in tema di applicazione del principio di buona fede

Sommario: 1. Premessa. La valenza generale del principio di buona fede. 2. Buona fede ed attività amministrativa. 3. La responsabilità da comportamento scorretto nell’ambito dell’evidenza pubblica. 4. Ulteriori ipotesi di responsabilità da comportamento scorretto. 5. Riparto di giurisdizione.

1. Premessa. La valenza generale del principio di buona fede

 

Secondo un ormai consolidato orientamento (c.d. precettivo) la buona fede in senso oggettivo è, nei rapporti intersoggettivi, fonte di specifici obblighi comportamentali improntati a correttezza, onestà e lealtà che opera come una clausola aperta ed integrativa della disciplina legale o negoziale dei rapporti medesimi.[1]

In particolare, l’operatività generale e l’immanenza nell'ordinamento di tale clausola – che quindi non richiede di volta in volta di un'espressa previsione normativa -  è il precipitato applicativo del dovere di solidarietà sociale declinato nell'art. 2 Cost, dal quale deriva la necessità in tutti i rapporti tra i consociati "di prendere in considerazione e salvaguardare gli interessi dei soggetti con i quali il singolo individuo viene in contatto nelle sue relazioni sociali"[2].  

Le più rilevanti ipotesi di applicazione del principio di buona fede oggettiva si rinvengono nel codice civile con riferimento all'adempimento dell'obbligazione in generale (art. 1175 c.c.)[3], all'esecuzione delle prestazioni contrattuali (art. 1375 c.c.), alla condotta delle parti del contratto in pendenza di una condizione (art. 1358 c.c.), all'esercizio dell'eccezione di inadempimento (art. 1460, 2 comma c.c.), alla fase delle trattative negoziali (artt. 1337 e 1338 c.c.).[4]

Il principio di buona fede ha, inoltre, un ruolo fondamentale nella individuazione del c.d. abuso del diritto ossia delle condotte che costituiscono apparentemente esercizio di un diritto da parte del suo titolare, ma che in concreto sono volte esclusivamente a danneggiare il debitore o comunque altri soggetti terzi (c.d. abuso del diritto).

In particolare, secondo l'opinione attualmente predominante in dottrina e giurisprudenza, proprio la clausola generale di buona fede (in quanto, come detto, espressione del principio di solidarietà sociale ex art. 2 Cost) consentirebbe di individuare per ogni singolo diritto un limite esterno (ulteriore rispetto a quelli di volta in volta individuati dalla legge) consistente nel divieto di esercitarlo oltre le finalità proprie del medesimo.[5]

Conseguentemente, tutte quelle condotte che pur corrispondendo in astratto all'esercizio del diritto hanno uno scopo emulativo (ossia arrecare pregiudizio all'altrui sfera giuridica) oppure uno scopo fraudolento[6] non sono meritevoli di tutela per l'ordinamento giuridico e possono essere fonte di responsabilità civile per l'autore delle medesime. [7]

  

2. Buona fede ed attività amministrativa

  

Atteso che il principio di buona fede ha assunto una connotazione così ampia che può essere esteso a qualunque rapporto intersoggettivo, è lecito chiedersi se esso sia divenuto anche parametro generale di valutazione della condotta della P.A. nell'ambito del rapporto tra privato e pubblica amministrazione che si instaura con il procedimento amministrativo[8]

Al riguardo, secondo un consolidato - ma ormai recessivo - orientamento giurisprudenziale l’attività amministrativa autoritativa può essere sindacabile solo con riguardo agli aspetti di legittimità tanto da escludere in radice la possibilità di configurare in capo alla PA una responsabilità da provvedimento (soltanto) contrario a buona fede.[9]

Sennonché, lo stesso legislatore ha nel corso del tempo introdotto nell’ordinamento disposizioni che hanno fatto assurgere, in taluni casi particolari, il dovere di correttezza a parametro di legittimità della funzione amministrativa, con conseguente attrazione della sua violazione nell’ambito del vizio di eccesso di potere.

Al riguardo, viene subito in rilievo l’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (come modificato dall’art. 1 della legge 11 febbraio 2015, n. 15) che stabilendo espressamente l'applicabilità all'attività amministrativa dei principi dell’ordinamento comunitario, consente di ritenere operante in via generale - come peraltro più volte affermato dalla Corte di Giustizia[10] -  anche quello della tutela del legittimo affidamento del privato.

In virtù di tale disposizione, le aspettative incolpevoli create nel privato dalla pregressa condotta della P.A possono tendenzialmente assumere un peso significativo nella necessaria ponderazione dell’interesse pubblico e vincolare l’Amministrazione ai fini dell’accoglimento di un’istanza, fatti salvi i mutamenti della situazione di fatto e di diritto che ragionevolmente debbano far optare per un risultato diverso.

Inoltre, l’omessa o non corretta valutazione dell’affidamento ingenerato nel privato sulla liceità di una sua determinata, pregressa condotta possono comportare l’illegittimità per eccesso di potere del successivo provvedimento sanzionatorio adottato dalla P.A..[11]

L’affidamento circa il mantenimento di provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del privato già adottati dalla P.A. assume particolare rilevanza nell'ambito della disciplina degli atti di autotutela come l'annullamento e la revoca  (cfr. art. 21-nonies, comma 1 ed art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990).[12]

Soprattutto con riferimento all’annullamento in autotutela, la previsione di un limite massimo temporale (diciotto mesi) per l’esercizio di tale potere da parte della P.A. è palesemente finalizzata a salvaguardare in via definitiva l’assetto di interessi ormai consolidatosi in capo al privato (e quindi il suo affidamento circa la stabilità degli effetti del precedente provvedimento ampliativo, nonostante la sua eventuale illegittimità).[13]

Anche l’istituto del preavviso del provvedimento di rigetto (previsto dall’ art. 10 bis della L. 241/1990) che il responsabile del procedimento è tenuto a notificare alla parte istante può dirsi espressione di un tipizzato dovere di correttezza della PA che impone di instaurare con il privato un contraddittorio preventivo nel caso di non accoglimento dell’istanza, con conseguente illegittimità del provvedimento di diniego adottato senza aver svolto tale incombente.[14]

Con riferimento, invece, alla tematica della responsabilità della P.A in caso di silenzio inadempimento (ossia di violazione del dovere di provvedere) il legislatore con l’art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/1990 (introdotto dall’art. 28, comma 10, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazione dalla legge 9 agosto 2013, n. 98), ha espressamente previsto in favore del privato il "risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.

L’omessa emanazione del provvedimento nel termine indicato dalla legge ha assunto le vesti di fatto illecito tipico che consente di risarcire il c.d. danno da mero ritardo, anche se l'istanza del privato non fosse meritevole di accoglimento e, quindi, a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso all'interesse legittimo con essa attivato.

A tale riguardo, la giurisprudenza ha di recente affermato che la violazione del termine di conclusione del procedimento non comporta per ciò solo l’invalidità del provvedimento adottato successivamente allo spirare del termine stesso, ma deve ritenersi un comportamento scorretto dell’amministrazione “che genera incertezza” e, dunque “interferisce illecitamente sulla libertà negoziale del privato” e più in generale sulla sua libertà di autodeterminazione “eventualmente arrecandogli ingiusti danni patrimoniali”.[15]

 

 

 

3. La responsabilità da comportamento scorretto nell’ambito dell’evidenza pubblica

 

Il problema del rispetto del principio di buona fede si è posto ed è stato affrontato soprattutto in materia di evidenza pubblica.

In particolare secondo un orientamento più restrittivo della giurisprudenza amministrativa[16], l’amministrazione è tenuta a rispettare il principio in esame (e se non lo fa incorre in responsabilità precontrattuale) solo a seguito dell’aggiudicazione, che, nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, segna il momento in cui viene individuato un contraente specifico, quindi, titolare non più di una mera aspettativa di fatto ma di un interesse (legittimo)[17] concreto e specifico  alla stipula del contratto.

Prima dell’aggiudicazione, infatti, la procedura di gara non assumerebbe i connotati di una “trattativa”, ma di un complesso di operazioni volte a verificare l’offerta migliore tra quelle presentate dagli operatori economici partecipanti, i quali, pertanto, in questa fase non possono vantare alcun affidamento circa l’aggiudicazione in loro favore né, a maggior ragione, in relazione alla stipula del contratto.[18]

Secondo questa tesi inoltre, considerato che il bando di gara ha natura di offerta “in incertam personam” (offerta al pubblico) l’eventuale annullamento in autotutela prima dell’aggiudicazione (momento in cui la proposta contrattuale si concretizza nei confronti di uno specifico soggetto, ossia l’aggiudicatario) non può comportare profili di responsabilità precontrattuale della P.A., né obblighi di indennizzo ai sensi dell’art. 1328 c.c., in quanto non esisterebbe ancora una parte accettante (ossia l’oblato).[19]

Per l’orientamento che è divenuto prevalente nella giurisprudenza amministrativa a seguito della recentissima sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5/2018, la responsabilità precontrattuale è, invece, configurabile in capo alla P.A. anche prima dell’aggiudicazione, allorché la procedura non venga portata a termine ed ancorché gli atti di ritiro adottati dalla stazione appaltante siano perfettamente legittimi.[20]

Ed infatti, nel far proprie le argomentazioni già espresse dalla Corte di Cassazione[21], secondo la quale il procedimento di evidenza pubblica deve essere considerato in tutta la sua interezza come ambito di trattative contrattuali “multiple o parallele”con gli operatori economici partecipanti, i Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che ove si riducesse l’ambito di operatività della culpa in contrahendo solamente alla fase successiva all’aggiudicazione “si finirebbe per creare a favore del soggetto pubblico zone franche da responsabilità, introducendo in via pretoria un regime speciale e privilegiato che si porrebbe in significativo contrasto con i principi generali dell’ordinamento civile”. E, sempre per gli stessi motivi, sarebbe comunque riduttivo – secondo l’Adunanza Plenaria citata – limitare la responsabilità precontrattuale nella fase pre –aggiudicazione alle sole ipotesi in cui già prima di indire la gara l’Amministrazione fosse a conoscenza o potesse avvedersi con la media diligenza della sussistenza di cause di annullamento o revoca del bando (ad es: cause ostative alla ricezione di finanziamenti per realizzare l’opera pubblica, ovvero l’aver redatto la lex spcialis di gara con clausole equivoche e di fatto non applicabili[22]).

 

 

4. Ulteriori ipotesi di responsabilità da comportamento scorretto.

 

Se nell’ambito dell’evidenza pubblica è ormai “ius receptum” che l’attività procedimentale della P.A. è suscettibile di essere vagliata non solo e non tanto dal punto di vista della sua legittimità ma contemporaneamente anche da quello della sua conformità ai principi di lealtà e correttezza, non vi è ragione di escludere che anche in relazione ad altre tipologie di procedimenti  (quanto meno quelli ad istanza di parte) tali principi possano costituire, in caso di loro violazione, parametro di valutazione della condotta della P.A. e fonte di responsabilità “da comportamento scorretto”.

In sostanza, si può ritenere che l’attività amministrativa autoritativa sia latu sensu sottoposta anche all’osservanza da parte della P.A. del canone di buona fede che assume nel procedimento amministrativo i connotati di dovere di tutela e protezione dell’affidamento e delle facoltà procedimentali del privato.

In particolare, come già sopra accennato, la tutela dell’affidamento viene in rilievo nelle ipotesi di esercizio da parte della P.A. dei poteri di autotutela, tanto è vero che il legislatore ha stabilito, a tal fine, un termine di decadenza per l’esercizio di quello di annullamento e, nel caso di revoca, un indennizzo a favore del soggetto attinto dal provvedimento sfavorevole.

A parte quest’ultima fattispecie, per la quale è previsto comunque una forma di ristoro economico ex lege del privato e che pertanto per la sua specialità non sembra lasciar spazio al risarcimento del danno ingiusto ex art. 2043 c.c. (almeno nell’ipotesi di revoca legittima[23]), nel caso di annullamento legittimo di un precedente provvedimento ampliativo, si potrebbe ritenere ammissibile il risarcimento del danno per lesione dell’affidamento del privato (al mantenimento del precedente assetto di interessi) quando l’annullamento intervenga in limine terminis, ossia quasi allo scoccare del limite massimo dei diciotto mesi per l’esercizio del relativo potere previsto dall’ art. 21-nonies, comma 1, L. 241/1990.

Infatti, sempreché il privato dimostri di aver subito delle perdite economiche[24] per effetto della rimozione degli effetti favorevoli del provvedimento rimosso (c.d. danno conseguenza), nella fattispecie suddetta sembrerebbero ricorrere tutti i presupposti della responsabilità da comportamento scorretto individuati dall’Adunanza Plenaria con riferimento alle procedure di evidenza pubblica, ossia: a) la sussistenza in capo alla P.A. di uno specifico dovere di correttezza (di agire in autotutela nel minor tempo possibile); b) un particolare grado di affidamento ingenerato nel privato a causa del considerevole lasso di tempo intercorso dall’adozione del provvedimento ampliativo;[25] c) l’imputabilità della condotta pregiudizievole alla P.A., almeno sotto il profilo della colpa, avendo essa superficialmente atteso ad adottare il provvedimento di annullamento, sempreché non vi fossero oggettive giustificazioni per rimandarlo fino al limite massimo temporale consentito dalla legge;

Il dovere (procedimentale) di correttezza può anche consistere in specifici doveri di informare il privato sulle corrette modalità di presentazione dell’istanza, della documentazione eventualmente da produrre a corredo della stessa e delle modalità di richiesta di informazioni circa lo stato del procedimento ecc..

In particolare, tale dovere è stato di recente tipizzato dal legislatore nell’art. 35 del d.lgs n. 33/2013 che prevede per ciascuna P.A. l’obbligo di pubblicazione sul proprio sito istituzionale di una serie di dati ed informazioni relativi alle tipologie di procedimento di propria competenza.[26]

Inoltre, si può ritenere che il dovere di correttezza imponga alla P.A. di evitare comportamenti ostruzionistici (ad es: richiesta di produzione di documentazione non necessaria) volti esclusivamente a determinare la surrettizia sospensione dei termini del procedimento (e quindi a rallentarlo ingiustificatamente).

Al riguardo, potrebbe essere vagliato sotto l’aspetto della conformità al principio di correttezza, il provvedimento di differimento del diritto di accesso alla documentazione amministrativa ex art. 22 L. 241/1990, quando pur ricorrendone i presupposti,[27] questo preveda un termine ingiustificatamente lungo, tale da frustrare di fatto l’interesse del privato all’ostensione dei documenti stessi.

Tuttavia, anche in queste ipotesi il mero comportamento (legittimo) ma “in mala fede” della P.A., non è sufficiente a concretizzare nei confronti della medesima una responsabilità da comportamento scorretto, dovendo ricorrere anche tutti gli altri presupposti dell’art. 2043 c.c.: il danno-evento ingiusto subito dal privato (ossia la lesione di una situazione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento), il danno-conseguenza (le perdite economiche derivanti dal danno evento[28]), il rapporto di causalità rispetto alla condotta scorretta che si imputa all’amministrazione, nonché la colpa o dolo di quest’ultima.

 

5. Riparto di giurisdizione

 

Quanto, infine, alla giurisdizione sulle domande di risarcimento del danno da comportamento legittimo ma scorretto, occorre rilevare che in tali ipotesi la doglianza azionata non riguarda il cattivo uso del potere autoritativo ma l’ingiustizia della condotta dell’Amministrazione in quanto lesiva dell’affidamento (o di altro diritto soggettivo) del privato.

Pertanto, seguendo le argomentazioni delle Sezioni Unite riguardo ad una fattispecie di responsabilità da provvedimento legittimo adottato in autotutela,[29] ancorché dette controversie risarcitorie siano occasionate dall’esercizio del potere autoritativo, la giurisdizione sulle medesime spetta al Giudice Ordinario titolare della giurisdizione generale sulle domande volte alla tutela dei diritti soggettivi.

Né, d’altra parte, la mera prossimità con il procedimento amministrativo è sufficiente a radicare, ai sensi dell’art. 7 c.p.a., la giurisdizione esclusiva del G.A. Ciò in quanto il fatto generatore della responsabilità (ossia la condotta legittima ma scorretta della P.A.) non ricadrebbe comunque nella giurisdizione di legittimità di quest’ultimo Giudice.[30]

Con particolare riferimento alla responsabilità precontrattuale, invece, la tesi assolutamente prevalente in giurisprudenza attribuisce al G.A. la giurisdizione su tali controversie.[31]


[1] Secondo un orientamento ormai superato (teoria valutativa) la buona fede costituirebbe un canone o meglio un criterio di valutazione della conformità della prestazione al programma negoziale ossia dell'esatto adempimento dell'obbligazione da parte del debitore.

[2] Chinè, Fratini, Zoppini,Manuale di Diritto Civile VIII edizione, Nel Diritto Editore 2016, pag. 785.

[3] la norma si riferisce espressamente al canone della correttezza, ritenuto coincidente con la buona fede.

[4] Anche l'interpretazione delle clausole del contratto va condotta in buona fede, dando alle medesime il significato che è maggiormente coerente con i principi di lealtà e correttezza (art. 1366 c.c.).

[5] Anche al di fuori delle ipotesi di abuso tipizzato come l’art. 844 c.c..

[6] la Cassazione (Sentenza n. 5273/2007) è pervenuta a teorizzare la generale applicazione, in sede giudiziale, dell'exceptio doli generali (seu presentis), ossia dell'eccezione volta a paralizzare le domande del creditore che sia a conoscenza di fatti estintivi o modificativi del diritto azionato. Una delle ipotesi principali di applicazione dell'istituto in questione è quella in cui il creditore – pur essendo a conoscenza che il debitore ha adempiuto l'obbligazione - agisca per l'adempimento contro il garante che in base ad un contratto autonomo di garanzia è tenuto in ogni caso all'adempimento (non potendo opporre eccezioni fondate sul rapporto obbligatorio principale). Tuttavia, atteso che la condotta del creditore che, pur essendo già stato soddisfatto, chiede l'adempimento anche al garante, deve ritenersi una condotta abusiva e fraudolenta, si giustifica la possibilità del garante di sottrarsi alla pretesa con l'eccezione in parola.

[7] In particolare il disvalore giuridico dell'abuso del diritto si traduce in responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., se la condotta abusiva e quindi contraria al principio di buona fede è posta in essere nell'ambito di un rapporto negoziale ovvero in responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., se essa è attuata al di fuori di tale ambito (ad es: nel caso di abuso di un diritto assoluto).

[8] Non sembrano esserci dubbi riguardo l'applicazione del principio di buona fede laddove la PA persegua l'interesse pubblico mediante attività paritetica e negoziale.

[9] CDS, sez. V 18 novembre 2002, n. 6389.

[10] Si veda la sentenza Topfer del 3 maggio 1978, C-12/77.

[11]Secondo la prevalente giurisprudenza (TAR Lazio, sez. I, 16 maggio 2012 n. 4455 “la tutela del legittimo affidamento può essere accordata soltanto a condizione che siano state fornite all’interessato rassicurazioni precise, incondizionate, concordanti nonché provenienti da fonti autorizzate ed affidabili dell’amministrazione e che tali rassicurazioni siano state idonee a generare fondate aspettative nel soggetto cui erano rivolte e che fossero conformi alla disciplina applicabile, potendo il diritto di avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento operare solo in presenza di comportamenti che abbiano fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni sufficientemente precise ed ufficiali delle istituzioni con la conseguenza che i principi di tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto e di proporzionalità non possono rappresentare un impedimento per l’azione delle istituzioni che, alla luce delle disposizioni e dei principi generali, non riveli elementi tali da inficiarne la validità.” (si veda anche Cds, Sez VI, 21 giugno 2011, n. 3719).

[12] In particolare, proprio al fine di tutelare l'affidamento del privato, il provvedimento di annullamento di un precedente provvedimento illegittimo deve essere adottato entro un termine ragionevole e comunque non superiore a 18 mesi dall'emissione del provvedimento ampliativo illegittimo. L’esercizio del potere di revoca del provvedimento non è, invece, sottoposta a limiti temporali ma comporta l'obbligo della PA di corrispondere al privato un indennizzo (appunto come ristoro dell’affidamento ingenerato dal provvedimento ampliativo).

[13] Ed infatti il principio di buona fede (e di solidarietà sociale ex art. 2 Cost.) impone di salvaguardare l’assetto di interessi ormai consolidatosi a seguito di una precedente disciplina normativa o pregresso comportamento della P.A. (c.d. teoria dei diritti quesiti).

[14] Cons. Stato, sez. IV, 9 ottobre 2012, n.5257; T.A.R. Torino, 30 giugno 2011, n. 718.

[15] Consiglio di Stato, Ad. Plen. 5/2018. Sul privato incombe l'onere di provare anche l’elemento soggettivo (e quindi, almeno la colpa della P.A.) ed il nesso causale tra l’evento dannoso (la violazione del termine del procedimento) e le conseguenze pregiudizievoli ad es: scelte negoziali che non avrebbe altrimenti posto in essere.

[16] Cons. Stato, sez. V, 21 agosto 2014 n. 4272; Cons.  Stato, sez.  III, 29 luglio 2015, n.  3748; Cons. Stato Sez.  V, 21 aprile 2016, n. 1599; Cons.  Stato, sez.  V, 8 novembre 2017, n. 5146.

[17] Cons. Stato, Sez V, 15 luglio 2016, n. 3154.

[18] gli operatori economici partecipanti potrebbero vantare, secondo questa tesi, solamente un interesse legittimo allo svolgimento corretto della procedura competitiva.

[19] Ovviamente deve trattarsi di atti di ritiro legittimi, perché in caso di loro illegittimità, si profilerebbe in capo alla P.A. la diversa forma di responsabilità per danno da lesione dell’interesse legittimo degli operatori economici alla conclusione della procedura (perdita di chanse). La revoca (legittima) della procedura comporta comunque l’indennizzo ex art. 21 quinquies L. 241/1990.

[20] Ex multis: Cons. Stato, Sez. V, 2 febbraio 2018, n. 680.; Consiglio di Stato, sez. V, 8 novembre 2017, n. 5146; Cons. St., Sez. V, 27 marzo 2017, n. 1364;

[21] La tesi che la responsabilità precontrattuale è configurabile sin dall’inizio del procedimento di evidenza pubblica è stata affermata anche dalla Cassazione (SS.UU. n. 15260/2014) in base alla quale “la culpa in contraendo non necessita di un rapporto personalizzato tra p.a. e privato” e quindi dell’aggiudicazione, atteso che la procedura di gara va considerata dall’interprete come “comportamento che si presenta unitario e che conseguentemente non può essere valutato nella sua complessità”.

[22] In particolare nell’ipotesi di bando redatto con clausole oscure ed equivoche il Consiglio di Stato (Sentenza Sez V, 15 luglio 2013, n.3831) pur in astratto ritenendo possibile la configurabilità di una responsabilità precontrattuale della Stazione Appaltante, ha ritenuto la stessa non ravvisabile nel caso concreto, in quanto la PA aveva proceduto celermente alla revoca del bando e, quindi, non si era concretizzato negli operatori economici partecipanti un apprezzabile e consistente grado di affidamento sulla conclusione della procedura. In particolare la sentenza afferma: “ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della p.a. non si deve tener conto della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall'Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell'art. 1337 c.c.”.

[23] C.d.S. 6 ottobre 2010, n. 7334.

[24] Che consiste ai sensi dell’art. 1223 c.c. nelle perdite subite o nel mancato guadagno causati dall’illecito. Nel caso di responsabilità precontrattuale, invece, la prevalente giurisprudenza è incline a riconoscere il risarcimento per i soli  danni subiti dal privato per essere stato coinvolto in trattative inutili (spese ed occasioni perse ove provate, c.d. interesse negativo) e non quelli derivanti dalla mancata stipula del contratto.

[25] Secondo l’Adunanza Plenaria, atteso che la mera condotta scorretta della P.A non è sufficiente per potere ritenere sussistente la relativa responsabilità, non si può prescindere dalla verifica nel caso concreto che l’affidamento del privato sia rilevante (ad es: perché il procedimento è già in fase avanzata, quando interviene il provvedimento di autotutela). Solo in tal caso ricorre un interesse meritevole di tutela ed il comportamento scorretto può arrecare un effettivo grado di pregiudizio rilevante per l’ordinamento (danno evento).

[26] Tali dati ed informzioni sono: a) una breve descrizione del procedimento con indicazione di tutti i riferimenti normativi utili; b) l'unità organizzativa responsabile dell'istruttoria; c) l'ufficio, unitamente ai recapiti telefonici e alla casella di posta elettronica istituzionale, nonché, ove diverso, l'ufficio competente all'adozione del provvedimento finale, con l'indicazione del nome del responsabile dell'ufficio, unitamente ai rispettivi recapiti telefonici e alla casella di posta elettronica istituzionale;d) per i procedimenti ad istanza di parte, gli atti e i documenti da allegare all'istanza e la modulistica necessaria, compresi i fac-simile per le autocertificazioni, anche se la produzione a corredo dell'istanza è prevista da norme di legge, regolamenti o atti pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, nonché gli uffici ai quali rivolgersi per informazioni, gli orari e le modalità di accesso con indicazione degli indirizzi, dei recapiti telefonici e delle caselle di posta elettronica istituzionale, a cui presentare le istanze; e) le modalità con le quali gli interessati possono ottenere le informazioni relative ai procedimenti in corso che li riguardino; f) il termine fissato in sede di disciplina normativa del procedimento per la conclusione con l'adozione di un provvedimento espresso e ogni altro termine procedimentale rilevante; g) i procedimenti per i quali il provvedimento dell'amministrazione può essere sostituito da una dichiarazione dell'interessato, ovvero il procedimento può concludersi con il silenzio assenso dell'amministrazione;
h) gli strumenti di tutela, amministrativa e giurisdizionale, riconosciuti dalla legge in favore dell'interessato, nel corso del procedimento e nei confronti del provvedimento finale ovvero nei casi di adozione del provvedimento oltre il termine predeterminato per la sua conclusione e i modi per attivarli; i) il link di accesso al servizio on line, ove sia già disponibile in rete, o i tempi previsti per la sua attivazione; l) le modalità per l'effettuazione dei pagamenti eventualmente necessari, con le informazioni di cui all'articolo 36; m) il nome del soggetto a cui è attribuito, in caso di inerzia, il potere sostitutivo, nonché le modalità per attivare tale potere, con indicazione dei recapiti telefonici e delle caselle di posta elettronica istituzionale.

[27] In base all’art. 9 D.P.R. 12.4.2006. n. 184, “il differimento dell'accesso è disposto ove sia sufficiente per assicurare una temporanea tutela agli interessi di cui all'articolo 24, comma 6, della legge, o per salvaguardare specifiche esigenze dell'amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa.”

[28] Eventualmente da liquidarsi in via equitativa ex art. 12226 c.c..

[29] Si vedano le ordinanze delle SS.UU. della Corte di Cassazione nn. 6594,6595 e 6596 del 23.3.2011 e ord. N. 17586 del 4.9.2015, che hanno attribuito al G.O. la giurisdizione sulle controversie risarcitorie per i danni arrecati da legittimi provvedimenti di autotutela in materia edilizia.

[30] In base ad un ormai consolidato orientamento interpretativo della Corte Cost. (v. Sent. 204/2004 e 191/2006) la giurisdizione esclusiva del GA (quindi su controversie di diritto soggettivo ex art. 103, 1 comma Cost.) non può essere estesa dal legislatore a qualsiasi settore in cui sia presente un interesse pubblico, ma solo a “particolari materie” intese come ambiti in cui la P.A. svolge già attività autoritativa (ad: es: l’edilizia e l’urbanistica, i servizi pubblici, l’evidenza pubblica, ecc.). Inoltre, all’interno di tali particolari materie, la giurisdizione esclusiva rimane confinata a quelle controversie aventi ad oggetto comportamenti della P.A. (lesivi di diritti soggettivi) inerenti o comunque che trovano il loro presupposto in provvedimenti amministrativi illegittimi (che, in quanto tali, sarebbero comunque suscettibili di sindacato giurisdizionale di legittimità da parte del G.A.). Le controversie sui comportamenti “meri” cioè privi di inerenza con la funzione amministrativa e lesivi di diritti soggettivi, spettano al G.O..  

[31] In particolare si veda Ad Plen. N. 920/2005.