Cons. Stato, sez. III, 23 dicembre 2019, n. 8672

E’ rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione se il limite normativo delle “utilità conseguite”, di cui all'inciso finale contenuto sia nell'art. 92, comma 3, che nell'art. 94, comma 2, d.l.gs. n. 159 del 2011, è da ritenersi applicabile ai soli contratti di appalto pubblico, ovvero anche ai finanziamenti e ai contributi pubblici erogati per finalità di interesse collettivo.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 4345 del 2019, proposto da
AGEA – AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Iacoviello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza Capo di Ferro 13;

UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO - POTENZA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la revoca del finanziamento concesso all’-OMISSIS- nell’ambito del Bando relativo all’attuazione della Misura 121 - Pif -OMISSIS- ed il presupposto provvedimento di interdittiva antimafia.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’-OMISSIS- e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Potenza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2019 il Cons. Giovanni Pescatore e uditi per le parti l’avvocato Giuseppe Iacoviello e l'avvocato dello Stato Lorenza Vignato;

Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. La vicenda per cui è lite trae origine dalla d.G.R. -OMISSIS- del 27.7.2012 con la quale la Regione Basilicata, nell’ambito del Bando relativo all’attuazione della Misura 121 - Pif -OMISSIS-, ha ritenuto finanziabile la domanda di aiuto avanzata dall’-OMISSIS-, finalizzata all’acquisto di attrezzature e macchinari per la costruzione e l’ampliamento di una cantina -OMISSIS-cola aziendale.

Il finanziamento concesso ammonta ad € 251.342,50.

2. A seguito dell’esito positivo dell’istruttoria, l’AGEA ha liquidato alla -OMISSIS- la somma complessiva di € 248.756,99, ripartita in diverse tranches erogate a titolo di anticipo (in data 08/03/2013, € 125.671,24), acconto (in data 11/12/2013, € 38.033,42 e in data 31/12/2014, € 37.369,33) e saldo (in data 23/05/2016, € 47.683,00).

3. In previsione dell’erogazione del contributo la Regione aveva richiesto il rilascio dell’informativa antimafia in data 26.12.2012 e successivamente in data 22.12.2014, senza tuttavia ricevere alcuna risposta da parte della Prefettura competente.

4. Solo con nota prot. -OMISSIS- del 23.5.2017, la Regione Basilicata ha comunicato all’Organismo pagatore che l’azienda finanziata era stata attinta da una informativa antimafia positiva, emessa dalla Prefettura di Potenza in data 10.02.2016.

Per l’effetto, in attuazione dell’art. 92, comma 3, d.lgs. 159/2011, l’AGEA ha adottato il provvedimento prot. -OMISSIS- del 21.6.2017, con il quale ha disposto la revoca dei contributi concessi per l’attuazione della Misura 121, intimandone la restituzione.

Con lo stesso provvedimento, l’AGEA ha altresì revocato e chiesto in restituzione i contributi erogati per la Domanda Unica, relativi alle campagne agrarie 2015 e 2016, dell’importo complessivo di € 1.014,02.

5. Alla prima interdittiva del 10.02.2016 ne ha fatto seguito una seconda, emessa il 25.5.2017.

La società le ha impugnate entrambe, con due distinti ricorsi, n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS-.

Una terza interdittiva (confermativa delle precedenti) è stata emessa nel corso 2018 ed è stata impugnata con motivi aggiunti al ricorso n. -OMISSIS-.

Infine, un terzo giudizio, n. -OMISSIS-, è stato instaurato avverso gli atti di revoca dei finanziamenti.

6. Il contenzioso risultante dalla riunione delle tre cause è stato definito con sentenza n. -OMISSIS-, mediante la reiezione dei primi due ricorsi e l’accoglimento del terzo.

7. In questa sede, appella in via principale l’AGEA, contestando l’interpretazione resa dal Tar degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. 159/2011 e la conseguente statuizione di illegittimità dei provvedimenti di revoca dei finanziamenti.

8. L’-OMISSIS- si è costituita in giudizio in data 14.6.2019, depositando in data 17.6.2019 un atto contenente, oltre alla replica alle deduzioni avversarie, anche un appello incidentale, ex artt. 96 c.p.a. e 334 c.p.c., avverso i capi decisori e motivazionali in cui il Tribunale lucano ha respinto i ricorsi di primo grado riguardanti i provvedimenti interdittivi presupposti.

9. A seguito del rinvio al merito dell’istanza cautelare, non ulteriormente coltivata dall’appellante principale, la causa è stata discussa e posta in decisione all’udienza pubblica del 12 dicembre 2019.

DIRITTO

1. Ordine espositivo.

1.1. Nel contesto di impugnative incrociate poc’anzi descritto, risulta prioritaria la disamina dei motivi veicolati con l’appello incidentale, in quanto riferiti ad atti presupposti a quelli oggetto dell’appello principale e, quindi, attinenti a tematiche potenzialmente assorbenti la complessiva res controversa.

Trattasi di appello incidentale “tardivo”, ai sensi dell'art. 334 c.p.c., in quanto spedito per la notifica il 17.6.2019, quindi entro i sessanta giorni dalla ricezione della notificazione dell'appello principale (avvenuta il 23.4.2019), ma oltre il termine lungo di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (avvenuta il 23.10.2018).

Poiché, peraltro, l’art. 96 comma 4 c.p.a. stabilisce che l'appello incidentale tardivo "perde ogni efficacia" solo a fronte dell'inammissibilità dell'appello principale, circostanza che nella specie non ricorre (per quanto si dirà al paragrafo 3.1), entrambe le impugnative possono ritenersi ammissibili e meritevoli di disamina nel merito.

1.2. Sempre per chiarezza espositiva, è sin d’ora utile anticipare che il Collegio ritiene infondato l’appello incidentale, per i motivi di seguito esposti al paragrafo 2. Quanto all’appello principale, appare meritevole di rimessione all’Adunanza Plenaria la questione interpretativa in ordine all’esatta portata della clausola di salvaguardia di cui agli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. 159/2011 (v. paragrafo 3.9).

 

2. L’appello incidentale.

2.1. Le interdittive -OMISSIS- e -OMISSIS-, adottate dalla Prefettura di Potenza rispettivamente in data 10.2.2016 e 25.5.2017, si fondano sul comune assunto secondo il quale l’Azienda -OMISSIS- avrebbe introitato finanziamenti illeciti e sarebbe risultata esposta al condizionamento di ambienti criminali riconducibili all’associazione ‘ndranghetistica capeggiata da -OMISSIS-.

Il pericolo di infiltrazione sarebbe stato veicolato dal consulente finanziario -OMISSIS- - -OMISSIS- e -OMISSIS- delle -OMISSIS- del 70% capitale della -OMISSIS- (-OMISSIS- e la -OMISSIS-) – indicato come detentore effettivo del potere gestionale dell’-OMISSIS-.

2.2. In punto di fatto occorre puntualizzare che:

- nel periodo intercorso tra la prima e la seconda interdittiva, -OMISSIS- hanno dismesso le loro quote, cedendole nella misura del 25% in favore dell’amministratore unico -OMISSIS- (divenuto socio di maggioranza con il 55%); nella misura del 10% in favore della sig.ra -OMISSIS-, e nella misura del restante 35% in favore del sig. -OMISSIS-, -OMISSIS- di -OMISSIS-;

- cionondimeno, la Prefettura di Potenza ha ritenuto, nei due provvedimenti assunti nel 2017 e nel 2018, di confermare la prognosi di possibile infiltrazione già espressa nel provvedimento del 2016, assumendo la persistenza del controllo sostanziale della società da parte del -OMISSIS- e, per contro, il carattere “presumibilmente solo formale” della dimissione delle quote sociali in precedenza detenute dalle di lui -OMISSIS- e -OMISSIS-;

- il terzo provvedimento interdittivo -OMISSIS- dell’8.3.2018 è intervenuto nel corso del giudizio n. -OMISSIS- (avente ad oggetto la seconda interdittiva), in esito all’ordinanza cautelare propulsiva del Tar n. -OMISSIS-, ed è stato impugnato con motivi aggiunti.

2.3. Il Tar Basilicata, pur non rinvenendo riscontri circa l’asserito introito da parte dell’-OMISSIS- di risorse finanziarie di provenienza illecita, ha tuttavia dato conto di una serie di ulteriori elementi a suo dire comprovanti il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, in buona parte desumendoli dalle risultanze - ampiamente richiamate nei provvedimenti prefettizi - dell’indagine penale condotta dalla Procura di -OMISSIS-, nel corso della quale il -OMISSIS- è stato sottoposto a misura custodiale e sequestro preventivo di numerosi beni con ordinanza del Gip di -OMISSIS- del 6 luglio 2015.

Le vicende delittuose descritte nell'ordinanza ruotano in gran parte intorno al ruolo professionale del -OMISSIS-, le cui competenze in materia fiscale e commerciale risulterebbero essere state utilizzate per consentire una vasta e sistematica attività criminale in danno dell'erario nonché, all'occorrenza, per riciclare risorse di origine illecita ed eludere misure di prevenzione.

Il -OMISSIS- è indicato come persona di fiducia di -OMISSIS-, già condannato con sentenza confermata in appello per il reato di cui all'art. 416 bis c.p.. Entrambi sono accusati della commissione del reato di cui all'art. 648 bis (riciclaggio) e del reato di concorso in trasferimento fraudolento di valori (art. 12 quinques D.L. 306/1992 convertito in L. 356/92).

Il profilo criminale del -OMISSIS- emerge, come detto, sia dagli atti dell'inchiesta “-OMISSIS-” condotta dalla Procura di -OMISSIS-, nel corso della quale sono risultati plurimi i contatti telefonici con persone affiliate alla 'ndrangheta; sia dalle risultanze dell'operazione “-OMISSIS-” condotta dalla Procura di Milano, dai cui atti risulta come il -OMISSIS- "in seno all'organizzazione economica 'ndranghetista di cui fa parte -OMISSIS-, si sia occupato di reperire imprese, prestanome, conti correnti, riciclare denaro e falsificare bilanci e fatture. Significativi risultano, proprio nell'ottica di tale attività, i frequenti contatti e gli incontri con -OMISSIS-, il -OMISSIS- del capo della "famiglia ''ndranghetista -OMISSIS- " e le persone a lui vicine, con il chiaro intento di garantire interessi socio-economici dell'organizzazione stessa".

Emerge in modo inequivocabile, sia pure nel contesto di atti di rilevanza indiziaria posti a base di un procedimento penale in fieri, che il coinvolgimento del -OMISSIS- nelle attività illecite svolte da appartenenti alla 'ndrangheta è stato - come si legge sempre nell'ordinanza cautelare del GIP - "tutt'altro che episodico quanto, piuttosto, abituale, essendo evidentemente preziose le sue competenze tecniche per permeare il settore delle attività economiche ed imprenditoriali con imprese direttamente o indirettamente riconducibili ad appartenenti ad organizzazioni criminali, utilizzate, .... per riciclare i proventi delle attività criminose direttamente gestite dall'associazione".

2.4. Nel quadro di implicazioni criminali sin qui tracciato, il Tar Basilicata ha poi individuato una serie di più specifici elementi indizianti il pericolo dell’infiltrazione mafiosa della -OMISSIS-, e tra questi:

- i legami, comprovati da numerose intercettazioni telefoniche, tra -OMISSIS- e -OMISSIS-, legale rappresentante dell’-OMISSIS- -OMISSIS- (cfr. pagg. 16 e 226 dell’ordinanza di custodia cautelare del GIP di -OMISSIS- del 6.7.2015);

- l’intervenuta dimissione di quote societarie da parte di -OMISSIS- e -OMISSIS- in favore di soggetti comunque contigui alla pregressa compagine societaria (-OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, -OMISSIS- di -OMISSIS-);

- il fatto che il -OMISSIS- della socia -OMISSIS- avesse “contattato più volte al telefono -OMISSIS- -OMISSIS-” e che il sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- di -OMISSIS-, risultasse tra i quattro dipendenti dell’-OMISSIS- S.r.l..

2.5. Nel presente grado di giudizio, l’azienda appellante censura la pronuncia del Tar anzitutto come erronea e contraddittoria nella parte in cui, pur rappresentando circostanze ad essa favorevoli, non ne fa derivare valutazioni conseguenti in ordine al pericolo di condizionamento mafioso.

2.5-I) Nello specifico evidenzia che:

- la Prefettura non è riuscita a dimostrare il trasferimento di risorse di natura illecita in favore della società;

- stando alle risultanze dell’indagine condotta dalla guardia di finanza nel 2015, l’ampliamento della -OMISSIS- sita in -OMISSIS- è stato eseguito con ricavi provenienti dall’attività -OMISSIS-; del pari, dalle risultanze della medesima attività di indagine trova conferma il fatto che l’intera gestione aziendale ha tratto alimento da risorse finanziarie lecite;

- se è vero, dunque, che la peculiarità dell’associazione capeggiata da -OMISSIS- è quella di essere stata dedita al riciclaggio di denaro di origine illecita, le circostanze poc’anzi richiamate forniscono la dimostrazione dell’assenza di qualsivoglia tipo di condizionamento o di infiltrazione mafiosa dell’azienda -OMISSIS-.

2.5-II) In via subordinata, l’appellante incidentale censura la sentenza di primo grado per la compromissione del diritto di difesa che si sarebbe consumata in conseguenza della mancata acquisizione della trascrizione delle telefonate asseritamente intercorse tra l’amministratore unico della Azienda -OMISSIS- e il sig. -OMISSIS- -OMISSIS-; il cui contenuto, peraltro, per quanto se ne conosce e sempre a detta della ricorrente incidentale, apparirebbe assolutamente lecito, in quanto non dimostrativo di alcuna immissione nella disponibilità dell’azienda di risorse illecite, ovvero di alcuna alterazione della strategia imprenditoriale della medesima azienda posta in essere da e/o nell’interesse di terzi soggetti criminali.

2.5-III) Quanto al presunto ruolo di amministratore di fatto del sig. -OMISSIS-, anche di esso - a parere della ricorrente - non vi è alcuna dimostrazione, essendo emerse, al contrario, prove del fatto che l’azienda è condotta dall’amministratore unico -OMISSIS-, il quale si occupa in prima persona dei lavori di coltivazione e della gestione quotidiana delle attività -OMISSIS-; attività, queste, alle quali risultano del tutto estranei tanto il -OMISSIS- -OMISSIS-, quanto la -OMISSIS- e la -OMISSIS-, tutti emigrati da oltre quaranta anni a -OMISSIS-.

2.5-IV) Le ulteriori considerazioni svolte dal Tar Basilicata vengono fulminate dalla parte appellante come assolutamente inidonee a giustificare i provvedimenti adottati dalla Prefettura di Potenza, in quanto:

- innanzitutto, esse si riferiscono solo alla seconda interdittiva e non anche alla prima; dunque, impropriamente la sentenza appellata ha utilizzato l’argomento delle intercettazioni telefoniche anche per vagliare la legittimità delle ultime due interdittive del 25.5.2017 e dell’8.3.2018, nonostante alcuna conversazione telefonica fosse più intercorsa tra l’amministratore unico -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-, quantomeno dalla fine del 2013 in poi;

- le altre circostanze prese in esame dal Tar Basilicata, considerate nella loro portata intrinseca, si rivelano neutre ed inidonee a configurare alcun rischio e/o pericolo di condizionamento mafioso;

- il contenuto della terza interdittiva (8 marzo 2018) stravolge il quadro indiziario tracciato nei precedenti provvedimenti ed, in particolare, nella nota della DIA del 21.12.2015 e nella prima interdittiva, in quanto afferma l’esistenza di elementi indiziari a carico di -OMISSIS- -OMISSIS- e di -OMISSIS-, laddove in precedenza alcun fatto indiziario era stato segnalato a loro carico. Tale contrasto insanabile tra più manifestazioni nell’esercizio del medesimo potere invaliderebbe e imporrebbe l’annullamento dell’ultimo provvedimento interdittivo adottato dalla Prefettura in data 8 marzo 2018.

2.5-V) Nel contesto del medesimo motivo V, con ulteriori e distinte censure (dedotte ai punti 5.1, 5.2 e 5.3) viene lamentata l’omessa disamina da parte del Tar dei motivi di doglianza intesi a denunciare lo sleale comportamento processuale della Prefettura di Potenza (5.1); l’inosservanza da parte della stessa Prefettura dell’input propulsivo impartitole con l’ordinanza cautelare del 25 ottobre 2017, in esecuzione della quale l’amministrazione avrebbe dovuto procedere ad un riesame della fattispecie alla luce del dato (rilevato dal Tar) dell’assenza di controindicazioni a carico di -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- (5.2); l’estrapolazione dagli atti di indagine soltanto delle parti di interesse della Prefettura, e il parallelo stralcio delle risultanze favorevoli a -OMISSIS- -OMISSIS- (5.3).

2.5-VI) Con un sesto motivo, l’appellante incidentale sostiene che la natura simulata degli atti di trasferimento di quote dai vecchi soci -OMISSIS- e -OMISSIS- ai nuovi soci -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-, pur affermata nel terzo provvedimento interdittivo (8 marzo 2018), è del tutto sprovvista di elementi di supporto, oltre che contraddetta da un’ampia mole di documenti di segno opposto.

2.5-VII) Sempre in relazione al terzo provvedimento interdittivo (8 marzo 2018), vengono censurati come irrilevanti i rapporti, ivi richiamati, del sig. -OMISSIS- con -OMISSIS- -OMISSIS- (-OMISSIS- di -OMISSIS-), con -OMISSIS- -OMISSIS- (-OMISSIS- di -OMISSIS-) e con -OMISSIS- (-OMISSIS- di -OMISSIS-), in quanto soggetti estranei all’attività aziendale, del tutto privi di pregiudizi penali e di implicazioni di qualunque tipo con ambienti criminali.

2.5-VIII) Infine, a detta dell’appellante, dalla lettura del provvedimento interdittivo dell’8 marzo 2018 non è dato comprendere in che modo il sig. -OMISSIS- -OMISSIS- continuerebbe ad influenzare con metodi illeciti e mafiosi la conduzione dell’azienda -OMISSIS- e quali sarebbero gli indizi tuttora riscontrabili a carico dei soci -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-.

2.6. Così riepilogati i plurimi motivi posti a corredo dell’appello incidentale, il Collegio ritiene che gli stessi sia infondati e che, pertanto, la sentenza impugnata meriti in parte qua di essere confermata.

2.6.1) Con riguardo alle censure di carattere procedimentale occorre subito osservare che la mancata ostensione delle intercettazioni telefoniche (2.5-II) non è stata denunciata in primo grado (vedasi l’atto di motivi aggiunti del 16.4.2018, depositato nel giudizio n. -OMISSIS-), sicché essa non può essere dedotta come motivo di appello, ostandovi il divieto dei “nova” (104, comma 1, c.p.a.).

2.6.2) Quanto al vincolo conformativo promanante dall’ordinanza cautelare del 25.10.2017 -OMISSIS- e asseritamente disatteso dalla Prefettura (2.5-IV), è il caso di precisare che il provvedimento del Tar ha semplicemente sollecitato il riesame della informativa impugnata limitandosi a segnalare, tra i vari aspetti meritevoli di considerazione, il fatto che dalla relazione della Direzione investigativa antimafia del 21 dicembre 2015 era emersa l’insussistenza di risultanze a carico di -OMISSIS- e di -OMISSIS-.

L’informativa del 2018, emessa in attuazione del disposto riesame, ha del tutto lecitamente integrato il quadro istruttorio di nuovi elementi, giungendo a “confermare il condizionamento di -OMISSIS- -OMISSIS- da parte di -OMISSIS- -OMISSIS-” e ad evidenziare “la circostanza che -OMISSIS-, -OMISSIS- di -OMISSIS-, di professione -OMISSIS-, ha contattato più volte al telefono -OMISSIS- -OMISSIS-, come risulta dalle intercettazioni telefoniche relative all’operazione “-OMISSIS-”.

Alla stregua di tali emergenze, non può certo dirsi che l’ordine propulsivo sia stato disatteso od in qualche modo violato, poiché nulla impediva che il potere di riesame rimesso dal Tar all’amministrazione prefettizia potesse esplicarsi, del tutto legittimamente, attraverso l’acquisizione di nuovi elementi istruttori ed una rivalutazione discrezionale ed incondizionata del compendio indiziario così arricchito.

2.6.3) Neppure pare possibile censurare di slealtà la condotta amministrativa e processuale dell’amministrazione o la contraddittorietà, rispetto ai precedenti provvedimenti, dell’interdittiva del 2018 (2.5-IV e V), poiché, al contrario, la Prefettura ha espresso una linea d’azione coerente ed un indirizzo di giudizio univoco e costante, nel quale ha di volta in volta incanalato gli elementi indiziari che, a suo dire, apparivano sintomatici del rischio di infiltrazione. Così operando ha esercitato in modo conforme al suo scopo specifico il potere di aggiornamento dell’informativa, previsto dall’art. 91 d.lgs. n. 159/2011.

Se è vero, peraltro, che la valutazione della legittimità dell'informativa antimafia va condotta in relazione allo stato di fatto e di diritto esistente al tempo della sua adozione, ciò non toglie che l’amministrazione abbia piena facoltà di confermare di volta in volta il persistente valore indiziario di elementi più risalenti e di integrare gli stessi con l’esito dei più recenti aggiornamenti. La legittimità di tale riconsiderazione cumulativa e dinamica del materiale istruttorio non risente di paletti o di limitazioni di carattere procedurale, ma va vagliata esclusivamente sul piano della congruenza logica delle valutazioni espresse e degli elementi motivazionali in essa addotti.

2.7. A questo proposito, la struttura motivazionale del provvedimento interdittivo del 2018 fa leva, essenzialmente, su due elementi chiave: i) lo spessore criminale e la capacità di infiltrazione di -OMISSIS- -OMISSIS-; ii) il suo ruolo gestionale nell’ambito della -OMISSIS-.

2.7.1) Il primo profilo trova conferma nella lunga serie di vicende delittuose richiamate nell’ordinanza cautelare del Gip di -OMISSIS- del 6 luglio 2015, che hanno visto variamente coinvolto il -OMISSIS- e che ne confermano la caratura delinquenziale e gli intensi rapporti collaborativi abitualmente intrattenuti con -OMISSIS- (condannato con sentenza conformata in appello per il reato di cui all'art. 416 bis c.p.), oltre che con ambienti ed esponenti organici all’associazione ‘ndranghetistica.

Si tratta di circostanze che, per la qualificata fonte di indagine dalla quale promanano e per la consistenza e dovizia di elementi istruttori che le supportano, forniscono una base certamente adeguata alla formulazione di un giudizio sintomatico a fini di prevenzione antimafia.

Questa prima parte del contenuto motivazionale dei provvedimenti impugnati - non investita dalla pur corposa mole di censure declinate in atti - restituisce indicazioni rilevanti sul ruolo specifico del -OMISSIS- all’interno dell’associazione criminale e sulla sua peculiare missione, che è stata quella di garantire gli interessi del sodalizio ‘ndranghetistico, reperendo “..imprese, prestanome, conti correnti” e riciclando in società apparentemente “pulite” i denari di provenienza illecita.

Emerge quindi un’attitudine del sodalizio criminale a celarsi dietro attività imprenditoriali apparentemente lecite e ad attrarne altre nella propria orbita, onde inserirle nel circuito dei propri interessi. Questo è il quadro che fa da sfondo alla specifica vicenda qui in esame.

2.7.2) Viene quindi in considerazione l’attività di infiltrazione posta in essere ai danni della -OMISSIS-.

A dimostrazione di questo secondo passaggio logico-motivazionale, vengono addotti dalla Prefettura una serie di elementi indizianti, quali, in particolare:

i) i rapporti di stretta vicinanza tra -OMISSIS- e l’amministratore unico -OMISSIS- -OMISSIS-, testimoniati dall’elevato numero di telefonate (198) intercorse tra i due nel periodo aprile 2012-settembre 2013, e dall’utilizzo da parte del sig. -OMISSIS- di un’utenza telefonica intestata al -OMISSIS- (cfr. pagg. 16 e 226 dell’Ordinanza di custodia cautelare del GIP di -OMISSIS- del 6.7.2015).

Si tratta di dati sintomatici di indubbio rilievo, la cui rilevanza non può essere dequotata in ragione della loro risalenza cronologica, come pretenderebbe la parte appellante. Ed, infatti, il “venir meno delle circostanze rilevanti” di cui all’art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011, non dipende dal mero trascorrere del tempo in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica - o perché ne controbilanciano, smentiscono e in ogni caso superano la valenza sintomatica, o perché rendono remoto, e certamente non più attuale, il pericolo (Cons. Stato, sez. III, n. 4121/2016).

Dal che si desume, a contrario, che la mera assenza di ulteriori e più recenti evenienze negative non riveste alcuna diretta utilità ai fini della rivalutazione in senso favorevole del quadro indiziario (Cons. Stato, sez. III, n. 5479/2018).

ii) La persistenza del controllo sostanziale della società da parte del -OMISSIS- viene poi ricavata anche dal carattere “presumibilmente solo formale” della dimissione delle quote sociali in precedenza detenute dalla -OMISSIS- e dalla -OMISSIS- -OMISSIS-.

A rendere legittimo il sospetto che l’operazione sia stata indotta da ragioni di tipo opportunistico legate alla pendenza del procedimento prefettizio è innanzitutto il frangente temporale nel quale è avvenuta la dismissione (12 dicembre 2016), poiché successivo all’interdittiva del 10 febbraio 2016 e al provvedimento di rigetto della domanda cautelare adottato dal Tar il 12 maggio 2016.

Ora, la tempistica dei mutamenti societari può del tutto legittimamente intendersi come fatto sintomatico di un tentativo di eludere la normativa in tema di documentazione antimafia, posto che un’inferenza di questo genere è ammessa sia dall’art. 84 comma 4 lettera f) del Codice Antimafia; sia, sulla scorta del menzionato dato normativo, da un consolidato indirizzo interpretativo secondo il quale alcune operazioni societarie possono disvelare un’attitudine elusiva della normativa antimafia ove risultino strumentali (in quanto indotte dalle avvisaglie di prossime misure preventive) ma non genuinamente intese a creare una netta cesura con la pregressa gestione (Cons. St., sez. III, nn. 3123/2019, 6707/2018, 1386/2013).

Che, nel caso di specie, la dismissione di quote non abbia inteso creare alcuna discontinuità con la precedente gestione è circostanza desumibile innanzitutto dal ruolo niente affatto neutrale – ma organico al disegno criminale del -OMISSIS- – della sig.ra -OMISSIS-, solo simulatamente -OMISSIS- dal -OMISSIS- (stando a quanto si afferma nell’ordinanza del Gip di -OMISSIS- del 2015); e già indagata per il delitto di favoreggiamento personale ex art. 378 c.p., in relazione al procedimento penale che ha visto imputato -OMISSIS- -OMISSIS- per i delitti di riciclaggio ex art. 648 bis c.p. e di trasferimento fraudolento di valori.

L’accusa di favoreggiamento trae spunto dal fatto che la sig.ra -OMISSIS-, unitamente ad una dipendente dello studio professionale del -OMISSIS-, avrebbe occultato consistente documentazione sottraendola alla perquisizione condotta dal personale della DIA di -OMISSIS- presso lo studio del -OMISSIS-.

Sempre nel senso del carattere fittizio della dimissione di quote societarie depone l’ulteriore circostanza che i nuovi soci risultano essere tutti soggetti prossimi alla vecchia compagine, in quanto ad essa legati vuoi da vincoli parentali (è il caso di -OMISSIS-, -OMISSIS- di -OMISSIS-), vuoi da vincoli relazionali (è il caso già esaminato di -OMISSIS-, al quale si aggiunge quello di -OMISSIS-, il cui -OMISSIS- è comprovato che abbia avuto più volte contatti telefonici con -OMISSIS- -OMISSIS-).

Il connotato familiare caratterizza non solo l’assetto societario ma anche l’attività aziendale della -OMISSIS-, come comprovato dal fatto che tre dei suoi quattro dipendenti sono parenti di -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS- (-OMISSIS- -OMISSIS- è -OMISSIS- di -OMISSIS-, mentre -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- sono, rispettivamente, -OMISSIS- e -OMISSIS- di -OMISSIS-).

2.7.3) Alla stregua delle esposte considerazioni e degli elementi indiziari sin qui passati in rassegna, le inferenze presuntive operate dalla Prefettura per suggellare il temuto rischio di infiltrazione non paiono affatto censurabili per difetto di concretezza e significatività.

D’altra parte, perché possa emettersi un legittimo provvedimento interdittivo è sufficiente il "tentativo di infiltrazione" avente lo scopo di condizionare le scelte dell'impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato; ed, onde intercettare una simile fattispecie di “pericolo”, è sufficiente che gli elementi raccolti, una volta esaminati in modo non atomistico ma unitario, quindi attraverso una considerazione sincretica dei dati integranti il complessivo compendio istruttorio, offrano una trama di indizi “eloquenti” tali da indurre, nella loro connessione sinergica, a prospettare una prognosi di rischio di condizionamento mafioso “più probabile che non”. Impostazione, questa, coerente con le caratteristiche fattuali e sociologiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concreta in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia dell'intimidazione, dell'influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite. A tale cangiante fenomenologia sociale deve corrispondere un costante adattamento dello strumentario deduttivo spendibile nell’attività di indagine antimafia, la quale, per la sua natura cautelare e preventiva, persegue obiettivi di massima anticipazione dell’azione di contrasto, anche avulsi dagli schemi tipici della responsabilità penale.

2.7.4) Nel caso di specie e per quanto esposto, la consistenza della mole di elementi indiziari addotti a carico della -OMISSIS- non pare validamente depotenziabile né accentuando la marginalità degli elementi istruttori di contorno sui quali indugia la parte appellante, posto che gli stessi costituiscono tessere complementari, ma non essenziali, al nucleo fondante il quadro indiziario; né enfatizzando i presupposti stringenti della figura dell’amministratore di fatto, come enucleati dalla giurisprudenza di matrice commerciale, per concludere che gli stessi non trovano adeguata rispondenza nella vicenda qui in esame ed, in particolare, nel ruolo gestorio assunto dal -OMISSIS-.

Vale la pena di ribadire, in proposito, che la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già chiarito che il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere plausibile il solo “pericolo” di infiltrazione mafiosa e non già l’infiltrazione consumata (v., per tutte, Cons. St., sez. III, nn. 6105/2019 e 758/2019).

Lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 – riconosce quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di «eventuali tentativi» di infiltrazione mafiosa «tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate».

Dunque, se è pure vero che le informative qui controverse fanno riferimento ad una “gestione di fatto” della -OMISSIS- da parte del -OMISSIS-, è al delineato concetto di “pericolo di infiltrazione” che occorre rapportare la congruenza dei dati indiziari e la loro concludenza in relazione all’effetto interdittivo che ne promana. In questa prospettiva, i dati istruttori richiamati nei provvedimenti qui controversi certamente supportano il ragionevole sospetto di un pericolo concreto di ingerenza nella -OMISSIS- da parte del -OMISSIS- e, per il suo tramite, da parte dell’associazione ‘ndraghetistica; e tanto basta ai fini del riconoscimento del legittimo esercizio del potere interdittivo, indipendentemente da ulteriori e distinte considerazioni su un ipotetico ruolo di “amministratore di fatto”, stricto sensu inteso, che il soggetto vettore del rischio di infiltrazione si suppone possa avere assunto all’interno della compagine infiltrata.

2.8. Quanto esposto induce alla conclusiva reiezione dell’appello incidentale, dal che consegue la conferma, in parte qua, della pronuncia appellata, per le ragioni sinora illustrate che ne integrano la motivazione.

 

3. L’appello principale.

3.1. Venendo all’impugnativa principale, è preliminare la disamina delle eccezioni in rito sollevate dalla -OMISSIS- ed intese a inficiare, come inammissibile, l’appello di AGEA.

i) Il primo rilievo di inammissibilità è argomentato con riferimento al fatto che l’atto di appello è stato notificato a mezzo PEC soltanto agli avvocati Cassotta e Lopardi, i quali difendevano l’azienda nel ricorso di primo grado proposto avverso la prima interdittiva (R.G. n. -OMISSIS-); ma non anche all’avvocato Giuseppe Iacoviello che difendeva la stessa azienda nella vertenza di primo grado avente ad oggetto la revoca dei contributi (R.G. n. -OMISSIS-).

Più precisamente, la parte appellata osserva che la notifica a mezzo PEC inoltrata all’indirizzo di posta certificata dell’avv. Iacoviello, avvenuta all’incirca alle ore 20.50 del giorno 23.4.2019, non è andata a buon fine per la momentanea incapienza della casella di posta elettronica. Il positivo esito della notifica è stato definitivamente compromesso dal suo mancato rinnovo presso la cancelleria del Tar Basilicata, ove l’-OMISSIS- aveva eletto domicilio. Sarebbe quindi stato disatteso l’art. 16, comma 6, del d.l. n. 179/12, convertito in L.n.221/12, per il quale "le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario".

ii) Una seconda ragione di nullità della notifica e della procura conferita all’Avvocatura generale deriverebbe dal fatto che tanto nel ricorso in appello notificato da AGEA, quanto nella procura alle liti, è assente l’impronta informatica HASH, deputata a garantire la conformità all’originale del documento informatico.

3.1.1. Entrambe le eccezioni sono infondate.

a) Quanto alla prima, è agli atti l’avviso di mancata consegna del messaggio di notifica a mezzo PEC, inoltrato alle ore 20.49 del giorno 23.4.2019 all’indirizzo mail dell’avv. Iacoviello, ma non pervenuto per un disguido tecnico segnalato come “casella piena”.

a1) L’intervenuta costituzione in giudizio (in data 14.6.2019) della parte appellata comprova, tuttavia, il raggiungimento dello scopo della notifica e ne preclude la declaratoria di nullità (ex artt. 156 e 160 c.p.c.).

Quanto alla rilevanza temporale di tale effetto sanante, occorre ricordare che, secondo quanto statuito dalla Corte Costituzionale nella recente pronuncia n. 132/2018, la costituzione della parte intimata sana ex tunc la notifica nulla e, quindi, la tempestività del processo impugnatorio con detta notifica instaurato.

Nel caso di specie, in applicazione di tale principio e della intervenuta costituzione in data 14.6.2019 della parte appellata, l’impugnativa principale, retroattivamente sanata nella sua notifica, deve ritenersi tempestiva e ammissibile.

a2) A quanto esposto deve aggiungersi che l’appello ha riguardato una sentenza resa su ricorsi riuniti e che la notifica dell’appello è avvenuta in modo certamente rituale nei confronti degli avvocati Cassotta e Lopardi, difensori della parte appellata in uno dei procedimenti riuniti.

Ciò posto, il principio generale di autonomia dei giudizi valido in caso di riunione di procedimenti relativi a cause connesse - tale per cui gli atti, le statuizioni e le vicende processuali proprie di uno soltanto dei procedimenti riuniti non hanno ripercussioni sull'altro - è suscettibile di temperamento, nella misura in cui la sua attenuazione può evitare un inutile aggravio degli oneri processuali e sempre che l'attività difensiva di ciascuna delle parti in causa non abbia sofferto un effettivo vulnus e si sia potuta svolgere liberamente su tutti i temi oggetto della controversia (v. Cass. civ., sez. II, n. 22019/2016; id., sez. III, n. 15383/2011).

Il principio di diritto sopra riportato trova ragione di attuazione anche nella vicenda in esame, atteso che la modalità di notifica contestata non ha affatto impedito alla Azienda -OMISSIS- di acquisire piena conoscenza dell'attività processuale svolta dalla controparte e di costituirsi in giudizio, né ha compromesso le sue possibilità di difendersi adeguatamente dalle doglianze e dalle richieste dalla stessa controparte avanzate (cfr. in termini Cass. civ., sez. III, n. 9440/2012).

b) Analogo effetto sanante risolve in radice la seconda eccezione, riferita, peraltro, ad evenienze (l’assenza dell’impronta informatica HASH) fondanti altrettante ipotesi di mera irregolarità sanabile dell’atto informatico.

Ad orientare in tal senso la soluzione dell’eccezione processuale concorre il principio di tassatività delle cause di nullità degli atti processuali ed il corollario che la giurisprudenza ha inteso trarne con specifico riguardo al regime degli atti digitali, affermando che “..nella disciplina specifica del PAT manca una specifica previsione di nullità per difetto della forma e della sottoscrizione digitale” (già affermato da Cons. Stato, sez. IV, n. 1541/2017; Id., sez. V, 652/2018 e 1494/ 2018; Cass. civ., sez. II, ord. n.14369/2018).

Dunque, il difetto dell’impronta informatica non invalida gli atti che ne sono privi, né compromette l’effetto sanante conseguente al raggiungimento dello scopo della notifica.

3.2. L’appello principale è quindi rituale e meritevole di disamina nel merito.

A questo proposito occorre premettere che, nel corso del giudizio di primo grado di cui al n. di r.g. -OMISSIS-, l’-OMISSIS- S.r.l. ha opposto resistenza alle determinazioni di revoca dei finanziamenti relativi alla Misura 121, impugnandole e chiedendone l’annullamento per i motivi che così si riassumono:

i) la revoca sarebbe illegittima anzitutto per violazione dell’art. 92, d.lgs. 159/2011, in quanto AGEA non ha tenuto conto delle opere già eseguite e dei benefici collettivi prodottisi attraverso l’impiego dei contributi erogati, così disattendendo il principio, condiviso da ampia parte della giurisprudenza, secondo il quale la clausola di salvaguardia prevista dagli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2 d.lgs. 159/2011, deve ritenersi operante non solo per gli appalti di opere e lavori pubblici ma anche per i finanziamenti pubblici destinati ad aziende private. In entrambe le fattispecie è infatti rinvenibile quell’elemento dell’utilità pubblicistica che fonda la ratio dell’effetto conservativo avuto di mira dalla norma;

ii) la revoca sarebbe illegittima anche per la violazione dell’art. 7, L. 241/1990, non essendo stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento;

iii) infine, sarebbe stata resa una falsa applicazione dell’art. 92, d.lgs. 159/2011, poiché AGEA ha revocato anche contributi erogati in data antecedente all’emissione dell’informazione antimafia positiva, ed è intervenuta allorché l’opera oggetto di finanziamento (costruzione ed ampliamento di -OMISSIS- per la produzione e commercializzazione dei -OMISSIS-) era stata compiutamente realizzata.

3.3. Il Tar Basilicata ha accolto il ricorso in relazione al primo capo di censura, in sostanziale adesione all’impostazione deduttiva della parte ricorrente, così motivando: “il Collegio condivide l'orientamento giurisprudenziale, richiamato dall'-OMISSIS- ricorrente TAR Reggio Calabria Sent. n. 11.9 del 15.2.2013 e TAR Napoli Sez. I Sentenze n. 3237 del 1.3.6.2017 e n. 52 del 3.1 .2018, secondo cui gli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, D.Lg.vo n. 159/2011, nella parte in cui fanno "salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite ed il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, vanno applicati, oltre che alle revoche dei contratti di appalto pubblico, le cui utilità sono stabilmente acquisite dalla Pubblica Amministrazione, anche alle revoche dei finanziamenti e/o contributi pubblici, che vengono corrisposti per finalità di interesse collettivo (…)”.

A supporto della prescelta opzione di indirizzo interpretativo, il Tar ha inoltre evidenziato la necessità di tenere “.. conto del bilanciamento tra l’interesse pubblico, di impedire l’erogazione di denaro pubblico in favore di soggetti economici privati, condizionati dall’infiltrazione mafiosa, ed il principio di affidamento, in quanto si tratta di soggetti che non sono indiziati di appartenenza alla criminalità organizzata, che devono essere sanzionati per le loro condotte illecite, ma solo di persone sottoposte al rischio dell’infiltrazione mafiosa, che va prevenuta con la non futura erogazione del pubblico denaro, ma non con la restituzione di quello già speso, come, nella specie, il contributo di € 249.771,01, erogato per l’ammodernamento dell’-OMISSIS- ricorrente mediante l’acquisto di attrezzature e macchinari per la cantina”.

3.4. L’interpretazione operata dal Collegio di primo grado viene censurata come erronea dal Ministero qui appellante, sia perché ritenuta contraria alla ratio della clausola di salvaguardia di cui agli artt. 92 e 94 del d.lgs. 159/2011; sia perché segnalata in evidente contrasto con la recente e più condivisibile lettura delle medesime disposizioni fornita dalla terza sezione del Consiglio di Stato, nella decisione -OMISSIS- del 28 settembre 2018.

i) Sotto il primo aspetto, il Ministero argomenta circa la necessità di valorizzare canoni di interpretazione restrittiva in tutte le ipotesi in cui vengano in rilievo disposizioni derogatorie ai principi ispiratori della normativa antimafia.

ii) Sotto il secondo aspetto, la parte appellante evidenzia come proprio il dato letterale della clausola di salvaguardia, di cui all’art. 92 comma 3 d.lgs. 159/2011, abbia indotto la terza sezione del Consiglio di Stato, nella già citata sentenza -OMISSIS-/18, a farne applicazione limitata al caso della revoca del contratto, escludendo dalla portata della disposizione la diversa ipotesi della revoca del finanziamento.

iii) Nondimeno, consapevole del fatto che una opposta soluzione interpretativa è stata proposta da altra parte della giurisprudenza (da ultimo nelle pronunce del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia n. 3 e n. 19 del 2019), il Ministero avanza istanza di deferimento del ricorso all’esame dell’Adunanza Plenaria, onde pervenire al risultato di una univoca interpretazione delle clausole di cui agli artt. 92, comma 3 e 94 comma 2, d.lgs. 159/2011.

3.5. Con un secondo motivo, svolto in via subordinata, il Ministero assume che anche un’interpretazione “estensiva” della clausola di salvaguardia imporrebbe, comunque, una verifica del fatto che le risorse concesse siano state impiegate in modo effettivamente vantaggioso per l’interesse pubblico e rispondente alle finalità di sottese al programma di finanziamento; valutazione che, nel caso di specie, sarebbe stata del tutto omessa da parte del primo giudice.

La censura viene poi argomentata anche con riferimento al fatto che dalle prove in atti non si desume alcun concreto elemento dimostrativo del riconoscimento, da parte pubblica, di una tale utilità pubblicistica, e che non risulta in alcun modo provato che l’esecuzione della specifica e controversa misura di sostegno abbia fornito un qualche apporto alla realizzazione degli scopi generali che il programma di finanziamento aveva di mira.

3.6. Infine, con un terzo e ultimo motivo, il Ministero appellante invoca l’annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la revoca dei contributi relativi alla campagna 2015 – 2016, nonostante questa specifica determinazione amministrativa (pure inserita nel medesimo provvedimento controverso) risultasse del tutto estranea al petitum del ricorso intentato dalla -OMISSIS-.

3.7. La linea difensiva dell’Azienda -OMISSIS- muove sul duplice binario dell’argomentazione in punto di diritto, mediante richiamo all’orientamento giurisprudenziale espresso, in contrasto con quello di questa sezione, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia con le pronunce -OMISSIS- del 2019; e della deduzione in punto di fatto, intesa a dimostrare i riflessi di utilità collettiva derivanti dal programma di investimento compiutamente realizzato con le risorse erogate in attuazione della Misura 121- Pif -OMISSIS-.

3.7.1. Con ulteriori allegazioni, l’Azienda -OMISSIS- ripropone motivi già avanzati nel giudizio di primo grado, ed, in particolare:

i) lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 del d.lgs. 159/2011, sostenendo che i contributi pubblici erogati da AGEA in data 8/03/2013, 11/12/2013 e 31/12/2014, non sono revocabili anche perché erogati dalla stessa amministrazione a seguito del rilascio, da parte del prefetto, di precedenti informazioni antimafia dalle quali si evinceva la totale assenza di qualsivoglia rischio di infiltrazione mafiosa. La revoca potrebbe, tutt’al più, riguardare il contributo erogato in data 23/05/2016 in quanto successivo all’informativa antimafia del 10 maggio dello stesso anno (adottata, peraltro, quando l’opera finanziata era già stata interamente realizzata e rendicontata);

ii) lamenta la violazione dell’art. 7 L. 241/1990, per la mancata comunicazione di avvio del procedimento che ha condotto all’adozione del provvedimento di revoca.

3.8. Tracciato il quadro deduttivo risultante dagli atti di causa, in limite litis il Collegio ritiene opportuno sgombrare il campo dai motivi assorbiti in primo grado, riproposti dalla parte appellata e da ultimo richiamati. Essi sono entrambi destituiti di fondamento.

- Quanto al primo, occorre precisare che la Regione Basilicata ha inoltrato alla Prefettura due richieste di informativa in data 26.12.2012 e 22.12.2014, rimaste senza esito; e che l’importo del finanziamento è stato percepito dalla -OMISSIS- non in virtù di una informazione antimafia negativa, bensì nell’attesa di una risposta del Prefetto alle due menzionate richieste del 2012 e del 2014, quindi sotto la condizione risolutiva prevista dall’art. 92, comma 3, d.lgs. 159/2011.

Ciò posto, di nessuna incidenza è il fatto che i contributi pubblici siano stati erogati allorché non sussistevano controindicazioni ostative sul conto della società beneficiaria.

L’ipotesi disciplinata dall’art. 92 comma è esattamente quella - coincidente con il caso in esame - in cui l’interdittiva sopravviene al vinculum iuris (concessione o contratto) dal quale origina l’utilità economica oggetto di revoca. D’altra parte, se il provvedimento prefettizio non sopraggiungesse secondo questa ordinaria scansione temporale, la misura della revoca conseguente a interdittiva non troverebbe, di fatto, alcuno spazio applicativo. Sicché, a seguire per absurdum la tesi della -OMISSIS-, mai i contributi potrebbero essere revocati una volta che il Prefetto abbia successivamente emesso il provvedimento interdittivo, e ciò in evidente contrasto con quanto stabilisce l’art. 92, comma 3, del medesimo d. lgs. n. 159 del 2011 (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 1108/2018).

- Quanto al secondo motivo, è sufficiente richiamare il pacifico indirizzo giurisprudenziale che reputa non necessaria la comunicazione di avvio del procedimento che prelude ad atti di revoca conseguenti all’adozione dell’interdittiva antimafia, trattandosi di determinazioni dall’intrinseco carattere di riservatezza e urgenza (Cons. Stato, sez. III, n. 4454/2016).

3.9. Le rimanenti deduzioni delle parti (ad eccezione del motivo svolto in via subordinata e riportato sub. 3.5) toccano un nucleo tematico comune e profilano un chiaro contrasto interpretativo all’interno della giurisprudenza amministrativa, in special modo di secondo grado.

3.9.1) Si tratta di definire l’ambito delle conseguenze connesse all'adozione di una informativa interdittiva in relazione alla pregressa percezione di benefìci economici di fonte pubblica che hanno incentivato un'iniziativa imprenditoriale ormai interamente realizzata.

I tratti distintivi del caso oggetto di indagine, dunque, attengono al fatto che: i) il programma finanziato è stato interamente eseguito senza che sia stato mosso alcun rilievo alla sua corretta realizzazione; ii) l'informativa interdittiva è intervenuta soltanto dopo il completamento dell'opera finanziata (si tratta dell'ipotesi di c.d. "informativa sopravvenuta").

3.9.2) Referente normativo del caso è l’art. 92 del codice antimafia, il quale stabilisce, per un verso (comma 4), che le facoltà di revoca e recesso conseguenti all'adozione dell'informativa interdittiva "si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all'autorizzazione del subcontratto"; e, per altro verso (comma 3) che, in caso di revoca del beneficio, "[resta] salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite".

Ebbene, il comma 4 sembra giustificare sempre e comunque l'adozione del provvedimento di revoca in ragione della sola adozione dell'interdittiva e indipendentemente dai profili temporali della vicenda; il comma 3, a parziale correzione del primo, pare connotare in termini di sostanziale “corrispettività” le poste reciproche tra privato e amministrazione, legittimando l'operatore economico attinto da informativa interdittiva ad invocare il pagamento degli importi corrispondenti alla parte del programma che sia stata concretamente realizzata, entro il limite, tuttavia, delle "utilità conseguite".

3.9.3) Sul crinale interpretativo di tale limite normativo si è registrata divergenza tra due opposti orientamenti giurisprudenziali.

i) In base a un primo orientamento (che definiamo estensivo), la richiamata nozione legale dovrebbe essere intesa nel senso di consentire lo ius ritentionis da parte dell'operatore attinto da informativa interdittiva in tutti i casi in cui il programma beneficiato da finanziamento pubblico sia stato correttamente realizzato e quindi risulti soddisfatto, anche in via indiretta, l'interesse generale sotteso all'erogazione.

L'interpretazione in parola propende evidentemente per una nozione ampia e onnicomprensiva del concetto di "utilità conseguite", svincolandone il riferimento dalle utilità economiche direttamente ritraibili dall'amministrazione concedente - come nel caso dei contratti di appalto, in cui è più evidente il nesso di corrispettività fra l'erogazione di risorse pubbliche e l'acquisizione di utilità sotto forma di beni e servizi; ed estendendolo anche a quei vantaggi di ordine generale che sono sottesi a qualunque iniziativa privata finanziata dall'amministrazione e che, per ciò stesso, non possono che mirare al conseguimento di scopi di interesse pubblico.

Si assume, in sostanza, che poiché ogni attività della PA che importa erogazione di provvidenze economiche è finalizzata (sia pure di riflesso) a scopi di interesse pubblico e questi ultimi si sostanziano in benefici collettivi, immediatamente o mediatamente riconducibili all’esercizio del potere, la nozione di “utilità conseguite” andrebbe estesa anche a quei vantaggi generali perseguiti attraverso l’esecuzione di programmi oggetto di finanziamento o di contributo pubblico.

Secondo tale sistematica, l’erogazione del contributo, nel rapporto tra concedente pubblico e beneficiario, si configura come un mutuo a comunione di scopo, in quanto destinata ad una finalità che è propria di entrambe le parti e che obbliga l’accipiens ad eseguire il programma concordato (a pena di revoca del finanziamento); e lo scopo del mutuo può considerarsi realizzato nella misura in cui si sia proceduto all’investimento e all’iniziativa economica programmata, in conformità alle regole imposte dal bando (Tar Reggio Calabria, n. 119/2013; Tar Napoli, sez. I, n. 52/2018; CGARS n. 3/2019).

ii) In base a un diverso e più restrittivo orientamento, la nozione di "utilità conseguite" non sarebbe dilatabile sino al punto da ricomprendervi anche l'ipotesi del finanziamento andato a buon fine mercé l'integrale realizzazione del programma finanziato, e ciò in quanto in tale evenienza l'interesse pubblico risulterebbe essere soltanto “indiretto” (Cons. Stato, sez. III, nn. 1108 e 5578 del 2018).

I fautori di questo secondo orientamento (che definiamo restrittivo) sottolineano la differenza che sussiste tra i rapporti contrattuali in senso proprio, come quelli derivanti dalla stipula di contratti di appalto, in cui è più evidente il nesso di corrispettività sussistente fra le reciproche prestazioni; e le erogazioni di benefìci pubblici derivanti da atti unilaterali, in cui la reciprocità degli impegni e la corrispettività delle prestazioni offerte risulta certamente più attenuata.

In aggiunta alla diversa connotazione dei profili di reciprocità e corrispettività, è anche il termine “utilità” ad essere colto, nell’ambito di questo secondo filone interpretativo, in un senso più limitato e strettamente patrimoniale, tale, dunque, da applicarsi alle sole opere o ai soli servizi che accrescono il patrimonio dell’Amministrazione e che per quest’ultima rappresentano un valore economicamente valutabile: dal che discende l’applicabilità della disciplina di salvezza di cui all’art. 92 comma 3 ai soli contratti di appalto nei quali la pubblica Amministrazione è parte committente (Tar Piemonte, sez. I, n. 492/2018).

iii) A parere di questo Collegio, l’art. 92 comma 3 contiene indici testuali e sistematici che depongono a favore della seconda delle due tesi sopra illustrate (l’orientamento restrittivo).

Quanto agli argomenti di carattere semantico-testuale, occorre osservare che:

a1) - l’elemento lessicale della “utilità conseguita”, più che alludere all’effetto conseguente alla mera esecuzione di una attività programmata, sembra rinvenire la sua specifica accezione nell’effetto positivo, residuale e incrementale, che ridonda all’esito di tale attività e si riconduce alla sfera giuridica dell’accipiens, singolarmente considerato;

a2) - di contro, è lecito ritenere che se la disposizione normativa avesse inteso premiare con lo ius retentionis un impiego delle risorse erogate conforme alla destinazione programmata, essa si sarebbe limitata a rendere testualmente questo concetto, senza introdurre la più stringente (e a questo punto surrettizia) nozione di “utilità conseguite”;

a3) - il valore disgiuntivo da attribuire all’espressione “o recedono dai contratti”, contenuta sia nell’art. 92 comma terzo, sia nell’art. 94 secondo comma del cod. antimafia, rende poi l’inciso finale dei due commi più verosimilmente riferibile ai soli “contratti” e non anche alle autorizzazioni ed alle concessioni, ovvero ai contributi, ai finanziamenti ed alle agevolazioni (v. Cons. Stato, Sez. III, sentenza -OMISSIS- del 2018);

a4) - anche il concetto di “esecuzione” delle “opere” dal quale l’amministrazione trae “utilità”, sembra riferibile ad una condizione di reciprocità delle prestazioni corrispettive, scarsamente compatibile con l’ipotesi di un’erogazione o di un finanziamento destinato a beneficio riflesso non di uno specifico ente od apparato della P.A, ma della indistinta collettività pubblica.

Sul piano logico-sistematico, occorre invece considerare quanto segue:

b1) come già innanzi esposto, la prima tesi (estensiva) propende per far coincidere la “utilità conseguita” con l’esecuzione dell’iniziativa economica programmata, ravvisando detta “utilità” nei benefici collettivi immediatamente o mediatamente ritraibili da un impiego dei fondi conforme alla destinazione di interesse generale loro impressa; e ciò sull’assunto per cui è esattamente questa conformità al fine prestabilito che fornisce garanzia di un impiego delle risorse in linea con lo scopo pubblico.

Nondimeno, il comma 3 dell’art. 92 sembra muoversi in altra direzione, in quanto riconosce al soggetto attinto dall’informativa antimafia non già il diritto a ritenere l’erogazione nella misura corrispondente al valore dell’investimento realizzato, come sarebbe logico se la sola conformità allo scopo programmato realizzasse la “utilità” pubblica insita nel programma di finanziamento, in quanto tale meritevole di preservazione.

Ciò che il comma 3 riconosce al soggetto interdetto è, diversamente, il diritto a vedersi corrisposto un compenso limitato all’utilità conseguita dall’amministrazione, onde evitare che quest’ultima, dall’esecuzione dell’opera, possa trarre un ingiustificato arricchimento (v. Cass., sez. un, n. 28345/2008).

L’investimento realizzato “in conformità al programma” di finanziamento non coincide quindi con la “utilità conseguita”, che è nozione riferibile ad una parte specifica e da questa apprezzabile attraverso il filtro selettivo di una valutazione di “convenienza”, tipica dell’operatore economico-giuridico “individuale”;

b2) occorre poi considerare che l’interpretazione che considera come utilità da preservare l’investimento realizzato “in conformità al programma” di finanziamento, sottende una tacita o implicita abrogazione dell’art. 92 comma 3 ( e della clausola di salvezza ivi contenuta), in quanto il mancato raggiungimento dello scopo pubblico per il quale il finanziamento viene erogato costituisce ragione di per sé sufficiente per farne discendere la revoca, senza alcuna necessità di attingere allo strumentario offerto dalla normativa antimafia (così Cons. Stato, sez. III, -OMISSIS-/2018);

b3) sul piano applicativo, lo ius retentionis appare razionalmente giustificabile nel contesto di prestazioni corrispettive, preventivamente concordate dalle parti in quanto rispondenti ai loro specifici interessi. La stabilizzazione dei relativi effetti costituisce, in siffatto contesto, una scelta di minor costo e di sicuro vantaggio rispetto a quella del ripristino dello status quo ante; ed il mantenimento delle prestazioni eseguite preserva l'equilibrio contrattuale senza che si renda necessaria alcuna restituzione.

Nell’ipotesi del contributo pubblico, al contrario, l’utilità riflessa che da tale investimento può refluire a vantaggio della collettività è in molti casi condizionata dall’ampiezza della platea dei soggetti privati che aderiscono ai programmi di finanziamento, dalla reiterazione di analoghe contribuzioni nel tempo e dalla convergente e sistematica esecuzione delle misure facenti capo ad un medesima azione strategica. Ne viene che le ricadute positive - apprezzabili ex post sotto forma di benefici generali, indiretti e di lunga durata, poiché riguardanti ampi settori della dimensione collettiva (l’ambiente, l’agricoltura, l’imprenditoria, etc..) - possono essere stimate solo attraverso parametri macroeconomici ad esse congruenti, proporzionati alla tipologia, all’estesa latitudine degli interventi programmati e alla loro distribuzione nel lungo periodo. Si tratta di dati che inevitabilmente eccedono il singolo progetto finanziabile e rendono assai evanescente o difficilmente percepibile il riflesso di “utilità su scala collettiva” che lo stesso è in grado di generare.

b4) Alle peculiarità segnalate, che rendono improbo un giudizio di “convenienza” rapportato agli esiti della contribuzione destinata al singolo privato beneficiario, si aggiunge il fatto che anche un’interpretazione “estensiva” della clausola di salvaguardia imporrebbe, in ogni caso, una verifica in concreto del fatto che le risorse concesse siano state impiegate in modo effettivamente vantaggioso per l’interesse pubblico e rispondente alle finalità sottese al programma di finanziamento. Dunque, mentre nel caso delle prestazioni contrattuali sinallagmatiche la valutazione di convenienza è agevole in quanto indirizzata dalla stessa radice contrattuale del rapporto e tale, quindi, da giustificare una clausola di salvezza dal carattere generale e astratto; nel caso del finanziamento accessorio ad un misura di sostegno di più ampia portata, al contrario, appare necessaria una verifica in concreto circa la realizzazione degli scopi generali che il programma di finanziamento aveva di mira, quindi un tipo di vaglio assai meno consono ad un criterio di salvezza affidato alla meccanica clausola di ritenzione della prestazione già “eseguita” ovvero del “fatto compiuto”.

3.9.4) Sin qui, dunque, gli argomenti di possibile esegesi dell’art. 92 comma 3.

A margine del dilemma intrinseco alla nozione “utilità conseguite”, la contesa interpretativa si interseca con ulteriori tematiche di rilievo più generale.

3.9.5) La prima attiene all’incidenza del fattore “temporale” sul carattere “precario” del beneficio erogato, che tale (cioè precario) rimane sino al definitivo compimento del programma agevolato.

c1) Sul punto, il più restrittivo dei due orientamenti ermeneutici sostiene che la pretesa restituzione delle somme erogate è giustificata proprio dal carattere ontologicamente “provvisorio” del beneficio erogato e dal fatto che tale provvisorietà è destinata a protrarsi sino al momento della definitiva chiusura del programma agevolato (Tar Catania, n. 2132/2017).

Il provvedimento di revoca viene infatti adottato in attuazione dell’art. 92, comma 3, d.lgs. 159/2011, stando al quale i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all'articolo 67 sono corrisposti sotto “condizione risolutiva” di una eventuale informazione antimafia positiva intervenuta successivamente al pagamento.

Poiché, quindi, i contributi risultano “concessi in via provvisoria”, l’atto cd. di “revoca” non rappresenta affatto (come farebbe pensare il nomen) un nuovo provvedimento adottato in autotutela dall’Amministrazione, nell’esercizio di un potere discrezionale; ma un mero atto ricognitivo che constata l’avvenuta verificazione della “condizione risolutiva” afferente al contributo ancora “precario”.

Per l’effetto, risulta improprio ogni richiamo agli artt. 21 quinquies e 21 nonies L. n. 241/1990 – che riguardano rispettivamente i provvedimenti di revoca (in senso proprio) e di annullamento adottabili giustappunto nell’esercizio di un potere di autotutela; e altresì inappropriato risulta ogni riferimento al principio dell’affidamento, che mai potrebbe sorgere a fronte dell’originario provvedimento di concessione “in via provvisoria” del contributo (Tar Catania, sez. IV, n. 2132/2017). Soltanto rispetto alla produzione in via definitiva degli effetti del provvedimento di concessione e, quindi, solo al compimento di tutte le procedure di contabilizzazione e di chiusura della procedura di finanziamento, potrebbe essere invocato un effetto di “stabilizzazione” del beneficio astrattamente opponibile al potere interdittivo.

E’ esattamente questa la tesi sostenuta nella vicenda qui all’esame da AGEA, la quale fa rilevare come le richieste inoltrate alla Prefettura da parte della Regione Basilicata in data 26.12.2012 e 22.12.2014, siano rimaste inevase; e come, dunque, l’erogazione del finanziamento in favore della -OMISSIS- sia avvenuta non in virtù di una informazione antimafia negativa, bensì in attesa di una pronuncia del Prefetto, quindi sotto la condizione risolutiva prevista dall’art. 92, comma 3, d.lgs. 159/2011.

c2) Dal fronte dell’opposto e più estensivo orientamento si obietta che, anche a voler condividere l'ottica della provvisorietà del beneficio economico, tale condizione iniziale dovrebbe pur sempre avere una durata definita nel tempo, affinché "ciò che nasce provvisorio diventi il prima possibile definitivo; pena, altrimenti, l'impossibilità di qualunque previsione e di qualunque calcolo da parte di cittadini ed imprese".

Dunque, il sopraggiungere dell'informativa negativa non potrebbe sortire effetti preclusivi nei confronti di un rapporto di durata che si sia ormai in massima parte dispiegato, raggiungendo gli obiettivi prefissati dalla stessa amministrazione.

Questa soluzione viene ritenuta particolarmente calzante al caso dei rapporti cd. “esauriti”, o che tali sarebbero dovuti essere da tempo e che non tali sono divenuti per ragioni imputabili alla pubblica amministrazione. Sottesa all’impostazione in esame è la preoccupazione che i ritardi e le inefficienze dell’azione amministrativa vengano premiati e persino incentivati, andando a ledere le garanzie fondamentali delle parti private. Preoccupazione ben esemplificata dalla pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia n. 3/2019, riferita ad un caso in cui la mancata stabilizzazione definitiva del rapporto di finanziamento era dipesa, appunto, dal colpevole ritardo con il quale erano state condotte le operazioni di rendicontazione finale delle spese e di chiusura del finanziamento pubblico.

3.9.6) Una seconda prospettiva di analisi riguarda la compatibilità fra le diverse opzioni in campo e l'ordito sistematico delineato dall'Adunanza plenaria con la sentenza n. 3 del 2018.

i) Come è noto, la sentenza in parola (riconducendo ad ulteriori conseguenze quanto già affermato con la decisione n. 19 del 2012) ha stabilito che il provvedimento di c.d. "interdittiva antimafia' determina, in capo al soggetto (persona fisica o giuridica) che ne è colpito, una particolare forma di incapacità ex lege, parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto stesso è precluso avere con la pubblica amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall'art. 67, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

ii) Sempre ai sensi della decisione da ultimo richiamata, l'art. 67 del "Codice delle leggi antimafia" - nella parte in cui prevede il divieto di ottenere "contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo.." - va inteso come implicante anche l'impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all'attività di impresa; e ciò anche nell’ipotesi in cui detto diritto si sia consolidato attraverso il passaggio in giudicato della sentenza di condanna al risarcimento.

iii) Alla stregua delle richiamate affermazioni di principio, è lecito domandarsi se l'adesione al più estensivo dei richiamati orientamenti giurisprudenziali (che ammette la ritenzione delle somme percepite in forza di un programma di finanziamento interamente realizzato) risulti compatibile con la linea di estremo rigore che caratterizza oramai la giurisprudenza dell'Adunanza plenaria, la quale riconnette all'adozione dell'informativa interdittiva una sorta di incapacità giuridica parziale a carico del soggetto che ne è colpito.

iv) A questo proposito, il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, nella recente pronuncia n. 3/2019, pur non disattendendo in modo espresso le statuizioni rese dall'Adunanza plenaria, ne sterilizza l’effettiva incidenza, giustificando tale soluzione in ragione della peculiarità del caso di specie esaminato.

Secondo i Giudici siciliani, in particolare, i princìpi di diritto di cui alla sentenza n. 3 del 2018 (che prendono le mosse dalla ritenuta incapacità giuridica parziale ad accipiendum in capo all'operatore attinto da un'informativa interdittiva) non potrebbero comunque valere "per i rapporti esauriti o che sarebbero dovuti esserlo da tempo e che non lo sono stati per ragioni imputabili alla pubblica amministrazione". Se così non fosse - prosegue il Collegio - il complessivo regime normativo in tema di comunicazioni e informazioni antimafia determinerebbe inammissibili profili di incertezza e insicurezza nei traffici giuridici; e detta incertezza si protrarrebbe di fatto sine die anche laddove - come nel caso scrutinato dalla sentenza n. 3/2019 - sia decorso un tempo rilevante e la stessa amministrazione abbia adottato nel tempo informative di carattere liberatorio nei confronti dell'operatore economico.

v) Nonostante la comprensibile cautela mostrata dai Giudici siciliani nel non contrastare in modo espresso e frontale le statuizioni rese dall'Adunanza Plenaria con la sentenza n. 3 del 2018, appare tuttavia evidente che la ratio sottesa alla decisione del giudice siciliano si pone come di fatto alternativa a quella posta a fondamento della decisione n. 3 del 2018.

Al netto della oggettiva diversità delle vicende di fatto esaminate, infatti, gli apparati argomentativi spesi nelle due pronunce rimandano a soluzioni concettuali tra di loro divaricate e non armonizzabili.

Da un lato (Adunanza Plenaria), si assume che l'adozione di un'informativa interdittiva nei confronti di un operatore determina sempre e comunque in capo allo stesso uno stato di parziale incapacità giuridica, sì da determinare "la insuscettività .. ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinano (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione (Cons. Stato, Sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3247)" (v. Ad. Plen. 3 del 2008, punto 4.1 della motivazione).

Da parte del giudice d’appello siciliano si osserva, di contro, che la forma di incapacità elaborata dall’Adunanza planaria conosce taluni limiti di ordine pubblico economico come, ad esempio, quelli conseguenti all'integrale realizzazione del programma beneficiato, al lungo tempo trascorso ovvero al rilascio in favore della medesima impresa di precedenti informative di carattere liberatorio.

vi) Occorre tuttavia osservare che tali limiti di ordine pubblico non risultano adeguatamente tracciati e motivati nei loro presupposti, ma rimessi ad una valutazione “casistica” ed “equitativa” formulabile dal giudice in relazione alle singole fattispecie esaminate.

vii) Quanto al carattere “esaurito” del rapporto giuridico, esso, come si è visto, non è predicabile nel caso in cui le risorse siano state impiegate solo in parte ovvero il programma finanziato sia ancora in corso di conclusione. Peraltro, l’eventuale “esaurimento” del rapporto, anche laddove effettivamente sussistente, non dissolverebbe ogni dubbio interpretativo, se è vero che nel ragionamento svolto dall’Adunanza Plenaria l’effetto inabilitante dell’interdittiva è tale da travolgere retroattivamente qualunque utilità promanante dalla pubblica amministrazione, persino se riconosciuta al privato con sentenza passata in giudicato (di per sé insensibile ad ogni sopravvenienza, eccettuate quelle che non si siano verificate prima della sua notifica).

Vi è quindi da chiedersi quale possa essere la forza di resistenza attribuibile ad evenienze di minor rilievo, quale quella dell’avvenuta erogazione del contributo o dell’avvenuto suo impiego al fine della realizzazione dell’opera finanziata, a fronte della rigorosa e generalizzata preclusione che deriva dall’interdittiva e, per di più, al cospetto di un dato normativo (l’art. 92 comma 3) che espressamente statuisce il carattere risolubile del finanziamento concesso nelle more del rilascio dell’informativa e l’incidenza retroattiva della revoca motivata da una informativa sopravvenuta.

3.9.7) In definitiva, gli argomenti di contrasto all’ipotesi di uno ius retentionis esteso anche all’erogazione di contributi pubblici paiono superabili - a giudizio di questo Collegio - solo a condizione di ampliare la portata della clausola di salvezza delle “utilità conseguite” di cui all’art. 92 comma 3, poiché in questa specifica eventualità l’eccezione al generale effetto “inabilitante” del provvedimento antimafia potrebbe giustificarsi sulla base del dettato normativo e non richiederebbe, pertanto, alcun intervento di ortopedia correttiva dei principi affermati dall’Adunanza plenaria.

Nondimeno, una siffatta lettura estensiva appare - oltre che revocabile in dubbio per le ragioni sopra esposte - difficilmente coniugabile con il principio secondo il quale le disposizioni che introducono una eccezione o deroga ad un principio generale devono soggiacere ad una regola di stretta interpretazione. Nell’ambito della normativa antimafia, l’effetto inabilitante conseguente alla interdittiva è regola generale nei rapporti con la pubblica amministrazione – o come tale si connota nella lettura che ne ha reso nel 2018 l’Adunanza plenaria; mentre la salvezza prevista dall’art. 92 comma 3 d.lgs. 159/2011 è una eccezione a tale effetto inabilitante oltre che alla regola generale della retroattività della revoca del rapporto in essere tra parte pubblica e parte privata. Ne viene che detta eccezione è apprezzabile nei ristretti e tassativi limiti delle ipotesi in essa espressamente contemplate.

3.10. Tanto considerato, stante il contrasto giurisprudenziale in atto sia in sede di appello che in sede di primo grado ed avuto altresì riguardo alla rilevanza che il punto controverso di diritto riveste nel settore delle misure della prevenzione antimafia, il Collegio ritiene necessario deferire il presente ricorso all'esame dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 99, comma1, c.p.a.

Il quesito che si sottopone all’attenzione dell’Adunanza Plenaria è volto a chiarire se il limite normativo delle “utilità conseguite”, di cui all'inciso finale contenuto sia nell'art. 92 comma terzo, sia nell'art. 94 secondo comma del D.Lgs. n.159/2011, è da ritenersi applicabile ai soli contratti di appalto pubblico, ovvero anche ai finanziamenti e ai contributi pubblici erogati per finalità di interesse collettivo.

4. Allo stato il presente giudizio può quindi essere definito solo in senso parziale, ai sensi dell’art. 36, comma 2, cod. proc. amm., con il rigetto dell’appello incidentale, la reiezione delle eccezioni preliminari di inammissibilità dell’appello principale ed il respingimento dei motivi assorbiti in primo grado, riproposti dalla parte appellata -OMISSIS-.

5. Ogni ulteriore statuizione sulle censure di merito proposte da AGEA rimane per contro subordinata all’esito della pronuncia dell’Adunanza plenaria sul punto di diritto oggetto di contrasto.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:

a) quanto all’appello incidentale, lo respinge;

b) quanto all’appello principale:

- respinge le eccezioni preliminari di inammissibilità sollevate dalla parte appellata -OMISSIS-;

- respinge i motivi assorbiti in primo grado, riproposti dalla parte appellata -OMISSIS-;

- dispone il deferimento all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato rispetto alle questioni per come precisate nel quesito sopra formulato;

- riserva all’esito l’esame degli altri motivi d’appello ed ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese.

Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’Adunanza plenaria.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2019.

 

 

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia in commento, i Giudici di Palazzo Spada nel rimettere alla Plenaria la questione se “il limite normativo delle “utilità conseguite”, di cui all’inciso finale contenuto sia nell’art. 92, comma 3, che nell’art. 94, comma 2, d.l.gs. n. 159 del 2011, è da ritenersi applicabile ai soli contratti di appalto pubblico, ovvero anche ai finanziamenti e ai contributi pubblici erogati per finalità di interesse collettivo” hanno ricostruito le differenti posizioni giurisprudenziali emerse in materia.

Un più restrittivo orientamento sostiene che la pretesa restituzione delle somme erogate è giustificata proprio dal carattere ontologicamente “provvisorio” del beneficio erogato e dal fatto che tale provvisorietà è destinata a protrarsi sino al momento della definitiva chiusura del programma agevolato (cfr. Tar Catania n. 2132 del 2017).

Seguendo tale ricostruzione si rileva come il provvedimento di revoca viene infatti adottato in attuazione dell’art. 92, comma 3, D.lgs. n. 159/2011, stando al quale i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all’art. 67 sono corrisposti sotto “condizione risolutiva” di una eventuale informazione antimafia positiva intervenuta successivamente al pagamento.

Poiché, quindi, i contributi risultano “concessi in via provvisoria”, l’atto cd. di “revoca” non rappresenta affatto (come farebbe pensare il nomen) un nuovo provvedimento adottato in autotutela dall’Amministrazione, nell’esercizio di un potere discrezionale, ma un mero atto ricognitivo che constata l’avvenuta verificazione della “condizione risolutiva” afferente al contributo ancora “precario”.

Per l’effetto, risulta improprio ogni richiamo agli artt. 21 quinquies e 21 nonies, l. n. 241 del 1990, che riguardano rispettivamente i provvedimenti di revoca (in senso proprio) e di annullamento adottabili giustappunto nell’esercizio di un potere di autotutela; altresì inappropriato risulta ogni riferimento al principio dell’affidamento, che mai potrebbe sorgere a fronte dell’originario provvedimento di concessione “in via provvisoria” del contributo (Tar Catania, sez. IV, n. 2132 del 2017). Soltanto rispetto alla produzione in via definitiva degli effetti del provvedimento di concessione e, quindi, solo al compimento di tutte le procedure di contabilizzazione e di chiusura della procedura di finanziamento, potrebbe essere invocato un effetto di “stabilizzazione” del beneficio astrattamente opponibile al potere interdittivo.

In senso diametralmente opposto, invece, si schiera il più estensivo orientamento a parere del quale, anche a voler condividere l’ottica della provvisorietà del beneficio economico, tale condizione iniziale dovrebbe pur sempre avere una durata definita nel tempo, affinché “ciò che nasce provvisorio diventi il prima possibile definitivo; pena, altrimenti, l'impossibilità di qualunque previsione e di qualunque calcolo da parte di cittadini ed imprese.

Dunque, il sopraggiungere dell’informativa negativa non potrebbe sortire effetti preclusivi nei confronti di un rapporto di durata che si sia ormai in massima parte dispiegato, raggiungendo gli obiettivi prefissati dalla stessa amministrazione.

Questa soluzione viene ritenuta particolarmente calzante al caso dei rapporti cd. “esauriti, o che tali sarebbero dovuti essere da tempo e che non tali sono divenuti per ragioni imputabili alla pubblica amministrazione.

Sottesa all’impostazione in esame, invero, è la preoccupazione che i ritardi e le inefficienze dell’azione amministrativa vengano premiati e persino incentivati, andando a ledere le garanzie fondamentali delle parti private. Preoccupazione ben esemplificata dalla pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia n. 3 del 2019, riferita ad un caso in cui la mancata stabilizzazione definitiva del rapporto di finanziamento era dipesa, appunto, dal colpevole ritardo con il quale erano state condotte le operazioni di rendicontazione finale delle spese e di chiusura del finanziamento pubblico.

Una seconda prospettiva di analisi riguarda, poi, la compatibilità fra le diverse opzioni in campo rispetto all’ordito sistematico delineato dalla Plenaria con sentenza n. 3/2018.

Come è noto, la sentenza in parola (riconducendo ad ulteriori conseguenze quanto già affermato con la decisione n. 19 del 2012) ha stabilito che il provvedimento di c.d. “interdittiva antimafia” determina, in capo al soggetto (persona fisica o giuridica) che ne è colpito, una particolare forma di incapacità ex lege, parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto stesso è precluso avere con la pubblica amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall’art. 67, d.lgs. 159 del 2011.

Sempre ai sensi della decisione da ultimo richiamata, inoltre, l’art. 67 del Codice delle leggi antimafia - nella parte in cui prevede il divieto di ottenere “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo..” - va inteso come implicante anche l’impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all'attività di impresa; e ciò anche nell’ipotesi in cui detto diritto si sia consolidato attraverso il passaggio in giudicato della sentenza di condanna al risarcimento.

Alla stregua delle richiamate affermazioni di principio, è lecito domandarsi se l’adesione al più estensivo dei richiamati orientamenti giurisprudenziali (che ammette la ritenzione delle somme percepite in forza di un programma di finanziamento interamente realizzato) risulti compatibile con la linea di estremo rigore che caratterizza oramai la giurisprudenza dell’Adunanza plenaria, la quale riconnette all’adozione dell’informativa interdittiva una sorta di incapacità giuridica parziale a carico del soggetto che ne è colpito.

A questo proposito, il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, nella recente pronuncia n. 3 del 2019, pur non disattendendo in modo espresso le statuizioni rese dalla Plenaria, ne ha sterilizzato l’effettiva incidenza, giustificando tale soluzione in ragione della peculiarità del caso di specie esaminato.

Secondo i Giudici siciliani, in particolare, i princìpi di diritto di cui alla sentenza n. 3 del 2018 (che prendono le mosse dalla ritenuta incapacità giuridica parziale ad accipiendum in capo all’operatore attinto da un’informativa interdittiva) non potrebbero comunque valere “per i rapporti esauriti o che sarebbero dovuti esserlo da tempo e che non lo sono stati per ragioni imputabili alla pubblica amministrazione”. Se così non fosse il complessivo regime normativo in tema di comunicazioni e informazioni antimafia determinerebbe inammissibili profili di incertezza e insicurezza nei traffici giuridici; e detta incertezza si protrarrebbe di fatto sine die anche laddove - come nel caso scrutinato dalla sentenza n. 3 del 2019 - sia decorso un tempo rilevante e la stessa amministrazione abbia adottato nel tempo informative di carattere liberatorio nei confronti dell'operatore economico.

Nonostante la comprensibile cautela mostrata dai Giudici siciliani nel non contrastare in modo espresso e frontale le statuizioni rese dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 3 del 2018, appare tuttavia evidente che la ratio sottesa alla decisione del giudice siciliano si pone come di fatto alternativa a quella posta a fondamento della decisione n. 3 del 2018.

Al netto della oggettiva diversità delle vicende di fatto esaminate, infatti, gli apparati argomentativi spesi nelle due pronunce rimandano a soluzioni concettuali tra di loro divaricate e non armonizzabili.

Da un lato (Adunanza Plenaria), si assume che l’adozione di un’informativa interdittiva nei confronti di un operatore determina sempre e comunque in capo allo stesso uno stato di parziale incapacità giuridica, sì da determinare “la insuscettività .. ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinano (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3247)” (si veda Ad. Plen. 3 del 2008, punto 4.1 della motivazione).

Da parte del giudice d’appello siciliano si osserva, di contro, che la forma di incapacità elaborata dall’Adunanza planaria conosce taluni limiti di ordine pubblico economico come, ad esempio, quelli conseguenti all’integrale realizzazione del programma beneficiato, al lungo tempo trascorso ovvero al rilascio in favore della medesima impresa di precedenti informative di carattere liberatorio.

Occorre tuttavia osservare che tali limiti di ordine pubblico non risultano adeguatamente tracciati e motivati nei loro presupposti, ma rimessi ad una valutazione “casistica” ed “equitativa” formulabile dal giudice in relazione alle singole fattispecie esaminate.

Quanto al carattere “esaurito” del rapporto giuridico, esso, come si è visto, non è predicabile nel caso in cui le risorse siano state impiegate solo in parte ovvero il programma finanziato sia ancora in corso di conclusione. Peraltro, l’eventuale “esaurimento” del rapporto, anche laddove effettivamente sussistente, non dissolverebbe ogni dubbio interpretativo, se è vero che nel ragionamento svolto dall’Adunanza Plenaria l’effetto inabilitante dell’interdittiva è tale da travolgere retroattivamente qualunque utilità promanante dalla pubblica amministrazione, persino se riconosciuta al privato con sentenza passata in giudicato (di per sé insensibile ad ogni sopravvenienza, eccettuate quelle che non si siano verificate prima della sua notifica).

Vi è quindi da chiedersi quale possa essere la forza di resistenza attribuibile ad evenienze di minor rilievo, quale quella dell’avvenuta erogazione del contributo o dell’avvenuto suo impiego al fine della realizzazione dell’opera finanziata, a fronte della rigorosa e generalizzata preclusione che deriva dall’interdittiva e, per di più, al cospetto di un dato normativo (l’art. 92, comma 3) che espressamente statuisce il carattere risolubile del finanziamento concesso nelle more del rilascio dell’informativa e l’incidenza retroattiva della revoca motivata da una informativa sopravvenuta.

In definitiva, gli argomenti di contrasto all’ipotesi di uno ius retentionis esteso anche all’erogazione di contributi pubblici paiono superabili - a giudizio di questo Collegio - solo a condizione di ampliare la portata della clausola di salvezza delle “utilità conseguite” di cui al più volte citato art. 92, comma 3, poiché in questa specifica eventualità l’eccezione al generale effetto “inabilitante” del provvedimento antimafia potrebbe giustificarsi sulla base del dettato normativo e non richiederebbe, pertanto, alcun intervento di ortopedia correttiva dei principi affermati dall’Adunanza plenaria.

Nondimeno, una siffatta lettura estensiva appare - oltre che revocabile in dubbio per le ragioni sopra esposte - difficilmente coniugabile con il principio secondo il quale le disposizioni che introducono una eccezione o deroga ad un principio generale devono soggiacere ad una regola di stretta interpretazione. Nell’ambito della normativa antimafia, l’effetto inabilitante conseguente alla interdittiva è regola generale nei rapporti con la pubblica amministrazione – o come tale si connota nella lettura che ne ha reso nel 2018 l’Adunanza plenaria; mentre la salvezza prevista dall’art. 92, comma 3, d.lgs. 159 del 2011 è una eccezione a tale effetto inabilitante oltre che alla regola generale della retroattività della revoca del rapporto in essere tra parte pubblica e parte privata. Ne viene che detta eccezione è apprezzabile nei ristretti e tassativi limiti delle ipotesi in essa espressamente contemplate.