Cons. Stato, Sez.III, 14 marzo 2018, n. 1624

L’interdittiva antimafia costituisce una misura preventiva, volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti con la Pubblica amministrazione, che prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con l’Amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente.

La misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificare il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata.

 

In senso conforme: Cons. Stato, Sez. III,  7 febbraio 2018, n. 820; Cons. Stato, Sez. III, 10 gennaio 2018, n. 97. 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 889 del 2014, proposto dalla -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fe. La., An. Vi. e, prima della rinuncia al mandato, Vi. Ma., e con questi elettivamente domiciliata in Roma, piazza (…), presso lo studio dell’avvocato Ma. Li.,

 

contro

 

il Ministero dell’Interno, l’Ufficio territoriale del Governo di Napoli e il Ministero dell’economia e delle finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…), 12, nonchè

 

 

 

nei confronti di

 

-OMISSIS– Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Nu. e Cr. Ca. e con questi elettivamente domiciliata in Roma, via (…),

 

per la riforma

 

della sentenza del Tar -OMISSIS-, sede di Napoli, sez. I, -OMISSIS-, che ha rigettato il ricorso proposto dalla -OMISSIS- avverso il provvedimento del Prefetto di Napoli del 14 dicembre 2012, recante l’informativa antimafia negativa nonché l’atto di motivi aggiunti proposto avverso la revoca delle agevolazioni concesse di Invitalia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, dell’Ufficio territoriale del Governo di Napoli e del Ministero dell’economia e delle finanze;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS– Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa;

Visto l’atto di rinuncia al mandato da parte dell’avv. Vincenzo Macchia, da questi depositato il 12 gennaio 2018;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2018 il Cons. Giulia Ferrari e i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

 

1.       Con provvedimento del 14 dicembre 2012 il Prefetto di Napoli ha emesso informativa antimafia negativa, evadendo una richiesta di -OMISSIS-che, in accoglimento di un’istanza della -OMISSIS-, aveva concesso contributi per un importo pari ad Euro 1.017,589,00 in conto capitale ed a fondo perduto, nonché Euro 1.041.817,00 quale finanziamento agevolato. A fondamento della interdittiva la Prefettura aveva evidenziato la sussistenza del pericolo di infiltrazioni mafiose, rappresentando che: a) il sig. -OMISSIS-, già amministratore unico di -OMISSIS- (dalla data di sua costituzione sino al 31 agosto 2010), risulterebbe gravato da precedenti di polizia in materia di inquinamento e di gestione dei rifiuti e coinvolto in un procedimento penale in materia di traffico illecito di sostanze stupefacenti; b) il sig. -OMISSIS-, fratello di -OMISSIS-, avrebbe numerosi precedenti penali, tra cui una condanna del Tribunale di -OMISSIS-per il delitto di abuso d’ufficio, con l’aggravante del metodo mafioso, e sarebbe stato controllato, nell’anno 2005, insieme al cognato del bos -OMISSIS-; c) l’attuale amministratore unico, e socio di maggioranza, di -OMISSIS-, genero di -OMISSIS-, avrebbe acquistato le quote societarie da -OMISSIS-, figlio di -OMISSIS-, amministratore unico di -OMISSIS-, società avente collegamenti e cointeressenze con imprese gravate da interdittiva antimafia; d) il sig. -OMISSIS- ha ricoperto cariche sociali anche in -OMISSIS-., altra società colpita, nel 2001, da interdittiva antimafia.

2.       Con il ricorso n. -OMISSIS-, proposto al Tar -OMISSIS-, sede di Napoli, la -OMISSIS- ha impugnato l’interdittiva antimafia e, con atto di motivi aggiunti, la successiva revoca del finanziamento, disposta da Invitalia. Deduce l’erroneità, in fatto e in diritto, dei presupposti che sono alla base della disposta interdittiva.

3.       Con sentenza -OMISSIS- la sez. I del Tar Napoli ha respinto il ricorso sulla base di una complessiva valutazione degli elementi fattuali acquisiti.

4. La sentenza è stata impugnata dalla -OMISSIS- con appello notificato il 7 gennaio 2014 e depositato il successivo 3 febbraio.

La società ha dedotto:

a)       Omessa e/o insufficiente motivazione sul difetto di istruttoria e su false risultanze della medesima – Violazione e falsa applicazione dell’art. 10, commi 2 e 7, d.P.R. n. 252 del 1998 – Violazione e falsa applicazione art. 4, d.lgs. n. 490 del 1994 – Eccesso di potere – Difetto dei presupposti e di motivazione – Manifesta illogicità – Travisamento dei fatti – Violazione art. 24 Cost. – Violazione art. 41 Cost. – Violazione art. 97 Cost. Non è corretto l’assunto del giudice di primo grado secondo cui l’istruttoria che è alla base dell’interdittiva antimafia è completa. Ed infatti, gli elementi fattuali che sono alla base dell’interdittiva costituiscono frutto di un abbaglio dei sensi.

b) Omessa e/o insufficiente motivazione sul difetto di valutazione dei dati fattuali – Errores in iudicando – Violazione di legge (art. 10, commi 2 e 7, d.P.R. n. 252 del 1998; art. 4, d.lgs. n. 490 del 1994; artt. 41 e 97 Cost.) – Eccesso di potere (travisamento, omessa pronuncia, motivazione apparente, conclusioni irragionevoli e incongrue) – Violazione art. 111 Cost. – Violazione artt. 2 e 3 c.p.a..

La sentenza impugnata è erronea nella parte in cui afferma che l’interdittiva antimafia è esente da vizi di difetto di motivazione, “trovando adeguata giustificazione sulla base di una complessiva valutazione degli elementi fattuali acquisiti”.

L’assunto è erroneo, atteso che il provvedimento del Prefetto si sostanzia in mere affermazioni di circostanze di fatto non vere.

c) Illegittima sostituzione del Tar nella valutazione rimessa alla Prefettura – Errores in iudicando – Violazione di legge (art. 10, commi 2 e 7, d.P.R. n. 252 del 1998; art. 4, d.lgs. n. 490 del 1994; artt. 24, 41 e 97 Cost.) – Eccesso di potere (travisamento, omessa pronuncia, motivazione apparente, conclusioni irragionevoli e incongrue) – Violazione art. 111 Cost. – Violazione artt. 2 e 3 c.p.a. – Violazione art. 7 c.p.a. e., in particolare, del comma 6, in riferimento all’art. 134 c.p.a..

Acclarato che nell’informativa della Prefettura è stato omesso l’elemento valutativo e motivazionale, si evidenzia che la sentenza è illegittima laddove il giudice di primo grado, nel tentativo di sopperire alla denunciata carenza, si sostituisce all’Amministrazione fornendo una propria autonoma valutazione dei fatti istruttori, esorbitante la sfera di attribuzioni del Tar.

d) Travisamento del rapporto di parentela – Errores in iudicando – Violazione di legge (art. 10, commi 2 e 7, d.P.R. n. 252 del 1998; art. 4, d.lgs. n. 490 del 1994; artt. 24, 41 e 97 Cost.) – Omessa pronuncia – Motivazione apparente, carenza di motivazione – Conclusioni irragionevoli ed incongrue – Violazione art. 111 Cost. – Violazione artt. 2 e 3 c.p.a..

La sentenza impugnata, per avvalorare l’asserita infiltrazione mafiosa, valorizza i rapporti di parentela e le vicende traslative di partecipazioni societarie tra-OMISSIS-, -OMISSIS-(soci della ricorrente), -OMISSIS- e -OMISSIS-. Però nessuno di detti soggetti ha, a suo carico, alcun elemento penalmente rilevante, neanche indiziario.

e) Travisamento del contenuto della sentenza della Corte di appello di Napoli – Errores in iudicando – Violazione di legge (art. 10, commi 2 e 7, d.P.R. n. 252 del 1998; art. 4, d.lgs. n. 490 del 1994; artt. 41 e 97 Cost.) – Eccesso di potere (travisamento, omessa pronuncia, motivazione apparente, conclusioni irragionevoli e incongrue) – Violazione art. 111 Cost. – Violazione artt. 2 e 3 c.p.a.

A differenza di quanto sembra credere il giudice di primo grado, la Corte di appello di Napoli, nel dichiarare la prescrizione, non ha affermato alcuna responsabilità a carico del sig. -OMISSIS-.

L’appellante ha quindi riproposto i motivi aggiunti dedotti in primo grado.

5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno, l’Ufficio territoriale del Governo di Napoli e il Ministero dell’economia e delle finanze, che hanno depositato documentazione. 6. Si è costituita in giudizio -OMISSIS– Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa, che ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, del ricorso.

7. Con ordinanza n. 805 del 20 febbraio 2014 è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare della sentenza appellata.

8. Alla pubblica udienza del 15 febbraio 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

 

DIRITTO

 

1. Come esposto in fatto, la -OMISSIS- (d’ora in poi, -OMISSIS-) ha impugnato la sentenza del Tar Napoli che ha rigettato il ricorso che aveva proposto avverso il provvedimento del Prefetto di Napoli del 14 dicembre 2012, recante informativa antimafia negativa e la conseguente revoca delle agevolazioni concesse da -OMISSIS– Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa.

Il Collegio ritiene utile richiamare, sia pure brevemente, gli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza in materia di interdittive antimafia, perchè utili al fine del decidere.

Questa Sezione (7 febbraio 2018, n. 820; 20 dicembre 2017, n. 5978; 12 settembre 2017, n. 4295) ha chiarito che l’interdittiva antimafia costituisce una misura preventiva, volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti con la Pubblica amministrazione, che prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con l’Amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente.

La misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificare il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata.Ha aggiunto la Sezione che – anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la Pubblica amministrazione – non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo. Il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso (13 novembre 2017, n. 5214; 9 maggio 2016, n. 1743). Pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.

Gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

La Sezione (7 febbraio 2018, n. 820) ha ancora chiarito che – quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose – l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto. Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia, sicché in una ‘famiglia mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del capofamiglia e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una famiglia e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).

2. Applicando i sopradetti principi alla vicenda oggetto dell’attuale contendere, i motivi di appello proposti avverso l’interdittiva – che per ragioni di ordine logico possono essere esaminati congiuntamente – non trovano favorevole esame e le motivazioni della sentenza del Tar devono essere confermate.

L’informativa si basa, essenzialmente, sui rapporti di parentela tra i soci della -OMISSIS-, il sig. -OMISSIS- e il sig. -OMISSIS-, controllato nel 2005 con il cognato del boss -OMISSIS-, circostanza quest’ultima di cui non è provata l’erroneità fattuale.

Appare poi condivisibile l’assunto da cui muove il giudice di primo grado, e cioè che la società ricorrente è costituita su base familiare, in quanto l’intero capitale sociale è posseduto da-OMISSIS-, socio di maggioranza (al 90%) ed amministratore unico nonché genero di -OMISSIS-, e da -OMISSIS-(che detiene il restante 10%), nipote di primo grado dello stesso -OMISSIS-. Ed invero la circostanza che, in concreto, si tratta di una “società familiare” fa plausibilmente ritenere che sia più facile un suo condizionamento da parte di esponenti della famiglia malavitosa locale, rispetto a ciò che può avvenire nei confronti di una società, composta di più soggetti (Cons. St., sez. VI, 18 agosto 2010, n. 5879).

Alla luce dell’intero impianto motivazione alla base dell’interdittiva, non integralmente e documentalmente smentito, in fatto, dall’appellante, non può ritenersi sussistente il vizio di difetto di istruttoria, in quanto gli elementi acquisiti in sede istruttoria presentano, naturalmente se visti in modo complessivo e non parcellizzato, un significato univoco alla stregua del principio del “più probabile che non” in ordine al rischio di condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata.

Gli episodi sono tali da giustificare l’impugnata informativa, alla luce del principio, ampiamente argomentato, secondo cui i fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare prescindono dall’atteggiamento antigiuridico della volontà mostrato dai singoli e finanche da condotte penalmente rilevanti, non necessarie per la sua emissione, ma sono rilevanti nel loro valore oggettivo, storico, sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che l’organizzazione mafiosa può esercitare sull’impresa, anche al di là e persino contro la volontà del singolo (Cons.St., sez. III, 10 gennaio 2018, n. 97).

Giova aggiungere che la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza del Prefetto, è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall’utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non impedisce ad esso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla legge e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni acquisite, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. St., sez. III, n. 820 del 2018; n. 5130 del 2011; n. 2783 del 2004 e n. 4135 del 2006). L’ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la sua valutazione sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. St. n. 7260 del 2010).

3. L’infondatezza dei motivi proposti avverso l’interdittiva antimafia comporta la reiezione del motivo dedotto avverso la revoca del contributo, che trova nella predetta revoca l’unico presupposto.

Né può ritenersi tale revoca illegittima solo perché l’interdittiva è stata adottata oltre il termine che era stato concesso alla Prefettura con la sentenza del Tar n. -OMISSIS-(trenta giorni dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della stessa decisione), non perdendo l’Amministrazione il potere di decidere.

Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

4. In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e va, dunque, confermata la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso di primo grado.

Quanto alle spese del grado di appello, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza),

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto dalla -OMISSIS-, lo respinge.

Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari del grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

 

Guida alla lettura

 

Nella sentenza in commento, la Sezione terza del Consiglio di Stato torna ad analizzare le peculiarità dell’interdettiva antimafia e lo fa in conformità alle coordinate ermeneutiche già espresse in passato. Nel caso di specie, la società appellante aveva impugnato l’informativa antimafia negativa emessa dal Prefetto deducendone l’erroneità in fatto ed in diritto. Il T.A.R. aveva rigettato il ricorso. Avverso tale sentenza la società aveva proposto appello rilevando che il provvedimento del Prefetto si sostanziava in mere affermazioni di circostanze di fatto non vere.

L’odierno collegio ha respinto l’appello  in linea con i dettami emersi nelle precedenti pronunce.

Occorre, a proposito, delineare gli aspetti salienti che caratterizzano l’informativa antimafia. La documentazione antimafia si sostanzia nella comunicazione antimafia e nella informativa antimafia. La comunicazione antimafia è ad esito vincolato,  non è frutto di una valutazione discrezionale: quando è richiesta si verifica se il soggetto sia destinatario di misure di prevenzione o di condanne per certi reati. L’esito automatico è di una situazione formalizzata in un provvedimento definitivo. Più problematica appare l’informativa antimafia.

Essa concerne i soggetti che non hanno una situazione formalizzata ma che sono in odore di infiltrazione mafiosa, sospettati di avere collegamenti con la mafia nello svolgimento dell’attività di impresa.. L’informativa antimafia è, quindi, un provvedimento connotato da una significativa discrezionalità e quest’ultima deriva dal fatto che si basa su elementi indiziari che denotano un pericolo ma non vi è certezza, in quanto, il soggetto cui si riferisce l’informativa non è stato sottoposto a misure di prevenzione o condannato per certi reati. Secondo la giurisprudenza costante questo provvedimento si ispira alla logica della prevenzione e non della precauzione. Non basta il sospetto ma serve il pericolo significativo. L’informativa antimafia richiede dunque di andare al di là del mero sospetto perché il criterio da utilizzare è quello del più probabile che non con la conseguenza che deve esserci un pericolo concreto. Quando sulla base degli indizi raccolti è più probabile che ci sia l’infiltrazione mafiosa che non l’ipotesi contraria il Prefetto provvede ad emettere il provvedimento in parola. Il pericolo è suffragato da indizi che inducono ragionevolmente a ritenere più probabile l’ipotesi della infiltrazione. Tale rischio è desunto sulla base di elementi suscettibili di evolversi sia nel senso di una loro rivisitazione sia nel senso del loro venire meno. L’interdittiva antimafia, frutto di una valutazione discrezionale di carattere indiziario e tecnico, è dunque caratterizzata dalla provvisorietà.

La tecnica impiegata è quella investigativa e poliziesca che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non impedisce allo stesso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla legge e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni acquisite, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto. Il sindacato giurisdizionale è dunque quello classico sulla discrezionalità tecnica con accesso pieno al fatto ma nel rispetto della valutazione tecnica. La ratio della informativa antimafia è volta ad un evidente contemperamento alla libertà di iniziativa economica che cessa di essere tutelata quando si rileva socialmente dannosa.

Il vizio di difetto di istruttoria, lamentato dall’odierna appellante, non sussiste in quanto gli elementi acquisiti in sede istruttoria presentano, visti in modo complessivo e non parcellizzato, un significato univoco alla stregua del principio del “più probabile che non” in ordine al rischio di condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata.

Giova aggiungere che i fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare prescindono dall’atteggiamento antigiuridico della volontà mostrato dai singoli ma sono rilevanti nel loro valore oggettivo, storico, sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che l’organizzazione mafiosa può esercitare sull’impresa.