il punto della situazione

Introduzione; Incentivi e disincentivi dell’in house nella legislazione recente; I criteri di scelta del modello di gestione dei servizi pubblici locali; La probatio diabolica dell’affidamento in house e il principio di inefficienza; La certezza della procedura ad evidenza pubblica

Introduzione

Fin dalla nascita dell’istituto in sede europea[1], l’in house providing (anche conosciuto con il termine autoproduzione) è stato oggetto di contrasti e tensioni se analizzato nella prospettiva dei principi pro-concorrenziali che la stessa normativa sovranazionale da sempre incentiva e, talvolta, perfino impone. Come osservato dalla dottrina, infatti, proprio dall’Unione Europea derivano sia gli incentivi che i disincentivi del ricorso all’autoproduzione[2].

La stessa natura della società in house, per certi versi indistinguibile dal soggetto pubblico che ne è socio[3], è contraddetta dalla forma giuridica privatistica con cui si presenta e dalle funzioni da essa svolte.[4]

Tali presupposti, quindi, non avrebbero potuto non implicare delle conseguenze anche sul piano normativo che, secondo un movimento pendolare, da un lato permette l’affidamento in house, dall’altro lo limita.

Tuttavia, le conseguenze non si limitano al piano normativo bensì si estendono al piano pratico e operativo. Ad esempio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito “AGCM”) ha pubblicato la decisione del 9 Novembre 2023[5] relativa all’affidamento in house del trasporto pubblico locale nella città di Roma Capitale, evidenziando i profili critici che caratterizzano le sempre maggiori difficoltà circa le motivazioni che dovrebbero accompagnare tale modalità di affidamento.

 

Incentivi e disincentivi dell’in house nella legislazione recente

A testimonianza di quanto sopra accennato, si possono citare i due interventi legislativi di diritto amministrativo maggiormente rilevanti, nel recente periodo, in materia di servizi pubblici locali e di affidamento e gestione dei contratti pubblici.

In virtù della Legge delega 5 agosto 2022, n. 118, è stato adottato il D.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, recante il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali (di seguito il “D.lgs. n. 201/2022” o “Decreto di Riordino”). Di poco successiva, sebbene ampiamente annunciata, è l’adozione del D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (il “D.lgs. n. 36/2023” o il “Nuovo Codice dei Contratti Pubblici”).

La normativa citata è evidentemente destinata ad applicarsi in diversi settori e momenti dell’attività amministrativa. Tuttavia, molteplici sono i punti di contatto, fra cui, ad esempio, la scelta della modalità di affidamento e gestione del servizio pubblico locale. A tal riguardo, l’articolo 14 del D.lgs. n. 201/2022 prevede le tre seguenti modalità di gestione:

  1. l’affidamento a terzi mediante procedura ad evidenza pubblica secondo la disciplina dei contratti pubblici;
  2. l’affidamento a società mista, nel rispetto della disciplina del D.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (il “Testo Unico delle Società Partecipate” o “Decreto Madia”); e
  3. l’affidamento a società in house, nei limiti e nelle modalità di cui al Decreto Madia.

A ben vedere, tale modalità di affidamento è posta già in partenza su un gradino inferiore rispetto alle altre di cui sopra, dovendosi rispettare i requisiti previsti dal Decreto Madia ai fini della qualificazione in house. L’articolo 16 del menzionato Decreto Madia prevede, infatti: (a) il requisito del controllo analogo; (b) l’assenza di capitale privato[6] (ad eccezione delle ipotesi prescritte dalla legge e che non comportino un controllo o un potere di veto in capo al privato stesso); (c) lo svolgimento di attività in favore degli enti pubblici soci per un ammontare pari almeno all’80% del fatturato[7].

Precisato quanto sopra, anche il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici si preoccupa di disciplinare l’affidamento in house attraverso l’articolo 7 (Principio di auto-organizzazione amministrativa). In primo luogo, il comma 1 stabilisce il principio secondo il quale “le pubbliche amministrazioni organizzano autonomamente l’esecuzione di lavori o la prestazione di beni e servizi attraverso l’auto-produzione, l’esternalizzazione e la cooperazione nel rispetto della disciplina del codice e del diritto dell’Unione europea”. In secondo luogo, il comma 3 rinvia al Decreto di Riordino per l’affidamento in house di servizi di interesse economico generale (i cd. “SIEG”).

Si potrebbe, pertanto, ritenere che i due testi normativi siano complementari e in armonia fra loro in quanto, sul piano generale, il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici stabilisce le regole per l’affidamento di lavori, servizi e forniture anche mediante società in house. Sul piano particolare, il Decreto di Riordino regola le modalità di affidamento di servizi pubblici locali.

Tale apparente complementarità e armonia sembra tuttavia essere smentita a fronte dell’analisi sistematica che può essere ricavata dal D.lgs. n. 201/2022, il quale tratteggia un vero e proprio percorso ad ostacoli per l’affidamento in house, in contraddizione con il principio di auto-organizzazione riconosciuto dal diritto europeo[8] e positivizzato dalla normativa nazionale in materia di appalti[9].

Alla luce di ciò, la tensione in tema di affidamenti in house che si avverte sul piano europeo risulta confermata a livello nazionale, considerando, appunto, che da un lato il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici sembra davvero dare forma al principio di auto-organizzazione, mentre dall’altro il Decreto di Riordino disincentiva fortemente gli affidamenti in autoproduzione[10].

 

I criteri di scelta del modello di gestione dei servizi pubblici locali

La scelta del modello di gestione rappresenta lo step ulteriore che gli enti locali devono porre in essere una volta individuato il servizio di interesse economico generale. Infatti, sotto questo punto di vista, il D.lgs. n. 201/2022 ha ampliato il margine di manovra degli enti locali circa l’individuazione dei SIEG. A tal riguardo, l’articolo 10, comma 3, della disciplina in parola ha previsto che “gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, possono istituire servizi di interesse economico generale di livello locale diversi da quelli già previsti dalla legge, che ritengono necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali”. Successivamente all’individuazione di tale SIEG, dovrà essere adottata la scelta organizzativa e gestionale del servizio.

Il D.lgs. n. 201/2022 riconosce, come sopra stabilito, tre forme di gestione dei servizi pubblici locali[11], poste astrattamente sullo stesso livello gerarchico. Tale scelta in realtà rileva solamente sul piano organizzativo, rimanendo in capo all’ente la titolarità e la responsabilità della gestione, a prescindere dalla strada intrapresa[12].

L’articolo 14, comma 2, del Decreto di Riordino prevede un minimo comun denominatore di requisiti che devono essere rispettati al fine di motivare correttamente la scelta sottesa alla modalità gestionale. In particolare, si segnalano, inter alia:

  1. l’analisi delle caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare;
  2. la situazione delle finanze pubbliche, nonché dei costi per l’ente locale e per gli utenti;
  3. l’analisi dei risultati che si avrebbero nel caso in cui si ricorresse a forme alternative di gestione;
  4. l’esame della precedente gestione del medesimo servizio sotto il profilo degli effetti sulla finanza pubblica, della qualità del servizio offerto, dei costi per l’ente locale e per gli utenti e degli investimenti effettuati[13].

Tuttavia, l’iniziativa privata viene nettamente preferita[14] se si considera che, alle motivazioni e analisi sopra esposte, si aggiungono quelle dettate dall’articolo 17 (Affidamenti a società in house). A conferma di quanto precede, si può menzionare la Legge annuale per il mercato e la concorrenza del 5 agosto 2022, n. 118 (i.e., la legge delega che ha portato all’adozione del Decreto di Riordino) che ha specificato l’esigenza di fornire una motivazione analitica ove la scelta gestionale propenda per l’autoproduzione del servizio pubblico locale, al punto da poter definire il modello dell’affidamento in house quale extrema ratio dell’intervento pubblico sul mercato dei servizi pubblici locali di rilevanza economica[15].

Infatti, fermo restando il rispetto della normativa prevista dal Decreto Madia, l’articolo 17, comma 2, del Decreto di Riordino stabilisce che, laddove l’affidamento del SIEG sia di importo superiore alle soglie di rilevanza europea previste dalla normativa di cui al D.lgs. n. 36/2023[16], si dovrà fornire la qualificata motivazione che dia conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato al fine di una efficiente gestione del servizio, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta[17].

La motivazione dell’amministrazione che intende affidare il servizio dovrà quindi tenere conto del duplice dato normativo. Ciò non implica che l’amministrazione debba svolgere una verifica di doppio livello, bensì che dovrà individuare i parametri per la definizione di una gestione efficiente del servizio al fine di verificare se, attraverso l’affidamento in house, tali parametri di efficienza siano raggiungibili in alternativa ad una scelta rispettosa delle regole concorrenziali e di mercato[18].

Tale analisi, tuttavia, si porrebbe in contraddizione con il ragionamento elaborato a monte dal Legislatore, nella parte in cui il modello dell’in house providing emerge come extrema ratio e come modello perseguibile solo a fronte di un fallimento del mercato[19] che non è in grado di soddisfare il bisogno della collettività mediante l’erogazione di uno specifico servizio. La motivazione del modello di autoproduzione, secondo la logica del Legislatore, non dovrebbe, pertanto, insistere sul concetto di maggiore efficienza e convenienza rispetto al mercato quanto piuttosto sul fatto che un mercato capace di offrire quel servizio non viene rinvenuto.

L’impianto normativo fin qui delineato, infatti, consente astrattamente all’amministrazione di scegliere fra l’in house providing e il ricorso al mercato, come se le due scelte si ponessero su un rapporto di alternatività. Contrariamente, nel disciplinare i requisiti offerti per l’autoproduzione, si potrebbe ritenere che il rapporto sia invece di esclusività, nel senso che la presenza di un mercato rende difficile la motivazione per l’affidamento a società in house al punto da escluderlo quasi in via aprioristica.

Il ragionamento sopra esposto, invece, non si applicherebbe agli affidamenti sotto soglia che, pertanto, sarebbero unicamente soggetti all’impianto motivazionale di cui all’articolo 14, comma 2 del Decreto di Riordino, in modo del tutto equivalente agli operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica ovvero mediante gara a doppio oggetto[20]. Ciò poiché, è lo stesso articolo 17, comma 2 del Decreto di Riordino a prevedere che tale norma si applica “nel caso di affidamenti in house di importo superiore alle soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici”.

 

La probatio diabolica dell’affidamento in house e il principio di inefficienza

Il mancato ricorso al mercato e i benefici per la collettività non rappresentano gli unici elementi che ostacolano l’amministrazione verso la scelta del modello gestionale in house. Infatti, ai suddetti si aggiungono:

  1. la relazione rispetto ai risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house. Tale onere, in verità, risulta più che logico considerando che vi sono soggetti pubblici capaci di sostenere in modo adeguato la gestione, diretta o indiretta, di una società in house. Altri, invece, non risultano altrettanto diligenti e virtuosi. E proprio tale obbligo motivazionale ulteriore potrebbe rappresentare un rilevante fattore (o anche un pregiudizio) al fine di individuare quegli affidamenti “patologici” che invece andrebbero evitati;
  2. l’obbligo di “standstill” (mutuando la terminologia della contrattualistica pubblica). Il contratto di servizio, infatti, potrà essere stipulato una volta decorso il termine di 60 giorni dalla pubblicazione della deliberazione di affidamento sul sito dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC); e
  3. l’allegazione di un piano economico finanziario (“PEF”) asseverato. Nello specifico, il PEF dovrà contenere la proiezione, su base triennale e comunque per l’intero periodo di durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti, dei finanziamenti e, in buona sostanza, di come la gestione del servizio sarà sostenuta economicamente da parte dell’amministrazione affidante.

Quanto sopra potrebbe disincentivare ancor di più l’amministrazione a escludere la possibilità di percorrere la strada dell’in house providing, nonostante questo possa potenzialmente essere, nel caso concreto, maggiormente conveniente ed efficiente rispetto alla procedura concorsuale. Non è un caso che l’articolo 7, comma 2 del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici ancori l’affidamento in house ai principi dello stesso, fra cui il principio del risultato, ammettendo implicitamente, quindi, che tale scelta possa essere potenzialmente efficace sotto il profilo del perseguimento del risultato.

I punto di forza di entrambe le opzioni citate sono infatti dichiarati dalla stessa giurisprudenza. Sul punto, il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza del 23 febbraio 2021, n. 1596, ha correttamente delineato i vantaggi e gli svantaggi sia delle procedure concorsuali che dell’in house providing.

Ad esempio, quest’ultimo modello riserva in capo all’ente comunale maggiore controllo rispetto alle decisioni strategiche e alla gestione del servizio, nonché flessibilità dell’organizzazione delle attività rispetto alle previsioni contrattuali, insite nel rapporto organico che intercorre tra amministrazione e società in house. Tale controllo rappresenta un elemento da non sottovalutare affatto, soprattutto considerando alcuni aspetti delicati che si presentano nel corso della gestione di un servizio pubblico locale, come i sistemi tariffari a carico degli utenti, nonché il rischio che dalla gestione privata possano generarsi degli extraprofitti a scapito di una più efficiente gestione del servizio.

Inoltre, la gestione in house eviterebbe potenziali contenziosi che, invece, potrebbero sorgere nell’ambito del rapporto pubblico-privato[21]. Tuttavia, non mancano le criticità quali i maggiori vincoli negli investimenti da effettuare[22], l’assenza di competizione sul prezzo che vi sarebbe stata, invece, qualora fosse stata esperita una gara, nonché l’impossibilità di applicare penali nel caso in cui la società controllata sia inadempiente rispetto agli obblighi di servizio.

Dall’altro lato, l’affidamento ad un operatore economico terzo consentirebbe di evitare le criticità di cui sopra e, altresì, di avvalersi del know how, della professionalità nonché del maggior rischio del privato.

Altro effetto patologico dell’eccessiva stratificazione motivazionale in capo all’ente che intende affidare il servizio ad una società che costituisce la propria longa manus è caratterizzato dal fatto che, al fine di motivare tale scelta, l’amministrazione dovrebbe servirsi di tecnici e consulenti (giuridici ma anche contabili[23]) che costituirebbero un’altra fonte di spesa per il soggetto pubblico.

Quanto precede sembra confermato dalla giurisprudenza contabile che ha ritenuto che sarebbe necessario “al fine di ottemperare all’obbligo di motivazione analitica, fornire una puntuale analisi dei punti di forza e di debolezza della scelta di tale modello gestionale rispetto alle alternative contemplate dalla legge (affidamento in house e affidamento a terzi mediante procedura ad evidenza pubblica), soprattutto sul crinale economico finanziario[24].

Le limitazioni motivazionali di cui sopra potrebbero causare, quindi, un disincentivo generalizzato dell’affidamento in house, anche ove questo si ponga come scelta preferibile al ricorso al mercato.

La certezza della procedura ad evidenza pubblica

La nascita dell’in house providing a livello europeo, dapprima vista come eccezione rispetto al mercato e ora, sulla base di una maggiore neutralità rispetto a tale scelta, astrattamente equivalente alla procedura ad evidenza pubblica, non sembra tuttavia aver attecchito sulla prospettiva prevista del Legislatore.

Tale neutralità, infatti, si presenta ad oggi ancorata a disposizioni di mero principio. Se, infatti, anche il Decreto di Riordino sancisce il principio di auto-organizzazione dell’amministrazione pubblica[25], lo stesso quadro normativo in parola stabilisce limiti e regole fortemente disincentivanti nei confronti della scelta gestionale tramite società in house.

Si potrebbe contestare che, come sottolineato da una parte della dottrina, tali limitazioni non siano tanto volte a limitare gli affidamenti in house, quanto piuttosto a responsabilizzare gli enti rispetto a questi affidamenti, permettendone soltanto quelli virtuosi[26].

La lettura appena esposta, tuttavia, si porrebbe in contrasto con i principi e le regole codificate dallo stesso Decreto di Riordino, ove prevede che l’istituzione e l’individuazione di un SIEG sia successiva ad una istruttoria che abbia accertato una soddisfacente o insoddisfacente libera iniziativa di mercato. Non a caso, viene previsto che “ai fini del soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali, gli enti locali favoriscono, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale, l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, e delle imprese, anche con apposite agevolazioni e semplificazioni” (art. 10, comma 2).

I principi di concorrenza e di libera iniziativa economica privata risultano, quindi, ancora una volta prevalere, anche a fronte di un modello gestionale in house efficiente. A questi principi, poi, si aggiunge quello di proporzionalità inteso come individuazione delle scelte meno restrittive della concorrenza[27].

Così, anche nella prassi, la concorrenza è sempre più vista come perno di scelta delle amministrazioni affidanti. Ad esempio, nel caso dell’affidamento in house del trasporto pubblico locale per la città di Roma Capitale, l’AGCM ha auspicato che si “valuti la possibilità di una iniziale e quantomeno graduale apertura alla concorrenza del mercato del trasporto pubblico locale non periferico, per esempio attraverso una divisione in lotti opportunamente individuati”. L’auspicio, tuttavia, è stato seguito dalla delibera con cui l’AGCM ha disposto la volontà di ricorrere al TAR al fine di consentire un più ampio sindacato circa le modalità motivazionali e gestionali dell’amministrazione affidante (i.e., Roma Capitale).

Di contro, il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici appare maggiormente incentrato sul principio di auto-organizzazione e, rispetto alla precedente normativa di cui al D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, traspare una maggiore indulgenza ed elasticità nei confronti di tale istituto[28].

Contrapposizioni e tensioni, incentivi e disincentivi persistono ad orbitare, in definitiva, attorno all’istituto dell’in house providing, spesso destinatario di normative non totalmente in armonia fra di loro e che non offrono una chiave di lettura chiara per il celere esperimento dell’azione amministrativa. Se ne ricava, quindi, che anche nell’ambito della gestione dei servizi pubblici locali, la scelta più indicata (o meglio, più difficilmente sindacabile) coincida con l’indizione di una procedura ad evidenza pubblica.


[1] Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 18 novembre 1999, causa C-178/1998 (cd. Sentenza Teckal).

[2] Cfr. Ambiguità e vicende degli affidamenti in house, di B.G. Mattarella, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, fasc. 4/2023, p. 1285.

[3] Copiosa è la giurisprudenza che qualifica l’ente in house come longa manus della pubblica amministrazione (fra cui, Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza del 27 agosto 2021, n. 6062; TAR Veneto, Sez. I, sentenza del 7 dicembre 2023, n. 1839).

[4] Nonostante le società in house siano talvolta costituite al fine di svolgere funzioni amministrative, tali strutture nascono come evoluzione delle aziende e delle imprese pubbliche al fine di poter svolgere, seppur in forma non imprenditoriale, attività economiche. Cfr. B.G. Mattarella, op. cit., p. 1286.

[5] La decisione dell’AGCM è stata pubblicata nel bollettino n. 4/2024.

[6] Attenta dottrina ha sottolineato che è bene che i privati non siano parte del capitale della società in house in quanto potrebbero perseguire indebiti vantaggi dalla partecipazione, nonché perseguire finalità che si pongono in contrasto con l’interesse pubblico a cui l’ente mira. Cfr. F. Trimarchi Banfi, Lezioni di diritto pubblico dell’economia, VII edizione, Giappichelli, p. 200.

[7] Sul punto si noti che l’articolo 16, comma 3 bis Decreto Madia precisa che la produzione ulteriore rispetto al limite di fatturato può essere rivolta anche a finalità diverse ed è consentita “solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società”.

[8] Cfr. la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 6 febbraio 2020 C-89/19 e C-91/19 con la quale è stato riconosciuto il principio di libera organizzazione della prestazione dei servizi per il quale le autorità nazionali possono decidere liberamente quale sia il modo migliore per gestire la prestazione dei servizi, come confermato dal Consiglio di Stato, Sez. V, 26 ottobre 2020, n. 6459. Dall’altro lato, a riprova della perenne tensione che caratterizza l’in house providing, la medesima pronuncia del giudice europeo ha riconosciuto la compatibilità della normativa italiana laddove siano previste limitazioni all’autoproduzione.

[9] Cfr. l’art. 7, comma 1, del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici.

[10] Cfr. B.G. Mattarella, op. cit., ove viene affermato che “la disciplina del testo unico è relativamente in controtendenza rispetto ai descritti orientamenti del legislatore degli ultimi anni”, p. 1329.

[11] Per dovere di completezza, l’articolo 14, comma 1, del Decreto di Riordino prevede una quarta modalità di affidamento limitatamente ai servizi diversi da quelli a rete.

[12] Cfr. Le nuove regole dei servizi pubblici locali, di A. Moliterni, in Giornale di diritto amministrativo 4/2023, p. 491.

[13] Il raffronto rispetto a precedenti gestioni risulta, a ben vedere, un approdo cui la giurisprudenza era già arrivata rispetto, ad esempio, al raffronto delle condizioni economiche attraverso le quali il servizio di igiene urbana veniva reso in Comuni con caratteristiche demografiche e territoriali simili (cfr. Cons. St. n. 6459/2020) e in cui talvolta è stato richiesto non soltanto il raffronto con modelli di mercato concorrenziali (in house e operatore privato individuato mediante gara), ma anche rispetto alle condizioni praticate da altre società in house operanti nel territorio limitrofo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 3 marzo 2020, n. 1564).

[14] Tale preferenza è stata, inoltre, segnalata dalla dottrina (cfr. Limiti, vincoli e criticità dell’affidamento “in house” nel Decreto legislativo di riordino della disciplina sui servizi pubblici locali: un percorso a ostacoli, di Cavallini, Rivola, Orsetti, in Azienditalia 4/2023, p. 584).

[15] Cfr. La riforma dei servizi pubblici locali, edizione II, a cura di R. Villata, Giappichelli, p. 270.

[16] Cfr. in particolare gli articoli 14 e 50 del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici.

[17] Fra i benefici per la collettività si segnalano, inter alia, la qualità del servizio, i relativi costi che dovranno essere sostenuti dagli utenti, l’impatto sulla finanza pubblica, nonché gli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell’ambiente e accessibilità dei servizi.

[18] Cfr. La riforma dei servizi pubblici locali, edizione II, a cura di R. Villata, Giappichelli, p. 322.

[19] Parte della dottrina ritiene che l’espressione “fallimento del mercato” sia ingannevole e dovrebbe più che altro parlarsi di intervento pubblico nei casi in cui il mercato non è in grado di fornire il servizio a condizioni remunerative, cfr. F. Trimarchi Banfi, op. cit., p. 6.

[20] Cfr. Cavallini, Rivola, Orsetti, op. cit., p. 700.

[21] Nel caso della decisione adottata dall’AGCM per il trasporto pubblico locale della città di Roma Capitale, emerge, ad esempio, che l’ente affidante avrebbe motivato l’affidamento in house facendo leva sui rapporti sinergici e gli obiettivi, non solo economici (e.g., miglioramento della qualità ambientale e della salute pubblica), che deriverebbero da tale affidamento. L’AGCM ha comunque ritenuto fallaci tali argomentazioni.

[22] Il vantaggio economico rappresentato nella ipotetica motivazione in house non risulta bastevole nel caso in cui sia meramente riconducibile ad una dichiarazione di intenti. Così, ad esempio, è stato sindacato dall’AGCM nei confronti di Roma Capitale per l’affidamento in house del servizio di trasporto pubblico locale.

[23] Cfr. ad esempio Corte dei Conti, Sez. controllo per la Regione siciliana, deliberazione del 26 settembre 2023, n. 315 che, con riferimento alla scelta di cui all’articolo 14 del D.lgs. n. 201/2022 ha stabilito che sia necessaria una SWOT Analysis, da intendersi come uno strumento di pianificazione strategica per il raggiungimento di un obiettivo. In particolare, tale analisi implica che per ciascuna delle opzioni praticabili debbano individuarsi punti di forza (strenght); debolezza (weakness); opportunità (opportunities); minaccia (threat).

[24] Cfr. Corte dei Conti, Sez. Contr. Sicilia, n. 315/2023 e Corte dei Conti, Sez. Contr. Campania n. 113/2023.

[25] L’articolo 14, comma 1, nel suo incipit richiede proprio di tenere in considerazione il “principio di autonomia nell’organizzazione dei servizi”.

[26] Cfr. A. Moliterni, op. cit., p. 493.

[27] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VII, sentenza del 7 agosto 2023, n. 7631.

[28] Cfr. B.G. Mattarella, op. cit., p. 1325.