Corte di Giustizia Europea, ordinanza del 28.05.2020

CAUSA C 17/20

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la recente ordinanza del 28.05.2020, ha dichiarato manifestamente irricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, con ordinanza del 27.11.2019, nel senso che segue: “Se gli articoli 91, 92 e 93 del codice antimafia, nella parte in cui non prevedono il contraddittorio endoprocedimentale in favore del soggetto nei cui riguardi l’Amministrazione si propone di rilasciare una informativa antimafia interdittiva, siano compatibili con il principio del contraddittorio, così come ricostruito e riconosciuto quale principio di diritto dell’Unione”.

Premesso che “anche a voler ritenere che il giudice del rinvio intenda interrogare la Corte in ordine al principio del rispetto dei diritti della difesa, occorre ricordare che quest’ultimo costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione quando l’amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio. In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente su loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa dell’Unione applicabile non preveda espressamente siffatta formalità (sentenza del 22 ottobre 2013, Sabou, C-276/12, EU:C:2013:678, punto 38)”, la Corte ha concluso nel senso che “nella presente causa, il giudice del rinvio non ha dimostrato l’esistenza di un criterio di collegamento tra, da un lato, il diritto dell’Unione e, dall’altro, l’informazione antimafia interdittiva adottata dalla prefettura di Foggia o la decisione del Comune, che ha dato origine all’indagine sfociata nell’adozione di tale informazione, di revocare la concessione di un terreno utilizzato dalla MC per lo svolgimento della sua attività economica. Non sembra pertanto che la normativa oggetto del procedimento principale possa ricadere nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione o attuarlo”.

D’altra parte, il Supremo Consesso amministrativo (cfr. sentenza n.820 del 31.01.2020) ha statuito che l’assenza di una necessaria interlocuzione procedimentale in questa materia non costituisca un vulnus al principio di buona amministrazione, perché, come la stessa Corte UE ha affermato, il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti della difesa non è una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che «queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti» (sentenza della Corte di Giustizia UE, 9 novembre 2017, in C-298/16, § 35 e giurisprudenza ivi citata), in tal modo dimostrando di tenere conto delle peculiarità della fattispecie in esame.

Peraltro, con riferimento alla normativa italiana antimafia, la stessa Corte di Giustizia, adita al fine di vagliare la compatibilità della disciplina italiana del subappalto con il diritto eurounitario, ha  ribadito che «il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici» (Corte di Giustizia UE, 26 settembre 2019, in C-63/18, § 37).

Con la recente decisione succitata il Consiglio di Stato ha anche  chiarito che “ La discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata di stampo mafioso e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi. Questa Sezione ha perciò già chiarito che la delicatezza della ponderazione intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, richiesta all’autorità amministrativa, può comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, come ha pure chiarito la Corte di Giustizia UE nella sua giurisprudenza (ma v. pure Corte cost.: sent. n. 309 del 1990 e sent. n. 71 del 2015), o slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo” (Cons. St., sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565)”.

Alla luce della ratio della normativa antimafia vigente e  dell’attuale quadro giurisprudenziale, comunitario e nazionale, non ci si può dunque fondatamente dolere del fatto che “l’eventualità che si instauri un contraddittorio dipenderebbe dalla valutazione discrezionale del prefetto competente, alla luce delle proprie esigenze istruttorie”.

Con riferimento alla rilevanza degli interessi in gioco,  si ritiene utile richiamare la recente pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n.57/2020, pubblicata il 26.03.2020) che, sia pure resa all’esito del giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 89-bis e 92, commi 3 e 4, del d.lgs. n.159/2011 - in cui il Giudice rimettente ha affermato che è irragionevole ricomprendere nella sfera d’incidenza dell’inibitoria, ma soprattutto nella sfera della decadenza, tutti i provvedimenti previsti dall’art.67 del d.lgs. n.159/2011, senza escludere quelli che sono il presupposto dell’esercizio dell’attività imprenditoriale privata che non comporti alcun rapporto con la pubblica Amministrazione e alcun impatto su beni e interessi pubblici - ha statuito che “Il dato normativo arricchito dall’articolato quadro giurisprudenziale, esclude, dunque, la fondatezza dei dubbi di costituzionalità avanzati dal rimettente in ordine alla ammissibilità, in sé, del ricorso allo strumento amministrativo, e quindi alla legittimità della pur grave limitazione della libertà d’impresa che ne deriva. In particolare, quanto al profilo della ragionevolezza, la risposta amministrativa, non si può ritenere sproporzionata rispetto ai valori in gioco, la cui tutela impone di colpire in anticipo quel fenomeno mafioso, sulla cui gravità e persistenza – malgrado il costante e talvolta eroico impegno delle Forze dell’ordine e della magistratura penale – non è necessario soffermarsi ulteriormente”.

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