utilizzo nell’anno sportivo 2011/2012, a 14,5 nel 2013/2014 e a 13 nel 2014/2015 (oltre alla chiusura per l’intero 2012/2013);

- la riduzione dell’utilizzo ha provocato un’alterazione dell’equilibrio del sinallagma negoziale a svantaggio del Comune: il corrispettivo pattuito e corrisposto dall’Amministrazione è stato quantificato utilizzando come base di calcolo i consumi per le utenze rilevati nella precedente gestione in relazione alle ore di utilizzo medio dell’impianto sportivo ed è rimasto invariato al crescente diminuire dei costi gestionali da parte del concessionario, con la pattuita rivalutazione annuale del 2,5%, a vantaggio del concessionario (così la relazione 25 novembre 2014);

- non si sono verificate le condizioni di favore e di valorizzazione del territorio delle società che operano da anni opera nel settore sportivo e senza finalità di lucro, posto che la società “storica” Viserba Calcio è stata vittima di azioni di disturbo prima di essere estromessa dall’uso dell’impianto;

- la costituzione di una nuova scuola calcio formata dai soci dell’appellante (oggi denominata -OMISSIS-) ha determinato un conflitto di interesse e una potenziale lesione dello scopo di garantire l’apertura imparziale dell’impianto a favore di tutti i soggetti interessati;

- costituisce un dato oggettivo la conflittualità tra il nuovo gestore e le altre utilizzatrici, manifestatasi e aggravatasi anche presso altre località, con le società locali “storiche” che hanno intrapreso azioni civili e penali nei confronti dell’appellante;

- i vincoli del patto di stabilità si sono allentati, e il Comune è ora in grado di investire sui campi di gioco e di attivarsi in autonomia.

Le circostanze richiamate dal Comune attengono quindi all’evoluzione della situazione di fatto nel corso del rapporto concessorio.

Detta situazione di fatto va valutata non solo rispetto alla situazione sussistente al momento dell’affidamento della gestione dell’impianto sportivo ma anche all’evoluzione attesa in base alla concessione.

Infatti il connubio che, a seguito della concessione, si instaura fra soggetto pubblico e privato è tale da coinvolgere quest’ultimo nel programma pubblico facendolo partecipe della posizione pubblica che lo connota, tanto è vero che, in base all’impostazione eurounitaria, assume il rischio operativo dell’operazione amministrativa (che controbilancia la posizione particolare che esso assume in seguito all’ottenimento della stessa).

Nel caso della concessione, pertanto, il mutamento della situazione di fatto deve apprezzarsi in relazione non solo allo status quo ante ma anche alla situazione attesa, alla quale è funzionale proprio l’utilizzo dell’istituto della concessione.

A fronte delle circostanze addotte dal Comune per giustificare la revoca qui gravata risultano recessive le vicende dedotte dall’appellante.

In particolare, l’asserito rispetto delle regole e l’atteggiamento collaborativo nei confronti delle società sportive utilizzatrici della struttura da parte di -OMISSIS-, da un lato, e il fatto che la società oggi appellante “non ha mai voluto, né potuto negare alcun diritto alle varie società utilizzatrici” e che anzi il Comune ha conquistato “il diritto-potere di assegnare tutte le ore disponibili sugli impianti sportivi”, dall’altro lato, non fanno venir meno la mancata realizzazione degli scopi perseguiti dal Comune.

La circostanza che la conflittualità fra le società sportive non sia (in tesi) ascrivibile a -OMISSIS-, i cui soci hanno comunque costituito una società, la -OMISSIS-, che svolge un’attività analoga a quella svolta dalle società sportive della zona, competendo con queste nella fruizione del campo (concesso alla società -OMISSIS-, avente cointeressenze partecipative), non fa venir meno il dato del mancato raggiungimento degli scopi dell’affidamento all’esterno.

A fronte della volontà di incrementare le attività amatoriali e agonistiche attraverso l’affidamento dell’impianto all’esterno, le stesse non sarebbero invece state incrementate, essendosi piuttosto ridotte.

Quest’ultima circostanza, della riduzione, non del mancato incremento, è contestata dall’appellante sulla base dei documenti da 44 a 52 depositati in primo grado, che danno però conto del calendario e non contengono quindi dati a consuntivo, direttamente confrontabili con i dati contenuti nella relazione comunale 25 novembre 2014, rappresentativi della riduzione avvenuta.

La relazione comunale rappresenta in particolare dati di riduzione dell’utilizzo degli impianti, scesi, nonostante la pluralità di utilizzo rivendicata dall’appellante, da 37,5 ore settimanali (nell’anno sportivo 2011/12) a 14,5 (nel 2013/14) e a 13 (nel 2014/15).

La circostanza che la fruizione non sia aumentata, anzi sia diminuita, rileva di per sé, nonostante il meccanismo di prenotazione delle ore di fruizione e la rinuncia di -OMISSIS- agli spazi riservati alla società nell’anno 2012/2013.

In tale contesto risultano recessive la temporanea chiusura dell’impianto sportivo e le presunte disparità di trattamento dei bambini, alcuni dei quali “si allenavano sulla sabbia polverosa”. Quanto invece alle irregolarità edilizie, il concessionario ha preso in consegna la struttura “nello stato di fatto e di diritto in cui attualmente si trova”, avendo già effettuato un accesso agli atti il 14 maggio 2012 (doc. 14) chiedendo copia della perizia del tecnico competente e prendendo quindi cognizione della situazione dei luoghi prima di partecipare alla gara.

La mancata implementazione nell’utilizzo dell’impianto infatti ha tradito lo scopo dell’affidamento all’esterno della gestione degli impianti sportivi è, per la l.r. n. 11 del 2007, la “massima fruibilità” degli stessi (art. 1 comma 3), e, in base alla procedura terminata con la concessione 12 agosto 2012, l’incremento della fruizione da parte dei cittadini e anche da parte dei non residenti. Il regolamento comunale, in coerenza, individua quali scopi della gestione degli impianti sportivi la prioritaria e stabile destinazione alla promozione e pratica dell’attività sportiva, motoria e ricreativa a tutti i livelli, allo stimolo dell’aggregazione e della solidarietà sociale

D’altro canto la conflittualità con le società sportive che agiscono sul territorio, indipendentemente dal soggetto al quale è imputabile detta conflittualità, tradisce l’esigenza, di cui è portavoce la stessa l.r. n. 11 del 2007, di valorizzare “la cultura dell'associazionismo sportivo espressione del territorio e che da anni opera nel settore sportivo e senza finalità di lucro” (art. 1 comma 4).

Pertanto, la situazione di fatto si è evoluta in modo da ostacolare il perseguimento dell’interesse pubblico sotteso all’affidamento e ciò è tanto più evidente se si considera lo scopo della concessione (garantire la gestione nelle migliori condizioni possibili, valorizzare e riqualificare gli impianti attraverso interventi di potenziamento, incrementare la fruibilità degli utenti residenti e non, non sono stati realizzati) e il fatto che il concessionario assume il rischio dell’implementazione del programma pubblico alla base della concessione.

E infatti il provvedimento di revoca gravato rappresenta come il Comune abbia dovuto “constatare”, in ragione delle circostanze di fatto illustrate, che “il rapporto concessorio non appare più rispondente all’effettivo perseguimento degli interessi pubblici connessi alla gestione e alla fruizione collettiva degli impianti sportivi”.

A fronte di quanto sopra non può ritenersi quindi che la situazione di fatto non sia mutata: se è pur vero che il Comune, in seguito agli esiti della gara e all’avvenuto affidamento a -OMISSIS- degli impianti ha avuto evidenza della contrarietà delle società sportive della zona, ciò non comporta che avrebbe potuto prevedere l’evoluzione della situazione.

Considerato poi che una delle ragioni alla base della decisione presa nel 2012 di affidare all’esterno l’impianto è rappresentata dal fatto che la soluzione alternativa, cioè la gestione diretta dello stesso, avrebbe comportato un rilevante impegno economico e problemi rispetto ai vincoli derivanti dal patto di stabilità, la circostanza che il sinallagma fra le prestazioni si sia alterato a svantaggio del Comune e che i vincoli derivanti dal patto di stabilità si siano allentati ha reso possibile una soluzione, quella della gestione diretta, idonea, nella prospettazione comunale, a superare i profili di criticità e di conflittualità che hanno caratterizzato l’uso dell’impianto concesso.

Invero, indipendentemente dalle condotte che hanno ingenerato la situazione che ha determinato le criticità evidenziate, la circostanza che l’impegno diretto del Comune, divenuto possibile anche dal punto di vista economico e contabile, possa rappresentare un elemento risolutivo di una situazione di fatto che si è evoluta in senso peggiorativo, delinea i presupposti per il ritiro dell’atto.

A fronte della sussistenza di una situazione (concessoria) che non assicura il perseguimento dell’interesse pubblico (indipendentemente dal soggetto che ne porta la colpa) non è quindi censurabile il provvedimento gravato, funzionale ad assicurare lo stesso.

9.3. Il motivo è quindi infondato.

10. In conclusione l’appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata e della reiezione del ricorso introduttivo e delle domande ivi contenute (demolitoria, risarcitoria e di determinazione e condanna al pagamento dell’indennizzo).

La peculiarità e la novità della vicenda nel suo insieme giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), lo respinge, confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Spese del presente grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere, Estensore

Elena Quadri, Consigliere

Marina Perrelli, Consigliere


[1]  Articolo 177” Contratto di concessione e traslazione del rischio operativo” del d.lgs.36/2023.

 

[2] Articolo 123 “Recesso” del d.lgs. 36/2023.