Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 luglio 2019, n. 5391 - Rimessione alla Plenaria

Ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., si sottopongono  all’Adunanza plenaria i seguenti quesiti: a) se per le fattispecie sottoposte all’esame del giudice amministrativo e disciplinate dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, l’illecito permanente dell’Autorità viene meno solo nei casi da esso previsti (l’acquisizione del bene o la sua restituzione), salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti, di natura transattiva; b) se, pertanto, la ‘rinuncia abdicativa’, salve le questioni concernenti le controversie all’esame del giudice civile, non può essere ravvisata quando sia applicabile l’art. 42 bis; c) se, ove sia invocata la sola tutela restitutoria e/o risarcitoria prevista dal codice civile e non sia richiamato l’art. 42 bis, il giudice amministrativo può qualificare l’azione come proposta avverso il silenzio dell’Autorità inerte in relazione all’esercizio dei poteri ex art. 42 bis; d) se, in tale ipotesi, il giudice amministrativo può conseguentemente fornire tutela all’interesse legittimo del ricorrente applicando la disciplina di cui all’art. 42 bis e, eventualmente, nominando un Commissario ad acta già in sede di cognizione

A pochi giorni di altro deferimento in materia espropriativa sul ‘giudicato restitutorio’, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato pone quesiti a proposito della rinuncia abdicativa. Gli stessi quesiti si ripetono in altre due distinte ordinanze di rimessione della Quarta Sezione, n. 5399 e n. 5400, entrambe del 30 luglio 2019.

Come nella precedente, anche in queste ultime rimessioni viene coinvolta la portata della disciplina di cui all’art. 42 bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).

 Evidenzia la Sezione, per le fattispecie disciplinate dall’art. 42 bis vi dovrebbe essere una rigorosa applicazione del principio di legalità, in materia affermato dall’art. 42 Cost. e rimarcato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in tema di assenza della base legale delle prassi sulla ‘espropriazione indiretta’: nessuna norma ha indicato i requisiti formali necessari per la validità della ‘rinuncia abdicativa’, né ha precisato quali effetti si producano.

Il giudice rimettente ritiene che si potrebbe affermare quanto segue: a) per le fattispecie sottoposte all’esame del giudice amministrativo e disciplinate dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, l’illecito permanente dell’Autorità viene meno nei casi da esso previsti (l’acquisizione del bene o la sua restituzione), salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti, di natura transattiva; b) la ‘rinuncia abdicativa’, salve le questioni concernenti le controversie all’esame del giudice civile, non può essere ravvisata quando sia applicabile l’art. 42 bis; c) l’appello potrebbe essere accolto con l’emanazione di un ordine rivolto alle Amministrazioni appellate, affinché esse esercitino il potere valutativo previsto dall’art. 42 bis, nonché con la nomina di un commissario ad acta, affinché – nel caso di ulteriore loro inerzia – questi valuti se debba esservi l’atto di acquisizione o la restituzione dell’area.

LEGGI L'ORDINANZA

Pubblicato il 30/07/2019

N. 05391/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01138/2008 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

CON CONTESTUALE SENTENZA PARZIALE


 

sull’appello n. 1138 del 2008, proposto dal signor Fabio Pascariello, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Valenti e Gianluigi Bidetti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Laura Polimeno in Roma, via Giulio Venticinque, n. 6;


 

contro

Il Ministero delle infrastrutture (succeduto al Ministero dei lavori pubblici) e la s.p.a. Anas (succeduta all’Ente Nazionale per Le Strade – Anas), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12; 

nei confronti

della s.p.a. Cocemer, della s.r.l. Ati - Leadri, l s.r.l. Ati - Pal Strade, della s.r.l. Ssp Costruzioni, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio; 

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce (Sezione Prima), n. 3373/2007, resa tra le parti;


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2019 il pres. Luigi Maruotti e uditi per le parti l’avvocato Gianluigi Bidetti e l'avvocato dello Stato Paolo Marchini;


 


 

1 Con il decreto n. 871 dell’8 aprile 1992, il Ministro dei Lavori Pubblici – Presidente dell’ANAS ha approvato il progetto dei lavori di costruzione della ‘Tangenziale ovest’ della città di Lecce ed ha fissato i termini per la realizzazione dei lavori e l’emanazione dei decreti di esproprio.

Con il decreto del 28 maggio 1992, il Prefetto ha poi disposto l’occupazione – a favore dell’ANAS – delle aree oggetto dei lavori, e tra queste di un fondo di proprietà dell’appellante (particelle 12 e 13 del foglio 235), per una superficie di 6.100 mq, divenuti poi 11.613.

2. Col ricorso di primo grado n. 1757 del 2004 (proposto al TAR per la Puglia, Sezione di Lecce), l’interessato ha rilevato che:

- il decreto ministeriale di data 8 aprile 1992, che ha approvato il progetto, è stato annullato da questa Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2719 del 2000;

- è stata realizzata l’opera pubblica sul suo terreno, irreversibilmente trasformato in assenza di un decreto d’esproprio.

Egli ha chiesto il risarcimento del danno ‘in conseguenza della illecita e illegittima apprensione del bene’, essendo ‘certamente impossibile la restituzione’.

3. Con la sentenza n. 3373 del 2007, il TAR:

- ha ritenuto sussistente la giurisdizione amministrativa;

- ha ravvisato nella specie una ‘occupazione acquisitiva’, che integrerebbe ‘un fatto illecito ascrivibile a responsabilità della p.a. che si perfeziona a partire dal momento in cui il possesso del suolo di proprietà del ricorrente deve essere considerato sine titulo’;

- ha accolto l’eccezione di prescrizione del ‘diritto del ricorrente al risarcimento del danno da occupazione acquisitiva’, rilevando che l’occupazione d’urgenza sarebbe divenuta illegittima il 21 ottobre 1997, sicché il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 2947 c.c. (applicabile ai sensi dell’art. 2043 c.c.) sarebbe decorso alla data di notifica del ricorso di primo grado, avvenuta il 5 agosto 2004.

4. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia accolto.

Egli ha rilevato che non si sarebbe prescritto il suo diritto al risarcimento del danno, poiché:

- l’occupazione è divenuta sine titulo non dal 21 ottobre 1997 (come ritenuto dal TAR), ma dopo la scadenza dei termini, prorogati con i decreti prefettizi n. 817 del 17 luglio 1997 e n. 63 del 17 febbraio 1999, dapprima sino al 2 marzo 1999 e poi sino al 2002;

- in data 8 marzo 1999 l’ANAS ha richiamato gli atti sulla approvazione dell’indennità spettante, con una nota che ha interrotto la prescrizione;

- con la sentenza n. 2719 del 2000, questa Sezione ha annullato la delibera del consiglio comunale di Lecce n. 36 del 13 febbraio 1989 di approvazione della variante del progetto della tangenziale e il decreto del Ministro dei lavori pubblici n. 871 dell’8 aprile 1992.

Inoltre, l’appellante:

- ha dedotto (a p. 13) che avrebbe perduto il diritto di proprietà, con la ‘contestuale acquisizione a titolo originario della proprietà del suolo in questione in capo alla p.a.’, e cioè con la sua ‘apprensione del bene’ (v. p. 21);

- ha chiesto che siano condannati il Ministero dei lavori pubblici, la s.p.a. ANAS e la s.p.a Co.Ce.Mer. (realizzatrice dei lavori) al risarcimento del danno, pari al ‘valore del bene’, oltre alla diminuzione del valore venale per la restante parte del fondo.

Circa il quantum, l’appellante ha chiesto che il valore del terreno sia calcolato con una consulenza tecnica d’ufficio.

5. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è costituito in giudizio in data 26 febbraio 2008, chiedendo la reiezione dell’appello.

6. Con una memoria depositata in data 8 aprile 2019, l’appellante ha chiesto che siano disposte le misure di tutela previste dal testo unico sugli espropri, deducendo che si è in presenza di un illecito permanente, tenuto anche conto della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Con una memoria depositata in data 16 aprile 2019, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha chiesto che l’appello sia dichiarato inammissibile per genericità e, in subordine, ha chiesto che sia dichiarato il difetto della propria legittimazione passiva e che l’appello sia comunque respinto.

7. Va preliminarmente respinta l’eccezione con cui il Ministero ha dedotto – invero apoditticamente - che l’appello sarebbe inammissibile per genericità.

Infatti, l’appellante ha in dettaglio ricostruito i fatti accaduti ed ha indicato le circostanze che hanno condotto all’occupazione sine titulo del terreno, nonché i suoi estremi identificativi e gli atti la cui emanazione a suo avviso evidenzia l’erroneità della sentenza impugnata.

8. Va inoltre respinta l’eccezione secondo cui non vi sarebbe la legittimazione passiva del Ministero appellato.

L’atto d’appello (così come il ricorso di primo grado) è stato notificato al Ministero delle infrastrutture - succeduto al Ministero dei lavori pubblici – ed alla s.p.a. ANAS, che gestisce la ‘Tangenziale ovest’ di Lecce.

Rileva il fatto che a suo tempo dapprima il Ministero dei lavori pubblici ha dichiarato la pubblica utilità (con l’atto poi annullato da questa Sezione con la sentenza n. 2719 del 2000) e poi il Prefetto di Lecce ha emanato gli atti di occupazione d’urgenza dell’area su cui sono state realizzate le opere, sicché sussiste la legittimazione passiva dell’Amministrazione statale.

9. Si deve pertanto passare all’esame delle deduzioni e delle domande contenute nell’atto d’appello.

10. Vanno evidenziate le peculiarità del presente giudizio.

10.1. Un tratto della ‘Tangenziale ovest’ di Lecce è stato realizzato su un suolo di proprietà dell’appellante, in assenza di un decreto di esproprio.

In linea di principio, tale fattispecie è stata disciplinata dapprima dall’art. 43 del testo unico sugli espropri (approvato con il d.P.R. n. 327 del 2001 ed entrato in vigore il 30 giugno 2003) e poi, dopo la dichiarazione della sua incostituzionalità per eccesso di delega, dall’art. 42 bis (introdotto nel testo unico dall’art. 34, comma 1, della legge n. 111 del 2011).

10.2. Senonché, malgrado l’entrata in vigore dell’art. 43 e malgrado la Corte Europea dei diritti dell’uomo dal 2000 abbia rilevato il contrasto con la CEDU delle prassi nazionali sulle ‘espropriazioni indirette’, il ricorso di primo grado (notificato il 5 agosto 2004):

- ‘sul piano logico e terminologico’ si è basato sulla perdurante rilevanza di tali prassi ed ha prospettato che sarebbe ‘certamente impossibile la restituzione’ del fondo detenuto sine titulo, in quanto ‘irreversibilmente trasformato’;

- ha lamentato che vi sarebbe stata una ‘illecita ed illegittima apprensione del bene’ senza il pagamento di somme ‘al proprietario ablato’;

- ha chiesto la condanna al risarcimento del danno, pari al controvalore del suolo.

Seguendo tale impostazione, le Amministrazioni in primo grado hanno eccepito la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento e il TAR – senza porre in discussione la stessa impostazione – ha accolto l’eccezione di prescrizione.

10.3. Con l’atto notificato il 21 gennaio 2008, l’appellante ancora una volta non ha richiamato né la giurisprudenza della Corte Europea, né l’art. 43 del testo unico (la cui portata innovativa è stata rilevata da questo Consiglio: Cons. Stato, Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830; Sez. IV, 27 giugno 2007, n. 3752; Sez. IV, 16 giugno 2007, n. 2582).

Viceversa, l’appellante – in coerenza con le proprie deduzioni di primo grado – ha contestato la statuizione del TAR di accoglimento della eccezione di prescrizione ed ha prospettato la sussistenza delle circostanze idonee a far ritenere non maturata la prescrizione, riproponendo la domanda risarcitoria basata sulla ‘ablazione’ del suo diritto di proprietà.

A sua volta, il Ministero, nella sua memoria difensiva, ha chiesto il rigetto dell’appello, senza porsi la questione della riproposizione di una domanda basata su presupposti logico-giuridici contrastanti con la Convenzione europea e con la legislazione vigente.

Solo con la memoria depositata in data 8 aprile 2019 l’appellante:

- ha invocato la giurisprudenza della Corte Europea ed ha segnalato che vi è un illecito permanente;

- ha chiesto che siano disposte le misure di tutela previste dal testo unico sugli espropri.

12. Così delineate le ‘peculiarità’ del giudizio, ritiene il Collegio che vada previamente esaminato il motivo d’appello secondo cui il TAR ha erroneamente accolto l’eccezione di prescrizione.

Il previo esame di tale censura è essenziale, perché solo a seguito della riforma di tale statuizione del TAR si pongono le questioni sulle misure di tutela spettanti al proprietario del suolo occupato senza titolo, sul quale sia stata realizzata un’opera pubblica.

13. Va dunque esaminato il rilievo dei decreti emessi dal Prefetto di Lecce dopo l’approvazione della dichiarazione di pubblica utilità (disposta dal Ministro-Presidente dell’Anas, con il decreto di data 8 aprile 1992, annullato da questa Sezione con la sentenza n. 2719 del 2000).

13.1. Il TAR ha ritenuto che alla data del 5 agosto 2004 (di notifica del ricorso di primo grado) era decorso il termine quinquennale, poiché l’occupazione – disposta con l’atto del Prefetto di data 28 maggio 1992 - sarebbe divenuta illegittima il 21 ottobre 1997.

13.2. Come ha rilevato l’appellante, tale circostanza risulta però smentita dalla documentazione acquisita, neppure contestata dal Ministero appellato.

Risulta infatti che il Prefetto di Lecce:

- ha dapprima emanato il decreto n. 1006 del 28 maggio 1992 (notificato al precedente proprietario dell’area), avente l’efficacia di cinque anni, decorrente dalla immissione in possesso, avvenuta in data 4 agosto 1992;

- ha poi emanato i decreti di proroga n. 817 del 17 luglio 1997 (avente efficacia sino al 2 marzo 1999) e n. 63 del 17 febbraio 1999 (avente efficacia sino al 2002).

Pertanto, alla data del 5 agosto 2004 non era decorso il termine di prescrizione di cinque anni, ritenuto applicabile dal TAR.

13.3. Diventa così irrilevante l’esame delle ulteriori argomentazioni con cui l’appellante, con la sua memoria difensiva, ha rimarcato che non era decorso il termine di prescrizione, per la natura permanente dell’illecito commesso dall’Amministrazione.

14. In accoglimento del primo motivo d’appello e in riforma della sentenza del TAR, va respinta l’eccezione di prescrizione, formulata in primo grado.

15. A questo punto, va verificato quali ulteriori statuizioni vadano emanate, per definire la controversia.

16. Il Collegio ritiene che nel caso di specie, in applicazione dell’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, si dovrebbe ordinare all’Autorità che utilizza la tangenziale di emanare un provvedimento che disponga o l’acquisizione del bene al suo patrimonio indisponibile o, in ipotesi, la sua restituzione.

17. Tuttavia, il Collegio rileva che vadano previamente esaminate due questioni strettamente connesse:

a) se la domanda risarcitoria dell’appellante vada qualificata come dichiarazione di ‘rinuncia abdicativa’ del bene in questione;

b) se, qualora debba esservi tale qualificazione, una tale rinuncia abbia giuridica rilevanza.

18. Ritiene il Collegio che, nella specie, si dovrebbe escludere che si sia in presenza di una ‘rinuncia abdicativa’.

18.1. In linea di principio, qualora si dovesse ritenere rilevante nell’attuale ordinamento, la ‘rinuncia abdicativa’ si dovrebbe estrinsecare in una esplicita dichiarazione, basata sulla consapevolezza di essere titolare del bene e sulla mera volontà di dismettere il diritto e di perdere la qualità di proprietario (e non sulla richiesta di una somma di denaro, a titolo risarcitorio, posta in rapporto di sostanziale sinallagmaticità con il trasferimento del diritto dominicale).

Diversamente, infatti, si introdurrebbe nel sistema la possibilità che, con un atto unilaterale, sia pure sotto forma di azione giudiziale, la parte perverrebbe alla produzione di effetti patrimonialmente rilevanti non solo nella propria sfera giuridica, ma anche nella sfera giuridica dell’Amministrazione, soggetto che, invece, non ha manifestato alcuna volontà volta all’acquisizione del diritto.

Di talché, non sembra che una tale dichiarazione, produttiva dei conseguenti effetti, si possa desumere dalla proposizione di una domanda risarcitoria.

18.2. Nella specie si dovrebbe escludere che vi sia stata una ‘rinuncia abdicativa’, poiché l’appellante non ha dichiarato una tale volontà e ha ‘dato per scontato’ che ancora rileverebbero le prassi rivelatesi in contrasto con la Convenzione europea.

18.3. Per il caso in cui sia ravvisabile una ‘rinuncia abdicativa’, si porrebbe comunque l’ulteriore questione se essa sia stata revocata con la memoria depositata il 8 aprile 2019, con cui l’appellante ha chiesto la tutela prevista dal testo unico sugli espropri.

Egli per un lapsus calami ha richiamato l’art. 43 (dichiarato incostituzionale) e non l’art. 42 bis del testo unico, ma ha invocato la giurisprudenza per la quale l’Autorità può diventare proprietaria dell’area solo con l’emanazione di un atto formale di natura ablatoria ed ha chiesto la restituzione, ove non sia emesso un atto di acquisizione (richiamando la sentenza n. 1542 del 2010, resa su un appello di un proprietario di un suolo confinante).

Si potrebbe dunque ritenere che nella specie, se anche vi sia stata una ‘rinuncia abdicativa’, vi è poi stata una chiara dichiarazione di volontà dell’appellante di essere qualificato ancora come proprietario, cui competono le misure di tutela previste dalla legislazione vigente.

19. Più radicalmente, però, il Collegio dubita che nel sistema previsto dal testo unico sugli espropri sia concepibile una ‘rinuncia abdicativa’ e che il proprietario possa in tal modo pretendere fondatamente di ottenere il controvalore del bene.

20. A quanto consta, negli anni susseguenti all’entrata in vigore del testo unico, questo Consiglio non ha affrontato funditus la questione sul se la volontà del proprietario possa comportare la perdita del suo diritto e una sua pretesa di ottenere il controvalore del bene.

Una tale possibilità è stata ammessa dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, per i casi devoluti alla giurisdizione del giudice civile, nei giudizi instaurati prima della entrata in vigore della legge n. 205 del 2000, che ha previsto la giurisdizione amministrativa esclusiva in materia espropriativa.

A tale giurisprudenza ha poi fatto richiamo il § 5.3. della sentenza della Adunanza Plenaria n. 2 del 2016.

20.1. Dopo l’entrata in vigore del testo unico, questa Sezione:

a) ha inizialmente osservato che la proposizione di una azione risarcitoria non possa far rinvenire un ‘atto estintivo’ del diritto di proprietà (Sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290; Sez. IV, 27 novembre 2008, n. 5854);

b) ha escluso la rilevanza della ‘rinuncia abdicativa’ per il principio di legalità desumibile dall’art. 43 ed enunciato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 92; Sez. IV, 29 agosto 2011, n. 4833; Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4970; Sez. IV, 3 settembre 2014, n. 4479).

c) ha esaminato le domande risarcitorie applicando l’art. 43 del testo unico ed ordinando alle Autorità o di emanare l’atto di acquisizione o di restituire il terreno, senza porsi la questione se da tali domande si dovessero desumere dichiarazioni di ‘rinuncia abdicativa’ (Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830; Sez. IV, 27 giugno 2007, n. 3752; Sez. IV, 16 giugno 2007, n. 2582; Sez. IV, 4 dicembre 2008, n. 5984; Sez. IV, 21 aprile 2009, n. 2420; Sez. IV, 26 marzo 2010, n. 1762; Sez. IV, 10 maggio 2013, n. 2559; Sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4203);

d) si è attenuta alle disposizioni rilevanti ratione temporis, per rimarcare come l’art. 43 e l’art. 42 bis del testo unico abbiano tipizzato il potere dell’Autorità di acquisire i terreni occupati senza titolo e abbiano previsto i rimedi perché si abbia l’adeguamento dello stato di diritto a quello di fatto (anche con l’eventuale rimozione coattiva delle opere realizzate, se non è emanato l’atto di acquisizione: Sez. VI, 31 ottobre 2011, n. 5813);

e) ha rilevato che, quando il proprietario propone le domande risarcitorie in forma specifica e per equivalente, l’Autorità deve adeguare la situazione di diritto a quella di fatto ai sensi dell’art. 42 bis (Sez. IV, 10 febbraio 2014, n. 611; Sez. IV, 30 settembre 2013 n. 4868; Sez. IV, 29 agosto 2012, n. 4650; Sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4408).

20.2. Al § 5.3. della sentenza n. 2 del 9 febbraio 2016, l’Adunanza Plenaria ha richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Unite secondo cui l’illecito permanente, cagionato con l’occupazione sine titulo, può venire meno anche con la ‘rinuncia abdicativa’.

Tale richiamo ha indotto questa Sezione ad attribuire rilievo a dichiarazioni qualificate come ‘rinunce abdicative’:

- le sentenze n. 3065 e n. 5364 del 2016 hanno disposto incombenti istruttori;

- la sentenza n. 4636 del 2016 si è pronunciata sulla trascrivibilità dell’atto con cui l’Autorità liquida il danno;

- le sentenze n. 5262 e 5574 del 2017; Sez. IV, n. 2396, n. 2778, n. 3097 e n. 5358 del 2018; n. 1332 del 2019, hanno ravvisato la sussistenza di rinunce;

- le sentenze n. 3234 e n. 3730 del 2017; n. 3105 del 2018 hanno richiamato il § 5.3. della sentenza n. 2 del 2016.

Altre sentenze hanno invece dato applicazione all’art. 42 bis del testo unico, nell’ottica della sua centralità per dare tutela nel caso di occupazione senza titolo del terreno da parte dell’Autorità (sentenze n. 3658 del 2019; n. 3070 del 2019, che ha in dettaglio previsto le statuizioni cogenti per adeguare la situazione di diritto a quella di fatto; nn. 1868 e 1869 del 2019).

21. Con la giurisprudenza richiamata dal § 5.3. della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 2016, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno annoverato la ‘rinuncia abdicativa’ tra i modi con i quali viene meno l’occupazione sine titulo.

21.1. Ad avviso del Collegio, si potrebbe rilevare come il principio affermato dalle Sezioni Unite sia applicabile per le controversie devolute al giudice civile (quelle sorte prima della entrata in vigore della legge n. 205 del 2000, che ha previsto la giurisdizione esclusiva in materia espropriativa, nonché quelle sorte successivamente in tema di ‘sconfinamento’, qualora si ritenga irrilevante la giurisdizione esclusiva: Sez. Un., 8 luglio 2019, n. 18272; Sez. Un., 7 dicembre 2018, n. 26285).

In effetti, si è verificata una peculiare situazione, nella quale i giudici civili non hanno più potuto dare seguito alle prassi stigmatizzate dalla Corte Europea, ma neppure hanno ravvisato l’applicabilità dell’art. 42 bis del testo unico e del precedente art. 43.

Ciò si desume dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 735 del 19 gennaio 2015, citata dalla Adunanza Plenaria, la quale:

- si è pronunciata in un caso risalente al 1968 devoluto all’esame del giudice civile, in cui era discusso se si era prescritto il diritto al risarcimento del danno, ed ha qualificato come illecito permanente l’occupazione senza titolo;

- nel richiamare alcuni precedenti della Suprema Corte, ha aggiunto che l’illecito “viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell'occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente”.

Le Sezioni Unite (con l’elencazione ricognitiva riportata dalla Adunanza Plenaria) hanno richiamato la ‘rinuncia abdicativa’ proprio per far decidere con tale ‘via d’uscita’ le controversie devolute al giudice civile (che non è titolare dei poteri conformativi che spettano al giudice amministrativo quale giudice dell’esercizio delle funzioni pubbliche), dopo che la Corte Europea aveva segnalato la necessità del superamento della prassi della ‘espropriazione indiretta’.

La stessa sentenza delle Sezioni Unite ha dato atto dei dubbi interpretativi sulla applicabilità dapprima dell’art. 43 e poi dell’art. 42 bis per le occupazioni senza titolo poste in essere prima della loro entrata in vigore, poste all’esame del giudice civile.

Del resto, nel periodo intercorrente tra la dichiarazione di incostituzionalità per eccesso di delega dell’art. 43 (disposta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 293 del 2010) e l’entrata in vigore dell’art. 42 bis, non era vigente alcuna disposizione attributiva del potere di emanare l’atto di acquisizione.

La medesima sentenza ha richiamato la ‘rinuncia abdicativa’ tra i modi che fanno cessare l’illecito permanente, con espresso ‘riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell'occupazione acquisitiva’, e al § 7 della motivazione significativamente non ha elencato tra tali modi anche l’atto di acquisizione previsto dall’art. 42 bis del testo unico: tale articolo è stato richiamato solo alla fine del § 7 con una ‘avvertenza’ sulle questioni concernenti la sua applicabilità ratione temporis.

Si può dunque ritenere che, ad avviso delle Sezioni Unite, per i casi in cui si applica l’art. 42 bis occorre tener conto delle sue specifiche disposizioni, ispirate al principio di legalità.

21.2. La sentenza n. 735 del 2015 non si è quindi occupata delle questioni per le quali sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva, né delle implicazioni sistematiche che discendono dalla applicazione dell’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, ritenuto non applicabile al caso al suo esame.

22. Di conseguenza, tenuto conto dei principi affermati dalle Sezioni Unite (per le controversie devolute al giudice civile) e delle disposizioni del testo unico sugli espropri (applicabili per le controversie proposte in sede di giurisdizione esclusiva), si potrebbe escludere che la ‘rinuncia abdicativa’ possa avere giuridica rilevanza innanzi al giudice amministrativo.

Infatti, per i casi di occupazione sine titulo di un fondo da parte della Autorità (devoluti alla cognizione del giudice amministrativo), è in vigore la specifica disciplina prevista dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, che ha in dettaglio individuato i poteri e i doveri della medesima Autorità, nonché i poteri del giudice amministrativo.

23. L’art. 42 bis:

- prevede che l’Autorità che utilizza sine titulo un bene immobile per scopi di interesse pubblico debba valutare, con un procedimento d’ufficio (che può essere sollecitato dalla parte in caso di inerzia), ‘gli interessi in conflitto’, adottando un provvedimento conclusivo con cui sceglie se acquisire il bene o restituirlo, per adeguare la situazione di diritto a quella di fatto;

- in altri termini, vincola l’Amministrazione occupante all’esercizio del potere ed attribuisce alla stessa un potere discrezionale in ordine alla scelta finale, all’esito della comparazione e ell valutazione degli interessi;

- comporta che nel caso di occupazione sine titulo l’Autorità commette un illecito di carattere permanente (Ad. Plen., 9 febbraio 2016, n. 2; Sez. IV, 31 maggio 2019 n. 3658; Sez. IV, 13 maggio 2019, n. 3070; Sez. IV, 21 marzo 2019, n. 1869; Sez. IV, 18 febbraio 2019, n. 1121; Sez. IV, 18 maggio 2018, n. 3009; Sez. IV, 30 agosto 2017, n. 4106; Sez. IV, 1° agosto 2017, n. 3838; cfr. Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830; Sez. IV, 27 giugno 2007, n. 3752; Sez. IV, 16 giugno 2007, n. 2582, con considerazioni sull’allora vigente art. 43, rilevanti nel sistema incentrato sull’art. 42 bis);

- esclude che il giudice decida la ‘sorte’ del bene nel giudizio di cognizione instaurato dal proprietario;

- a maggior ragione, non può che escludere che la ‘sorte’ del bene sia decisa dal proprietario e che l’Autorità acquisti coattivamente il bene, sol perché il proprietario dichiari di averlo perso o di volerlo perdere, o di volere il controvalore del bene.

L’art. 42 bis ha esaurito la disciplina della fattispecie, con una normativa ‘autosufficiente’, rispetto alla quale non dovrebbero rilevare ‘prassi’ ulteriori, limitative dell’applicazione della legge.

Già l’art. 43, poi dichiarato incostituzionale, aveva ‘consapevolmente’ introdotto nel sistema ‘norme di chiusura’, volte ad attribuire all’Autorità ‘il potere di dare a regime una soluzione al caso concreto quando gli atti del procedimento divengano inefficaci per decorso del tempo o siano annullati dal giudice amministrativo’, consentendo ‘una legale via d’uscita per gli illeciti già verificatisi’ (Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830; Sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4203; Sez. IV, 15 settembre 2014, n. 4696): analoghe considerazioni valgono per l’art 42 bis.

24. Ad avviso del Collegio, per le fattispecie disciplinate dall’art. 42 bis vi dovrebbe essere una rigorosa applicazione del principio di legalità, in materia affermato dall’art. 42 della Costituzione e rimarcato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in tema di assenza della base legale delle prassi sulla ‘espropriazione indiretta’: nessuna norma ha indicato i requisiti formali necessari per la validità della ‘rinuncia abdicativa’, né ha precisato quali effetti si producano.

25. Nel diritto privato, è discusso se l’art. 827 del codice civile sia la base legale di una dichiarazione di rinuncia del proprietario di un diritto reale immobiliare, a parte i casi previsti dalla legge.

Sembra comunque molto dubbio che le sue disposizioni prevalgano su quelle dell’art. 42 bis, che attribuisce all’Autorità e non al proprietario la possibilità di decidere quale sia il regime del bene: nel vigore dell’art. 42 bis, non vi è alcuna lacuna normativa da colmare.

Poiché l’art. 42 bis dispone che il titolo di acquisto possa essere l’atto di acquisizione (espressione di una scelta della Autorità), non sembra che si possa attribuire rilievo al suo atto di liquidazione del danno, emanato in esecuzione di una sentenza che rilevi una ‘rinuncia abdicativa condizionata’, il cui evento sia determinato dalla coesistenza della sentenza e dell’atto di liquidazione.

Potrebbe pertanto riconsiderarsi l’osservazione per la quale, ‘per la natura abdicativa e non traslativa dell’atto di rinuncia, il provvedimento con il quale l’amministrazione procede alla effettiva liquidazione del danno - rappresentando il mancato inveramento della condizione risolutiva implicitamente apposta dal proprietario al proprio atto abdicativo che di esso rappresenta il presupposto - costituisce atto da trascriversi ai sensi degli artt. 2643, primo comma, n. 5 e 2645 cod. civ., anche al fine di conseguire gli effetti della acquisizione del diritto di proprietà in capo all’amministrazione, a far data dal negozio unilaterale di rinuncia’ (in tal senso, Sez. IV, 7 novembre 2016, n. 4636; Sez. IV, 30 giugno 2016, n. 3234; Sez. IV, 15 novembre 2017, n. 5262).

Invero, per l’art. 42 bis l’Autorità può acquisire il bene con un atto discrezionale, in assenza del quale vi sono gli ordinari rimedi di tutela, anche quello della restituzione.

La scelta, di acquisizione del bene o della sua restituzione, va effettuata esclusivamente dall’Autorità (o dal commissario ad acta nominato dal giudice amministrativo, all’esito del giudizio di cognizione o del giudizio d’ottemperanza, ai sensi dell’art. 34 o dell’art. 114 del c.p.a): in sede di giurisdizione di legittimità, né il giudice amministrativo né il proprietario possono sostituire le proprie valutazioni a quelle attribuite alla competenza e alle responsabilità dell’Autorità individuata dall’art. 42 bis.

Del resto, l’art. 827 si riferisce alla titolarità del bene da parte dello Stato, sicché esso non è neanche in astratto rilevante quando l’illecito sia stato commesso da una Autorità non statale.

26. Peraltro, l’elaborazione della ‘rinuncia abdicativa’ non risulta essenziale per la definizione dei giudizi pendenti innanzi al giudice amministrativo.

26.1. In materia espropriativa vi sono state anche riforme ‘processuali’, volte a rendere effettiva la tutela dei proprietari, in presenza di illeciti della Autorità.

Oltre alla introduzione della giurisdizione esclusiva (con le disposizioni della legge n. 205 del 2000 e del testo unico sugli espropri, trasfuse nell’art. 133, comma 1, lettera g), del codice del processo amministrativo con le precisazioni lessicali coerenti con la giurisprudenza costituzionale), per il caso di silenzio della Autorità sono state introdotte regole snelle, trasfuse nell’art. 117 del codice del processo amministrativo.

26.2. Il ricorso avverso ‘il silenzio è proposto, anche senza previa diffida’ (comma 1) e può essere deciso con una sentenza che può nominare un commissario ad acta (comma 4).

Si sono così semplificate le tecniche di tutela della posizione del proprietario, anche per il caso in cui l’Autorità utilizzi senza titolo un bene immobile altrui per ragioni di interesse pubblico.

26.3. L’art. 42 bis ha introdotto un sistema di tutela, ben colto dalla giurisprudenza amministrativa, anche di primo grado.

Il comma 1 ha attribuito al proprietario peculiare interesse legittimo a che l’Amministrazione adegui la situazione di diritto a quella di fatto - acquisendo essa stessa la titolarità del bene illecitamente occupato e corrispondendo le relative somme nelle misure previste dalla legge, ovvero restituendo il bene al legittimo proprietario - che può essere azionato per costringere anche in tempi rapidi l’Autorità a provvedere.

Pertanto, mnel caso di occupazione sine titulo:

- non si può chiedere omissio medio la tutela del proprio diritto, perché si deve preliminarmente verificare (in sede amministrativa o giurisdizionale) se l’Autorità intenda o meno acquisire il bene, ai sensi dell’art. 42 bis;

- in coerenza con il principio della divisione dei poteri, deve esservi la valutazione della Autorità di acquisire o meno il bene.

Nel tutelare tale interesse legittimo, il comma 1 ‘paralizza temporaneamente’ l’accoglibilità della domanda del proprietario di ottenere senz’altro il risarcimento o la restituzione del suo bene, poiché:

- se l’Autorità – d’ufficio o su istanza di parte – dispone l’acquisizione, all’ex proprietario spetta l’indennizzo per la cui quantificazione, in caso di contestazione, sussiste la giurisdizione del giudice civile (cfr. Sez. Un., 21 febbraio 2019, n. 5201; 27 dicembre 2018, n. 33539; 12 giugno 2018, n. 15343; 29 ottobre 2015, n. 22096; Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2012, n. 1438);

- se l’Autorità invece decide di non acquisire il bene, solo allora il giudice amministrativo può applicare le disposizioni del codice civile sul risarcimento e sulla restituzione.

Dunque, ai sensi del comma 1 il proprietario:

- può chiedere che l’Autorità adegui la situazione di diritto a quella di fatto e sollecitare l’esercizio del potere di acquisizione;

- può ricorrere avverso l’atto di acquisizione (che deve determinare l’indennizzo spettante);

- può ricorrere avverso il silenzio dell’Autorità, avvalendosi del rito speciale previsto dall’art. 117 del c.p.a. e dunque di un rimedio di tutela idoneo a far adeguare in un tempo ragionevole la situazione di diritto a quella di fatto (cfr. i richiami ed i casi trattati da Sez. IV, 10 giugno 2019, n. 3871; Sez. IV, 26 aprile 2019, n. 2678, § 10.1.; Sez. IV, 13 settembre 2018, n. 5358, § 10.2).

26.4. Il giudice amministrativo, in caso di inerzia dell’amministrazione e di ricorso avverso il silenzio ex art. 117 c.p.a., può nominare già in sede di cognizione il commissario ad acta, che provvederà ad esercitare i poteri di cui all’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001 o nel senso della acquisizione o nel senso della restituzione.

Similmente, se il proprietario agisce omissio medio con una azione volta ad ottenere la restituzione del terreno, espressamente o implicitamente chiedendo la tutela prevista dall’art. 42 bis, il giudice può constatare la perdurante lesione della sua posizione giuridica e può anche nominare in sede di cognizione il commissario ad acta, che provvederà nel senso o della acquisizione o della restituzione.

Il commissario ad acta – per il caso di ulteriore inerzia della Autorità nel valutare gli ‘interessi in conflitto’ – può compiere la valutazione e se del caso determinare l’indennizzo.

26.5. Per di più, il sistema di tutela disegnato dall’art. 42 bis consente al proprietario – nel caso di acquisizione - di ottenere non solo l’indennizzo pari al controvalore del bene, ma anche quanto previsto dal suo comma 3 a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale, oltre al risarcimento spettante ai sensi del medesimo comma 3 per il periodo di occupazione senza titolo.

Ravvisare una ‘rinuncia abdicativa’, di conseguenza, potrebbe comportare un pregiudizio per il proprietario leso.

26.6. Talvolta la Sezione – a fronte di richieste eterogenee che, comunque, hanno richiamato l’art. 42 bis - ha disposto che entro un certo termine l’Autorità emani un motivato atto col quale o vada esercitato il potere di acquisizione (con l’articolazione del relativo procedimento) o vada disposta la restituzione dell’immobile (cfr. la sentenza 13 maggio 2019, n. 3070).

Una tale soluzione, seguita spesso dai Tribunali amministrativi regionali, qualora si consolidasse, potrebbe agevolare la rapidità dei giudizi amministrativi e avrebbe riflessi sulla effettività della tutela spettante ai proprietari.

In tali ipotesi, si potrebbe ravvisare il rispetto del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato: anche se non vi è stato il previo procedimento amministrativo previsto dalla legge per la valutazione degli ‘interessi in conflitto’, perché la parte chiede in sostanza la tutela del proprio interesse legittimo prevista dall’ordinamento: a seguito della perdurante inerzia dell’Autorità, il giudice amministrativo – qualificando l’azione, ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a. come azione avverso il silenzio e con conseguente mutamento del rito - si potrebbe pronunciare ai sensi dell’art. 117 del c.p.a.

Inoltre, in aggiunta all’ordine ‘alternativo’ il giudice potrebbe nominare un commissario ad acta (ai sensi dell’art. 34 del c.p.a., o nella sede del giudizio d’ottemperanza), per il caso di ulteriore mancato esercizio del potere di acquisizione, affinché vi sia l’ineludibile atto formale, senza il quale non può essere né acquisita la proprietà del bene né ordinata la sua restituzione.

Qualora sia invocata solo la tutela (restitutoria e risarcitoria) prevista dal codice civile e non si richiami l’art. 42 bis, una domanda così congeniata potrebbe risultare ‘non centrata’, poiché si invoca una tutela sulla base di una disciplina ‘incongrua’, applicandosi l’art. 42 bis e non il codice civile.

Nondimeno, pure in presenza di domande così proposte, la giurisprudenza ha sovente ritenuto di dare tutela, con le medesime statuizioni rese con le sentenze che si sono pronunciate su domande espressamente basate sull’art. 42 bis: una soluzione diversa risulterebbe formalista e in contrasto col principio di ragionevole durata del processo.

Si deve tenere conto infatti del caos interpretativo che si è verificato in materia, caratterizzato dal susseguirsi di prassi stigmatizzate dalla Corte Europea, dalla dichiarazione di incostituzionalità per eccesso di delega dell’art. 43 e dai dubbi a lungo perduranti sulla legittimità costituzionale e sull’ambito di applicazione dell’art. 42 bis.

Per il principio di effettività della tutela, e in considerazione dei principi sulla conversione della domanda processuale, si potrebbe affermare che il proprietario – nell’invocare la tutela risarcitoria e restitutoria del proprio diritto di proprietà – chieda al giudice di ottenere la tutela prevista dalla legislazione in realtà rilevante, e cioè quella prevista dall’art. 42 bis.

In tale ipotesi, il giudice amministrativo potrebbe desumere dalla domanda restitutoria o risarcitoria la domanda volta alla tutela del coesistente interesse legittimo, in presenza della perdurante inerzia dell’Autorità, che continua a violare il suo dovere di adeguare la situazione di diritto a quella di fatto.

Pertanto, sulla base di tale prospettazione, è possibile ritenere che anche in tal caso non sia violato il principio generale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, atteso che il giudice, qualificata l’azione come proposta avverso il silenzio, si potrebbe pronunciare ai sensi dell’art. 117 c.p.a.

27. Nel caso in esame, il ricorso di primo grado è stato notificato il 5 agosto 2004, quando era da poco entrato in vigore il testo unico ed erano accese le discussioni sulla legittimità costituzionale dell’art. 43 non solo quanto all’ipotizzato eccesso di delega (poi riscontrato dalla Corte Costituzionale), ma anche quanto al rispetto dei principi costituzionali sostanziali e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

Sembra giustificabile, pertanto, l’impostazione difensiva dell’originario ricorrente, che non ha allora invocato la disposizione allora vigente (l’art. 43 del testo unico), che gli avrebbe potuto consentire di far imporre all’Autorità dal giudice amministrativo l’adeguamento della situazione di diritto a quella di fatto.

Del resto, non era prevedibile che si sarebbe consolidato il quadro normativo, ciò che è avvenuto solo con l’entrata in vigore dell’art. 42 bis e con le sentenze della Corte Costituzionale n. 71 del 2015 e dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 2016.

Si potrebbe dunque richiamare il principio di effettività della tutela e, in considerazione dei principi riguardanti la conversione della domanda processuale, ritenere spettante la tutela prevista dall’art. 42 bis, chiesta con la sua memoria difensiva (pur se questa ha richiamato per un lapsus calami l’art. 43, dichiarato incostituzionale).

28. In sintesi, il Collegio ritiene che si potrebbe affermare quanto segue:

a) per le fattispecie sottoposte all’esame del giudice amministrativo e disciplinate dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, l’illecito permanente dell’Autorità viene meno nei casi da esso previsti (l’acquisizione del bene o la sua restituzione), salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti, di natura transattiva;

b) la ‘rinuncia abdicativa’, salve le questioni concernenti le controversie all’esame del giudice civile, non può essere ravvisata quando sia applicabile l’art. 42 bis;

c) l’appello potrebbe essere accolto con l’emanazione di un ordine rivolto alle Amministrazioni appellate, affinché esse esercitino il potere valutativo previsto dall’art. 42 bis, nonché con la nomina di un commissario ad acta, affinché – nel caso di ulteriore loro inerzia – questi valuti se debba esservi l’atto di acquisizione o la restituzione dell’area.

29. Per le ragioni che precedono, il Collegio - con statuizioni aventi valore di sentenza parziale, previa reiezione delle eccezioni preliminari formulate dalle Amministrazioni statali, accoglie il primo motivo d’appello e, in riforma della sentenza appellata, respinge l’eccezione di prescrizione, accolta dal TAR.

Inoltre, consapevole della importanza delle questioni e del loro evidente carattere di massima, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del c.p.a., il Collegio ritiene di formulare i seguenti quesiti all’Adunanza Plenaria, la cui soluzione è determinante per la definizione del giudizio:

a) se per le fattispecie sottoposte all’esame del giudice amministrativo e disciplinate dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, l’illecito permanente dell’Autorità viene meno solo nei casi da esso previsti (l’acquisizione del bene o la sua restituzione), salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti, di natura transattiva;

b) se, pertanto, la ‘rinuncia abdicativa’, salve le questioni concernenti le controversie all’esame del giudice civile, non può essere ravvisata quando sia applicabile l’art. 42 bis;

c) se, ove sia invocata la sola tutela restitutoria e/o risarcitoria prevista dal codice civile e non sia richiamato l’art. 42 bis, il giudice amministrativo può qualificare l’azione come proposta avverso il silenzio dell’Autorità inerte in relazione all’esercizio dei poteri ex art. 42 bis;

d) se, in tale ipotesi, il giudice amministrativo può conseguentemente fornire tutela all’interesse legittimo del ricorrente applicando la disciplina di cui all’art. 42 bis e, eventualmente, nominando un Commissario ad acta già in sede di cognizione.

L’Adunanza Plenaria valuterà se definire il secondo grado del giudizio o se formulare i principi di diritto ritenuti rilevanti, con la restituzione degli atti alla Sezione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta):

accoglie il primo motivo d’appello e, in riforma della sentenza impugnata, respinge l’eccezione di prescrizione formulata in primo grado;

rimette all’esame dell’Adunanza Plenaria la definizione del secondo grado del giudizio.

Manda alla segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'Adunanza Plenaria.

Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2019, con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente, Estensore

Luca Lamberti, Consigliere

Daniela Di Carlo, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere