1. Uno dei temi più discussi sia nell’ambito della Comunità Europea che all’interno dei confini nazionali è quello relativo al “miglior modo di condurre gli appalti pubblici”.

Come osservato nel considerando n. 2 della direttiva “c.d. appalti” 2014/24/UE, <<gli appalti pubblici svolgono un ruolo fondamentale nella strategia Europa 2020 … per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva>>. <<A tal fine, la normativa sugli appalti adottata ai sensi della direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio  e della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio  dovrebbe essere rivista e aggiornata in modo da accrescere l'efficienza della spesa pubblica, facilitando in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici e permettendo ai committenti di farne un miglior uso per sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale. È inoltre necessario chiarire alcuni concetti e nozioni di base onde assicurare la certezza del diritto e incorporare alcuni aspetti della giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia dell'Unione europea in materia>>[1].

Fra tutte, la questione che maggiormente agita gli animi degli operatori economici e delle Stazioni appaltanti è quella sintetizzata nel considerando n. 59 della stessa direttiva appalti, ovvero il fatto che <<nei mercati degli appalti pubblici dell’Unione si registra una forte tendenza all’aggregazione della domanda da parte dei committenti pubblici, al fine di ottenere economie di scala, ad esempio prezzi e costi delle transazioni più bassi nonché un miglioramento e una maggior professionalità nella gestione degli appalti. Questo obiettivo può essere raggiunto concentrando gli acquisti in termini di numero di amministrazioni aggiudicatrici coinvolte, oppure in termini di fatturato e di valore nel tempo. Tuttavia, l’aggregazione e la centralizzazione delle committenze dovrebbero essere attentamente monitorate al fine di evitare un’eccessiva concentrazione del potere d’acquisto e collusioni, nonché di preservare la trasparenza e la concorrenza e la possibilità di accesso al mercato per le PMI>> [2].

 

2.  Nell’elaborazione di una gara d’appalto, elementi cruciali sono indubbiamente il numero e le caratteristiche dei lotti posti a base d’asta. Ciò in ragione della loro forte influenza sul livello di partecipazione e, di conseguenza, sulla competizione in generale e, a cascata, sull’esecuzione stessa della commessa.

Sino a non molto tempo fa, in Italia, a governare il sistema gare delle Centrali di Committenza è stata unicamente la convinzione (rivelatasi di recentissimo totalmente errata) che il concetto della centralizzazione equivalga a quello di aggregazione della domanda.

La prassi operativa e prima ancora la disciplina comunitaria hanno sfatato completamente tale “credo”.

Centralizzazione ed aggregazione della domanda sono, infatti, due concetti nettamente distinti tra loro.

Se da un lato la centralizzazione è necessaria per ottenere l’aggregazione degli appalti pubblici al fine di generare eventuali economie di scala, non è affatto vero il contrario, ovvero che la centralizzazione debba necessariamente essere dedicata all’aggregazione delle gare in lotti di grandi dimensioni.

E’, infatti, ben possibile procedere ad una maggiore centralizzazione degli appalti senza tuttavia ricorrere all’aggregazione della domanda.

L'avvio di gare centralizzate suddivise in lotti particolarmente piccoli genera, invero, per i cittadini ed i contribuenti molti più benefici rispetto a quelli che solitamente derivano dall'avvio delle gare da parte di tante piccole Stazioni appaltanti (esempi in tal senso sono la riduzione dei costi di pubblicazione, la centralizzazione del contenzioso presso un’unica amministrazione dotata di alte competenze legali e dunque più capace di affrontare in giudizio fornitori dotati di team legali di buona qualità, e, soprattutto, le economie di scala di personale che portano ad una maggiore qualità media dei capitolati con conseguenti riduzione del contenzioso e rischio di perdite di tempo).

Tant’è vero che lo stesso art. 9 del D.L. 66/2016, convertito nella L. n. 89/2016, avente ad oggetto l’<<acquisizione di beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e prezzi di riferimento>>, ai fini dell’esatta identificazione dei valori di  spesa  ritenuti  significativi per le acquisizioni di beni e di servizi, fa riferimento ad “ambiti territoriali”, sottolineando come siano proprio questi ultimi a rendere ottimale o meno un certo livello di aggregazione, e non che quest’ultima sia un obiettivo da perseguire in sé tramite una sempre crescente dimensione dei lotti di gara.

La centralizzazione, dunque, non va assolutamente confusa con l’aggregazione, pena la violazione della seguente raccomandazione europea: <<la direttiva … sugli appalti pubblici autorizza contratti in forma di lotti separati. La suddivisione in lotti degli acquisti pubblici chiaramente facilita l’accesso delle piccole e medie imprese, sia quantitativamente (la dimensione dei lotti può meglio corrispondere alla capacità produttiva delle PMI) che qualitativamente (il contenuto dei lotti può corrispondere più da vicino al settore di specializzazione delle PMI). In aggiunta, dividere i contratti in lotti e dunque aprire la strada alla partecipazione delle PMI amplia la competizione, che è benefica per le stazioni appaltanti, sempre che sia appropriato e esperibile alla luce dei rispettivi lavori, servizi, forniture specifici. In questo contesto, le stazioni appaltanti devono rammentare che, benché siano autorizzate a limitare il numero di lotti per i quali possono competere le aziende, non debbono usare questa possibilità in un modo che distorca (“impair”) le condizioni per una giusta competizione. In aggiunta, rendere possibile partecipare ad una gara con un numero illimitato di lotti ha il vantaggio di non scoraggiare né i contraenti generali dal partecipare né la crescita delle imprese>>.[3]

Alla luce di quanto innanzi è, dunque, di palmare evidenza che, solo ove declinato in forme di aggregazioni ragionevoli rispetto all’ambito territoriale di riferimento, il meccanismo della centralizzazione degli acquisti potrà risultare compatibile col principio della partecipazione alle gare da parte di tutti i soggetti economici interessati.

 

3. E’ indubbio che l’Italia non costituisce, in termini di attenzione alla situazione delle piccole imprese negli appalti pubblici, una best practice europea.  

Nel riquadro sottostante si possono esaminare, a mezzo di un efficace indicatore sintetico, le difficoltà che hanno le piccole e medie imprese in tutta l’Unione europea a risultare aggiudicatarie di gare pubbliche.[4]

Ciò è possibile con un semplice raffronto tra la percentuale di valore aggiunto (PIL) che le micro, piccole e medie imprese (MPMI) generano nell’economia nel suo complesso (“real economy” nel grafico) e la quota che queste si aggiudicano così da soddisfare quella parte di valore aggiunto che proviene dalla domanda pubblica (“procurement” nel grafico), che è decisamente inferiore: se le MPMI generano il 58% della ricchezza nazionale europea ogni anno, nelle gare pubbliche questa creazione di ricchezza scende al 29%.

La differenza tra questi due valori (59-28) potrebbe ben essere interpretata come un indice di discriminazione verso le MPMI nelle commesse pubbliche o attribuibile anche ad altri fattori.

Particolarmente sconfortanti sono i dati registrati in Italia che è terzultima quanto a differenza nell’aggiudicazione di appalti a sfavore delle MPMI rispetto al loro peso nell’economia nel suo complesso.

Se infatti la differenza europea è pari al 29%, in Italia è addirittura del 47%, perciò terzultima, sopra solo ad Estonia e Portogallo, quanto a differenza nell’aggiudicazione di appalti a favore delle MPMI rispetto al loro peso nell’economia nel suo complesso.

Un dato che non può che riferirsi a delle anomalie tutte interne al Paese rispetto alla materia della partecipazione delle MPMI.

Lo stesso studio richiesto dalla Commissione europea riporta un possibile determinante di tale risultato, visto che attribuisce, nella sua verifica empirica, il calo delle aggiudicazioni alle MPMI alla centralizzazione degli acquisti ed alla dimensione dei contratti.[5]

Che vi sia una problematica nella politica degli appalti italiani rispetto al resto dell’Unione europea emerge anche da tabelle ufficiali del Ministero dello Sviluppo Economico sulla base dei dati della Commissione europea, in particolare per quanto riguarda gli indicatori di attenzione alle PMI così come richiesto dallo Small Business Act Europeo.

Se l’Italia migliora infatti in alcune dimensioni nella sua attenzione alle piccole e medie imprese nel quinquennio 2009-2014, il dato più preoccupante di tutta la tabella sottostante fa riferimento (vedasi cerchio) al calo evidente dell’indicatore riguardante l’attenzione alle MPMI negli appalti pubblici in Italia, a fronte di un miglioramento in Francia, Germania e Regno Unito.

Mettendo insieme queste due evidenze, per capire appieno quanto sopra, basta verificare cosa sia avvenuto in questi ultimi anni in Italia alla dimensione media dei lotti in gare d’appalto.

Sul punto esemplificativa è la Relazione Annuale del 2015 dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione.

La figura 6.5 evidenzia come nello stesso quinquennio 2011-2015 il valore medio dei lotti per tipologia di contratto veda rispetto al 2011 un aumento cospicuo dell’importo medio per i servizi e per le forniture (+85,0% e +50,5%) e un leggerissimo aumento, con andamento quasi sinusoidale, dell’importo medio associato ai lavori (+7,1%).

Tali dati sono abbastanza coerenti con le evidenze degli ultimi anni che vedono la riduzione del numero delle procedure di affidamento associarsi ad un maggior importo a base di gara per effetto soprattutto degli appalti banditi dalle Centrali di Committenza e dalle Stazioni appaltanti di grandi dimensioni.

Si conferma, come nel recente passato, che la stabilizzazione degli affidamenti e l’aumento dei valori a base di gara non sembrano essere accompagnati da un incremento significativo del numero dei lotti. Pertanto, le procedure bandite dalle Stazioni appaltanti hanno ad oggetto lotti di importo mediamente più elevato, che hanno raggiunto nel 2015 il valore medio più alto degli ultimi cinque anni.

Sembra, quindi, che negli ultimi anni la struttura della domanda non sia particolarmente favorevole alla partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) al mercato degli appalti pubblici.

           

Questa sezione dimostra, con dovizia di particolari di policy e di dati, come effettivamente nella galassia degli appalti pubblici italiani, assieme al fenomeno potenzialmente utile della centralizzazione, si sia andato dunque sviluppando un meccanismo di aggregazione della domanda che incide sulla possibilità delle PMI di partecipare in e aggiudicarsi gare pubbliche.

Una simile situazione è da ritenersi irragionevole solo se fossero a disposizione strategie di gara alternative che non pregiudichino gli obiettivi sanciti dalla legge, né lo strumento della centralizzazione delle gare, né l’ampliamento della possibilità di partecipazione delle micro, piccole e medie imprese.

Epperò, come detto, tali strategie esistono e possono essere attivamente perseguite senza far venire meno nessuno degli obiettivi di cui sopra: tramite una minore aggregazione e una dimensione minore dei lotti grazie ad un loro ampliamento di numero.

 

4. La continua crescente proliferazione di ricorsi giurisdizionali, soprattutto da parte delle PMI, avverso il sistema gara incentrato sul binomio centralizzazione/aggregazione è la prova provata delle anomalie e criticità delle procedure ad evidenza pubblica aventi a base d’asta lotti di enormi dimensioni.

Se da una parte, infatti, le Centrali di Committenza sono perfettamente consapevoli del ruolo fondamentale ricoperto dalle MPMI nel mercato e, quindi, della insopprimibile necessità di incentivare la loro partecipazione alle gare d’appalto, dall’altra, è ormai prassi consolidata delle medesime Centrali di Committenza quella della messa al bando di maxi lotti l’accesso ai quali è impossibile per le MPMI, in quanto prive, per la loro natura, dei necessari requisiti di partecipazione.

Come detto, l’equivoco di fondo consiste nella identificazione della centralizzazione con la massima aggregazione della domanda.

Nel Quaderno n. 2/2016, intitolato “Divisione in lotti, partecipazione e competizione nelle gare d’appalto”, la Centrale acquisti per eccellenza, ovvero Consip, riconosce apertamente che <<le PMI sono la spina dorsale dell’economia dell’UE, con grandi potenzialità in termini di creazione di posti di lavoro, di crescita e di innovazione>>. Ciononostante, afferma convintamente che nel <<caso in cui la suddivisione di una fornitura non sia in grado di determinare un’ampia partecipazione potenziale>>, <<il grado di competitività può essere aumentato riducendo il numero di lotti e aggregando la fornitura>>[6].

E’ evidente che un siffatto modus ragionandi, tipico di tutte le Centrali di Committenza e/o delle grandi Stazioni appaltanti, muove dal falso e/o comunque errato presupposto che qualsiasi operatore interessato a partecipare ad una gara possa tranquillamente farlo ricorrendo all’istituto del Raggruppamento Temporaneo d’Imprese e che,gareggiando uti singuli o in raggruppamento, i vantaggi per il potenziale concorrente e per la stessa Committente siano gli stessi.

La realtà dei fatti però è tutt’altra.

Innanzitutto, per poter partecipare ad una gara d’appalto in RTI non è sufficiente la volontà del singolo, ma occorre anche il benestare degli altri soggetti che andrebbero a comporre l’eventuale raggruppamento.

In secondo luogo, le opportunità derivanti dalla partecipazione in RTI non sono le stesse rispetto a quelle che potrebbero derivare gareggiando singolarmente: ad esempio, nel primo caso, i costi dell’offerta sarebbero più alti.

La messa in gara di lotti oversize, quindi, oltre ad incidere negativamente sulle MPMI, precludendo loro la possibilità di accedere al mercato, finisce col ripercuotersi in maniera pregiudizievole anche sulla stessa Stazione appaltante, atteso che è proprio la presenza di offerte antagoniste ad indurre i competitors a formulare proposte più “aggressive” in termini di sconti e di migliore qualità.

Proseguendo nella lettura del Quaderno n. 2/2016 di Consip, si colgono tutte le contraddizioni e le illogicità del sistema gare basato sul binomio centralizzazione/aggregazione.

La suindicata Centrale di Committenza afferma espressamente che in un simile contesto <<l’obiettivo della stazione appaltante>> è <<esclusivamente la massimizzazione del rapporto qualità/prezzo dell’appalto messo a gara>>. <<Sotto tale ipotesi la scelta di aggregazione/frammentazione della fornitura dovrebbe essere ispirata al tentativo di favorire la partecipazione di imprese in grado di produrre al meglio (ossia, con caratteristiche di qualità elevata) il bene in oggetto a prezzi più contenuti possibile.

La teoria e la pratica del disegno di gara offrono solamente indicazioni di massima utili a chiarire se preferire l’aggregazione della fornitura rispetto alla suddivisione in lotti ed eventualmente in che modo scegliere numero, dimensioni e tipologia dei lotti. La suddivisione della fornitura infatti può avvenire secondo diversi criteri:

• Lotti geografici/territoriali.

• Lotti funzionali/merceologici.

• Lotti quantitativi.

Indipendentemente dal criterio adottato per la suddivisione, la definizione dell’oggetto dei diversi lotti identifica il mercato di riferimento per ciascuno di essi e, di conseguenza, ne individua il relativo insieme di potenziali partecipanti>>.

Inoltre, riconosce apertamente che <<in generale, maggiore è il numero di lotti in cui è suddivisa una fornitura, maggiore sarà il numero atteso dei partecipanti alla gara, in virtù di criteri di selezione (requisiti di partecipazione) meno restrittivi. In primo luogo, infatti (a parità di valore complessivo della gara), a un maggior numero di lotti corrisponderà una minore dimensione media degli stessi, con conseguente diminuzione dei requisiti di fatturato e ampliamento della possibilità di partecipazione a imprese di minori dimensioni.

Non solo: lotti di minor valore agevolano la partecipazione delle PMI in quanto riducono costi di partecipazione alla gara quali, ad esempio, cauzione provvisoria e cauzione definitiva.

In secondo luogo, la suddivisione in lotti – territoriali o funzionali/merceologici –, identificando segmenti di mercato più ristretti, amplierà la possibilità di partecipazione a imprese maggiormente specializzate.

Consideriamo, ad esempio, un appalto per la fornitura e la gestione di postazioni di lavoro che includa l’acquisto di PC, stampanti e relativi servizi di manutenzione e assistenza. L’aggregazione in un unico lotto identifica, come mercato di riferimento, quello dei fornitori di prodotti IT e servizi integrati. La suddivisione in due lotti - lotto A: pc e relativi servizi; lotto B: stampanti e relativi servizi - consentirà la partecipazione di imprese specializzate nella fornitura di soli pc o di sole stampanti e servizi connessi. Una suddivisione alternativa in due lotti potrebbe invece prevedere la separazione tra un lotto A’ (fornitura di pc e stampanti) e un lotto B’ (fornitura di servizi di assistenza e manutenzione), consentendo l’ingresso nella competizione di imprese fornitrici di servizi che non siano anche rivenditori di hardware e viceversa. È infine possibile una suddivisione in tre o più lotti, separando la fornitura di pc da quella di stampanti ed entrambe dalla prestazione dei servizi di manutenzione e assistenza.

La scelta ottimale, dunque, dipenderà da un’analisi accurata dei diversi mercati di riferimento. Se, infatti, una suddivisione in lotti più capillare è in grado di garantire una maggiore partecipazione, non è detto che ciò implichi un maggior grado di competizione – vale a dire, la necessità o possibilità, da parte dei partecipanti alla/e gara/e, di presentare offerte più convenienti per la stazione appaltante>>[7].

Sta di fatto però che tutte le gare avviate da Consip sono caratterizzate dalla massima aggregazione della domanda.

Qualunque sia l’oggetto dell’appalto, i bandi di gara Consip sono tutti strutturati nella stessa identica maniera: un simile numero di lotti aventi sempre dimensioni enormi.

In realtà, trattasi di scenario che si ripete ogni qualvolta una Centrale di Committenza bandisce una gara di appalto di un certo valore.

 

5. In tutte le gare sinora bandite secondo il binomio centralizzazione/aggregazione, le Centrali di Committenza non danno mai atto degli effettivi vantaggi derivanti dalla scelta di suddividere l’appalto in grandi lotti.

Ciò che per lo più trapela dagli atti relativi a gare strutturate nei termini in esame è il c.d. “rischio da domanda”, ossia la convinzione che lotti di valore eccessivamente ridotto rischiano di andare incontro ad una domanda che dipende troppo dall’occorrere di singoli ordinativi.

Trattasi, tuttavia, di tesi che non regge, salvo riconoscere che le Centrali di Committenza non siano in grado di prevedere la domanda sul territorio e di adattarvi con intelligenza “sartoriale” la dimensione dei lotti connessi.

Analoga considerazione vale per la costruzione di lotti che abbiano un fabbisogno superiore al massimale del lotto, in caso di presenza di alcune grandi amministrazioni, per le quali certamente si sarebbero potuti immaginare lotti specifici, ma non di dimensioni spropositate.

Anche in questo caso, il rischio da domanda è azzerato proprio dalla competenza delle Centrali di Committenza e dalla loro conoscenza dettagliatissima della dispersione della domanda sul territorio, ben più granulare della dimensione dei lotti di volta in volta prescelti.

 

6. E’ stato evidentemente proprio sulla scorta delle suesposte considerazioni che da ultimissimo la giurisprudenza amministrativa ha assunto una posizione assai rigida nei confronti della suddivisione degli appalti in maxi lotti.

Il pioniere di quello che sta palesemente diventando un orientamento pacifico è stato il TAR Lazio, con l’ormai nota sentenza n. 9441/2016[8], da ultimissimo confermata anche dal Consiglio di Stato con la pronuncia n. 1038/2016[9].

Correttamente il Giudice capitolino si è approcciato alla vicenda rilevando la necessità di valutare se la suddivisione dell’appalto in un certo numero di lotti <<abbia consentito di definire gli ambiti territoriali ottimali, vale a dire gli ambiti in cui la concorrenza, la cui tutela reca in sé la garanzia di un corretto funzionamento del mercato, possa esplicarsi più efficacemente con conseguente beneficio, oltre che per il mercato, in cui le imprese possono confrontarsi pienamente e liberamente, per la stessa stazione appaltante e, quindi, per la collettività sia in termini di qualità dei servizi resi dal miglior offerente sia in termini di prezzi allo stesso corrisposti>> (cfr. TAR Lazio, sez. II, sentenza n. 9441/2016 cit.).

Ricordando, inoltre, che <<un contratto di appalto stipulato da una amministrazione pubblica si distingue da un analogo contratto stipulato tra soggetti privati sia per la rilevanza giuridica assunta dai motivi che spingono la parte pubblica a contrarre sia e soprattutto per le modalità di scelta del contraente>>, il suindicato Tribunale ha ribadito che <<la libertà di scelta del contraente costituisce uno dei fondamentali pilastri dell’autonomia privata, per cui il contraente privato, di norma, può scegliere discrezionalmente con chi contrarre; la pubblica amministrazione, invece, è tenuta a scegliere il proprio contraente in esito ad una apposita procedura (rectius: procedimento) ad evidenza pubblica>> (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, sentenza n. 9441/2016 cit.).

Non solo. Rammentando che <<il corpus normativo di disciplina dell’evidenza pubblica era originariamente costituito dalla legge di contabilità di Stato, R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, e dal suo regolamento di attuazione, R.D. 23 maggio 1924, n. 827>> e che lo stesso <<era finalizzato alla individuazione del “giusto” contraente dell’amministrazione, vale a dire del contraente in grado di offrire le migliori prestazioni e garanzie alle condizioni più vantaggiose, per cui la ratio della normativa sull’evidenza pubblica era volta esclusivamente al controllo della spesa pubblica per il miglior utilizzo del denaro della collettività (cd. concezione contabilistica)>>, il TAR Lazio ha tenuto a rimarcare che <<a tale esigenza di tutela degli interessi pubblici si è aggiunta, sotto la spinta dei principi e delle direttive comunitarie, l’esigenza di tutela della libertà di concorrenza e di non discriminazione tra le imprese>>. <<Di talché, la concorrenzialità nell’aggiudicazione, che ha il suo elemento cardine nel principio di massima partecipazione alla gara delle imprese in possesso dei requisiti richiesti, in origine funzionale al solo interesse finanziario dell’amministrazione, nel senso che la procedura competitiva tra imprese era (ed è) ritenuta la modalità più efficace per garantire la migliore spendita del denaro pubblico, è diventata un’espressione dell’ondata neoliberista degli ultimi decenni dello scorso secolo, che ha portato le autorità comunitarie a prendere in considerazione - ai fini della tutela della concorrenza, che dovrebbe garantire l’efficiente allocazione delle risorse sul mercato - l’impatto concorrenziale prodotto dalle amministrazioni pubbliche in qualità di committenti o di concedenti, per cui ogni singola gara diviene uno specifico e temporaneo micromercato nel quale le imprese di settore possono confrontarsi>> (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, sentenza n. 9441/2016 cit.).

Richiamando, inoltre, i principi comunitari fortemente proconcorrenziali delle regole dell’evidenza pubblica fatti propri dal Legislatore statale dapprima con l’art. 2 del d.lgs. 163/2006 e di poi con il nuovo Codice degli appalti pubblici e delle concessioni (d.lgs. n. 50 del 2016), il TAR Lazio ha affermato che <<il centro di gravità del settore degli appalti pubblici è ormai costituito dalla necessità di garantire il libero esplicarsi della concorrenza, peraltro, non determina la regressione del coesistente interesse pubblico alla scelta del miglior contraente al fine di garantire il migliore utilizzo possibile delle risorse finanziarie della collettività, interesse che - sebbene non più indicato in modo espresso come nell’art. 2 d.lgs. n. 163 del 2006 - è ontologicamente presente nel sistema ed è comunque richiamato nel nuovo codice. Le due “anime” della normativa sostanziale dell’evidenza pubblica, in linea di massima, possono e devono essere perseguite contemporaneamente, atteso che la massima partecipazione alla gara è funzionale alla realizzazione di entrambe le finalità>> (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, sentenza n. 9441/2016 cit.).

Sulla scorta di tutto ciò il TAR ha, quindi, concluso che a mente dell’art. 2 bis del D.Lgs. n. 163 del 2016 e nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, <<al fine di favorire l’accesso delle piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali, ma anche che i criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le piccole e medie imprese; l’art. 83, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016 stabilisce altresì che i requisiti e le capacità per partecipare alle gare sono attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto, tenendo presente l’interesse pubblico ad avere il più alto numero di partecipanti, nel rispetto dei principi di trasparenza e rotazione. Tale fondamentale principio riguarda a maggior ragione le centrali di committenza considerata l’elevata incidenza che gli appalti dalla stessa affidati, per il loro valore e per l’estensione delle amministrazioni che se ne avvalgono, sono destinati ad avere sui relativi mercati>> (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, sentenza n. 9441/2016 cit.).

Il che tutto è stato ulteriormente corroborato dalla recentissima sentenza sempre emessa dal TAR Lazio n. 1345/2017, la quale ha rimarcato che <<la procedura competitiva tra imprese era (ed è) ritenuta la modalità più efficace per garantire la migliore spendita del denaro pubblico>> e che l’<<apertura alla concorrenza è prevista non soltanto con riguardo all’interesse comunitario alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi, ma anche nell’interesse stesso dell’amministrazione aggiudicatrice che disporrà così di un’ampia scelta circa l’offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni della collettività pubblica interessata>> (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 26 gennaio 2017, n. 1345 cit.).

<<In tale ottica>>, prosegue il TAR Lazio, <<la direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio reca tra i propri principi il facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici.

Più specificamente, il considerando n. 78 della direttiva prevede quanto segue: “è’ opportuno che gli appalti pubblici siano adeguati alle necessità delle PMI. Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate ad avvalersi del Codice europeo di buone pratiche, di cui al documento di lavoro dei servizi della Commissione del 25 giugno 2008, dal titolo «Codice europeo di buone pratiche per facilitare l’accesso delle PMI agli appalti pubblici», che fornisce orientamenti sul modo in cui dette amministrazioni possono applicare la normativa sugli appalti pubblici in modo tale da agevolare la partecipazione delle PMI. A tal fine e per rafforzare la concorrenza, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero in particolare essere incoraggiate a suddividere in lotti i grandi appalti. Tale suddivisione potrebbe essere effettuata su base quantitativa, facendo in modo che l’entità dei singoli appalti corrisponda meglio alla capacità delle PMI, o su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni presenti, per adattare meglio il contenuto dei singoli appalti ai settori specializzati delle PMI o in conformità alle diverse fasi successive del progetto”.

Il considerando n. 124, poi, nel premettere che, “dato il potenziale delle PMI per la creazione di posti di lavoro, la crescite e l’innovazione, è importante incoraggiare la loro partecipazione agli appalti pubblici, sia tramite disposizioni appropriate nella presente direttiva che tramite iniziative a livello nazionale”, ha posto in rilievo che “le nuove disposizioni della presente direttiva dovrebbero contribuire al miglioramento del livello di successo, ossia la percentuale delle PMI rispetto al valore complessivo degli appalti pubblici”, precisando che “non è appropriato imporre percentuali obbligatorie di successo, ma occorre tenere sotto stretto controllo le iniziative nazionali volte a rafforzare la partecipazione delle PMI, data la sua importanza”>> (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 26 gennaio 2017, n. 1345 cit.).

Infine, richiamando la nuova disciplina introdotta dal D. Lgs. n. 50/2016, il TAR Lazio ha fatto notare come anche nella disciplina legislativa interna sia stato scolpito il principio del favor partecipationis, e sulla scorta di ciò ha ribadito il principio già espresso con la precedente sentenza n. 9441/2016, in base al quale <<le due “anime” della normativa sostanziale dell’evidenza pubblica, in linea di massima, possono e devono essere perseguite contemporaneamente, atteso che la massima partecipazione alla gara è funzionale alla realizzazione di entrambe le finalità>> (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 26 gennaio 2017, n. 1345 cit.).

Sulla stessa linea si è posizionato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1038/2017 di conferma della sentenza del TAR Roma n. 9441/2017.

Aderendo alla posizione presa da quest’ultimo, il Consiglio di Stato ha aspramente criticato la propensione ad impostare le gare in maniera tale da restringere eccessivamente la <<platea di concorrenti, a tutto svantaggio delle “numerosissime imprese, di piccole e medie dimensioni, che compongono il mercato>>. A detta dello stesso, <<un’irragionevole formazione della domanda pubblica, sotto il profilo dimensionale, può vanificare i principi di massima concorrenzialità che presiedono al diritto degli appalti pubblici>> (cfr. C.d.S., sez. V, 6 marzo 2017, n. 1038 cit.).

Così pronunciandosi, quindi, il Consiglio di Stato ha definitivamente chiarito che il potere discrezionale di cui la Centrale Unica di Committenza gode nelle predisposizione ed organizzazione di una gara d’appalto giammai può debordare in arbitrio o comunque in un potere totalmente immune al sindacato del giudice amministrativo.

Se, difatti, da una parte è vero che in subiecta materia il privato non vanta alcun diritto pieno ed incondizionato, è parimenti incontrovertibile che lo stesso ha un interesse legittimo acché la Pubblica Amministrazione agisca correttamente nel caso concreto.

Proprio per evitare che la Committente possa arrogarsi il potere di <<scegliere liberamente ed insindacabilmente … come suddividere l’appalto>>, il Consiglio di Stato ha tenuto a chiarire che <<come qualsiasi scelta della pubblica amministrazione anche la suddivisione in lotti di un contratto si presta ad essere sindacata in sede giurisdizionale amministrativa: e ciò ancorché l’incontestabile ampiezza del margine di valutazione attribuito all’amministrazione in questo ambito conduca per un verso a confinare questo sindacato nei noti limiti rappresentanti dai canoni generali dell’agire amministrativo. Del resto>>, come pure puntualizzato nella stessa sentenza, <<a questa affermazione di principio contenuta nel 78 considerando>> della direttiva 2014/24/UE <<fa da contraltare quella di cui all’ultimo periodo del considerando 59 della stessa direttiva …. a tenore del quale “l’aggregazione e la centralizzazione delle committenze dovrebbero essere attentamente monitorate al fine di evitare un’eccessiva concentrazione del potere d’acquisto e collusioni, nonché di preservare la trasparenza e la concorrenza e la possibilità di acceso al mercato per le PMI”>> (cfr. C.d.S., sez. V, 6 marzo 2017, n. 1038 cit.).

Identica posizione, infine, è stata assunta da ultimo dal CGA con l’Ordinanza n. 274/2017.

Che quello sopra riportato sia ormai, come detto, orientamento giurisprudenziale pacifico è dimostrato dal fatto che finanche in fase cautelare il CGA, procedendo alla  <<comparazione dei contrapposti interessi …avuto riguardo anche alle esigenze della stazione appaltante >>, ha giudicato <<prevalente l’interesse … a far luogo, nelle more della definizione del merito, alla sospensione dell’efficacia degli atti in primo grado impugnati>> ed ha perciò sospeso la gara indetta dalla CUC della Regione Siciliana per il servizio di pulizia a favore degli Enti sanitari[10].

Trattasi di precedente di grande rilievo proprio perché afferente alla fase cautelare.

Per la prima volta, infatti, dacché si discute della questione della suddivisione da parte delle Centrali uniche d’acquisto dell’appalto in macro-lotti e delle sue ripercussioni sulla partecipazione delle PMI e quindi sull’effettiva competizione, il Giudice Amministrativo ha disposto la sospensione del bando di gara, contemperando così l’interesse delle PMI ad accedere al mercato con l’interesse pubblico ad evitare la proliferazione di atti che, ove dichiarati all’esito del giudizio di merito illegittimi, esporrebbero la P.A. ad ingenti richieste risarcitorie[11].

 

7. Quella che va, quindi, consolidandosi è un’interpretazione finalistica della normativa vigente, che trova sponda nell’attuale Codice sui contratti pubblici, in base al quale l’appalto suddiviso in lotti deve essere comunque adeguato in modo da garantire l’effettiva possibilità di partecipazione da parte delle microimprese, piccole e medie imprese[12].

Insomma, quantunque la P.A. abbia potere discrezionale nello scegliere se suddividere o meno l’appalto in lotti, una volta che opti per il frazionamento dovrà procedervi motivatamente, in maniera ragionevole e proporzionata, di modo da garantire la massima partecipazione soprattutto delle PMI.

 

8. I fatti finora, del resto, hanno dimostrato come un cattivo esercizio della centralizzazione della committenza possa provocare anche restrizioni della concorrenza in favore delle grandi imprese, favorendo la realizzazione di mercati oligopolistici nell’ambito dei quali è assai elevato il rischio di accordi collusivi.

Emblematico è quanto accaduto nella gara per l’affidamento del servizio di pulizia delle scuole indetta da Consip, sulla quale è intervenuta la stessa Antitrust con un provvedimento sanzionatorio, le cui motivazioni, quanto al contegno collusivo delle società coinvolte,  sono state condivise dal Giudice Amministrativo sia in primo che in secondo grado[13].

Il che smonta le conclusioni rassegnate dalla stessa Consip nel Quaderno n. 2/2016 a ragione del modo in cui gestisce le proprie gare, dando in particolare atto della intrinseca contraddizione tra tali conclusioni e le premesse “a monte” delle medesime. 

Indubbiamente, come affermato dalla suindicata Centrale di acquisto, la collusione tra le imprese è un fenomeno endemico negli appalti pubblici; ma diversamente da quanto da essa stessa ritenuto, la suddivisione in un maggior numero di lotti di modeste e/o piccole dimensioni fronteggia e non certo favorisce il rischio di cartelli nel mercato.


[1] cfr. considerando n. 2, direttiva 2014/24/UE cit.

[2] cfr. considerando n. 59, direttiva 2014/24/UE cit.

 

[3] cfr. Brussels, 25.6.2008 SEC(2008) 2193, COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT, EUROPEAN CODE OF BEST PRACTICES FACILITATING ACCESS BY SMES TO PUBLIC PROCUREMENT CONTRACTS. http://ec.europa.eu/internal_market/publicprocurement/docs/sme_code_of_best_practices_en.pdf

[4] Tratto da “SMEs' access to public procurement markets and aggregation of demand in the EU”, uno studio commissionato dalla Commissione europea nel febbraio del 2014.

file:///C:/Users/Piga/Desktop/smes-access-and-aggregation-of-demand_en.pdf

[5] “Centralized purchasing has a considerable negative effect on SME access (on a ceteris paribus basis)”. Ibid, p. 63.

[6] Cfr. Quaderni  2016 Consip: “Divisione in lotti, partecipazione e competizione nelle gare d’appalto” cit.

[7] Cfr. Consip op. cit.

[8] Cfr. c. lenoci, annotazione TAR Lazio, Roma, sez. II, sentenza n. 9441/2016 su questa rivista.

[9] Cfr. d. gentile, annotazione C.d.S., sez. V, sentenza n. 1038/2016 su questa rivista.

[10] cfr. CGA, in S.G., Ord. n. 274/2017 cit.)

[11] Cfr. a. sgobba, annotazione Ordinanza CGA n. 274/2017 su questa rivista.

[12] Cfr. d. gentile, “Appalti pubblici e nuovi diritti di cittadinanza europea: oneri e onori”, in questa rivista.

[13] Cfr. sentenze TAR Lazio, Roma, sez. I, nn. 10303, 10305, 10307 e 10309 del 14.10.2016: le sentenze n. 10303/2016, 10307/2016 e 10309/2017 sono state confermate dal C.d.S., sez. VI, rispettivamente con sentenze n. 740/2017, n. 927/2017 e n. 928/2017.