Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 maggio 2023, n.4422

Come evidenziato di recente da Cons. Stato, sez. V, 7 gennaio 2021, n. 224 merita di essere condiviso l’orientamento dalla Corte di cassazione, (Cass. civ., sez. lav., 9 luglio 2020, n. 14629) secondo cui “… Con riguardo all’onere motivazionale delle sentenze, il c.p.c. non esige l’originalità delle modalità espositive né vieta l’uso del contenuto di altri scritti. L’originalità delle modalità espositive della sentenza non risulta richiesta, contemplata o anche solo “auspicata” nel codice di rito. Nel codice si richiede, piuttosto, che una motivazione esista, sia chiara, comprensibile, coerente (pertanto non solo apparente); in nessun punto del codice risulta richiesta, invece, una motivazione espressa con modalità espositive “inedite”. Peraltro, nella disciplina processuale civile non risulta in alcun modo vietato riportare in sentenza il contenuto di scritti (altre sentenze, atti amministrativi, scritti difensivi di parte o più in generale atti processuali) la cui paternità non sia attribuibile all’estensore. Anzi, specie nelle riforme legislative degli ultimi anni e nella giurisprudenza di legittimità, sembra emergere una tendenza addirittura contraria; e ciò è ormai reso inevitabile anche dalla necessità di dare concreta attuazione al principio costituzionale della ragionevole durata del processo”.

A conferma di quanto precede osserva il collegio che nel codice del processo amministrativo non solo non si rinviene un divieto di riportare il contenuto di scritti di parte ma è espressamente affermato il principio opposto, suscettibile di applicazione in tutti i casi in cui prevalgono esigenze di peculiare speditezza del giudizio, come avviene nel contenzioso per opere ricomprese negli interventi P.n.r.r..

Da quanto precede può dunque desumersi il tendenziale consolidarsi di un principio di portata generale secondo cui nel bilanciamento tra esigenze di garanzia e quelle del buon andamento del processo, inteso come forma necessaria del giudizio e quindi dell’accertamento giudiziale, le esigenze di celerità e quelle proprie dell’amministrazione c.d. di risultato, giustificano l’ammissibilità di tecniche motivazionali finalizzate a semplificare la fase di stesura della motivazione – spesso connotata da particolare complessità e quindi suscettibile di dilatare in modo significativo i tempi di deposito della sentenza e quindi di definizione del processo, in tal modo vanificando la stessa utilità della decisione – anche mediante il solo il rinvio alle argomentazioni delle parti che il giudice, condividendole, ritenga di far proprie, assumendole al fine di dare evidenza all’iter logico giuridico che ha condotto alla decisione.

L’unico limite a tale possibilità è rappresentato dalla necessità che la motivazione, in tal modo predisposta mediante l’ausilio diretto del contributo ricostruttivo ed interpretativo delle parti, non sia una motivazione apparente ma realmente idonea a dar conto delle ragioni giuridiche della decisione

Il diritto amministrativo è in continua evoluzione, sospinto, in particolar modo, da influssi del diritto europeo.

Proprio a causa di tali azioni la pubblica amministrazione ha abbandonato la veste di autorità che agisce unilateralmente, senza interloquire con il privato; la stessa, posizionandosi al pari del cives, è in continuo dialogo con quest’ultimo, in modo che entrambi gli interessati possano conseguire i rispettivi obiettivi.

Le importanti riforme che si sono realizzate nel tempo, dapprima con la legge 7 agosto 1990, n. 241 e, di recente, con il decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, hanno fatto sì che l’ente pubblico possa far conseguire al cittadino l’agognato bene della vita, sempre nel rispetto del soddisfacimento dell’interesse pubblico.

Di conseguenza la progressiva trasformazione dell’amministrazione in soggetto che non opera più per atti, ma per specifici risultati, ha determinato un coinvolgimento diretto e contestuale di istituti sostanziali e processuali.

La pronuncia in argomento esalta proprio quell’intreccio, sostanziale e procedurale, che si verifica sempre di più in ambito amministrativo.

In particolare il Collegio esamina la tematica dell’accesso agli atti e della motivazione che deve sussistere alla base della sentenza.

Nel richiamare un recente intervento del supremo Consesso di giustizia amministrativa (sez. V, 7 gennaio 2021, n. 224) la sezione condivide, a sua volta, quanto stabilito dal plesso giurisdizionale ordinario (Cass. civ., sez. lav., 9 luglio 2020, n. 14629).

Anche il giudice ordinario approva totalmente la funzione sostanzialista, e non formalista, che deve caratterizzare gli interventi di entrambi i plessi giurisdizionali, in particolare proprio con riferimento all’onere motivazionale della sentenza. Nello specifico- precisano i giudici- il codice di procedura civile “non esige l’originalità delle modalità espositive né vieta l’uso del contenuto di altri scritti. L’originalità delle modalità espositive della sentenza non risulta richiesta, contemplata o anche solo “auspicata” nel codice di rito”.

D’altra parte i magistrati evidenziano che una motivazione chiara, comprensibile e coerente sia in grado di apportare la base giuridica alla pronuncia medesima; gli stessi ricordano, peraltro, che il c.p.c. non richiede mai la predisposizione di una motivazione espressa con modalità espositive “inedite”. Inoltre il giudice ordinario rammenta che, nella disciplina processuale civile, il richiamo in sentenza del contenuto di altri scritti come pronunce, atti amministrativi, scritti difensivi di parte ed altri atti processuali viene accolto in modo assolutamente favorevole. Tutto questo soprattutto al fine della realistica attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo.

A tal proposito il giudice amministrativo ricorda che anche il codice del processo amministrativo (decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 - Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) si affianca a quanto previsto dal sopraindicato c.p.c.; in particolare nel favorire l’attività di riportare il contenuto di scritti di parte, in primis, in delicate materie di contenzioso. Sul punto i magistrati evidenziano come tale semplificazione rivesta un ruolo essenziale nel settore delle opere contemplate nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza.

Nello specifico l’articolo 129, comma 6, (Giudizio avverso gli atti di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali) del richiamato cpa prevede che la motivazione della relativa pronuncia sia caratterizzata dal mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti, accolte e fatte proprie dallo stesso giudice.

D’altra parte anche il suddetto d.lgs. 36/2023, nell’ottica di una velocizzazione del giudizio, dispone in modo analogo. Infatti l’articolo 36 “Norme procedimentali e processuali in tema di accesso” prevede che la motivazione della connessa pronuncia possa contemplare un mero richiamo delle sopra descritte argomentazioni

In conclusione la sezione ricorda che, alla luce della definitiva affermazione dell’amministrazione c.d. di risultato[1], tecniche motivazionali finalizzate a semplificare la fase di stesura della stessa motivazione possono essere sicuramente garantite con il solo rinvio alle argomentazioni delle parti che il giudice, condividendole, ritenga di far proprie.

Tale tecnica assume un ruolo fondamentale, come detto, proprio nelle fasi processuali connotate da particolare complessità. Quest’ultime, infatti, sono in grado di dilatare, in modo significativo, i tempi di deposito della sentenza e di definizione del processo.

Nello stesso tempo una motivazione predisposta mediante l’ausilio diretto del contributo ricostruttivo ed interpretativo delle parti dovrà essere non apparente.

 Al contrario quest’ultima evidenzierà concretamente e giustificherà le ragioni giuridiche che sono alla base della decisione.

 

 LEGGI LA SENTENZA

 

Pubblicato il 02/05/2023

N. 04422/2023REG.PROV.COLL.

N. 08978/2022 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8978 del 2022, proposto dal Gruppo di Intervento Giuridico - Odv, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Colapinto e Filippo Colapinto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carlo Colapinto in Roma, via Panama 74;

contro

la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, ora delle infrastrutture e dei trasporti; il Ministero della transizione ecologica, ora dell’ambiente e della sicurezza energetica, il Ministero della Cultura e il Dipartimento Programmazione e Coordinamento Politica Economica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
la Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Anna Bucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso la sede della delegazione romana della Regione Puglia in Roma, via Barberini 36;
la società R.F.I.- Rete Ferroviaria Italiana S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Raffaele Guido Rodio, Luisa Torchia e Gabriele Sabato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Torchia in Roma, viale Bruno Buozzi 47;
la Italferr S.p.a., il CIPESS – Comitato interministeriale per la programmazione e lo sviluppo sostenibile; la Segreteria Tecnica del P.n.r.r. presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’impresa D'Agostino Angelo Antonio Costruzioni Generali S.r.l., non costituiti in giudizio;

nei confronti

della Città metropolitana di Bari, dei Comuni di Bari, Casamassima, Gioia del Colle, Noicattaro, Rutigliano, Sammichele di Bari e Triggiano e del Comitato di scopo “Le Vedette della Lama – per l'istituzione del Parco regionale di Lama San Giorgio – Giotta”, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) n. 01493/2022.


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti suindicate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2023 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti o considerati tali ai sensi di legge, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO e DIRITTO

1. Il Gruppo Intervento Giuridico – ODV (d’ora innanzi GIV), associazione di protezione ambientale riconosciuta ai sensi dell’art. 13 della legge n. 349/1986 con D.M. del Ministro dell’Ambiente n. 203 del 18 luglio 2016, confermato con D.M. del Ministro della Transizione Ecologica n. 76 del 15 febbraio 2022, munita di legittimazione processuale ai sensi dell’art. 18, comma 5, della legge n. 349/1986, ha impugnato dinanzi al T.a.r. per la Puglia, sede di Bari, la delibera di Rete Ferroviaria italiana s.p.a. (d’ora innanzi R.F.I.), n. 1 del 28 luglio 2022 recante la proroga della dichiarazione di pubblica utilità adottata dal CIPE con delibera n. 1 del 28 gennaio 2015 e relativa alla realizzazione della variante di tracciato della rete ferroviaria lungo la linea Bari - Lecce nella tratta compresa tra Bari Centrale e Bari Torre a Mare, per uno sviluppo di 10,130 km.

2.1 Per quest’opera, il 25 maggio 2009 è stato approvato il progetto preliminare, inserito fra le infrastrutture strategiche, ai sensi della legge 21 dicembre 2001 n. 443.

2.2 La qualifica di “infrastruttura strategica” ha reso applicabile il procedimento speciale di approvazione dell’opera previsto dal codice degli appalti allora vigente, ovvero dal d. lgs. 12 aprile 2006 n. 163.

2.3 Di conseguenza, il 23 dicembre 2009 è stata avviata la procedura di valutazione di impatto ambientale - VIA.

2.4 L’opera è stata poi approvata con deliberazione del CIPE 26 ottobre 2012 n.104, circostanza questa che, ai sensi dell’art. 165, comma 7, del d. lgs. n. 163/2006, vale accertamento di compatibilità ambientale e apposizione del vincolo preordinato all’esproprio sulle aree interessate.

2.5 Il progetto definitivo è stato poi approvato con delibere 6 agosto 2014 n. 1782 della Giunta regionale della Puglia e 28 gennaio 2015 n. 1 del CIPE.

2.6 Nessuno di questi atti è stato a suo tempo impugnato.

2.7 Il 16 giugno 2020 R.F.I., ritenendo di non poter concludere i lavori nel termine di validità dell’autorizzazione paesaggistica già concessa, ne ha chiesto il rinnovo con apposita istanza.

2.8 Parallelamente, l’opera è stata inserita nel c.d. P.n.r.r., con un finanziamento di 204,92 milioni di euro.

2.9 Con la delibera di Giunta della Regione Puglia n. 130/2022 il richiesto rinnovo è stato accordato.

3. Ritenendo di non poter adottare i necessari decreti di esproprio nei termini di legge, R.F.I. s.p.a., con delibera n. 1 del 28 luglio 2022 ha infine prorogato la dichiarazione di pubblica utilità adottata dal CIPE con delibera n. 1 del 28 gennaio 2015.

3.1 Il ricorso di I grado è rivolto specificamente contro quest’ultimo atto e gli atti connessi concernenti la dichiarazione di pubblica utilità e comunque il procedimento espropriativo.

3.2. Con sentenza 28 ottobre 2022, n. 1493 il T.a.r. per la Puglia, sede di Bari, ha:

- dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Comune di Gioia del Colle, accogliendo una specifica richiesta articolata dall’ente costituitosi in giudizio,

- respinto nel merito i primi tre motivi di ricorso, variamente incentrati sulla insussistenza dei presupposti di legge per autorizzare la proroga della dichiarazione di pubblica utilità e sulla incompetenza di R.F.I. ad adottare la relativa delibera;

- dichiarato inammissibili i restanti quattro motivi di ricorso, in quanto aventi ad oggetto profili di tutela paesaggistica e quindi preclusi dalla mancata impugnazione da parte di GIV della DGR n. 130/2022, recante il rinnovo della autorizzazione paesaggistica del 2014, parimenti mai impugnata;

- compensato le spese di giudizio.

3.3. La predetta sentenza è stata impugnata dal Gruppo di intervento giuridico – ODV per chiederne la riforma in quanto errata in diritto.

3.4. Si sono costituiti in giudizio R.F.I., la Regione Puglia, e la Presidenza del Consiglio dei ministri, con le amministrazioni centrali interessate, per resistere all’appello, concludendo per la sua reiezione, con conferma della sentenza appellata.

R.F.I., nel costituirsi in giudizio, ha formalmente riproposto le eccezioni non esaminate o dichiarate assorbite dal T.a.r., ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a.

3.5. Alla udienza pubblica del 30 marzo 2023 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie conclusive e di replica con le quali le parti hanno ulteriormente ribadito le rispettive tesi difensive.

4. L’appello è infondato.

4.1. Con il primo motivo l’appellante lamenta la erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Comune di Gioia del Colle.

4.2 Il motivo è inammissibile in quanto il GIV non ha interesse a dolersi di tale capo della sentenza; non è infatti configurabile alcun profilo di soccombenza, non ritraendone motivi di pregiudizio anche a motivo della compensazione integrale delle spese di giudizio disposta dal T.a.r.

5. Con il secondo motivo lamenta il carattere apparente della motivazione in quanto copiata, per ampi stralci, dalle memorie difensive di R.F.I.

5.1 Il motivo è infondato.

5.2 Come evidenziato di recente da Cons. Stato, sez. V, 7 gennaio 2021, n. 224 merita di essere condiviso l’orientamento dalla Corte di cassazione, (Cass. civ., sez. lav., 9 luglio 2020, n. 14629) secondo cui “… Con riguardo all'onere motivazionale delle sentenze, il c.p.c. non esige l'originalità delle modalità espositive né vieta l'uso del contenuto di altri scritti. L'originalità delle modalità espositive della sentenza non risulta richiesta, contemplata o anche solo "auspicata" nel codice di rito. Nel codice si richiede, piuttosto, che una motivazione esista, sia chiara, comprensibile, coerente (pertanto non solo apparente); in nessun punto del codice risulta richiesta, invece, una motivazione espressa con modalità espositive "inedite". Peraltro, nella disciplina processuale civile non risulta in alcun modo vietato riportare in sentenza il contenuto di scritti (altre sentenze, atti amministrativi, scritti difensivi di parte o più in generale atti processuali) la cui paternità non sia attribuibile all'estensore. Anzi, specie nelle riforme legislative degli ultimi anni e nella giurisprudenza di legittimità, sembra emergere una tendenza addirittura contraria; e ciò è ormai reso inevitabile anche dalla necessità di dare concreta attuazione al principio costituzionale della ragionevole durata del processo”.

5.3 A conferma di quanto precede osserva il collegio che nel codice del processo amministrativo non solo non si rinviene un divieto di riportare il contenuto di scritti di parte ma è espressamente affermato il principio opposto, suscettibile di applicazione in tutti i casi in cui prevalgono esigenze di peculiare speditezza del giudizio, come avviene nel contenzioso per opere ricomprese negli interventi P.n.r.r..

5.4 Il riferimento è al contenzioso in materia elettorale e, segnatamente all’articolo 129, comma 6, laddove si prevede che “Il giudizio è deciso all'esito dell'udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi nello stesso giorno. La relativa motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie”.

5.5. Tale modalità redazionale della sentenza è stata di recente confermata dal nuovo codice dei contratti pubblici, a conferma di un trend legislativo orientato ad assicurare la massima celerità del giudizio, attraverso il ricorso a strumenti di semplificazione. L’art. 36 del d. lgs. n. 36 del 2023 recante “Norme procedimentali e processuali in tema di accesso” prevede infatti, al comma 7, che “Il ricorso di cui al comma 4 è fissato d’ufficio in udienza in camera di consiglio nel rispetto di termini pari alla metà di quelli di cui all’articolo 55 del codice di cui all’allegato I al decreto legislativo n. 104 del 2010 ed è deciso alla medesima udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi entro cinque giorni dall’udienza di discussione, e la cui motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie”.

5.6 Da quanto precede può dunque desumersi il tendenziale consolidarsi di un principio di portata generale secondo cui nel bilanciamento tra esigenze di garanzia e quelle del buon andamento del processo, inteso come forma necessaria del giudizio e quindi dell’accertamento giudiziale, le esigenze di celerità e quelle proprie dell’amministrazione c.d. di risultato, giustificano l’ammissibilità di tecniche motivazionali finalizzate a semplificare la fase di stesura della motivazione – spesso connotata da particolare complessità e quindi suscettibile di dilatare in modo significativo i tempi di deposito della sentenza e quindi di definizione del processo, in tal modo vanificando la stessa utilità della decisione - anche mediante il solo il rinvio alle argomentazioni delle parti che il giudice, condividendole, ritenga di far proprie, assumendole al fine di dare evidenza all’iter logico giuridico che ha condotto alla decisione.

5.7 L’unico limite a tale possibilità è rappresentato dalla necessità che la motivazione, in tal modo predisposta mediante l’ausilio diretto del contributo ricostruttivo ed interpretativo delle parti, non sia una motivazione apparente ma realmente idonea a dar conto delle ragioni giuridiche della decisione; siffatte ragioni, sebbene formalmente elaborate dalle parti nella dinamica del contraddittorio, ben possono essere fatte proprie dal giudice e così assunte a volontà oggettiva dell’ordinamento nel procedimento di sussunzione dei fatti nello schema astratto delle fattispecie normativamente predeterminate e di qualificazione giuridica che ne consegue.

5.8. Non si tratta di acritica ricezione di argomentazioni altrui ma di una mera semplificazione del processo di giustificazione formale della decisione giudiziale assunta, che presuppone, in ogni caso, un attento vaglio critico ed una accurata selezione degli argomenti giuridici da comporre in un discorso argomentativo chiaro, esaustivo, rispetto a tutte le questioni poste e trattate dalle parti e, soprattutto, logico, nella connessione dei fatti accertati e delle ragioni giuridiche addotte.

5.9 Ed anche quanto il giudice assume e fa proprio il materiale argomentativo elaborato da una delle parti per accoglierne la domanda, non viene meno al dovere di imparzialità e di terzietà e quindi ai principi del giusto processo poiché tale operazione rappresenta comunque l’esito di un processo logico di vaglio e di selezione critica di tutte le argomentazioni, in fatto ed in diritto, prospettate dalle parti nella dinamica del contraddittorio, alla luce delle disposizioni di legge ritenute pertinenti al caso.

Venendo al caso di specie, dalla lettura della sentenza appellata non emerge il vizio di inesistenza della motivazione, atteso che ciascun capo della stessa è sufficientemente motivato ed idoneo spiegare le ragioni delle conclusioni cui è pervenuto il giudice, sebbene mutuate dagli scritti di parte.

Ciò a fortiori se si considera che le questioni interpretative prospettate dall’appellante circa i presupposti normativi della proroga della dichiarazione di pubblica utilità (esaminate dal T.a.r. ai capi 4.2.1, 4.2.2 e 4.2.3) risultano, in realtà, di non particolare complessità ed anzi agevolmente superabili già a partire dalla puntuale e stringente motivazione desumibile dalle premesse giustificative del provvedimento impugnato; tali premesse infatti richiamano tutte le disposizioni derogatorie succedutesi nel tempo, la cui legittima applicazione al caso di specie, tenuto conto della peculiare natura delle opere da realizzare (infrastruttura strategica, ai sensi della legge 21 dicembre 2001 n. 443), rende ragione, a contrario, e giustifica, senza necessità di particolari argomentazioni, la disapplicazione delle disposizioni generali del testo unico sugli espropri, erroneamente invocate a parametro di legittimità dall’appellante in una fattispecie assoggettata invece ad un regime di tipo speciale e come tale derogatorio. Analoghe considerazioni valgono per i capi 4.2.4, 4.2.5, 4.2.6, 4.2.7.

Per queste ragioni la doglianza deve essere disattesa.

6. Con il terzo motivo l’appellante deduce la violazione o falsa applicazione della disposizione recata dall’articolo 98 D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 – Codice dei beni culturali e del paesaggio - quindi, l’incompetenza di R.F.I., ratione materiae, ad adottare il provvedimento di proroga della dichiarazione di pubblica utilità, atteso che il procedimento espropriativo avrebbe ad oggetto anche beni culturali (quali la“ Città Consolidata” di Bari, disciplinata dagli indirizzi dell’art. 77 e dalle direttive dell’art. 78 delle norme tecniche di attuazione del PPTR, le “Aree di rispetto di Testimonianze della Stratificazione insediativa”, ed, in particolare, quelle di “Villa De Sario”, “Resti di Torre Medioevale in Via Caldarola” e “Villa Bonomo”, anch’esse disciplinate dalle richiamate disposizioni del piano regionale) con conseguente applicabilità della disciplina speciale sulla espropriazione dei “beni culturali” prevista agli artt. 95 - 98 del d.lgs. n. 42/2004 che riserva tale potere al Ministero della Cultura.

6.1. Il motivo è infondato.

6.2 Giova premettere che, trattandosi di infrastruttura strategica di cui alla “legge obiettivo”, al caso di specie si applica, in generale, il d.lgs. n. 163/2006, in deroga al testo unico sugli espropri. Inoltre trova applicazione la norma derogatoria di cui all’articolo 216, comma 27 novies, del d. lgs. n. 50 del 2016 a mente del quale “le proroghe della dichiarazione di pubblica utilità e del vincolo preordinato all’esproprio in scadenza sui progetti già approvati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) in base al previgente decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 sono approvate direttamente dal soggetto aggiudicatore” che nella specie è pacificamente R.F.I.

6.3 L’appellante eccepisce che al caso di specie anderebbero invece applicate le disposizioni in materia di espropriazione dei beni culturali mobili/immobili che attribuisce i poteri in questione al Ministero dei beni culturali (oggi Ministero della cultura) atteso che per la realizzazione della infrastruttura ferroviaria dovrebbero essere espropriati beni culturali.

6.4 Il motivo è infondato in fatto in quanto dal documento recante l’analisi dell’opera in riferimento al sistema dei vincoli allegato alla istanza di rinnovo della autorizzazione paesaggistica (cfr. doc. 30 depositato da R.F.I. in fascicolo primo grado), poi concessa con DGR n. 130 del 2022, non risulta che oggetto di esproprio siano anche “beni culturali”, come identificati e disciplinati dalla parte seconda del codice dei beni culturali e del paesaggio (cfr. altresì doc. 31 sempre in fascicolo R.F.I. di primo grado).

6.6 Invero i predetti beni sono menzionati nel parere tecnico reso dal Dipartimento ambiente, paesaggio e qualità urbana sezione tutela e valorizzazione del paesaggio, servizio osservatorio e pianificazione paesaggistica della Regione Puglia (p. 10), allegato sub A alla DGR n. 130 del 2022 - recante il rinnovo della autorizzazione paesaggistica - e sono stati valutati in relazione alla loro rilevanza paesaggistica e non culturale in senso stretto; la verifica condotta ha accertato che il tracciato effettivamente interferisce con tali ambiti, in violazione delle prescrizioni di tutela previste dalle NTA al PPTR; cionondimeno la struttura regionale ha ritenuto che sussistessero i presupposti previsti dall’art. 95 delle NTA per il rilascio del rinnovo della autorizzazione paesaggistica in deroga e la locale Soprintendenza ha concesso il prescritto nulla osta con nota 21 giugno 2021.

6.7 Tali atti non sono stati impugnati dalla appellante sicché devono escludersi profili di contrasto con la disciplina in materia di beni paesaggistici, fermo restando che l’autorità regionale e quella statale, per quanto di rispettiva competenza, si sono effettivamente pronunciate, sebbene nel distinto ma collegato procedimento finalizzato al rinnovo della autorizzazione paesaggistica.

6.8 In ogni caso deve rilevarsi la non pertinenza al caso di specie, delle disposizioni dettate dagli artt. 95-100 del d. lgs. 42 del 2004, indicate a parametro di legittimità dalla appellante, atteso che l’art. 95, in particolare, concerne le ipotesi di espropriazione di beni culturali “quando l’espropriazione risponda ad un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi” mentre nel caso di specie il procedimento espropriativo ha un’altra finalità -quella di realizzare un’opera pubblica- e non quella di assicurare la fruizione di un bene culturale migliorandone le condizioni di tutela.

6.9 L’appellante lamenta ancora che la motivazione del T.a.r. sarebbe identica sul punto al contenuto della memoria difensiva di R.F.I.; fermo quanto già osservato al riguardo, deve evidenziarsi che il T.a.r. per confutare il motivo si è limitato a richiamare per esteso le disposizioni normative pertinenti già puntualmente menzionate nelle premesse del provvedimento di proroga e a rilevare la non pertinenza delle disposizioni del testo unico n. 42 del 2004 richiamate, sicché la scelta di mutuare per intero una difesa di parte, onde velocizzare la stesura della motivazione, non inficia la chiarezza, la completezza e la correttezza della motivazione che si risolve nel richiamo piano ed ordinato delle disposizioni applicabili al caso di specie.

7. Con il quarto motivo deduce error in iudicando - violazione o falsa applicazione degli artt. 217, comma 1 lett. e) nonché art. 216, comma 1-bis del d.lgs. n. 50/2016; violazione o falsa applicazione degli artt. 166, comma 4-bis, del d.lgs. n. 163/2006 e 13 del d.p.r. n. 327/2001 – violazione o falsa applicazione dei principi stabiliti in tema di abrogazione di norma in deroga ad un’altra.

7.1 Lamenta, in particolare, che l’impugnata proroga, intervenuta successivamente alla scadenza del termine di cinque anni (10 agosto 2020) stabilito dall’art. 13, comma 5, del d.P.R. n. 327/2001 era inefficace, tamquam non esset, dal momento che al 10 agosto 2020, data di scadenza dell’originaria dichiarazione di pubblica utilità, non vigeva alcuna norma in ragione della quale il decreto di esproprio si sarebbe potuto emanare entro sette anni.

7.2 Contesta, in particolare, la statuizione del giudice di prime cure laddove ha ritenuto che l’abrogazione, disposta dall’art. 217, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 50/2016, dell’art. 166, comma 4-bis (recante l’estensione a sette anni del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, in deroga alla disposizione dell’art. 13, comma 4, del d.P.R. n. 327/2001, che lo indica in cinque anni) per il progetto de quo non sarebbe valida ed efficace in ragione di quanto stabilito dall’art. 216, comma 1-bis, del d.lgs. n. 50/20126 – aggiunto dall’art. 128, comma 1, lettera a), del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 - a mente del quale “per gli interventi ricompresi tra le infrastrutture strategiche di cui alla disciplina prevista dall’articolo 163 e seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, già inseriti negli strumenti di programmazione approvati e per i quali la procedura di valutazione di impatto ambientale sia già stata avviata alla data di entrata in vigore del presente codice, i relativi progetti sono approvati secondo la disciplina previgente”.

7.3 Eccepisce, in particolare, che la disposizione da ultimo richiamata avrebbe assoggettato alla disciplina previgente la sola fase di approvazione dei progetti, non anche la disciplina del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità - e tanto meno quella della relativa proroga - che pertanto tornerebbe ad essere assoggettata alla regola generale di efficacia quinquennale prevista dall’articolo 13, comma 4, del d.P.R. n. 327 del 2001 in forza della c.d. riespansione della norma generale (l’art. 13, comma 4 del d.P.R. n. 327 del 2001) derogata da disposizione (l’art. 166, comma 4-bis del d. lgs. 163 del 2006)) successivamente abrogata (dall’art. 217, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 50/2016).

7.4 Inoltre il T.a.r. avrebbe omesso ogni motivazione in merito a quanto osservato circa l’effetto della abrogazione della norma di deroga e la conseguente riespansione della previgente norma generale derogata.

7.5 Il motivo è infondato in quanto sul punto, con motivazione puntuale che il collegio condivide il T.a.r. ha osservato correttamente che “la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera (e la relativa proroga) costituisce proprio elemento centrale del procedimento approvativo, di cui essa, quindi, fa parte. La dichiarazione di pubblica utilità è, peraltro, un effetto diretto dell’approvazione del progetto definitivo. L’art. 166 d.lgs. n. 163/2006 è, infatti, rubricato “Progetto definitivo. Pubblica utilità dell’opera”, sicché non è possibile scindere i due aspetti”.

7.6 Proprio perché l’approvazione del progetto definitivo di un’opera pubblica implica la dichiarazione di pubblica utilità della stessa, la salvezza della previgente normativa relativa alla fase di approvazione del progetto, operata con la disposizione transitoria di cui all’art. 216, comma 1-bis, del d.lgs. n. 50/20126, non può che essere riferita, dal punto di vista logico sistematico, anche alla previgente disciplina del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità - che, come si è visto, era pari a sette anni - e al regime della proroga che – a conferma di quanto precede – era espressamente disciplinato nel testo dell’articolo 166, comma 4-bis, in uno al termine di efficacia della predetta dichiarazione.

7.7 Del resto tale conclusione appare obbligata anche alla luce del principio di ragionevolezza alla cui cogenza è soggetta anche la disciplina della successione delle norme nel tempo.

7.8 Ed infatti non può certo immaginarsi che l’Amministrazione, la quale all’epoca dell’adozione della delibera CIPE n. 1/2015 preventivava una durata della dichiarazione di pubblica utilità di sette anni e quindi su queste basi parametrava lo svolgersi dei lavori, si veda successivamente costretta a subire una riduzione di detta durata (a cinque anni) in forza del riespandersi della norma generale di cui all’art. 13 del Testo unico espropri poiché ciò contrasterebbe con il principio di irretroattività della legge.

7.9 Inoltre in presenza di una disciplina transitoria ad hoc qual è l’art. 216, comma 1-bis, del d.lgs. n. 50/20126 nessuna rilevanza può avere la disquisizione di parte appellante sull’effetto della abrogazione della norma di deroga rispetto alla riespansione della norma generale derogata.

La motivazione del T.a.r. resiste pertanto alle critiche articolate dall’appellante anche se in parte mutuata dagli scritti di parte e merita di essere confermata anche perché, come osservato dal giudice di prime cure, per giungere a tali conclusioni “È sufficiente leggere le premesse dell’atto di proroga della dichiarazione di pubblica utilità n. 1/2022 (nonché degli atti presupposti in esso richiamati), per ricavare l’indicazione dei presupposti normativi che hanno portato alla legittima adozione del provvedimento in questione”, donde la infondatezza della reiterata eccezione di nullità per essere la motivazione mutuata per intero da scritti difensivi di R.F.I..

8. Da altra angolazione l’associazione lamenta che nel caso di specie la ultrattività della disciplina derogatoria sarebbe espressamente condizionata ad una serie di presupposti, uno dei quali – segnatamente l’avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale – non ricorrente nel caso di specie.

8.1 Il motivo è infondato in quanto è pacifico che il progetto preliminare dell’opera sia stato sottoposto a VIA, come ricordato nelle premesse in fatto, e non è contestato che ricorra anche il secondo presupposto normativo, rappresentato dall’essere l’intervento ricompreso tra le infrastrutture strategiche di cui alla disciplina prevista dall’articolo 163 e seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, già inserito negli strumenti di programmazione approvati, come peraltro puntualmente evidenziato nelle premesse del provvedimento di proroga.

8.2 Il fatto che la VIA sia stata resa sul progetto preliminare non osta alla ultrattività della disciplina derogatoria previgente, poiché la disposizione in esame richiede solo che la procedura di valutazione di impatto ambientale “sia già stata avviata” alla data di entrata in vigore del presente codice, circostanza pacificamente integrata dal completamento della VIA sul progetto preliminare. Non era quindi necessario che la VIA fosse stata condotta anche in relazione al progetto definitivo, come infondatamente sostenuto dalla appellante incidentale.

8.3 Anche tale doglianza deve, pertanto, essere disattesa.

9. Con il quinto motivo deduce error in iudicando – violazione o falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 104/2010 (c.p.a.) – violazione o falsa applicazione dell’art. 13 del d.p.r. n. 327/2001.

9.1 Lamenta che le motivazioni addotte per giustificare la proroga della dichiarazione di pubblica utilità sarebbero non veritiere e comunque insussistenti, come confermato dalle riserve annotate dalla aggiudicataria dell’appalto relativo alla progettazione esecutiva ed alla realizzazione dell’opera pubblica da cui si evincerebbero le reali ragioni del ritardo, comunque imputabili alla stazione appaltante e come tali inidonee a giustificare la proroga.

9.2. La motivazione addotta dal T.a.r. per respingere la censura merita di essere condivisa.

9.3 Il T.a.r. ha infatti ritenuto congrua la motivazione articolata da R.F.I. s.p.a. nelle seguenti circostanze: “l’emissione dei decreti di esproprio per l’acquisizione delle aree occorrenti alla realizzazione dell’opera ferroviaria è stata rallentata dai numerosi contenziosi instaurati nell’ambito della gara volta ad individuare il contraente cui affidare i lavori e dall’inatteso protrarsi delle verifiche sul possesso dei requisiti per la stipula del contratto dovuto alla cessione del ramo di azienda dell’originario aggiudicatario Tecnis S.p.A., in favore dell’impresa D’Agostino Costruzioni s.r.l., intervenuta nelle more della procedura di affidamento”.

9.4 R.F.I. ha puntualmente ricostruito la serie di contenziosi instaurati nell’ambito della gara per la individuazione del contraente cui affidare i lavori mentre è incontestata la complessità del procedimento di verifica del possesso dei requisiti in capo all’impresa D’Agostino Costruzioni s.r.l. cessionaria del ramo di azienda della originaria aggiudicataria.

9.5 Il fatto che dal verbale di immissione nel possesso del cantiere del 25 agosto 2020 e nelle riserve successivamente apposte emergano altre circostanze problematiche che hanno comportato un ritardo nell’avvio dei lavori preparatori e di allestimento del cantiere, non inficia la veridicità di quanto affermato da R.F.I. nelle premesse giustificative del provvedimento di proroga ma conferma la attendibilità e la effettiva esistenza di giustificate ragioni legittimanti la proroga, anche in ragione della loro non imputabilità e prevedibilità, tali essendo, certamente, quelle espressamente indicate nel provvedimento di proroga (contenziosi e procedimenti amministrativi di verifica del possesso dei requisiti di legge prescritti per l’aggiudicazione).

9.6 Al contempo nessun rilievo ai fini della legittimità del provvedimento di proroga riveste il ritardo nella predisposizione della progettazione esecutiva sui cui insiste l’appellante, essendo la proroga della dichiarazione di pubblica utilità finalizzata alla adozione, nei termini di legge, dei decreti di esproprio, nell’ambito di una sequenza operativa distinta ed autonoma, seppur collegata, rispetto agli adempimenti connessi alla progettazione esecutiva dell’opera.

9.7 Infine il fatto che il soggetto aggiudicatore non abbia illustrato le ragioni per le quali non sono state puntualmente ed esattamente osservate le prescrizioni contenute nella Delibera CIPE del 28 gennaio 2015 ed i relativi termini di adempimento è tema che attiene al progetto esecutivo e non alla proroga della dichiarazione di pubblica utilità, oggetto del presente giudizio.

9.8 Ne discende che la doglianza deve essere disattesa.

10. Con il sesto motivo deduce error in procedendo – difetto assoluto di motivazione – nullità della sentenza - error in iudicando – violazione o falsa applicazione art. 12 d.p.r. n. 327/2001.

10.1 L’appellante censura la sentenza appellata nella parte in cui ha dichiarato inammissibili i motivi 4, 5, 6, e 7 proposti, per mancata impugnazione della DGR 130 del 2022 recante il rinnovo della autorizzazione paesaggistica.

10.2. Il motivo è infondato in quanto i predetti motivi sono effettivamente riferibili al rinnovo della autorizzazione paesaggistica, non impugnata nel presente giudizio, e non alla proroga della dichiarazione di pubblica utilità sicché correttamente sono stati dichiarati inammissibili in quanto relativi ad un provvedimento non impugnato.

10.3 L’appellante lamenta che il T.a.r. avrebbe contraddittoriamente, da un lato, escluso (con sentenza n. 1493 del 28 ottobre 2022 appellata nel presente giudizio) e poi affermato (con la sentenza oggetto n. 1576 del 23 novembre 2022 resa nel distinto giudizio RG 620 del 2022) che l’esponente abbia impugnato anche la DGR n. 130/2022, pervenendo alla ingiusta conclusione di ritenere inammissibili una serie di doglianze in quanto riferite al rinnovo della autorizzazione paesaggistica e cioè ad un atto non impugnato. Osserva il collegio che nessuna contraddizione è rinvenibile nelle statuizioni del T.a.r. atteso che il Gruppo di intervento giuridico non ha, in effetti, impugnato la DGR n. 130/2022 né nel presente giudizio, autonomamente proposto avvero la proroga della dichiarazione di pubblica utilità, né nel giudizio RG 620/2022, sempre presso il T.a.r. Bari, dove, in primo grado, l’associazione è intervenuta solo ad adiuvandum, rivestendo una posizione processuale meramente adesiva e dipendente, cui non è riferibile la domanda di annullamento proposta dai ricorrenti principali avverso il rinnovo della autorizzazione paesaggistica di cui alla DGR 130/2022. Ne discende che i motivi di ricorso riferibili alla predetta autorizzazione paesaggistica non potevano che essere dichiarati inammissibili in quanto indirizzati avverso un atto tecnicamente non ritualmente impugnato in nessuno dei due giudizi.

10.4 Da altra angolazione ipotizza che il T.a.r. nel presente giudizio avrebbe evidenziato contraddittoriamente la necessità per l’associazione di impugnare anche l’autorizzazione paesaggistica laddove l’interesse era invece limitato all’annullamento della proroga della dichiarazione di pubblica utilità.

10.5 Senonché, a riprova della infondatezza della doglianza, il collegio osserva che tale prospettazione non trova riscontro negli atti di causa, tenuto conto che il T.a.r. ha invece diffusamente analizzato nel merito le articolate tesi difensive prospettate dalla associazione finalizzate ad evidenziare possibili profili di illegittimità della proroga della dichiarazione di pubblica utilità, e ciò ha fatto a prescindere da profili di connessione con il rinnovo della autorizzazione paesaggistica oggetto di un distinto ed autonomo procedimento. Al contempo ha invece correttamente ritenuto necessaria la impugnazione del predetto rinnovo solo in relazione ai motivi di censura indirizzati avverso tale provvedimento e, accertata la mancanza di una siffatta impugnazione, ne ha correttamente decretato la inammissibilità.

10.6 Alla luce delle motivazioni che precedono l’appello deve, in definitiva, essere respinto.

11 Le spese di lite seguono la soccombenza nei rapporti tra l’appellante da un lato e R.F.I. e la Regione Puglia dall’altro e si liquidano come da dispositivo, in misura comunque congrua rispetto ai valori minimi previsti dal D.M. 13 agosto 2022 n.147 per una causa di valore pari all’importo del finanziamento indicato sopra al § 2.8. Sussistono invece giusti motivi per disporre la compensazione nei rapporti tra la medesima parte appellante e la Presidenza del Consiglio dei Ministri con le amministrazioni centrali costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna il Gruppo di Intervento giuridico – ODV alla rifusione, in favore di R.F.I. S.p.a. e della Regione Puglia, delle spese del grado che liquida, in favore di ciascuna, in euro 6.000,00, per un totale di euro 12.000,00, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge. Compensa le spese del grado nei rapporti tra la parte appellante e la Presidenza del Consiglio dei Ministri con le amministrazioni centrali costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Gambato Spisani, Presidente FF

Silvia Martino, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore

Emanuela Loria, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere


[1] Ed in forza di quanto previsto dall’articolo 1 (Principio del risultato) del d.lgs.36/2023.