Cons. Stato, sez. V, 26.03.2020 n. 2094

E’ opportuno ricordare il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la scelta operata dall’amministrazione appaltante, in una procedura di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, relativamente ai criteri di valutazione delle offerte, ivi compresa anche la disaggregazione eventuale del singolo criterio valutativo in sub-criteri, è espressione dell’ampia discrezionalità attribuitale dalla legge per meglio perseguire l’interesse pubblico; come tale è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità solo allorchè sia macroscopicamente illogica, irragionevole ed irrazionale ed i criteri non siano trasparenti ed intellegibili (Cons. Stato, V, 30 aprile 2018, n. 2602; III, 2 maggio 2016, n. 1661; V,18 giugno 2015, n. 3105).

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5224 del 2019, proposto da
EPM s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Carlo Malinconico, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 284;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, Consip s.p.a., A.N.A.C. - Autorita' Nazionale Anticorruzione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

I.C. Servizi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Enrico Di Ienno ed Alessandra Calabro', con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Alessandra Calabro' in Roma, via Piemonte, 26;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Terza), n. 5743/2019, resa tra le parti;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico, di Consip s.p.a. e dell’A.N.A.C. - Autorita' Nazionale Anticorruzione, nonché di I.C. Servizi s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2020 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Malinconico, l’avvocato dello Stato Marrone, e Di Ienno;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1.- La EPM s.r.l., gestore uscente del servizio, ha interposto appello nei confronti della sentenza 8 maggio 2019, n. 5743 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. III ter, che ha respinto il suo ricorso avverso l’aggiudicazione, in favore della I.C. Servizi s.r.l., in data 20 dicembre 2018, del lotto n. 2 della procedura di gara indetta tramite SPADA (sistema dinamico di acquisizione della pubblica amministrazione) dal Ministero dello Sviluppo Economico-M.I.S.E. per l’affidamento dell’appalto dei “servizi di pulizia delle proprie sedi di Roma, in via Molise 2 e 19, via Sallustiana 53, via Antonio Bosio 15, via dell’Umiltà 83, viale America 201, viale Boston 25 ed in via Tor San Giovanni 280”, nonché avverso la lex specialis di gara.

Con bando di gara pubblicato nella G.U.R.I. n. 30 del 13 marzo 2017 Consip ha istituito un sistema dinamico di acquisizione della pubblica amministrazione per la fornitura dei servizi di pulizia ed igiene ambientale per gli immobili in uso, a qualsiasi titolo, alle pubbliche amministrazioni (c.d. SPADA), suddiviso in due categorie merceologiche (“servizi di pulizia e igiene ambientale” e “servizi di pulizia e igiene ambientale e servizi connessi di ausiliariato”) dal valore complessivo di euro 900 milioni e di durata pari a quattro anni.

Il capitolato d’oneri allegato al bando prevedeva che «i singoli appalti specifici saranno aggiudicati sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa basata sul miglior rapporto qualità/prezzo».

I criteri di valutazione delle offerte, per come descritti nell’Appendice 1-A del capitolato d’oneri dello SPADA, si basano sul principio “on/off”, secondo cui in presenza dell’elemento richiesto è attribuito un punteggio predeterminato, in assenza è attribuito un punteggio pari a zero. Solamente due criteri consentono una graduazione dei punteggi, da assegnare sempre in via automatica rispetto alle caratteristiche oggettive dell’offerta: il criterio n. 7, relativo alla “rumorosità dei macchinari per la pulizia” (per il quale era possibile attribuire da 3 a 4 punti a seconda dei decibel prodotti durante l’utilizzo), ed il criterio n. 8, relativo alla “efficienza energetica dei macchinari aspirapolvere e contenimento delle polveri riemesse” (per il quale era possibile attribuire da 2 a 4 punti, a seconda della classe energetica e dell’inquinamento dell’area prodotto).

Nell’appalto specifico indetto dal MISE non è neppure stato esercitato quel residuale margine di discrezionalità concesso dal capitolato d’oneri (nei limiti del 20 per cento del punteggio tecnico complessivo), essendosi deciso di attribuire la totalità del punteggio secondo criteri automatici di tipo on/off.

Con il ricorso in primo grado la EPM s.r.l., risultata graduata al ventisettesimo posto con 68 punti per la parte qualitativa e 16,36 per la parte economica dell’offerta, ha impugnato l’aggiudicazione, la lex specialis e gli atti di gara deducendone l’illegittimità in considerazione del fatto che il sistema di standardizzazione dell’offerta tecnica e delle relative valutazioni vulnera il criterio di aggiudicazione del migliore rapporto qualità/prezzo, per violazione dell’art. 95, comma 10-bis, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella considerazione che l’elemento quantitativo del prezzo abbia assunto un’incidenza certamente superiore al 30 per cento, ed, ancora, per violazione dell’art. 55 del d.lgs. n. 50 del 2016, in quanto la norma consente il ricorso allo SPADA a condizione che si tratti di acquisti di uso corrente, caratteristica di cui sono privi i servizi di pulizia.

2. - La sentenza appellata ha respinto il ricorso nell’assunto che risulta rispettata la disposizione di cui all’art. 95, comma 10-bis, del d.lgs. n. 50 del 2016 sia nell’appalto specifico, che da Consip con il sistema SPADA, essendo mantenuti i parametri dei 70 punti per l’offerta tecnica e dei 30 per l’offerta economica; «la circostanza che i punteggi tecnici previsti vengano per la quasi totalità assegnati con il sistema on/off non determina alcuna lesione della effettiva valutazione degli elementi qualitativi dell’offerta; al contrario il sistema individua un criterio che garantisce un confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici, in quanto, per la tipologia di servizio oggetto di gara, sono stati valutati preventivamente dall’amministrazione tutti i requisiti tecnici che devono essere offerti, essendo a tal fine sufficiente il sistema on/off che consente di testarne il possesso».

3.- Con l’appello la EPM s.r.l. ha dedotto l’erroneità della sentenza di prime cure, reiterando, alla stregua di motivi di critica della medesima, le censure di primo grado.

4. - Si sono costituiti in resistenza il MISE, l’A.N.A.C., la Consip s.p.a., da una parte, e la I.C. Servizi s.r.l dall’altra parte, controdeducendo ai motivi di appello e chiedendone la reiezione; la controinteressata ha altresì riproposto, ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm. le eccezioni di irricevibilità ed inammissibilità del ricorso introduttivo, assorbite in primo grado, e motivate nell’assunto della tardività e strumentalità dell’impugnazione della lex specialis recante il criterio di valutazione delle offerte.

5. - All’udienza pubblica del 16 gennaio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Il primo motivo di appello deduce la violazione dell’art. 95, comma 10-bis, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella considerazione, non condivisa dalla sentenza appellata, che la previsione, da parte della lex specialis, di criteri automatici di tipo on/off per la quasi totalità dei parametri di valutazione, non accompagnata dalla possibilità di attribuzione di punteggi differenziati tra un minimo ed un massimo, abbia comportato lo snaturamento del criterio di aggiudicazione prescelto, determinando un appiattimento tra le varie proposte tecniche (per le quali non era neppure richiesta la relazione tecnica), sì che determinante è divenuto solamente il prezzo più basso, pur trattandosi di servizi ad alta intensità di manodopera (cui è applicabile l’art. 95, comma 3, dello stesso corpus legislativo). Deduce che la effettività della valutazione qualitativa non sia garantita dal rispetto del rapporto 70/30, anche perché il MISE non ha neppure inteso utilizzare quei ridotti margini di discrezionalità concessi dalla Consip, attraverso l’individuazione di criteri di valorizzazione della componente qualitativa nei limiti del 20 per cento del punteggio massimo previsto dallo SPADA (punto 2.5 del capitolato d’oneri). Anche l’A.N.A.C., nelle Linee guida n. 2 e n. 5 del 2016, consente di adottare criteri on/off solamente ad elementi valutativi del tutto diversi rispetto a quelli individuati dalla centrale di committenza.

Il motivo, seppure complesso, è infondato.

E’ opportuno ricordare il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la scelta operata dall’amministrazione appaltante, in una procedura di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, relativamente ai criteri di valutazione delle offerte, ivi compresa anche la disaggregazione eventuale del singolo criterio valutativo in sub-criteri, è espressione dell’ampia discrezionalità attribuitale dalla legge per meglio perseguire l’interesse pubblico; come tale è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità solo allorchè sia macroscopicamente illogica, irragionevole ed irrazionale ed i criteri non siano trasparenti ed intellegibili (Cons. Stato, V, 30 aprile 2018, n. 2602; III, 2 maggio 2016, n. 1661; V,18 giugno 2015, n. 3105).

Tale discrezionalità appare particolarmente significativa in un contesto normativo in cui non è espressamente previsto l’obbligo di attribuire punteggi graduati tra un minimo ed un massimo ai singoli criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa; ne consegue che non è ravvisabile un diretto contrasto con la norma di legge nella scelta, da parte della stazione appaltante, di una modalità di attribuzione del punteggio di tipo on/off, in cui cioè vi è attribuzione del punteggio nel caso di ricorrenza di un elemento ritenuto rilevante dalla stazione appaltante.

L’appellante configura la violazione dell’art. 95, comma 10-bis, del d.lgs. n. 50 del 2016, che, allo scopo di assicurare l’effettiva individuazione del migliore rapporto qualità/prezzo, valorizza gli elementi qualitativi dell’offerta ed individua criteri tali da garantire un confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici.

Il Collegio non condivide, nella sua radicalità, tale tesi, in quanto il metodo di attribuzione si/no, pur ridimensionando in parte il margine di apprezzamento del merito tecnico dell’offerta, non lo esclude, anticipando, piuttosto, la valutazione dei requisiti tecnici che devono essere offerti, con la conseguenza che si ha poi un controllo finalizzato a comprovarne il possesso. Ciò significa che comunque la valutazione dell’offerta ha tenuto conto della componente tecnica, come dimostra l’intervenuta attribuzione ai vari concorrenti di punteggi per il merito tecnico compresi (e dunque differenziati) tra 62 e 70. L’appiattimento del punteggio, denunciato dall’appellante, a rigore, come si evince anche dalle Linee guida n. 2 del 2016 dell’A.N.A.C., si sarebbe determinato ove oggetto di valutazione fossero stati i requisiti minimi di partecipazione, anziché il possesso di tecniche differenti, secondo quanto richiesto dalla lex specialis.

Occorre anche considerare che la graduazione del punteggio nella procedura in esame è stata comunque parzialmente consentita, in particolare, per quanto sembra evincibile dall’appendice 1 al capitolato d’oneri Consip, fino a quattro punti in ragione della potenza sonora dei macchinari che gli operatori economici intendevano offrire per la pulizia degli ambienti (punto B7), e tra due e quattro punti in relazione alla classe di efficienza energetica e/o di riemissione delle polveri delle aspirapolveri offerte (punto B8), per un totale, dunque, di sei punti (da attribuire in modo discrezionale) su settanta dell’offerta tecnica.

Giova aggiungere che nella fattispecie controversa non è dimostrata l’abnormità della scelta tecnica, ma, in definitiva, denunciata l’opinabilità di un metodo, di per sé non contra legem, che riguarda i servizi di pulizia ed igiene ambientale, per i quali, ove anche riconducibili tra i servizi ad alta intensità di manodopera (labour intensive), è prescritto solamente il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Neppure è contestata dall’appellante l’erronea applicazione dei meccanismi della lex specialis alla sua offerta, ipotesi nella quale sarebbe (stato) possibile il sindacato giurisdizionale, in quanto non impingente nel merito di una valutazione di per sé opinabile, allo scopo di una ridefinizione dei punteggi discrezionalmente assegnati, ma solamente volto alla verifica della corretta valutazione di elementi fattuali ignorati (Cons. Stato, V, 5 maggio 2019, n. 2893).

Al contrario, è inammissibile, perché impinge nel merito delle scelte riservate all’amministrazione, la doglianza volta a contestare la mancata utilizzazione, da parte della stazione appaltante, dei criteri di valorizzazione della componente qualitativa previsti dal punto 2.5 del capitolato d’oneri.

2. - Il secondo motivo deduce poi la violazione dell’art. 112 Cod. proc. civ. per avere la sentenza omesso di pronunciarsi sul motivo con cui era stata allegata l’incompatibilità del sistema dinamico di acquisizione con il tipo di servizio (di pulizia) da affidare, consentendolo l’art. 55 del d.lgs. n. 50 del 2016 solamente per acquisti di uso corrente, con caratteristiche standardizzate.

Anche tale motivo, seppure problematico e non direttamente trattato dal primo giudice, è infondato.

Il sistema dinamico di acquisizione è un procedimento interamente elettronico per acquisti di uso corrente, le cui caratteristiche generalmente disponibili sul mercato soddisfano le esigenze di una stazione appaltante, aperto per tutta la sua durata a qualsivoglia operatore economico che soddisfi i criteri di selezione (art. 3, lett. aaaa, del d.lgs. n. 50 del 2016).

Il servizio di pulizia risente di tanti elementi, oltre che del fattore umano, dei macchinari e dei prodotti utilizzati, nessuno dei quali ne esclude peraltro la natura di acquisto di uso corrente (tale è il parametro di legge, e non già quello del “servizio standardizzato”, che era contemplato nel precedente regime di cui al d.lgs. n. 163 del 2006).

Non appare dunque postulabile la dedotta incompatibilità dello SPADA per i servizi di pulizia ed igiene ambientale di cui necessitano le amministrazioni, aventi di regola le medesime caratteristiche.

3. - Alla stregua di quanto esposto, l’appello va respinto, il che esime il Collegio dalla disamina delle eccezioni preliminari riproposte dalla appellata società I.C. Servizi.

La particolare complessità della controversia integra le ragioni che per legge consentono la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2020.

 

 

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

In sede di valutazione basata sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’utilizzo del c.d. “metodo on/off” comporta che il requisito tecnico richiesto viene considerato dalla stazione appaltante come sussistente senza che quest’ultima proceda alla suddivisione del requisito stesso in sub-criteri ed alla conseguente assegnazione di sub-punteggi.

In sostanza, i concorrenti si limitano ad evidenziare in offerta di essere in possesso di determinate caratteristiche aziendali, conseguendo, per questo solo fatto, il punteggio massimo previsto, quindi senza che a ciascuna delle offerte venga assegnato un punteggio diverso a seconda della differente idoneità di ciascuna a soddisfare le esigenze della stazione appaltante: p. es., in un appalto di servizi di pulizia, il fac simile di offerta tecnica è stato predisposto in modo che i concorrenti dovessero indicare solo di essere in grado di effettuare settimanalmente un intervento di sanificazione degli ambienti, senza specificare (magari con una relazione) la maggiore o minore rumorosità delle macchine impiegate, oppure il grado di rispetto (se base, medio od elevato) di determinati requisiti di eco - compatibilità dei prodotti utilizzati.

Il rischio di un simile criterio di valutazione dell’offerta tecnica è uno svilimento del livello di qualità delle prestazioni - obiettivo che la stazione appaltante avrebbe potuto tranquillamente perseguire se solo avesse appunto graduato i punteggi - e quindi una violazione di quel principio di efficacia nell’esecuzione dell’appalto che è richiesto dall’art. 30 comma 1 del D.lgs. 50/2016 (di seguito “Codice”): la prestazione dell’appaltatore è efficace nella misura in cui tramite essa l’interesse pubblico sotteso all’appalto viene attuato nella misura più ampia e completa possibile.

L’altro rischio è che proprio tale svilimento determini un appiattimento dell’offerta tecnica, al punto tale che una determinata offerta potrebbe conseguire il punteggio massimo previsto anche se l’offerente  eseguirà (ove dovesse divenire aggiudicatario) la prestazione con modalità non all’altezza di una prestazione efficace, ossia qualitativamente idonea a soddisfare l’interesse pubblico in maniera accurata e completa, il che a sua volta comporta quasi inevitabilmente che la vera verifica della stazione appaltante viene a svolgersi non più sull’elemento qualità bensì sull’elemento prezzo, in palese contrasto con l’art. 95 comma 10 bis del Codice, a norma del quale “La stazione appaltante, al fine di assicurare l'effettiva individuazione del miglior rapporto qualità/prezzo, valorizza gli elementi qualitativi dell'offerta e individua criteri tali da garantire un confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici. A tal fine la stazione appaltante stabilisce un tetto massimo per il punteggio economico entro il limite del 30 per cento”.

Il CDS, tuttavia, ritiene che l’utilizzo del suddetto metodo rientri nell’ampia discrezionalità della stazione appaltante, la quale, in modo del tutto legittimo, può decidere di assegnare a ciascuna offerta tecnica il punteggio massimo previsto dal bando, valutando solo la sussistenza o meno del requisito richiesto, e quindi senza alcuna graduazione del punteggio.

La questione, pertanto, è quella di vedere che tipo di rapporto ci sia tra il principio dell’efficacia nell’esecuzione dell’appalto (art. 30) e la discrezionalità della PA nel fissare i criteri di attribuzione del punteggio.

In realtà nel Codice non è rinvenibile un concetto normativo di “efficacia”: è solo ed unicamente la stazione appaltante a stabilire quale sia il grado di efficacia richiesto per il soddisfacimento dell’interesse pubblico sotteso all’appalto, e quindi essa potrebbe tranquillamente ritenere che tale interesse possa essere efficacemente tutelato con una prestazione che si limiti ad essere conforme a determinati canoni generali indicati nel fac simile di offerta economica, senza che il concorrente possa proporre delle soluzioni migliorative che potrebbero tutelare il suddetto interesse in modo ancor più accurato e completo, soluzioni che evidentemente la stazione appaltante non ha ritenuto meritevoli di attenzione (altrimenti essa avrebbe, coerentemente, strutturato il fac simile di offerta tecnica in sub-criteri e sub-punteggi). E’ quindi sufficiente che l’appaltatore si limiti ad eseguire la prestazione generale ad egli richiesta, e non occorre che si impegni per migliorarne gli effetti. Si tratta di una libera scelta della stazione appaltante, che rientra nella discrezionalità di quest’ultima.

L’art. 83 comma 6 del Codice prevede, per quanto riguarda i requisiti di capacità tecnico – professionale, che “le informazioni richieste non possono eccedere l'oggetto dell'appalto”.

Ciò significa che la stazione appaltante non può richiedere ai concorrenti il possesso di requisiti che siano superiori a quello che effettivamente è l’interesse pubblico da realizzare mediante l’appalto, e ciò al fine di non penalizzare i piccoli e medi operatori economici, i quali, sprovvisti di tali requisiti, si vedrebbero in tal modo privati (ingiustificatamente, vista la portata dell’appalto) della possibilità di partecipare.

Ma non significa anche che la stazione appaltante non possa ritenere come sufficiente, ai fini della realizzazione dell’interesse pubblico, una prestazione da eseguirsi in modo generico, senza eventuali migliorie: l’oggetto dell’appalto non è predefinito dal legislatore, ma è stabilito dalla stazione appaltante.

Se poi in seguito, ossia a contratto in corso, si scoprirà che la PA ha errato nell’individuare, come oggetto dell’appalto, una sola prestazione, in quanto risulterà che l’interesse pubblico dell’appalto avrebbe potuto (e dovuto) essere meglio realizzato se la prestazione fosse stata articolata in più prestazioni a ciascuna delle quali assegnare un certo punteggio, e quindi con alla base una comparazione più accurata e meno standardizzata tra le offerte tecniche, vorrà dire che la PA ne risponderà dinanzi a coloro che sono stati i fruitori dell’appalto.

Ma obbligare fin dall’inizio la stazione appaltante a graduare i punteggi, e quindi ad assegnare un punteggio minimo a chi dichiara di voler eseguire una prestazione di livello base, un punteggio medio a chi dichiara di voler eseguire una prestazione di livello un po' più elevato, ed un punteggio ancora maggiore a chi dichiara di voler eseguire una prestazione di qualità più alta delle prima due, significherebbe che ciascun concorrente potrebbe ricorrere al Giudice impugnando innanzi a quest’ultimo la norma del Capitolato relativa all’oggetto del contratto, affinchè sia il Giudice  a stabilire come l’interesse pubblico sotteso all’appalto debba essere realizzato: in pratica, l’apprezzamento del Giudice si sostituirebbe alla discrezionalità della PA.

Ciò tuttavia è possibile solo quando tale discrezionalità sia manifestamente illogica, contraddittoria ed irrazionale.

 

L’art. 21 quinquies comma 1 della Legge 241/90 stabilisce che la PA possa revocare il provvedimento nel caso di “nuova valutazione dell'interesse pubblico originario”: in tale formula potrebbe farsi rientrare anche il fatto di rimeditare i parametri di attribuzione dei punteggi dell’offerta tecnica; la stazione appaltante si è (tardivamente) resa conto che l’interesse pubblico avrebbe potuto essere meglio realizzato prevedendo a carico dell’appaltatore determinate condizioni per l’esecuzione del contratto (quindi “nuova valutazione dell'interesse pubblico originario”), e pertanto essa revoca l’aggiudicazione ed attiva una nuova procedura introducendo nel fac simile di offerta tecnica (cosa che non aveva fatto in precedenza) sub -criteri e sub- punteggi.

Il comma 1 bis della stessa norma stabilisce che, se la revoca del provvedimento provoca danni al soggetto che aveva beneficiato di quest’ultimo, l’indennizzo ad egli spettante deve essere diminuito se lui conosceva od avrebbe potuto conoscere la contrarietà del provvedimento all’interesse pubblico. Tale norma, applicata alla fattispecie in commento, comporta questo: se l’aggiudicazione viene revocata, l’aggiudicatario potrebbe anche vedersi ridotto l’indennizzo ove risulti che anche lui avrebbe potuto percepire che il provvedimento emesso in suo favore in realtà non tutelava l’interesse pubblico in maniera efficace (appunto perché nel fac simile di offerta tecnica era prevista solo una prestazione, mentre era noto che per un’ottimale soddisfacimento dell’interesse pubblico sarebbe stato necessario prevedere, con sub -criteri e sub – punteggi, ulteriori e più dettagliate condizioni per l’esecuzione delle prestazioni).

E’ evidente che assimilare il comma 1 bis sopra citato alla fattispecie oggetto della sentenza in commento è una provocazione: quale aggiudicatario potrebbe mai, andando contro il proprio interesse, sollecitare la stazione appaltante a revocare l’aggiudicazione disposta in favore di lui, sostenendo che la prestazione richiesta dal Capitolato era troppo generica in quanto avrebbe dovuto essere più articolata e dettagliata?

Tuttavia, il comma 1 bis della norma sopra citata ha introdotto un principio di estrema importanza: il privato, che ha beneficiato di un provvedimento, e che tuttavia era a conoscenza di quanto quest’ultimo fosse contrario all’interesse pubblico da tutelare, non potrà poi, nell’ipotesi di revoca del provvedimento, chiedere una tutela patrimoniale (o la potrà chiedere ma in forma molto limitata).

L’aspetto importante è che si parla non di “illegittimità” del provvedimento, ma di sua “contrarietà” all’interesse pubblico, non di “annullabilità” bensì di una inadeguatezza delle scelte di merito (ovvero discrezionali) della PA, inadeguatezza che, se non viene denunciata subito, ossia fin dai primi atti del procedimento, potrebbe costare caro anche a chi di tale inadeguatezza beneficerà.

Allora, si potrebbe dire (sempre provocatoriamente, si intende): in una procedura di appalto, sarebbe opportuno che i concorrenti, onde evitare il possibile rischio di una revoca dell’aggiudicazione (motivata dalla scelta di rifare una nuova procedura prevedendo nel fac simile di offerta tecnica ulteriori e più dettagliate condizioni per l’esecuzione delle prestazioni, e quindi sub -criteri e sub – punteggi), “avvisassero fin da subito” la stazione appaltante, esortandola a riarticolare in modo più preciso approfondito e dettagliato le prestazioni, a beneficio di loro stessi (chiunque di loro potrebbe essere aggiudicatario, e quindi chiunque di loro potrebbe incappare nella suddetta revoca, con conseguente diminuzione dell’indennizzo spettante), e, indirettamente, a beneficio anche dell’interesse pubblico stesso.

Il punto è questo: esistono, nel Codice, istituti che prevedano una compartecipazione dei concorrenti ai fini di quella che potrebbe definirsi come la “preparazione della procedura di appalto”?

L’art. 66 prevede che “Prima dell'avvio di una procedura di appalto, le amministrazioni aggiudicatrici possono svolgere consultazioni di mercato per la preparazione dell'appalto e per lo svolgimento della relativa procedura e per informare gli operatori economici degli appalti da esse programmati e dei requisiti relativi a questi ultimi.

Per le finalità di cui al comma 1, le amministrazioni aggiudicatrici possono acquisire consulenze, relazioni o altra documentazione tecnica da parte di esperti, di partecipanti al mercato nel rispetto delle disposizioni stabilite nel presente codice, o da parte di autorità indipendenti. Tale documentazione può essere utilizzata nella pianificazione e nello svolgimento della procedura di appalto, a condizione che non abbia l'effetto di falsare la concorrenza e non comporti una violazione dei principi di non discriminazione e di trasparenza”.

Tale norma quindi testimonia l’effettiva presenza, nel Codice, di forme di compartecipazione dei concorrenti: il problema è che anche l’attivazione di tali forme è lasciata (e forse non potrebbe essere diversamente) alla discrezionalità della PA: ci può essere l’Ente che, volendo essere certo della correttezza (anche nel merito, e non solo per quanto riguarda profili di illegittimità) del proprio operato, si apre al confronto con gli operatori e chiede loro pareri, osservazioni e proposte; ci può essere l’Ente il quale ritiene di poter decidere (a volte, anche di “dover” decidere!) autonomamente quali siano le prestazioni maggiormente idonee alla realizzazione dell’interesse pubblico e che a tale confronto non si apre.