1. Introduzione. Brevi cenni sulla distinzione tra l’accesso interessato ex L. n. 241/90 e l’accesso civico generalizzato ex D.Lgs. n. 33/2013 - 2. Le due interpretazioni giurisprudenziali circa l’applicabilità dell’accesso civico generalizzato in materia di appalti pubblici. Il contrasto in seno ai giudici di prime cure - 3. Il Contrasto in seno al Consiglio di Stato, Sez. III, 05/06/2019, n. 3780 e Sez. V, 02/08/2019, n. 5503 - 4. La rimessione della questione all’Adunanza Plenaria mediante l’Ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 8501 del 16/12/2019. Considerazioni conclusive.

 

 

 

1. Introduzione. Brevi cenni sulla distinzione tra l’accesso interessato ex L. n. 241/90 e l’accesso civico generalizzato ex D.Lgs. n. 33/2013.


L’accesso ai documenti amministrativi non è, o almeno non lo è più a seguito delle riforme intervenute, un diritto unitario avente un’unica sfaccettatura o manifestazione concreta.        
Esso, infatti, si presenta quantomeno bipartito in due principali figure: il cd. tradizionale o classico diritto di accesso previsto dalla Legge n. 241/1990, artt. 22 e seguenti, e il più recente accesso civico generalizzato, introdotto dal D.Lgs. n. 33/2013, artt. 5 e seguenti (introdotti nell’attuale formulazione mediante il D.Lgs. n. 97/2016). Una ulteriore figura, inoltre, riguarda i documenti che in base al D.Lgs. n. 33/2013 devono essere oggetto di pubblicazione su portali specifici ed immediatamente accessibili, al fine di consentirne l’apprensione al di là della richiesta. A tali istituti, peraltro, se ne possono aggiungere altri, definibili settoriali, come l’accesso dei consiglieri comunali e provinciali ex art. 43 T.U. degli Enti Locali e il diritto di accesso in materia ambientale ex D.Lgs. n. 195/2005.

Al di là delle classificazioni e delle più sottili distinzioni, rivolgendo la nostra attenzione alle due figure principali segnalate, si può sostenere che la differenza fondamentale tra esse sia rappresentata dall’interesse concretamente necessario per l’apprensione dei documenti richiesti.         
Da un lato, nel caso del diritto di accesso ex l. n. 241/90, sarà necessaria la dimostrazione di un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (art. 22, comma 1, lett. b), tanto che “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” (art. 24, comma 3).          
Dall’altro lato, ed al contrario, nel caso del diritto di accesso ex D.Lgs. n. 33/2013, “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni” (art. 5, comma 2), tanto che “l'esercizio del diritto di cui ai commi 1 e 2 non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L'istanza di accesso civico identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede motivazione” (art. 5, comma 3).     
Quella che può apparire una contraddizione legislativa - e forse in parte lo è nei termini che vedremo di mancato coordinamento - con la creazione di due istituti facce della stessa medaglia, si può comprende alla luce delle piccole differenze nelle limitazioni previste nell’uno e nell’altro caso. In entrambe le ipotesi, a ben vedere, l’accesso è escluso in caso di possibile violazioni di interessi sensibili, quali la sicurezza pubblica e nazionale, l’ordine pubblico, la difesa e le questioni militari, le relazioni internazionali, politica e stabilità finanziaria, ecc., ovvero nei casi di violazione di interessi privati, quali la protezione dei dati personali, la libertà e la segretezza della corrispondenza, gli interessi economici e commerciali, ecc. A voler paragonare le limitazioni legislativamente previste, rispettivamente nell’art. 24 della Legge n. 241/90 e nell’art. 5-bis del D.Lgs. n. 33/2013, si può affermare che i casi che giustificano un rifiuto per l'accesso civico sembrano più ampi rispetto a quelli che consentono di rigettare la richiesta di accesso cd. classico, determinando l'immagine di un accesso civico che corrisponde ad un cerchio dal raggio più ristretto rispetto all'area presidiata dall'accesso interessato.        
Ovviamente, si badi, qualunque sia l’interpretazione applicabile e di cui si parlerà di seguito, in ogni caso rimangono fermi, nel merito del diritto di accesso, le limitazioni previste dalla normativa nello specifico settore degli appalti pubblici, in particolare dall’articolo 53 del D.Lgs. n. 50/2016, comma 2 e ss. (differimento nel corso della gara e nell’eventuale verifica di anomalia, limitazioni con riferimento ai segreti tecnici e commerciali, ai pareri legali, ecc.). Tali aspetti non saranno oggetto del presente approfondimento, attinente più a monte alla configurazione del diritto di accesso e all’applicabilità della Legge n. 241/90 o del D.Lgs. n. 33/2013.


Posti tali aspetti preliminari, in estrema sintesi, ciò che ci si è chiesti in questi anni attiene principalmente alla possibilità di utilizzare l’istituto dell’accesso civico generalizzato nelle appalti pubblici.
In particolare, ci si è interrogati se per accedere ai documenti di gara, dall’offerta tecnica a quella economica fino ad arrivare all’eventuale fase esecutiva, occorra, in ossequio alla Legge n. 241/1990, avere un interesse diretto, concreto ed attuale ovvero, in ossequio al D.Lgs n. 33/2013, chiunque possa accedervi per puro spirito di controllo e senza dover dimostrare alcunché.  
Tradotto nei casi pratici spesso all’attenzione della giurisprudenza: può un operatore economico che non ha partecipato alla gara di appalto, ed in quanto tale non è portatore di un interesse qualificato, accedere agli atti, ai documenti e all’offerta degli altri operatori economici, persino alle fatture di pagamento che la stazione appaltante emette a seguito dell’esecuzione dell’appalto?       
Brevemente, è applicabile l’accesso civico generalizzato ex D.Lgs. n. 33/2013 alla materia degli appalti pubblici?         

 

 

 

 

 

 

2. Le due interpretazioni giurisprudenziali circa l’applicabilità dell’accesso civico generalizzato in materia di appalti pubblici. Il contrasto in seno ai giudici di prime cure.

 

Di fronte alla summenzionata questione, la giurisprudenza dei T.A.R. non ha dato una risposta univoca, dividendosi in due interpretazioni contrapposte.
 

Una prima impostazione escludeva l’applicazione dell’accesso civico generalizzato in materia di appalti pubblici. Ciò si basava sul combinato disposto dell’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016, che detta in parte una disciplina derogatoria in tale ambito, e sul comma 3 dell’art. 5-bis del D.Lgs. n. 33/2013, che esclude il diritto di accesso civico generalizzato nei casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti. In particolare – si argomentava – posta la configurazione anche di ipotesi eccezionali ex comma 3 dell’art. 5-bis, e posto che l’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016 prevede al primo comma che “il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”, solo il cd. “accesso interessato” potrebbe applicarsi e non già quello civico generalizzato. Inoltre, affermava tale filone giurisprudenziale, sebbene l’accesso civico generalizzato sia stato previsto solo successivamente mediante il D.Lgs. n. 97/2016 di modifica del D.Lgs. n. 33/2013, laddove il Legislatore avesse voluto non prevedere una specifica ipotesi derogatoria in materia di appalti pubblici sarebbe potuto intervenire in occasione del cd. “Decreto Correttivo”, n. 56/2017; se non lo ha fatto ed ha lasciato il solo richiamo alla legge n. 241/90, evidentemente ha voluto costruire un’ipotesi settoriale di non applicazione dell’accesso civico generalizzato.

Infine, si osservava ancora, sebbene i principi di concorrenza e trasparenza rappresentino aspetti ormai centrali, è logico e possibile che in settori particolari come quello degli appalti pubblici vi sia una loro legittima limitazione, al fine di evitare una indiscriminata possibilità di accesso ai documenti di gara.
Espressione di questo orientamento sono, innanzitutto, la pronuncia del T.A.R. Emilia – Romagna, Parma, del 18/07/2018, n. 197, ma anche T.A.R. Marche del 18/10/2018, n. 677, la quale è arrivata ad affermare che la richiesta di accesso agli atti in materia di appalti sarebbe volta ad ottenere uno scopo ultroneo rispetto a quello previsto dal D.Lgs. n. 33/2013, T.A.R. Lazio del 14/01/2019, n. 425 e T.A.R. Lombardia, Milano, del 25/03/2019, n. 630.         

Una seconda impostazione giurisprudenziale, al contrario, affermava la possibilità di operare mediante accesso civico generalizzato anche in materia di appalti pubblici. Ciò si basava, diversamente da quanto affermato in precedenza, sul fatto che la normativa non prevedesse alcuna esclusione specifica. In particolare, il comma 3 dell’art. 5-bis del D.Lgs. n. 33/2013 si riferirebbe ai divieti di accesso e non già a restrizioni di minor rilievo, come sarebbe quella ex art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016. Di conseguenza, l’unica limitazione atterrebbe alla possibilità di apprensione dei documenti richiesti fino al termine di conclusione della gara, e non già in generale escludendo l’applicazione dell’accesso civico generalizzato. Del resto, questa sarebbe l’unica lettura compatibile con i ben noti principi di trasparenza e concorrenza, che non consentirebbero una lettura oltremodo restrittiva.
Infine, il richiamo nell’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016 del solo accesso previsto dalla legge n. 241/90 sarebbe dovuto al fatto che tale normativa è entrata in vigore precedentemente al D.Lgs. n. 97/2016, ed in sede di Decreto Correttivo n. 56/2017 il Legislatore avrebbe dimenticato di ricondurre ad unità l’intero sistema.   
Espressione di quest’ultimo differente orientamento sono la pronuncia del T.A.R. Lombardia, Milano, del 11/01/2019, n. 45, T.A.R. Sicilia, Catania, del 29/01/2018, n. 218, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, del 22/12/2017, n. 6028 e T.A.R. Toscana, Sez. III, del 17/04/2019, n. 577.

 

 

 3. Il Contrasto in seno al Consiglio di Stato, Sez. III, 05/06/2019, n. 3780 e Sez. V, 02/08/2019, n. 5503 ;

 

In presenza di tale dibattito interpretativo dei giudici di prime cure, il Consiglio di Stato ha avuto modo di intervenire recentemente in due occasioni, con le sentenze della Sez. III, del 05/06/2018, n. 3780 e della Sez. V, del 02/08/2019, n. 5503.         


La prima delle menzionate sentenze è stata generata dalla richiesta da parte di un operatore economico, escluso dalla gara di appalto, di accesso civico generalizzato concernente da un lato i documenti della gara ormai espletata e, dall’altro lato ed in connessione, alcuni documenti relativi all’esecuzione del rapporto tra l’aggiudicataria e la stazione appaltante (contratto sottoscritto, preventivi, collaudi, pagamenti effettuati con la relativa documentazione fiscale dettagliata); richiesta respinta dalla Stazione Appaltante, dando così origine al contenzioso amministrativo.      
Il T.A.R. Emilia Romagna, aderendo alla prima delle impostazioni menzionate nel precedente paragrafo, aveva respinto il ricorso, rilevando l’impossibilità di applicare, ex artt. 53 del D.Lgs. n. 50/2016 e art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. 33/2013, l’accesso civico generalizzato alla materia specialistica e settoriale degli appalti pubblici. 
Il Consiglio di Stato (Sez. III, del 05/06/2018, n. 3780), dando conto delle due differenti impostazioni, ha annullato la sentenza ed accolto il ricorso rilevando come l’accesso civico generalizzato sia applicabile anche alla materia degli appalti pubblici.      
In particolare, l’Ill.mo Consesso, nel motivare la propria decisione, è partito dall’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016, osservando che la previsione secondo cui l’accesso civico generalizzato è escluso nei casi previsti dalla legge “ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti” non potrebbe essere letta nel senso di un’esclusione tourt court dell’intera materia degli appalti pubblici, giacché altrimenti si escluderebbe l’intera materia da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto del principio fondamentale di trasparenza, ricavabile direttamente dalla Costituzione.
Ebbene, il richiamo contenuto nell’art. 53 ai soli artt. 22 e ss. della Legge n. 241/90 “è (rectius, sarebbe) spiegabile alla luce del fatto che il D.Lgs 18 aprile 2016, n. 50 è anteriore al D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97 modificativo del D.Lgs. n. 33/2013”, osservando, a conferma di ciò, che “Il d.lgs. 25 maggio 2016 n. 97, che ha introdotto l'accesso civico novellando l'art. 5 d.lgs. n. 33/2013, si è dichiaratamente ispirato al cd. "Freedom of information act" che, nel sistema giuridico americano, ha da tempo superato il principio dei limiti soggettivi all'accesso, riconoscendolo ad ogni cittadino, con la sola definizione di un "numerus clausus" di limiti oggettivi, a tutela di interessi giuridicamente rilevanti, che sono appunto precisati nello stesso art. 5 co. 2 d.lgs. n. 33/2013”.      
Il Consiglio di Stato, inoltre, trae interessanti argomentazioni dal parere favorevole rilasciato in sede consultiva nei confronti dello schema di Decreto Legislativo n. 97/2016, sotto un duplice aspetto.
In primo luogo, già in quella occasione si era osservato che se è vero che vi è una limitazione oggettiva all’accesso civico, è altrettanto vero che ciò avviene solo nelle specifiche materie espressamente sottratte (ad esempio politica estera e sicurezza nazionale) e nei casi ove le norme speciali prevedano, per l’appunto, “specifiche condizioni, modalità o limiti”. Di conseguenza, non solo non vi sarebbe alcuna possibilità di applicazione estensiva o analogica delle ipotesi di esclusione, ma le disposizioni in materia di accesso dovrebbero essere lette non secondo un’interpretazione statica bensì secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, valorizzando l’impatto cd. “orizzontale” dell’accesso civico.

In secondo luogo, non può dirsi che la normativa così interpretata tuteli la semplice curiosità o la volontà di accaparrarsi dati sensibili o coperti dalla consueta e tutelata segretezza aziendale, bensì l’esigenza specifica del perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione. Aggiunge il Consiglio di Stato, sempre richiamando il già citato parere n. 515/2016, che “La trasparenza si pone come un valore-chiave, in grado di poter risolvere uno dei problemi di fondo della pubblica amministrazione italiana: quello di coniugare garanzie ed efficienza nello svolgimento dell'azione amministrativa. Tale valore può essere riguardato [...] come modo d'essere tendenziale dell'organizzazione dei pubblici poteri [...]”.   
Per di più, circa una stretta correlazione tra possibilità di accesso, trasparenza e lotta alla corruzione – ha rilevato sempre in motivazione il Consiglio di Stato - depongono anche le osservazioni più volte fornite della Commissione Europea ed il Piano Nazionale Anticorruzione.    
Infine e confermando l’importanza dei valori costituzionali tutelati, l’Ill.mo Consesso ha ritenuto prive di pregio le eccezioni formulate dalla stazione appaltante circa una “eccessiva” voluminosità della documentazione di gara, osservando che la natura dei documenti da apprendere, attinenti allo svolgimento della gara nonché all’esecuzione dell’appalto, incluse le fatture di pagamento, non è tale da permettere di rilevare una compromissione di segreti del processo industriale della società aggiudicatrice, ferma la necessaria cautela con riferimento alla documentazione fiscale.

Dopo tale prima importante pronuncia, il medesimo Consiglio di Stato, questa volta Sez. V, ha avuto modo di intervenire a distanza di poco tempo, con la già citata e seconda sentenza 02/08/2019, n. 5503, di contenuto completamente opposto alla precedente.    
La vicenda riguardava diverse richieste di apprensione documentale da parte di un operatore economico relativamente all’esecuzione del servizio oggetto dell’appalto; richieste respinte dalla Stazione Appaltante ma accolte, in primo grado, dal T.A.R. Toscana, in base alle ormai ben note argomentazioni circa l’applicabilità dell’accesso civico generalizzato. 
L’Ill.mo Consesso premette al ragionamento che l’accesso ai documenti in possesso delle P.A. è oggi regolato da tre diversi sistemi, ciascuno con propri presupposti, limiti e condizioni: l’accesso documentale ex artt. 22 e ss. della l. n. 241/90; l’accesso civico ai documenti oggetto di pubblicazione ex D.Lgs. n. 33/2013; l’accesso civico generalizzato, introdotto dalle modifiche apportate a quest’ultimo Decreto dal D.Lgs. n. 97/2016. Tali tre istituti risultano ciascuno pari ordinato all’altro, operando ciascuno nel proprio ambito e senza applicazione di alcun principio di abrogazione tacita o implicita ad opera della disposizione successiva nel tempo.   

Posta tale premessa, ed osservato che nel caso di specie si trattava della possibile applicazione dell’accesso civico generalizzato, il Consiglio di Stato in tale sentenza osserva che l’art. 5-bis del D.Lgs. n. 33/2013 esclude indubbiamente, nel suo comma 3, dall’accesso generalizzato i casi di segreti di Stato ed i casi di divieto di accesso o di divulgazione previsti dalla legge, i casi previsti dall’art. 24, comma 1, della l. n. 241/90 (che riguarda, tiene a segnalare il Collegio, anche intere materie), nonché i casi in cui “l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”. E qui una netta differenza rispetto alla prima sentenza citata: “Il Collegio ritiene che, anche in ragione della peculiare tecnica redazionale appena detta, tale ultima eccezione assoluta ben possa essere riferita a tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di accesso, in riferimento a determinati ambiti o materie o situazioni, subordinandolo a "condizioni, modalità o limiti" peculiari; quindi, che l'eccezione non riguardi le ipotesi in cui la disciplina vigente abbia quale suo unico contenuto un divieto assoluto (o relativo) di pubblicazione o di divulgazione: se non altro perché tale ipotesi è separatamente contemplata nella medesima disposizione”.

Ebbene, il Consiglio di Stato ritiene che l’inciso anzidetto “l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti” sarebbe inutilmente ripetitivo ove servisse soltanto a richiamare divieti di pubblicazione o divulgazione previsti da altre norme. Al contrario, la previsione assumerebbe un significato autonomo e decisivo se riferita alle discipline speciali vigenti in tema di accesso e, nel caso specifico, al primo inciso del comma primo dell’art. 53. Ciò comporterebbe, ed ecco il punto decisivo, “che il richiamo testuale alla disciplina degli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990 n. 241 va (rectius, andrebbe) inteso come rinvio alle condizioni, modalità e limiti fissati dalla normativa in tema di accesso documentale, che devono sussistere ed operare perché possa essere esercitato il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici”.

Il Consiglio di Stato, Sez. V, richiama anche la precedente sentenza già citata della Sez. III, contestandone alcune affermazioni, non in linea con l’impostazione di cui sopra, ritenendo che ove il Legislatore avesse voluto introdurre l’accesso civico generalizzato nella materia degli appalti pubblici sarebbe potuto intervenire con il cd. Decreto Correttivo, n. 56/2017.

In più, ed ancora in contrasto con l’altra impostazione, anche elementi di interpretazione sistematica relativa alla particolarità della materia degli appalti pubblici deporrebbe per l’applicazione del solo accesso documentale ex legge n. 241/90 e non già civico generalizzato. La finalità di trasparenza e, soprattutto, deterrente alla corruzione sarebbe nello specifico assolta dall’ANAC mediante le sue numerose funzioni, non già da un accesso consentito a chiunque.      
Del resto – osserva il Consiglio di Stato -, ove si interpretasse diversamente, si rischierebbe di distorcere l’accesso civico generalizzato, utilizzandolo per la soddisfazione di interessi economici e commerciali del singolo operatore, nell’intendo di superare i limiti interni dei rimedi specificamente posti dall’ordinamento a tutela di tali interessi ove compromessi dalla conduzione delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.

In conclusione, aggiunge l’Ill.mo Consesso: “Dato tutto quanto sopra, non resta che concludere che la legge propende per l'esclusione assoluta della disciplina dell'accesso civico generalizzato in riferimento agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici. Tale esclusione consegue, non ad incompatibilità morfologica o funzionale, ma al delineato rapporto positivo tra norme, che non è compito dell'interprete variamente atteggiare, richiedendosi allo scopo, per l'incidenza in uno specifico ambito di normazione speciale, un intervento esplicito del legislatore”.

Riassumendo, l’accesso civico generalizzato, per il ragionamento proposto dalla V Sezione, in contrasto con la III, non è applicabile fino a che un intervento del Legislatore non lo consenta, non potendosi l’interprete ergere ad una funzione non consentita, dovendo necessariamente applicare le norme, le quali – in quest’ottica – non consentirebbero di ritenerlo operante nella materia dei contratti pubblici.
 

 

4. La rimessione della questione all’Adunanza Plenaria mediante l’Ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 8501 del 16/12/2019. Considerazioni conclusive.

 

Il Consiglio di Stato, Sez. III, è stato nuovamente chiamato a pronunciarsi ancor più recentemente sulla questione, determinando la rimessione all’Adunanza Plenaria con Ordinanza n. 8501 del 16/12/2019.
In particolare, si tratta di una vicenda originata dalla richiesta da parte della seconda classificata in graduatoria di accesso ai documenti relativi all’esecuzione dell’appalto, al fine dichiarato di verificare se l’esecuzione del contratto si stesse svolgendo nel rispetto del capitolato tecnico e dell’offerta migliorativa e, conseguentemente, poter subentrale come esecutrice per “scorrimento della graduatoria” ove fossero state rivelate inadempienze dell’appaltatore con risoluzione del contratto.        
Il T.A.R. Toscana, con sentenza n. 577/2019, aveva respinto il ricorso, rilevando, in primo luogo, l’assenza di un interesse qualificato idoneo ex Legge n. 241/90 giacché l’indagine appariva totalmente esplorativa non essendo dimostrato l’inadempimento dell’appaltatore e, in secondo luogo, l’inapplicabilità della disciplina di cui all’accesso civico generalizzato nella materia degli appalti pubblici.   
Il Consiglio di Stato, nell’Ordinanza menzionata, analizza tantissime questioni (con i conseguenti contrasti e dubbi interpretativi) attinenti al rapporto tra le diverse tipologie di accesso, alla possibilità da parte del giudice di inquadrare una indefinita richiesta di accesso nell’una o nell’altra ipotesi di accesso interessato ex Legge n. 241/90 ovvero civico ex D.Lgs. n. 33/2013, ai limiti di applicazione dei vari istituti.

Non potendo in tale sede richiamare le tante argomentazioni presenti nell’Ordinanza (rinviando ad una sua lettura ove si volesse approfondire l’argomento, in attesa dalla pronuncia risolutiva), giova rilevare le tre questioni rimesse alla decisione dell’Adunanza Plenaria, frutto dei già citati ed ormai ben noti contrasti giurisprudenziali:      
“I. Se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria;

- II. Se la disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lvo n. 33/2013, come modificato dal d.lvo n. 97/2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice;

- III. Se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla legge n. 241/1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013; se, di conseguenza, il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla legge n. 241/1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato”. 

Oltre alle questioni sub. I e II, già oggetto degli ampi contrasti giurisprudenziali segnalati, risulta molto interessante la questione sub. III, che per la prima volta il Consiglio di Stato si è posto. Ci si è chiesti, in particolare, se la richiesta di accesso documentale che faccia riferimento alla Legge n. 241/90 (o, diversamente, la richiesta generica), possa o debba essere dall’amministrazione o dal giudice “tramutata” in richiesta riguardante l’accesso civico generalizzato ex D.Lgs. n. 33/2013 ove non siano presenti i presupposti per la prima tipologia di accesso ma sia invece possibile applicare il secondo e per tal via concedere l’apprensione documentale.

 

Appare evidente che l’Adunanza Plenaria si troverà di fronte ad un compito molto complesso, potendo da un lato porre un punto su tante questioni tutt’ora aperte e, dall’altro ed insieme, dovendo chiarire l’applicazione concreta di una normativa non coordinata.    
Il tutto, non ci si dimentichi mai, facendo applicazione dei ben noti principi costituzionali di trasparenza, imparzialità, buon andamento, concorrenza, nell’ottica della ben nota costruzione della Pubblica Amministrazione come “casa di vetro”.            
Non sarà di certo semplice, giacché se è vero che l’accesso civico generalizzato sembra ormai entrato di buon passo nel nostro Ordinamento come strumento di controllo e lotta alla più generale irregolarità amministrativa, financo come presidio della concorrenza e lotta alla corruzione, e come tale non sembra esservi ragione ontologica per un’esclusione tanto radicale quanto quella relativa all’intera materia degli appalti pubblici, è altrettanto vero che il combinato disposto della normativa in materia non risulta coerente e logicamente costruito. Dall’altro lato, è davvero un presidio di concorrenza e lotta alla corruzione la possibilità riconosciuta a chiunque, anche senza un interesse qualificato, di accedere agli atti di gara? Non ci sono o non dovrebbero esserci strumenti di controllo più profondi e risolutivi?      
In aggiunta, la domanda che sovviene ad un semplice operatore del diritto, è: si può davvero pretendere che la Pubblica Amministrazione sia, o possa essere in futuro, una casa di vetro se il Legislatore in questa come in altre ipotesi non perde occasione per complicare anziché semplificare il quadro? Se già è “vezzo” dell’interprete dubitare anche di testi legislativi chiari (e molti casi ne abbiamo), può essere rimesso all’interprete risolvere contrasti interpretativi determinati da testi non coordinati? Non sarebbe opportuno, a monte di tutto ciò, introdurre una disciplina organica ed unitaria di accesso ai documenti amministrativi in materia di appalti pubblici?     
Interrogativi leciti, in attesa delle risposte dell’Adunanza Plenaria alla quale spetta, in questo mare magnum normativo, il più complesso compito di dirimere le tante questioni segnalate.