estratto da "Il nuovo Codice dei contratti pubblici", a cura di F. Caringella e M. Protto, in corso di pubblicazione Dike Giuridica Editrice

                                                Art. 109

                                                Recesso

1. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 88, comma 4-ter, e 92, comma 4, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, la stazione appaltante può recedere dal contratto in qualunque tempo previo il pagamento dei lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite.

2. Il decimo dell'importo delle opere non eseguite è calcolato sulla differenza tra l'importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d'asta e l'ammontare netto dei lavori, servizi o forniture eseguiti.

3. L'esercizio del diritto di recesso è preceduto da una formale comunicazione all'appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori, servizi o forniture ed effettua il collaudo definitivo e verifica la regolarità dei servizi e delle forniture.

4. I materiali, il cui valore è riconosciuto dalla stazione appaltante a norma del comma 1, sono soltanto quelli già accettati dal direttore dei lavori o del direttore dell'esecuzione del contratto, se nominato, o del RUP in sua assenza, prima della comunicazione del preavviso di cui al comma 3.

5. La stazione appaltante può trattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili. In tal caso essa corrisponde all'appaltatore, per il valore delle opere e degli impianti non ammortizzato nel corso dei lavori eseguiti, un compenso da determinare nella minor somma fra il costo di costruzione e il valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento del contratto.

6. L'appaltatore deve rimuovere dai magazzini e dai cantieri i materiali non accettati dal direttore dei lavori e deve mettere i magazzini e i cantieri a disposizione della stazione appaltante nel termine stabilito; in caso contrario lo sgombero è effettuato d'ufficio e a sue spese.

 

SOMMARIO: I COSA CAMBIA 1.Introduzione. II INDICAZIONI OPERATIVE 1. Le regole del procedimento di recesso dal contratto. III QUESTIONI APERTE 1. I presupposti dell’esercizio del potere di recesso ed il giudice competente.

 

I COSA CAMBIA

1. Introduzione

L’art. 109 della disposizione in esame, come in precedenza l’art. 134 dell’abrogato codice appalti,   disciplina il potere delle Stazioni appaltanti di esercitare il diritto potestativo di  recesso dai contratti stipulati   all’esito  della fase  cd. pubblicistica  della procedura di scelta del contraente.

La norma  cambia limitatamente alla estensione anche ai contratti di servizi e forniture, per il resto conferma la precedente impostazione del legislatore. 

Sotto il profilo formale, il Consiglio  di Stato, Commissione Speciale, nel parere n. 00855/2016 del 1/04/2016 sullo schema di decreto legislativo, aveva segnalato l’opportunità di usare una diversa terminologia suggerendo di apporre alcune modifiche lessicali.

In particolare, si suggeriva :  di sostituire l’espressione del primo comma  “in qualunque tempo” con quella “in qualunque momento”; al comma 3, prima di “formale” inserire “una”; al comma 6, le parole “predetti magazzini e cantieri”   da sostituire  con “i magazzini e i cantieri”.

Tali suggerimenti che sono stati fatti propri nel testo licenziato dal legislatore che, peraltro,  poteva forse compiere un ulteriore sforzo formale ma con ricadute ed effetti sostanziali di  aggiungere l’obbligo di esternare compiutamente le ragioni giuridiche a supporto della scelta di recedere dal contratto, ancorché la scelta sia condizionato dalle più variegate fattispecie e sopravvenienze nonché caratterizzato da valutazioni di merito e di opportunità  di recedere dal rapporto.  E ciò,  rispetto al destinatario degli effetti, titolare di diritti soggettivi, per meglio bilanciare  la posizione non pienamente paritetica e speciale della Stazione appaltante   che, seppur utilizzando strumenti privatistici, assimilabili a quelli previsti dall’art. 1671 c.c., non può  non dare  contezza  della corrispondenza del recesso al pubblico interesse, tenendo altresì presente che si tratta di utilizzo di risorse pubbliche.

Infine, come ricordato dal  citato parere del Consiglio di Stato sullo schema, la  disposizione non trova riscontri nelle direttive europee di riferimento né in uno specifico criterio direttivo, ritenendola conforme al criterio direttivo di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) della legge delega, relativo alla necessità di riordinare complessivamente la materia degli appalti pubblici.

Non solo, ma occorre  altresì aggiungere, come più avanti meglio evidenziato,  che si tratta di una applicazione alla specifica materia della disposizione generale contenuta nell’art. 21 sexies della L. n. 241/90, che tra i più generali poteri di autotutela prevede appunto la facoltà di recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione nei casi previsti dalla legge o dal contratto.

 

II INDICAZIONI OPERATIVE

1. Le regole del procedimento di recesso dal contratto

In materia la P.A. è dotata, in generale, di  potere  di autotutela  in grado di incidere  sul contratto, ma tale potere trova dei limiti dopo la stipula del contratto e l’avvio della sua esecuzione, come chiarito da Cons. Stato, Ad. Plen., 20 giugno 2014, n. 14.

 Infatti, il recesso dal contratto, seppure riconducibile al potere di autotutela, è caratterizzato dalla regolamentazione unilaterale del rapporto che vede coinvolte posizioni di diritto soggettivo tra committente   ed appaltatore ed è regolamentato dalle regole pubbliciste del contratti pubblici e dalle norme e dai principi  in materia di contratti previsti dal Codice Civile ( cfr. ad es. l’art. 1671 c.c.), applicando il modello per il quale la P.A., salvo che la legge disponga diversamente,  può agire secondo le norme di diritto privato.

In questo  caso la P.A. è legata alla legge speciale in materia di contratti pubblici che però interviene  a regolare il rapporto dopo la stipula del contratto secondo il riferito modello, e cioè  dall’insieme delle norme speciali, individuate dal  D.lgs. n. 50/2016 e delle norme civilistiche,

Le indicazioni chiare dell’Adunanza Plenaria n. 14 del 2014, in materia  di lavori pubblici, ma applicabili a tutti i tipi di contratto,  in ordine i rapporti di tale potere pubblicistico  con l’istituto del recesso, sono stati   confermati e precisati dalla recente giurisprudenza, secondo cui  qualora la P.A., dopo la stipula  del contratto di appalto, accerti  sopravvenute ragioni di inopportunità nella prosecuzione del rapporto negoziale, non può utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione, ma deve esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 200 ( oggi art. 109 D.lvo n. 50/2016). Per cui sarebbe  illegittimo un  provvedimento di revoca dell’aggiudicazione di una gara adottato le quante volte sia stato già stato stipulato il contratto di appalto, “atteso che in tal caso la revoca verrebbe stata adottata in assenza del suo essenziale presupposto, e cioè di un oggetto costituito da un provvedimento che continua ancora a spiegare effetti, non essendo tale l’aggiudicazione della gara in seguito alla stipulazione del contratto; in tal caso, per sciogliersi dal vincolo discendente da quest’ultimo, l’Amministrazione deve ricorrere all’istituto del recesso ai sensi dell’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006” (Cons. Stato, Sez. V, 22 marzo 2016 n.1174).

Confermata la misura  di autotutela “esecutiva” con marcata , occorre analizzare, sia dal punto di vista dell’amministrazione che delle imprese, la specifica disciplina che appare estremante scarna  in ordine alla modalità di esercizio ed alla garanzia del contraddittorio procedimentale.

A tutta prima si tratta di esercizio d’ufficio di una attività di valutazione in ordine alla sopravvenuta opportunità di recedere da tutti i tipi di contratto ( lavori, servizi, forniture, misti), sottoscritti  a seguito dell’applicazione delle norme sui contratti pubblici, sia per gli importi sotto soglia che sopra soglia.

L’iniziativa  d’ufficio,  di regolarientra nella competenza del responsabile del procedimento  (RUP) individuato dalla stazione appaltante come prevede in generale l’art. 6 della L. n. 241/90 e, in particolare,   l’art. 31,  del D.lg. n 50/2016  nonché gli artt. 9, comma 3, lett. e), 10, comma 1, lett. bb) del DPR n. 207 del 2010, ancora in vigore in via transitoria in attesa della emanazione del nuovo regolamento di esecuzione.

Evidentemente, tali disposizioni transitorie, pur in assenza di specifico riferimento, trovano applicazione anche per  gli affidamenti si servizi e forniture, per cui anche in questi casi l’iniziativa, di regola, spetta al responsabile del procedimento che  dovrà compiere una adeguata istruttoria anche sula scorta  delle indicazioni dei soggetti preposti al controllo tecnico, contabile e amministrativo dell'esecuzione, secondo quanto previsto in generale dall’art. 101 del D.Lgs. n. 50/2016 secondo cui l’esecuzione dei contratti aventi ad oggetto lavori, servizi, forniture, è diretta dal responsabile unico del procedimento, che controlla i livelli di qualità delle prestazioni.

L’avvio dell’attività preordinata al recesso  è sempre obbligatoria, come atto dovuto,  nei casi previsti  dagli articoli 88, comma 4-ter, e 92, comma 4, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, comportanti appunto il vincolato esercizio del diritto di recesso nei casi di informativa antimafia negativa.

In tutti gli altri casi, la stazione appaltante  esercita un potere discrezionale di recedere dal contratto “in ogni tempo” valutando  le eventuali sopravvenienze ed ogni altro opportuno elemento in relazione a concrete situazioni che vanno ad incidere sul contratto in esecuzione. 

Il legislatore, infatti, ha prescritto che la stazione appaltante può  recedere dal contratto in qualunque tempo previo il pagamento dei lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite.

Il comma 2 precisa che il decimo dell'importo delle opere non eseguite è calcolato sulla differenza tra l'importo dei quattro quinti (il cd. quinto d’obbligo non viene considerato) del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d'asta e l'ammontare netto dei lavori, servizi o forniture eseguiti. E’ previsto l’obbligo di un preventivo  incombente procedurale, che tiene luogo dell’obbligo generale di comunicare l’avvio del procedimento con le modalità ed i contenuti indicati negli art. 7 e 8 della L. n. 241/90, indicando  altresì il termine  di conclusione del procedimento.

Infatti, il comma 3 prescrive che l'esercizio del diritto di recesso sia preceduto da una formale comunicazione all'appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori, servizi o forniture ed effettua il collaudo definitivo e verifica la regolarità dei servizi e delle forniture.

La norma, come detto, nulla precisa circa il contenuto della comunicazione del “preavviso di recesso”, la qualificazione giuridica del  contraddittorio “ procedurale” e le sue forme, e se e quali atti debba e/o possa adottare la stazione appaltante all’esito del contraddittorio, che si pone ovviamente in un contesto diverso e con funzioni parimenti diverse rispetto alla iscrizione delle riserve nei documenti contabili  ovvero alla proposto .

Dal punto di vista della P.A., si può affermare che tale potere officioso può essere utilizzato nei casi in cui, per effetto di sopravvenienze e nei casi in cui emergano situazioni patologiche della fase di esecuzione del contratto, in ipotesi diverse da quelle indicate per la risoluzione, anche se non è da escludere che il recesso potrebbe far riferimento ad alcune previste dall’art 108 per la risoluzione portate alle estreme conseguenze ovvero nei casi in cui  non si sia attivata la risoluzione ovvero non si sia dato seguito all’avvio della stessa.

A seconda dei casi e delle esigenze di celerità  della esecuzione ovvero di rispettare i cronoprogrammi, tali valutazioni per il recesso, anche con riferimento alle prestazioni eseguite e all’utilizzo dei materiali, possono essere fatte sulla scorta dei documenti contabili non oggetto di riserve  e di verificazioni anche prima di effettuare il collaudo definitivo e verifica la regolarità dei servizi e delle forniture.

Di poi, sotto i profili più pratici  del reciproci  rapporti economici,  affinché  l’impresa possa ottenere il pagamento  dei “materiali utili” esistenti  nei cantieri e/o presenti nei magazzini oltre, al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite preventivamente occorre che la stazione appaltante effettuai le sue valutazioni, e che tale  valutazione sia riferita al periodo precedente ovvero anche  fotografando lo stato di fatto al momento della comunicazione del preavviso di recesso.

Prestazioni eseguite ed accettate e relativi prezzi, per chiarezza di rapporti ben potrebbero, meglio dovrebbero, essere riassunti nel  “preavviso di recesso”; lo stesso dicasi qualora, ai sensi del comma 5, l’amministrazione possa valutare la necessità  di trattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili.

Il valore, o meglio il prezzo delle prestazioni eseguite deve essere riconosciuto e pagato dalla stazione appaltante solo per quelle già accettate dal direttore dei lavori o del direttore dell'esecuzione del contratto, se nominato, o del RUP in sua assenza, prima della comunicazione del preavviso di cui al comma 3.   In buona sostanza, a tutta prima si possono pagare  solo quelle prestazioni che non sono state oggetto di contestazioni o riserve e che siano oggettivamente certe  ed esigibili, anche nelle more del collaudo o della verifica delle regolarità dei servizi e delle forniture,  sempreché poi tali certezze siano traferite nel collaudo definitivo  fino al momento del recesso e non vi siano discordanze tra i due giudizi, fatti salvi eventuali errori ed omissioni e necessità di rettifiche per circostanze e dati che  incolpevolmente non siano state considerate.

Gli ultimi due commi riguardano più specificamente i contratti di lavori, anche se non è escluso,  che utilizzando la stessa tecnica legislativa dell’art. 206 della legge quanto compatibili,  si possa applicare anche ai contratti di fornitura di beni di natura continuativa o periodica, e di servizi, quando insorgano appunto  controversie in fase esecutiva.

E così si consente alla stazione appaltante  di rattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili.

In tal caso, sorge l’obbligo di  pagare l'appaltatore, per il valore delle opere e degli impianti non ammortizzato nel corso dei lavori eseguiti, con un compenso  che deve essere determinato nella minor somma fra il costo di costruzione e il valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento del contratto.

Dal suo canto, secondo il successivo ultimo comma, l’appaltatore ha l’obbligo di rimuovere dai magazzini e dai cantieri i materiali non accettati dal direttore dei lavori e deve mettere i magazzini e i cantieri a disposizione della stazione appaltante nel termine stabilito.

 L’inosservanza dell’obbligo da parte dell’impresa, autorizza la stazione appaltante  ad effettuare  d’ufficio  lo sgombero a spese dell’impressa stessa, attraverso l’autotutela esecutiva,  formalizzata iin una determinazione corredata di apposito verbale di constatazione, ai sensi degli art. 21 ter e art. 21 quater L. n.  241/90 nonché dell’art. 823 C.C. ( per il principio Cons. Stato, Sez. V, 14 luglio 2015 n. 3531)  avvalendosi eventualmente di mezzi propri, delle forze  dell’ordine e, per i Comuni, della Polizia Municipale.

Dalla lettura della norma emerge evidente come  assume  veste privilegiata il diritto potestativo della stazione appaltante che  inserito in un questo di riferimento che comunque  milita in favore dell’interesse pubblico perseguito anche attraverso l’esecuzione de contratto.

Tale posizione di preminenza e (limitato ed amministrato) privilegio della P.A, secondo l’indirizzo della Corte Costituzionale  (sentenza 30 aprile 2015, n. 71), che, seppure a proposito dei diritto soggettivo di proprietà,  ha precisato che tale potere spetterebbe non in quanto soggetto pubblico, ma in quanto esercita potestà specificamente ed esclusivamente attribuitele nelle forme tipiche loro proprie. In altre parole, è protetto non il soggetto, ma la funzione, ed è alle singole manifestazioni della P.A. che è assicurata efficacia per il raggiungimento dei vari fini pubblici ad essa assegnati.

Ora, se ciò è vero è altrettanto pacifico che tale posizione di preminenza deve essere bilanciata da strumenti di tutela, procedimentale e processuale,  che consentano appunto di far emergere   gli interessi ed i diritti delle imprese.

In particolare, strumento di  tutela procedimentale è quella di presentare memorie e documenti atti a confutare quanto contestato con la comunicazione  del preavviso di recesso, nonché quella di iscrivere tempestivamente apposita riserva nei registri e documenti contabili prima del collaudo definitivo e verifica la regolarità dei servizi e delle forniture.

In via amministrativa ed alternativa ai rimedi giurisdizionali,  fermo restando  sempre l’obbligo o quanto meno l’opportunità di iscrivere apposite riserve,  l’impresa  (e l’amministrazione)  potrà accedere alle forme di tutela previste dagli art. 205 e seguenti della legge in commento, oltre  che, ove previsto dal bando originario,  l’eventuale ricorso all’arbitrato di cui all’art. 209 per le controversie su “diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario di cui agli articoli 205 e 206.”.

Calata tale esigenza nel caso in esame, come  sopra accennato, giova  segnalare come la disposizione legislativa  accanto al preavviso di recesso,  non ha introdotto  un  analogo sub procedimento con previsione di termine finale  e poteri decisori specifici come quelli previsti in generale dall’art. 10 bis della L. n 241/90 sul preavviso di rigetto.

Tuttavia, per non vanificare  la ratio e la finalità della  previa comunicazione del preavviso e l’assegnazione di un termine non inferiore a venti giorni,  l’impresa  destinataria della comunicazione ben può presentare memorie e documenti a sostegno e giustificazione della propria posizione nel contratto e sulla bontà e correttezza delle prestazioni.

Ancorché la norma taccia, l’uso di tele strumento partecipativo non esonera  stazione appaltante  dall’obbligo della di prendere in esame tali giustificazioni ed eventualmente    ripensare l’iniziativa di recesso, mantenendo in piedi il contratto.   Nel caso negativo, anche per il rispetto dei principi di buona fede e correttezza, nell’atto che invece dispone il recesso va quanto meno dato atto  della partecipazione del privato il quale potrà utilizzare le memorie e documenti presentati in via amministrativa innanzi al giudice ordinario ovvero alla Sezione specializzata perle imprese, che eventualmente riterrà di adire per far accertare l’illegittimità e/o l’illiceità del recesso.

Rispetto a questo rimedio giurisdizionale,  rinviando al commento delle specifiche disposizioni,  l’impresa che ritesse non corretta  e causativa di danni l’applicazione  della norma in esame, può  esperire, oltre ai citati  rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale  di cui alla  Parte VI , titolo I  capo II della legge in esame,  anche quelli giurisdizionali innanzi al giudice ordinario secondo la competenza per valore e territorio e delle sezioni specializzate.

Sarà competente il giudice ordinario per i giudizi intentati dalle ditte individuali e dalle società di persona, mentre, per effetto dell’art. 3, comma 2, lett. f), del D.lgs. n. 168 del 2003, “relativamente alle società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, e titolo VI, del codice civile, alle società di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell'8 ottobre 2001, e di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, nonché alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società costituite all'estero, ovvero alle società che rispetto alle stesse esercitano o sono sottoposte a direzione e coordinamento, (di capitali) “  la competenza per materia e per territorio è attribuita Tribunale Civile, Sezioni Specializzate  in materia di imprese, istituite e dislocate sul territorio nazionale secondo quanto stabilito dall’art. 1 del citato D.lgs. n. 168/2003,  le controversie  ed i giudizi “relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte una delle società di cui al presente comma, ovvero quando una delle stesse partecipa al consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i contratti siano stati affidati, ove comunque sussista la giurisdizione del giudice ordinario.”.

Un recente esempio ci viene fornito dal Tribunale  di L’Aquila, Sezione Specializzata in materia di imprese, del 23.6.2016, che ha respinto la domanda cautelare  669 sexies cod.proc.civ. di inibitoria dell’anticipata risoluzione “del contratto di appalto del 15/3/13 a seguito di determina dirigenziale dell’ Ente convenuto con conseguente affidamento ad altra impresa disposto con determinazione del 11/5/16, di cui è chiesta la disapplicazione in via cautelare”.

 

 

III QUESTIONI APERTE  

1. I presupposti dell’esercizio del potere di recesso ed il giudice competente

Come accennato, l’Adunanza Plenaria n. 14 del 2014 ha chiarito che il potere di recesso  è esercitabile  dopo la stipula del contratto secondo le previsioni della specifica disposizione che disciplina il recesso unilaterale, seguendo lo scarno iter procedurale della comunicazione prevista dall’art. 109, comma, 3.

La confermata previsione del potere unilaterale di recesso dal contratto stipulato  non risolve almeno due ordini di questioni: la prima relativa alla individuazione dei  presupposti  per  l’esercizio di tale potere; la seconda relativa al giudice competente e al riparto di giurisdizione, anche se si può subito accennare  che quest’ultima, in assenza di puntuali indicazioni derivanti dall’art. 133, comma, lett. e) n. 1 e 2,  del CPA e dell’art. 204 del D.lgs. n. 50/2016, risolta in via giurisprudenziale in favore del G.O., seppure con i limiti interni ed esterni dei poteri del giudice ordinario dei confronti di atti della P.A. nell’esercizio di potere autoritativo di incidere unilateralmente sul rapporto contrattuale qual è appunto l’atto di recesso dal contratto.

In primo luogo, relativamente ai presupposti per il recesso autoritativo, la disposizione in esame pone appunto il potere di recedere dal contratto in materia di appalti pubblici che in generale rappresenta l’esercizio di un potere dai connotati pubblicistici, che, peraltro, di norma, caratterizza il procedimento di evidenza pubblica per la scelta del contraente che ha natura biunivoca e consta, come noto , di una fase più segnatamente pubblicistica e di un fase esecutiva in cui viene esaltato il rapporto (paritario e) sinallagmatico di prestazione affidata a terzi a fronte un prezzo o di una utilità economicamente quantificabile.

 Essa rappresenta una specifica disposizione  in materia che è espressione del potere generale attribuito alla pubblica amministrazione ovvero  ai soggetti che, ai sensi dell’art. 1, comma 1, ter, della Legge7 agosto 1990.n. 241, sono tenuti ad applicare.

Infatti, l’art. 21-sexies. della stessa L. n. 241/90, titolato  appunto “Recesso dai contratti”, dispone che il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto,  richiamando implicitamente anche i principi , del codice civile e la  regola delle ipotesi di recesso analoga a quella di cui agli articoli 1372 e 1373 c.c.,  e. per gli appalti privati, dell’art. 1671 CC., nei limiti in cui  siano applicabili.

In buona sostanza,  come chiarito dall’Adunanza Plenaria N. 14 del 2014  analizzando il precedete omologo istituto, “ la posizione dell’amministrazione nella fase del procedimento di affidamento (…..) aperta con la stipulazione del contratto è definita dall’insieme delle norme comuni, civilistiche, e di quelle speciali, individuate dal codice dei contratti pubblici, operando l’amministrazione, in forza di quest’ultime, in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo restando che le sue posizioni di specialità, essendo l’amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le prevedono.”

Se così è  non c’è dubbio che si tratti di ( limitato) potere autoritativo previsto espressamente dalla legge che potrebbe anche essere oggetto di apposita clausola contrattuale.

Nell’uno e nell’altro caso è evidente che, in via autoritativa ovvero contrattuale, occorre compiere concretamente attività di integrazione della fattispecie astratta prevista dalla legge, con tutti gli obblighi di osservare i principi che governano l’attività amministrativa, tra i quali quello di motivazione degli atti, sancito dall’art. 3 della L.. 241 del 1990 che, come principio generale, taglia ed interviene in orizzontale sulle modalità di esercizio del potere disciplinate dalle regole dei singoli procedimenti, ancorché limitate dalla peculiarità della materia e della disciplina e dalla fattispecie che caso per caso può presentarsi.

Non solo, ma l’obbligo di preventiva comunicazione e di motivazione discende altresì dalla l’art. 41, commi 1 e 2, lett. c), della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea che stabiliscono che i cittadini hanno diritto ad una amministrazione imparziale ed equa nonché l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni in ogni materia.

Più in particolare, la norma sul recesso prevede due casi in cui tale potere si mostra  vincolato dall’esito negativo delle informative antimafia  in relazione al rinvio a quanto dispongono gli articoli 88, comma 4-ter, e 92, comma 4, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 15. Si tratta di una  speciale previsione in ordine all’obbligo di  recesso della stazione appaltante quando si verifichino i presupposti previsti dalla normativa antimafia che la giurisprudenza ha riferito alla nozione dell’autotutela autoritativa.

Per gli altri casi  non viene previsto nemmeno un obbligo generico di motivazione  e nulla viene precisato per le situazioni “ordinarie” che  consentono alla stazione appaltante di  valutare i  presupposti  che supportino il recesso in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di opportunità, che peraltro giammai consente di trincerarsi dietro una riserva di amministrazione non sindacabile dal giudice ritenuto competente. E ciò anche perché, nell’ambito della normativa che regola l’attività dell’amministrazione nella fase del rapporto negoziale di esecuzione del contratto di lavori pubblici,  è stata in particolare prevista per gli appalti  pubblici una norma che attribuisce il diritto di recesso  basata su presupposti  quali la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze e sul piano giuridico avente effetti di far cessare cessazione ex nunc del rapporto negoziale, come si evince dalle condivisibili affermazioni dell’Adunanza Plenaria n. 14/2014.

Ma è principio logico, oltre che giuridico, immanente nel nostro ordinamento che l’esercizio del potere non può mai essere arbitrario.  Ne consegue che, pur in assenza di  puntale previsione, non può non affermarsi l’obbligo di motivazione  dell’atto  di recesso, del quale non viene precisata la forma e la natura, in relazione alle circostanze che, caso per caso, dovessero presentarsi, al fine di dare contezza che l’opzione pregiudizievole per il privato contraente  che va supportata comunque da una valutazione comparativa degli interessi e diritti convolti per il perseguimento degli interessi generali attraverso lo strumento del contratto ( di lavori, servizi o forniture).

E ciò per garantire, anche secondo le affermazioni della Corte costituzionale, una adeguata tutela e sindacato da parte del giudice competente attraverso lo scrutino dell’iter logico giuridico seguito, ancorché spesso si tratti esclusivamente di meri fatti e comportamenti che fanno insorgere l’opportunità di recedere dal contratto.

In estrema sintesi, tale impostazione sembra fornire dei criteri ermeneutici ed applicativi della norma, che consertano di affermare decisamente che, anche nel silenzio della norma, l’atto di recesso deve essere motivato in relazione alla concreta fattispecie che di volta in volta si possa verificare.

In secondo luogo,  in punto di tutela giurisdizionale, la norma  sembra  dare per scontato che, trattandosi della fase di esecuzione del contratto che va ad incidere su diritti soggettivi scaturenti  dal contratto stesso, ogni controversia relativa appartenga al G.O., tenendo altresì presente che la ricordata diposizione dell’art. 133, comma 1, lett. e), si disinteressa completamente  delle fasi successive alla stipula del contratto con particolare riguardo al potere di recesso.

Se tale impostazione può essere condivisa, non essendo ammissibile, come chiarito da tempo dalla Corte Costituzionale, ipotesi di giurisdizione esclusiva al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore, non risolve altresì le problematiche relative all’effettività della tutela.

Infatti, il G.O. com’è noto non potrebbe annullare l’atto formalmente ammnistrativo e redatto in forma scritta,  che la dottrina che segue la tesi pubblicista qualifica come atto ammnistrativo negoziale, ma solo  disapplicarlo, ai sensi dell’art. 4 della L.A.C., con qualche perplessità circa il potere giudiziale di imporre la prosecuzione nell’esecuzione del  contratto fino alla scadenza stabilita e non  solo limitarsi alla tutela risarcitoria per equivalente, fornendo la prova dei danni diversi dal lucro cessante.

Sul punto, infatti andrebbe chiarito se la previsione dell’indennizzo  pari “al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite”  sia  ostativa e incompatibile con la richiesta del pagamento del “ lucro cessante” previsto dall’art 1671 c.c. ovvero possano valere anche in questo caso le limitazioni previste espressamente per il potere di revoca dall’art. 21 quinquies L. n. 241/90. Sarà la concreta applicazione a fare chiarezza sul punto in assenza di ulteriori precisazioni legislative, anche se, peraltro, considerato che si tratta di risorse pubbliche e che   viene messa in discussione  l’esatto adempimento del contratto per accertate negligenze dell’appaltatore farebbero militare in favore della legittima limitazione del lucro cessante.

Tornando ai poteri del G.O. di risarcimento in forma specifica, le accennate perplessità potrebbero essere superate ritenendo  pienamente applicabile, nei limiti della domanda, la norma codiciscistica dell’art. 2058 c.c. che prevede la tutela in forma specifica, nei limiti ivi previsti, accedendo ad una impostazione che consenta di superare lo storico divieto di condanna ad un facere specifico la pubblica amministrazione anche attraverso la tesi c.d. privatistica  della natura negoziale dell’atto di recesso.

Se così è il principio di effettività della tutela  e quelli costituzionali di pienezza della tutela rinvenibili negli artt. 24, 103  e 113 della Costituzione, consentirebbero d ottenere tutela in prima battuta., non essendo possibile non garantire pienezza di tutela innanzi al giudice  adito e potere ad esecuzione, spontanea o coattiva, provvedimenti giudiziali.

Ad ulteriore conforto di tale opzione ermeneutica, con specifico riferimento all’applicabilità dell’art. 2058 c.c., alla stessa stregua della ormai consolidata applicabilità dell’art. 2043 c.c., giova segnalare la disposizione dell’art. 34, comma 1, lett.c)  del CPA, a mente del quale il giudice ammnistrativo, nei limiti della domanda,   ha il potere di condannare  la P.A.  “all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile.”.

In ogni caso,  l’appaltatore potrebbe avere tutela in forma specifica attraverso  l’attività del commissario ad acta per le sentenze di accertamento e dichiarativa dell’illegittimità del recesso, con disapplicazione del relativo atto, nonché di eventuale condanna al risarcimento in forma specifica ex art. 2058, attraverso lo strumento del giudizio di ottemperanza,  ex art. 112, comma 2, lett. c), CPA, “delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario”

Certo potrebbe trattarsi di un percorso lungo e faticoso, salvo che il legislatore non ipotizzi  di estendere la  giurisdizione esclusiva anche alla fase di esecuzione del contratto, alla stessa stregua di quello che accade per le controverse in materia di accordi tra privati e p.a. ( cfr.l’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, CPA), sottoponendolo altresì al rito speciale ed abbreviato di cui all’art. 120 CPA.

In attesa di un ipotetico ed eventuale intervento del legislatore, saranno ancora una volta la concreta applicazione della misura e le successive esperienze giurisprudenziali a colmare  dubbi e lacune legislative.