Consiglio di Stato, III, 23 aprile 2019, n. 2614

per valutare l’affidamento incolpevole del privato anche in tale fase, precedente all’aggiudicazione, si deve avere riguardo, tra gli altri elementi, anche alla conoscenza o, comunque, alla conoscibilità, secondo l’onere di ordinaria diligenza richiamato anche dall’art. 1227, comma secondo, c.c., da parte del privato, dei vizi (di legittimità o di merito), che hanno determinato l’esercizio del potere di autotutela, peraltro in ossequio al tradizionale principio civilistico, secondo cui non può considerarsi incolpevole l’affidamento che deriva dalla mancata conoscenza della norma imperativa violata.

E del vizio macroscopico che ne inficiava la legittimità e che, infatti, ha condotto all’annullamento in autotutela delle due gare, vizio consistente nella possibilità di aprire le buste contenenti il progetto tecnico prima che la Commissione giudicatrice avesse specificato i criteri valutativi delle proposte, non poteva non essere consapevole l’odierna appellante, se è vero, come essa sostiene, che “appare grossolana la illegittimità contenuta nel bando, poi annullato, in base alla quale la Commissione di gara poteva fissare i criteri per l’attribuzione del punteggio dopo aver esaminato le offerte dei concorrenti”.

 

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8420 del 2014, proposto da Coop. Sociale Spazi Nuovi s.c.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Pierluigi Balducci, con domicilio eletto presso lo Studio Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30; 

contro

Azienda Sanitaria Locale di Taranto, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Giuseppe Chiarelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2; 

per la riforma

della sentenza n. 475 del 17 febbraio 2014 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. II, resa tra le parti, concernente il risarcimento dei danni per la partecipazione infruttuosa alle gare per l’affidamento della gestione di comunità riabilitative residenziali assistenziali psichiatriche e per l’affidamento dei centri diurni del Dipartimento di Salute Mentale.


 

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Locale di Taranto;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 marzo 2019 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’odierna appellante, Coop. Sociale Spazi Nuovi s.c.r.l., l’Avvocato Pierluigi Balducci e per l’odierna appellata, l’Azienda Sanitaria Locale di Taranto, l’Avvocato Giuseppe Chiarelli;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO e DIRITTO

1. L’odierna appellante, Coop. Sociale Spazi Nuovi s.c.r.l., in seguito alla sentenza n. 175 del 4 febbraio 2019, declinatoria della propria giurisdizione da parte del Tribunale ordinario di Taranto, ha proposto avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, azione risarcitoria al fine di ottenere il risarcimento del danno asseritamente subìto, ai sensi dell’art. 1337 c.c., per l’infruttuosa partecipazione a due procedure ad evidenza pubblica, in seguito all’annullamento in autotutela delle gare bandite dalla Azienda Sanitaria Locale di Taranto (di qui in avanti, per brevità, l’Azienda) rispettivamente per l’affidamento, secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, della gestione delle comunità riabilitative residenziali assistenziali psichiatriche per un triennio e per l’affidamento, sempre secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per l’affidamento dei centri diurni del Dipartimento di salute mentale, sempre per un triennio.

1.1. Nel primo grado del giudizio non si è costituita l’Azienda per chiedere la reiezione della domanda risarcitoria.

1.2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con la sentenza n. 475 del 17 febbraio 2014, ha respinto il ricorso.

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello Coop. Sociale Spazi Nuovi s.c.r.l. e, nel lamentarne l’erroneità, ne ha chiesto la riforma, con il conseguente accoglimento della domanda risarcitoria formulata in primo grado.

2.1. Si è costituita l’Azienda appellata per resistere al gravame, di cui ha chiesto la reiezione.

2.2. Nella pubblica udienza del 28 marzo 2019 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

3. L’appello deve essere respinto.

4. L’odierna appellante sostiene che il primo giudice, allorché ha respinto la domanda risarcitoria, avrebbe errato nel sostenere che vi sarebbe violazione della regola della correttezza, di cui all’art. 1337 c.c., solo dopo l’annullamento dell’aggiudicazione per non essere configurabile, prima dell’aggiudicazione, alcun legittimo affidamento del concorrente tutelabile sul piano della responsabilità c.d. precontrattuale.

4.1. L’assunto dell’appellante in punto di diritto merita condivisione perché, come l’Adunanza plenaria di questo Consiglio ha chiarito nella sentenza n. 5 del 4 maggio 2018, risulterebbe eccessivamente restrittiva e, per molti versi contraddittoria, la tesi secondo cui, nell’ambito dei procedimenti di evidenza pubblica, i doveri di correttezza (e la conseguente responsabilità precontrattuale dell’amministrazione in caso di loro violazione) nascono solo dopo l’adozione del provvedimento di aggiudicazione.

4.2. Aderendo a tale impostazione, si finirebbero, infatti, per creare a favore del soggetto pubblico “zone franche” di responsabilità, introducendo in via pretoria un regime “speciale” e “privilegiato”, che si porrebbe in significativo contrasto con i principî generali dell’ordinamento civile e con la chiara tendenza al progressivo ampliamento dei doveri di correttezza emergente dagli orientamenti più recenti della giurisprudenza civile e amministrativa.

4.3. Cionondimeno si deve qui osservare che, come pure l’Adunanza plenaria ha chiarito nella sentenza n. 5 del 4 maggio 2018, per valutare l’affidamento incolpevole del privato anche in tale fase, precedente all’aggiudicazione, si deve avere riguardo, tra gli altri elementi, anche alla conoscenza o, comunque, alla conoscibilità, secondo l’onere di ordinaria diligenza richiamato anche dall’art. 1227, comma secondo, c.c., da parte del privato, dei vizî (di legittimità o di merito), che hanno determinato l’esercizio del potere di autotutela, peraltro in ossequio al tradizionale principio civilistico, secondo cui non può considerarsi incolpevole l’affidamento che deriva dalla mancata conoscenza della norma imperativa violata.

4.4. E del vizio macroscopico che ne inficiava la legittimità e che, infatti, ha condotto all’annullamento in autotutela delle due gare, vizio consistente nella possibilità di aprire le buste contenenti il progetto tecnico prima che la Commissione giudicatrice avesse specificato i criterî valutativi delle proposte, non poteva non essere consapevole l’odierna appellante, se è vero, come essa sostiene (p. 7 del ricorso), che «appare grossolana la illegittimità contenuta nel bando, poi annullato, in base alla quale la Commissione di gara poteva fissare i criteri per l’attribuzione del punteggio dopo aver esaminato le offerte dei concorrenti».

4.5. La stessa appellante rammenta, peraltro, che tale illegittimità era tanto conclamata, e percepibile ictu oculi, che il vizio di illegittimità era stato evidenziato alla stazione appaltante anche da illustri consulenti legali di altri partecipanti alla gara.

4.6. E invece l’odierna appellante, dopo aver partecipato alle due gare, non ha mai contestato tale presunta illegittimità, ma anzi con le due missive del 28 aprile 2005 e del 28 giugno 2005 – mai prodotte, circostanza, questa, significativa, nel corso del presente giudizio, ma il cui contenuto è menzionato, oltre che nell’atto di appello, nella successiva diffida del 25 novembre 2006 (doc. 14 fasc. ricorrente in prime cure) – ha sollecitato le Commissioni di gara a concludere le procedure valutative nel modo più rapido, entro i tempi stabiliti dal bando, senza fare menzione del vizio se non dopo l’annullamento in autotutela e nella sola citata diffida del 25 novembre 2006.

4.7. Risulta dunque evidente che essa, nonostante la piena consapevolezza del vizio che inficiava le procedure, abbia preso alla parte alle gare senza mai nulla eccepire, né in sede procedimentale né in sede processuale, ma anzi sollecitando la Commissione a concludere le procedure valutative, inficiate ab origine da tale grave illegittimità, posta poi a fondamento dei provvedimenti adottati in autotutela dall’Azienda.

4.8. Non è pertanto tutelabile in questa sede alcun legittimo affidamento in capo all’odierna appellante che, ben conscia dell’identico vizio, reiterato, che affliggeva le due procedure, non ne ha mai fatto constare all’amministrazione procedente l’illegittimità, ma anzi l’ha più volte sollecitata a concludere rapidamente le procedure di evidenza pubblica in radice viziate, salvo poi richiedere opportunisticamente il risarcimento del danno per lesione della propria libertà contrattuale una volta intervenuto, seppure dopo diverso tempo, l’annullamento delle gare in autotutela e dopo essersi aggiudicata, per sua espressa ammissione, i servizi all’esito delle nuove gare bandite dall’Azienda (almeno per alcuni lotti).

4.9. Simili strategie opportunistiche, contrarie all’obbligo di diligenza che grava anche sul privato asseritamente creditore, non sono però tutelabili e tutelate dall’art. 1337 c.c., in quanto il fondamento della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, a prescindere qui da ogni controversa questione sul suo corretto inquadramento dogmatico, sta in un rapporto di correttezza e di collaborazione, tra il soggetto pubblico e quello privato, che non è mai unidirezionale, ma sempre mutuo e scambievole, considerando che «nell’ambito del procedimento amministrativo (a maggior ragione in quello di evidenza pubblica cui partecipano operatori economici qualificati), il dovere di correttezza è un dovere reciproco, che grava, quindi, anche sul privato, a sua volta gravato da oneri di diligenza e di leale collaborazione verso l’Amministrazione» (Cons. St., Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5).

5. Discende da queste considerazioni, per l’assenza di legittimo affidamento in capo all’odierna appellante, la reiezione della domanda risarcitoria, qui proposta, con la conseguente conferma, solo per dette esposte considerazioni, della sentenza impugnata laddove ha comunque respinto la domanda risarcitoria, e con l’altrettanto conseguente assorbimento di ogni ulteriore questione relativa alla determinazione dell’an e del quantum debeatur per la valutazione del c.d. interesse negativo (quantificato dall’appellante in € 203.024,00), del tutto superflua per il difetto di un elemento costitutivo della responsabilità precontrattuale da parte dell’Azienda.

6. Le spese del presente grado del giudizio, attesa la novità delle questioni giuridiche qui esaminate alla luce dei principî solo di recente chiariti dall’Adunanza plenaria nella citata sentenza n. 5 del 2018, possono essere interamente compensate tra le parti.

6.1. Rimane definitivamente a carico dell’appellante, sempre per la soccombenza, il contributo unificato richiesto per la proposizione del gravame.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da Coop. Sociale Spazi Nuovi s.c.r.l., lo respinge e per l’effetto conferma, ai sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Pone definitivamente a carico di Coop. Sociale Spazi Nuovi s.c.r.l. il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2019, con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore

Stefania Santoleri, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere

Ezio Fedullo, Consigliere

 

 

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L’odierna appellante sostiene che il primo giudice, allorché ha respinto la domanda risarcitoria, avrebbe errato nel sostenere che vi sarebbe violazione della regola della correttezza, di cui all’art. 1337 c.c., solo dopo l’annullamento dell’aggiudicazione per non essere configurabile, prima dell’aggiudicazione, alcun legittimo affidamento del concorrente tutelabile sul piano della responsabilità c.d. precontrattuale.

L’assunto dell’appellante in punto di diritto merita condivisione perché, come l’Adunanza plenaria di questo Consiglio ha chiarito nella sentenza n. 5 del 4 maggio 2018, risulterebbe eccessivamente restrittiva e, per molti versi contraddittoria, la tesi secondo cui, nell’ambito dei procedimenti di evidenza pubblica, i doveri di correttezza (e la conseguente responsabilità precontrattuale dell’amministrazione in caso di loro violazione) nascono solo dopo l’adozione del provvedimento di aggiudicazione.

Aderendo a tale impostazione, si finirebbero, infatti, per creare a favore del soggetto pubblico “zone franche” di responsabilità, introducendo in via pretoria un regime “speciale” e “privilegiato”, che si porrebbe in significativo contrasto con i principi generali dell’ordinamento civile e con la chiara tendenza al progressivo ampliamento dei doveri di correttezza emergente dagli orientamenti più recenti della giurisprudenza civile e amministrativa.

Cionondimeno si deve qui osservare che, come pure ha chiarito l’Adunanza plenaria, sentenza n. 5 del 4 maggio 2018, per valutare l’affidamento incolpevole del privato anche in tale fase, precedente all’aggiudicazione, si deve avere riguardo, tra gli altri elementi, anche alla conoscenza o, comunque, alla conoscibilità, secondo l’onere di ordinaria diligenza richiamato anche dall’art. 1227, comma secondo, c.c., da parte del privato, dei vizi (di legittimità o di merito), che hanno determinato l’esercizio del potere di autotutela, peraltro in ossequio al tradizionale principio civilistico, secondo cui non può considerarsi incolpevole l’affidamento che deriva dalla mancata conoscenza della norma imperativa violata.

E del vizio macroscopico che ne inficiava la legittimità e che, infatti, ha condotto all’annullamento in autotutela delle due gare, vizio consistente nella possibilità di aprire le buste contenenti il progetto tecnico prima che la Commissione giudicatrice avesse specificato i criteri valutativi delle proposte, non poteva non essere consapevole l’odierna appellante, se è vero, come essa sostiene, che “appare grossolana la illegittimità contenuta nel bando, poi annullato, in base alla quale la Commissione di gara poteva fissare i criteri per l’attribuzione del punteggio dopo aver esaminato le offerte dei concorrenti”.

La stessa appellante rammenta, peraltro, che tale illegittimità era tanto conclamata, e percepibile ictu oculi, che il vizio di illegittimità era stato evidenziato alla stazione appaltante anche da illustri consulenti legali di altri partecipanti alla gara.

E invece l’odierna appellante, dopo aver partecipato alle due gare, non ha mai contestato tale presunta illegittimità, ma anzi (…) ha sollecitato le Commissioni di gara a concludere le procedure valutative nel modo più rapido, entro i tempi stabiliti dal bando, senza fare menzione del vizio se non dopo l’annullamento in autotutela e nella sola citata diffida del 25 novembre 2006.

Risulta dunque evidente che essa, nonostante la piena consapevolezza del vizio che inficiava le procedure, abbia preso alla parte alle gare senza mai nulla eccepire, né in sede procedimentale né in sede processuale, ma anzi sollecitando la Commissione a concludere le procedure valutative, inficiate ab origine da tale grave illegittimità, posta poi a fondamento dei provvedimenti adottati in autotutela dall’Azienda.

Non è pertanto tutelabile in questa sede alcun legittimo affidamento in capo all’odierna appellante che, ben conscia dell’identico vizio, reiterato, che affliggeva le due procedure, non ne ha mai fatto constare all’amministrazione procedente l’illegittimità, ma anzi l’ha più volte sollecitata a concludere rapidamente le procedure di evidenza pubblica in radice viziate, salvo poi richiedere opportunisticamente il risarcimento del danno per lesione della propria libertà contrattuale una volta intervenuto, seppure dopo diverso tempo, l’annullamento delle gare in autotutela e dopo essersi aggiudicata, per sua espressa ammissione, i servizi all’esito delle nuove gare bandite dall’Azienda (almeno per alcuni lotti).

Simili strategie opportunistiche, contrarie all’obbligo di diligenza che grava anche sul privato asseritamente creditore, non sono però tutelabili e tutelate dall’art. 1337 c.c., in quanto il fondamento della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, a prescindere qui da ogni controversa questione sul suo corretto inquadramento dogmatico, sta in un rapporto di correttezza e di collaborazione, tra il soggetto pubblico e quello privato, che non è mai unidirezionale, ma sempre mutuo e scambievole, considerando che nell’ambito del procedimento amministrativo (a maggior ragione in quello di evidenza pubblica cui partecipano operatori economici qualificati), il dovere di correttezza è un dovere reciproco, che grava, quindi, anche sul privato, a sua volta gravato da oneri di diligenza e di leale collaborazione verso l’Amministrazione (Consiglio di Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018 n. 5).

 

Nella vicenda oggetto della sentenza in commento l’appellante lamenta l’illegittimità della determina con la quale la stazione appaltante aveva annullato, in via di autotutela, la procedura di appalto, deducendo che la PA, nel decidere il suddetto annullamento, non aveva tenuto conto del ragionevole (ed incolpevole) affidamento maturato dalla medesima appellante in ordine alla piena legittimità della procedura stessa. Per tale motivo l’appellante – come aveva già fatto dinanzi al TAR – fonda su tale (presunta) illegittimità dell’annullamento in autotutela una richiesta risarcitoria ex art. 1337 c.c. .

Nello specifico, la decisione della PA di annullare gli atti di gara era stata dettata dal fatto che, in base ad una norma del bando, la Commissione di gara poteva fissare i criteri per l’attribuzione del punteggio dopo aver esaminato le offerte dei concorrenti.

Tale iter era – su ciò non vi è dubbio – palesemente contrario a quanto previsto dall’art. 95 comma 8 del D.lgs. 50/2016, in base al quale sono i documenti di gara a dover indicare “i criteri di valutazione e la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi”, e pertanto la determinazione degli stessi non può essere fatta dalla Commissione, in quanto, se così fosse, quest’ultima, ove intendesse favorire uno dei concorrenti, potrebbe agevolmente modellare i criteri medesimi sulla base del contenuto dell’offerta presentata da quel concorrente.

Il Consiglio di Stato rigetta la domanda dell’appellante in quanto è emerso, dagli atti di gara, che quest’ultimo era  pienamente consapevole del vizio di legittimità sopra descritto: nel ricorso stesso, infatti, l’appellante afferma che «appare grossolana la illegittimità contenuta nel bando, poi annullato, in base alla quale la Commissione di gara poteva fissare i criteri per l’attribuzione del punteggio dopo aver esaminato le offerte dei concorrenti».

Il Consiglio, inoltre, precisa che l’appellante non aveva mai fatto rilevare alla stazione appaltante la sussistenza del vizio di legittimità, pur essendone a conoscenza, e quindi conclude affermando che, in linea generale, nessun affidamento del privato è configurabile (e merita quindi di essere tutelato) nei casi in cui egli, pur essendo consapevole dell’annullabilità del provvedimento, non abbia mai segnalato alla PA tale illegittimità. La motivazione è che il procedimento amministrativo è caratterizzato dal fatto che gli obblighi di correttezza e buona fede devono essere adempiuti non solo da parte della PA ma anche ad opera del privato, il quale ha il dovere di collaborare per garantire il buon andamento dell’azione amministrativa, segnalando all’Autorità i profili di illegittimità - da lui eventualmente riscontrati - degli atti, anche (e soprattutto) quando l’eventuale accertamento, in via di autotutela, di tale illegittimità possa andare contro ai propri interessi (come è successo nel caso di specie).

La norma richiamata dal Consiglio di Stato per negare tutela all’affidamento invocato dall’appellante è quella contenuta nell’art. 1227 comma 2 c.c., il quale stabilisce che non sussiste danno risarcibile laddove il soggetto che lo richiede avrebbe potuto evitare il suo verificarsi adottando comportamenti idonei a prevenirlo: “Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza”.

Il Consiglio di Stato, richiamando l’art. 1227 c.c. pur in una fase in cui il contratto non era ancora stato stipulato (infatti la stazione appaltante ha annullato gli atti di gara in via di autotutela), ritiene che gli obblighi di buona fede, correttezza e collaborazione del privato siano talmente imprescindibili da comportare l’applicazione delle norme civilistiche anche se il procedimento di gara non è ancora giunto alla fase negoziale. E’ una sorta di “responsabilità da contatto a rovescio”: si è sempre parlato di responsabilità da contatto solo dal lato della PA, la quale, fin dal primo momento in cui instaura un rapporto con il privato, è tenuta a rispettare i canoni di correttezza tipici dei rapporti privatistici. Ebbene, adesso se ne parla dal lato del privato: anche quest’ultimo, per il solo fatto di rivestire la qualità di concorrente (e quindi anche se non ha ancora assunto la veste di “contraente”), deve rispettare i suddetti canoni.

Ora, chi scrive non intende mettere in discussione la fondatezza del richiamo operato dal Consiglio di Stato.

Tuttavia, se si analizza l’art. 30 ultimo comma del Codice dei Contratti, si constata che, fin quando il procedimento non è giunto alla fase della stipula del contratto, debbono applicarsi non già le norme civilistiche bensì quelle contenute nella Legge 241/90.

Ed allora la domanda è: in questa Legge vi è una norma la quale stabilisca che anche il privato è tenuto a collaborare con la PA nel senso di far rilevare a quest’ultima l’illegittimità dei propri atti?

La risposta è affermativa in quanto l’art. 21 quinquies (“Revoca del provvedimento”) stabilisce, al comma 1 bis, quanto segue: “Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico”.

Tale norma prevede, quindi, che, nel caso di revoca di un provvedimento, l’indennizzo spettante al privato debba subire una diminuzione ove quest’ultimo abbia conosciuto (o si sia trovato nella possibilità di conoscere) la contrarietà del provvedimento revocato all’interesse pubblico: se il provvedimento in precedenza adottato a favore del privato ledeva l’interesse pubblico, e di ciò il privato era a conoscenza, egli non potrà poi chiedere un indennizzo nel caso in cui tale provvedimento venga successivamente revocato.

E’ esattamente la stessa situazione che si è verificata nella fattispecie oggetto della sentenza in commento: il concorrente ben sapeva che la clausola del bando era illegittima e che tale illegittimità sarebbe stata tale da invalidare tutta quanta la procedura, ma, nonostante ciò, ha taciuto al riguardo.

il fatto, tuttavia, è che nel caso della sentenza l’atto di autotutela posto in essere è stato non già un atto di revoca bensì un atto di annullamento: l’art. 21 nonies della Legge 241/90, che disciplina l’annullamento di ufficio, non prevede alcuna diminuzione dell’eventuale indennizzo richiesto dal privato, a differenza dell’art. 21 quinquies.

Pertanto, se si ragionasse in termini di stretta applicazione delle norme contenute nella Legge 241/90, si dovrebbe arrivare alla conclusione che, siccome nell’annullamento di ufficio non è prevista alcuna diminuzione dell’indennizzo nel caso in cui il privato fosse consapevole della illegittimità dell’atto annullato, il concorrente il quale si sia visto annullare gli atti di gara potrebbe comunque rivendicare il diritto ad ottenere un indennizzo pieno.

Ma si tratta di una conclusione palesemente provocatoria, in quanto l’obbligo del concorrente di comportarsi secondo buona fede, e quindi di segnalare alla stazione appaltante determinati vizi di legittimità dei provvedimenti, assume un carattere trasversale, in quanto si radica, più o meno direttamente, nell’art. 2 della Costituzione, la quale richiede al singolo “l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”: tali doveri non possono atteggiarsi in maniera diversa a seconda dello strumento utilizzato dalla PA per l’esercizio del proprio potere di autotutela, ossia: assicurare al privato un ristoro economico pieno, quando tale strumento è quello dell’annullamento ex art.  21 nonies della Legge 241/90, e negare tale ristoro laddove invece lo strumento utilizzato sia quello della revoca ex art 21 quinquies della stessa Legge.