Consiglio di Stato, sez. IV, 15 luglio 2021, n. 5351

Invero, si afferma che nell’attuale quadro normativo è imposto all’amministrazione aggiudicatrice che intenda ricorre all’affidamento diretto un onere motivazionale rafforzato, che consenta un “penetrante controllo della scelta effettuata … anzitutto sul piano dell’efficienza amministrativa e del razionale impiego delle risorse pubbliche” (Cons. Stato, comm. spec., parere 1° aprile 2016, n. 464), come si ricava dal combinato disposto dell’art. 192, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016 e dall’art. 34, comma 20, d.l. n. 179 del 2012, in particolare consistente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 dicembre 2020, n. 8028; sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257):

a) nell’esporre le ragioni di preferenza per l’affidamento in house rispetto al ricorso all’evidenza pubblica in punto di convenienza economica, di efficienza e qualità del servizio, così dando “dimostrazione della ragionevolezza economica della scelta compiuta” (Cons. Stato, sez. consultiva atti normativi, parere n. 774 del 29 marzo 2017) ed esplicitando le ragioni dell’esclusione del ricorso al mercato;

b) nell’esplicitare i benefici per la collettività derivanti da tale forma di affidamento, in tal modo esplicitando la finalizzazione dell’istituto al perseguimento di obiettivi di carattere latamente sociale, percepibili al di fuori della dimensione meramente organizzativa dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 marzo 2021, n. 2102).

In particolare, con specifico riferimento alla prospettiva economica, si richiede all’amministrazione di valutare la convenienza dell’affidamento del servizio secondo lo schema dell’ in house rispetto all’alternativa costituita dal ricorso al mercato, attraverso una comparazione tra dati da svolgersi mettendo a confronto operatori privati operanti nel medesimo territorio, al fine di dimostrare che quello fornito dalla società in house è il più economicamente conveniente ed in grado di garantire la migliore qualità ed efficienza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 novembre 2018, n. 6456, secondo cui “è onere dell’autorità amministrativa affidante quello di rendere comunque comparabili i dati su cui il confronto viene svolto”, con necessaria allegazione di “dati di dettaglio”).

Nel caso in cui una pubblica amministrazione decide di intraprendere un lavoro, un servizio od un’opera pubblica si trova sempre davanti ad una delicata questione.

Affidare le predette attività direttamente ad un operatore economico o ricorrere alla procedura di gara per far sì che venga scelta l’impresa più meritevole? Per la stazione appaltante sarebbe sicuramente più semplice ricorrere all’istituto dell’ in house rappresentando, quest’ultimo, una particolare “assegnazione fiduciaria” a quel soggetto che rappresenta la longa manus dell’amministrazione, certa del raggiungimento del risultato. Quanto sopra anche nell’ottica di un considerevole risparmio a fronte dei costi e delle potenziali lungaggini della selezione concorsuale.

Tuttavia il suddetto rapporto intraorganico che si creerebbe potrebbe determinare una consistente proliferazione di sub affidamenti, i quali non sarebbero più soggetti al “controllo” da parte della p.a. principale. Peraltro, nella fase organizzativa dei suddetti sub emendamenti, si verificherebbero potenziali infiltrazioni della criminalità organizzata ed un loro eccessivo impiego causerebbe inevitabilmente la violazione del principio della concorrenza.

Come è noto la contrapposizione tra i due tipi di affidamento, interno ed esterno, si è protratta nel tempo, interessando giurisprudenza e dottrina. In particolare si è affermato che l’ in house debba essere necessariamente considerato come procedura ordinaria e non eccezionale, anche se con una precisazione: oltre all’accertamento della dimostrazione del fallimento del mercato rilevante, la decisione da parte dell’amministrazione di ricorrere all’affidamento diretto deve essere giustificata da un obbligo motivazionale rafforzato. E proprio su questo peculiare elemento i giudici del Consiglio di Stato soffermano l’attenzione.

In particolare la Sezione, nel richiamare i principi enunciati dalla Corte costituzionale con sentenza n. 100 del 27 maggio 2020, ricorda che l’onere motivazionale, relativamente ai motivi del mancato ricorso al mercato, non configura una violazione della regola di gold plating, che consiste nel divieto di introdurre ulteriori oneri rispetto a quanto rappresentato dalle direttive UE.

La giustificazione della richiesta del suddetto obbligo motivazionale rafforzato, continuano i giudici, trova peraltro riscontro anche nel dettato normativo di cui all’articolo 5, comma 1, del D. Lgs. 19 agosto 201, n.175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) rubricato” Oneri di motivazione analitica”.

Pertanto, oltre alla valutazione complessiva dei costi e dei benefici, nonché dell’economicità e della sostenibilità, anche sociale, del ricorso all’affidamento diretto, i giudici rilevano un ulteriore fondamentale requisito. Infatti il supremo Consesso, nel richiamare propria specifica giurisprudenza, afferma che il sopra indicato onere si realizza solo con un penetrante controllo della scelta effettuata, anzitutto sul piano dell’efficienza amministrativa e del razionale impiego delle risorse pubbliche. Inoltre il Collegio evidenzia che la p.a. affidante ottemperi a quanto prescritto soprattutto quando la medesima autorità amministrativa  sia in grado, con particolare riferimento alla prospettiva economica, di rendere comunque comparabili tutti i dati sui quali viene svolto il confronto; in particolare con la necessaria allegazione di “dati di dettaglio”.

A tal proposito si rammenta che sul tema sia intervenuta   l’ANAC, secondo la quale la motivazione in argomento deve avere un contenuto minimo e deve essere «concreta, riscontrabile, controllabile, intellegibile e pregnante sui profili della convenienza, non solo economica, della scelta».

 

LEGGI LA SENTENZA

 

 

Pubblicato il 15/07/2021

N. 05351/2021REG.PROV.COLL.

N. 02508/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2508 del 2021, proposto dal comune di Albenga, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Luigi Piscitelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la società Teknoservice S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Giuseppe Orofino e Raffaello Giuseppe Orofino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

la società S.A.T. Servizi Ambientali Territoriali S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Riccardo Maoli e Andrea Rossi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria n. 903/2020, resa tra le parti;


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle società Teknoservice S.r.l. e S.A.T. Servizi Ambientali Territoriali S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 giugno 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, il consigliere Alessandro Verrico e uditi per le parti gli avvocati Luigi Piscitelli, Angelo Giuseppe Orofino e Andrea Rossi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. per la Liguria (r.g. n. 309/2018), la società Teknoservice s.r.l. impugnava gli atti con cui il comune di Albenga ha disposto l’affidamento diretto in house providing alla società SAT s.p.a. del servizio di “raccolta, trasporto, e smaltimento rifiuti solidi urbani e assimilati, spazzamento strade e servizi complementari del Comune di Albenga” (tra i quali la deliberazione di approvazione del Consiglio comunale n. 24 del 21 marzo 2018).

2. Il T.a.r.:

I) con la sentenza non definitiva n. 895/2018:

a) ha rigettato il primo e il terzo motivo del ricorso;

b) con riguardo al secondo motivo, con il quale la ricorrente aveva dedotto la violazione dell’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, ha ritenuto di dover sospendere il giudizio, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale “dell’art. 192, comma 2, del d.lg.s. n. 50/2016, nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti diano conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento in house, delle ragioni del mancato ricorso la mercato”, sollevata con l’ordinanza dello stesso Tribunale n. 886 del 15 novembre 2018 in altro giudizio;

II) in seguito alla pronuncia n. 100 del 27 maggio 2020 della Corte costituzionale di infondatezza della questione, con la sentenza definitiva n. 903 dell’11 dicembre 2020, ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato gli impugnati provvedimenti tuttavia respingendo la domanda di declaratoria di inefficacia del contratto, e ha compensato le spese di giudizio tra le parti. Il Tribunale, in particolare:

a) ha ritenuto infondata l’eccezione di giudicato asseritamente formatosi sulla seconda censura del ricorso, considerando che la sentenza non definitiva n. 895 del 2018 aveva pronunciato unicamente sul primo e sul terzo motivo di ricorso, senza scrutinare nel merito la fondatezza della seconda censura, in ordine alla quale aveva anzi sospeso il giudizio;

b) ha ritenuto l’eccezione d’incostituzionalità dell’art. 192 del d.lgs. n. 50 del 2016 in relazione all’art. 75 Cost. sollevata dalla ricorrente (a cui si era associato il comune), sebbene ammissibile e rilevante, manifestamente infondata, considerando tale norma sostanzialmente diversa sia da quella abrogata con d.P.R. n. 113 del 2011 a seguito del referendum del 12 e 13 giugno 2011, ossia l’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (conv. in l. n. 133 del 2008), sia da quella di cui all’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 (conv. in l. n. 148 del 2011), dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 199 del 2012, per contrasto con la volontà espressa attraverso la consultazione popolare; del resto, la norma non pone, sul piano sostanziale, alcuna “drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti diretti dei servizi pubblici locali che la consultazione referendaria aveva inteso escludere”;

c) ha ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso, stanti le carenze dell’istruttoria e della motivazione, non avendo l’Ente, in violazione dell’art. 192 del d.lgs. n. 50 del 2016, valutato in concreto la possibilità del ricorso al mercato e non avendo espresso le ragioni della “preferenza” per l’in house;

d) ha infine fissato il termine dell’affidamento al 21 dicembre 2020 ed ha escluso l’applicazione delle sanzioni alternative ex art. 123 c.p.a.

3. Il comune di Albenga ha proposto appello avverso la sentenza n. 903 dell’11 dicembre 2020, articolando le seguenti censure:

i) “Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, in relazione all’art. 75 della Costituzione. Non manifesta infondatezza della questione”: la sentenza appellata sarebbe errata, nella parte in cui ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 per violazione dell’art. 75 Cost., atteso che tale norma incorrerebbe nella violazione del divieto di ripristinare la norma abrogata dalla volontà popolare, laddove, nello stabilire, per la sola scelta dell’affidamento in house, la necessità di una motivazione che giustifichi il mancato ricorso al mercato e dimostri l’esistenza di una serie di benefici derivanti dalla scelta del modello organizzativo, continuerebbe a manifestare un intento legislativo contrario all’esito del referendum popolare e confliggente con il divieto di ripristinare norme abrogate con lo strumento referendario; la norma, infatti, nel richiedere una specifica giustificazione per ricorrere ad un modello organizzativo diverso dal mercato, e non per l’ipotesi inversa, manifesta comunque la preferenza per il mercato, rendendo comunque eccezionale e residuale la scelta per il modello organizzativo pubblico;

ii) “Erroneità della sentenza appellata, nella parte in cui ha accolto il secondo motivo del ricorso di primo grado. Violazione e falsa applicazione dell’art. 192, co. 2, del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50. Difetto di motivazione. Illogicità. Omesso esame di profili rilevanti. Violazione dell’art. 112 c.p.c. Infondatezza ed inammissibilità del secondo motivo di ricorso”: il primo giudice avrebbe altresì errato nel non considerare le relazioni allegate agli atti impugnati e da questi richiamate ob relationem, ove risulterebbero esposte l’istruttoria tecnica condotta e le ragioni che hanno motivato la scelta dell’Amministrazione (in particolare, le relazioni allegate alle deliberazioni del Consiglio comunale n. 8/2018 e n. 24/2018), così come tali ragioni risulterebbero anche nella successione degli atti impugnati e, in particolare, nelle rispettive premesse; invero, il comune avrebbe analiticamente e compiutamente esposto le ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta; peraltro, la pronuncia sotto questo profilo avrebbe violato il limite dell’art. 112 c.p.a., sia per la mancata considerazione delle difese del comune, sia per l’avvenuta integrazione delle deduzioni del ricorrente; infine, la decisione sarebbe errata perché avrebbe limitato l’analisi solo a due dei molteplici profili esaminati dall’ente e perché avrebbe travisato lo scopo delle motivazioni esaminate, individuando nelle stesse una finalità di comparazione fra modelli di affidamento, piuttosto che quella di valutare la congruità della proposta di SAT.

Il comune appellante ha quindi concluso chiedendo di rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in relazione all’art. 75 Cost., sospendendo a tal fine il giudizio. L’Ente ha infine chiesto di accogliere l’appello e, per gli effetti, di riformare la sentenza gravata, rigettando il ricorso di primo grado della società Teknoservice.

3.1. Quest’ultima si è costituita in giudizio, opponendosi all’appello e chiedendone l’integrale rigetto.

3.2. Si è altresì costituita in giudizio la società SAT per chiedere l’accoglimento dell’appello e, con successiva memoria difensiva, in adesione alla richiesta di parte appellante, ha insistito nel sollevare la cennata questione di legittimità costituzionale, evidenziando come la stessa non sia stato oggetto di trattazione né da parte del primo giudice nell’ambito dell’ordinanza di rimessione n. 886/2018, né della Corte costituzionale con la sentenza n. 100/2020; del resto la Corte in tale pronuncia ha osservato che il legislatore, nell’individuare i confini della valutazione sulla congruità economica dell’offerta del soggetto in house, non avrebbe imposto il preventivo svolgimento, da parte dell’Amministrazione, di una vera e propria comparazione tra il modello in house e il ricorso al mercato, bensì esclusivamente una valutazione complessiva dei costi e dei benefici ricavabili dal ricorso all’in house, nonché una motivazione in ordine all’economicità e alla sostenibilità del modello. Ad avviso della società, pertanto, la sentenza risulterebbe contraddittoria laddove, per un verso, avrebbe inteso interpretare l’art. 192 del d.lgs. n. 50/2016 nel senso di non richiedere la sussistenza di situazioni eccezionali che non consentano il ricorso al mercato per scegliere l’in house, per altro verso, avrebbe previsto nel caso di specie un onere motivazionale specifico e rafforzato in ordine alle ragioni per le quali l’Amministrazione ha ritenuto di non esternalizzare il servizio, in tal modo reintroducendo un sostanziale favor per il ricorso al mercato. Ad ogni modo, l’Amministrazione comunale avrebbe fornito un’ampia ed approfondita giustificazione delle ragioni a fondamento della propria scelta di ricorrere all’affidamento in house, al riguardo rilevando i contenuti delle relazioni illustrative approvate rispettivamente con la deliberazione consiliare n. 8/2018 e con la deliberazione consiliare n. 24/2018, peraltro mai contestate da controparte. Inoltre, con specifico riferimento all’utilizzo dei valori ISPRA al fine di valutare la congruità della proposta della società SAT, lo stesso risulterebbe appropriato perché basato sul costo medio per abitante stimato dalla stessa ISPRA per la regione Liguria e in quanto preso in considerazione dalla stessa società Teknoservice al fine di sostenere la non congruità dei prezzi praticati da S.A.T.

3.3. Con memoria difensiva depositata il 25 maggio 2021 l’appellante ha insistito nelle censure dedotte e nelle conclusioni rassegnate.

4. All’udienza del 10 giugno 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

5. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.

6. Con una prima censura, come visto, il comune di Albenga ha sostanzialmente riproposto in grado di appello la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 per violazione dell’art. 75 Cost., dichiarata manifestamente infondata dal giudice di prime cure.

6.1. Al riguardo, il Collegio ritiene di dover preliminarmente esaminare i contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 100 del 27 maggio 2020, emanata in seguito all’ordinanza del T.a.r. Liguria n. 886 del 15 novembre 2018, resa in altro giudizio, e alla sospensione del giudizio di primo grado de quo, disposta con sentenza non definitiva n. 895/2018, in particolare avente ad oggetto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del d.lg.s. n. 50/2016, nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti diano conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento in house, delle ragioni del mancato ricorso al mercato, rispetto ai principi e ai criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 11 del 2016 nonché al parametro di cui all’art. 76 Cost.

6.2. La Corte, in particolare, nega l’illegittimità costituzionale del citato art. 192, comma 2, laddove impone un obbligo motivazionale del provvedimento di affidamento in house in capo alle stazioni appaltanti:

a) sia con riferimento al divieto di gold plating di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), della legge delega n. 11 del 2016, che pone il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie, perché l’onere di specifica motivazione delle ragioni del mancato ricorso al mercato sarebbe comunque conforme alla normativa comunitaria sulla concorrenza e perché il divieto di gold plating trova applicazione nei confronti dei privati e non, come nel caso di specie, nei confronti della pubblica amministrazione (in questo senso, già il Consiglio di Stato, nel parere n. 855 del 1 aprile 2016);

b) sia con riferimento all’art. 1, comma 1, lettera eee), della legge delega n. 11 del 2016, che impone, per quanto qui rileva, di garantire “adeguati livelli di pubblicità e trasparenza delle procedure anche per gli appalti pubblici e i contratti di concessione tra enti nell’ambito del settore pubblico, cosiddetti affidamenti in house, prevedendo, anche per questi enti, l’obbligo di pubblicazione di tutti gli atti connessi all’affidamento, assicurando, anche nelle forme di aggiudicazione diretta, la valutazione sulla congruità economica delle offerte, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione”.

6.3. In relazione a quest’ultimo aspetto, la Corte si sofferma ad illustrare le ragioni della previsione di un particolare obbligo motivazionale, argomentando nei termini seguenti, che, per la rilevanza per la fattispecie in esame, si riportano testualmente:

9.− La norma delegata, in effetti, è espressione di una linea restrittiva del ricorso all’affidamento diretto che è costante nel nostro ordinamento da oltre dieci anni, e che costituisce la risposta all’abuso di tale istituto da parte delle amministrazioni nazionali e locali, come emerge dalla relazione AIR dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), relativa alle Linee guida per l’istituzione dell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house, ai sensi dell’art. 192 del codice dei contratti pubblici.

9.1.− Già l’art. 23-bis del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2008, n. 133 e poi abrogato a seguito di referendum, richiedeva, tra le altre condizioni legittimanti il ricorso all’affidamento in house nella materia dei servizi pubblici locali, la sussistenza di "situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato".

L’onere motivazionale in questione, poi, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, non si discosta, nella sostanza, da quello imposto dall’art. 34, comma 20, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221.

Quest’ultima disposizione, infatti, richiede l’indicazione delle "ragioni" dell’affidamento diretto dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, il rispetto della parità degli operatori e l’adeguata informazione alla collettività di riferimento, e ciò non può che essere letto come necessità di rendere palesi (anche) i motivi che hanno indotto l’amministrazione a ricorrere all’in house invece di rivolgersi al mercato.

A sua volta, l’art. 7, comma 3, dello schema di decreto legislativo di riforma dei servizi pubblici locali di interesse economico generale (adottato ai sensi degli artt. 16 e 19 della L. 7 agosto 2015, n. 124, recante "Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche"), stabiliva, tra l’altro, che, "nel caso di affidamento in house o di gestione mediante azienda speciale, il provvedimento dà, altresì, specificamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato".

Infine, l’art. 5, comma 1, del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che reca la rubrica "oneri di motivazione analitica", manifesta la stessa cautela verso la costituzione e l’acquisto di partecipazioni di società pubbliche (comprese quelle in house), prevedendo, nella sua versione attuale, che "l’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica ... deve essere analiticamente motivato ..., evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato".

9.2.− Si tratta di una scelta di fondo già vagliata da questa Corte, che - con specifico riferimento alle condizioni allora poste dall’art. 23-bis del D.L. n. 112 del 2008, ma con affermazioni estensibili anche al caso odierno - ha osservato: "siffatte ulteriori condizioni ... si risolvono in una restrizione delle ipotesi in cui è consentito il ricorso alla gestione in house del servizio e, quindi, della possibilità di derogare alla regola comunitaria concorrenziale dell’affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica. Ciò comporta, evidentemente, un’applicazione più estesa di detta regola comunitaria, quale conseguenza di una precisa scelta del legislatore italiano. Tale scelta, proprio perché reca una disciplina pro concorrenziale più rigorosa rispetto a quanto richiesto dal diritto comunitario, non è da questo imposta - e, dunque, non è costituzionalmente obbligata, ai sensi del primo comma dell'art. 117 Cost., come sostenuto dallo Stato -, ma neppure si pone in contrasto ... con la citata normativa comunitaria, che, in quanto diretta a favorire l’assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri. È infatti innegabile l’esistenza di un "margine di apprezzamento" del legislatore nazionale rispetto a princìpi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall’ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza "nel" mercato e "per" il mercato(sentenza n. 325 del 2010; nello stesso senso, sentenza n. 46 del 2013).”.

6.4. La Corte quindi, sebbene escluda la prospettata illegittimità costituzionale argomentando specificamente in merito all’imposizione di un obbligo di motivazione rafforzato in caso di scelta dell’affidamento in house, non affronta espressamente e direttamente la questione del (quanto meno astratto) contrasto con la volontà popolare espressa con il referendum del 12 e 13 giugno 2011 (abrogativo dell’art. 23-bis d.l. n. 112/2008), la cui tutela è stata in seguito garantita dalla Corte stessa (s. 20 luglio 2012, n. 199, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 d.l. n. 138/2011, in quanto ritenuto sostanzialmente riproduttivo del citato art. 23-bis).

Da ciò ne consegue che la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla parte appellante, oltre che rilevante, trovando la disposizione in esame diretta applicazione per la soluzione del caso di specie, risulta astrattamente ammissibile, in quanto riferita al differente parametro di legittimità costituzionale di cui all’art. 75 Cost., non preso espressamente in considerazione nella richiamata pronuncia n. 100 del 2020.

7. Poste tali premesse, il Collegio deve quindi passare a valutare la sussistenza del requisito della non manifesta infondatezza della questione, con particolare riferimento alla prospettata violazione dell’art. 75 Cost.

7.1. A tale riguardo, il Collegio, richiamando per punti fondamentali la recente evoluzione della disciplina in materia di motivazione del ricorso all’affidamento in house, evidenzia che:

i) l’art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112 prevedeva che: “3. In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l’affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta "in house" e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano. 4. Nei casi di cui al comma 3, l’ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un’analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per l’espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole.”.

ii) il citato art. 23-bis veniva abrogato dall’art. 1, comma 1, del d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113, in seguito all’esito del referendum popolare del 12 e 13 giugno 2011;

iii) l’art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 dettava una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, contraddistinta dalla medesima ratio della norma abrogata e sostanzialmente riproduttiva di molte disposizioni dell’art. 23-bis e del relativo regolamento attuativo (d.P.R. n. 168 del 2010), atteso che: limitava l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risultasse idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità (comma 1), obbligando l’ente ad illustrare la relativa istruttoria in una delibera quadro, ove evidenziare anche, per i settori sottratti alla liberalizzazione, le ragioni della decisione e i benefici per la comunità locale derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio (comma 2); prevedeva inoltre, per gli enti territoriali con popolazione superiore a 10.000 abitanti e nel caso in cui il valore economico del servizio fosse pari o superiore alla somma complessiva di 200.000 euro annui (somma così rideterminata dall’art. 25 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1), la trasmissione di tale delibera all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, al fine di una pronuncia della stessa in merito all’esistenza di ragioni idonee e sufficienti all’attribuzione di diritti di esclusiva (comma 3);

iv) la Corte costituzionale, con la sentenza 20 luglio 2012, n. 199, dichiarava tale articolo incostituzionale, nella parte in cui disciplinava le ipotesi di affidamento diretto e di gestione in house di (quasi tutti i) servizi pubblici locali di rilevanza economica, reintroducendo sostanzialmente la disciplina prevista dall’art. 23-bis d.l. n. 112/08; in particolare la Corte rilevava, per un verso, che la nuova normativa non modificava i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente, poiché era contraddistinta dalla medesima ratio operando una drastica riduzione delle ipotesi dell’affidamento in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, rendendo tale possibilità ancora più remota, in quanto la àncorava all’ulteriore requisito del rispetto di una soglia commisurata al valore dei servizi; per altro verso, si evidenziava la sostanziale coincidenza, ora nei principi, ora testualmente per talune disposizioni, sia con l’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 sia con il relativo regolamento di attuazione; la Corte, pertanto, ravvisava la contrarietà della nuova disciplina rispetto all’intento referendario di “escludere l’applicazione delle norme contenute nell’art. 23-bis che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)” (sentenza n. 24 del 2011) e di consentire, conseguentemente, l’applicazione diretta della normativa comunitaria conferente;

v) l’art. 4 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 135, per la gestione in house, sebbene per espressa previsione non applicabile alle società che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica (comma 3), oltre a richiamare la necessità della sussistenza dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria (comma 8), esigeva che “per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento non sia possibile per l’amministrazione pubblica controllante un efficace e utile ricorso al mercato”, dovendo la stessa a tal fine predisporre un’analisi del mercato e trasmettere una relazione contenente gli esiti di tale verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per l’acquisizione di un parere vincolante;

vi) anche tale articolo, con sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 229, veniva tuttavia dichiarato incostituzionale nella parte in cui si applicava alle Regioni ad autonomia ordinaria e, in particolare, nei commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies e 8; la Corte, peraltro, nel ritenere infondata una diversa questione di legittimità costituzionale, sanciva che le disposizioni censurate presentavano un ambito di applicazione diverso da quello delle disposizioni oggetto del referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 e della declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 199 del 2012 (essendo escluse le società che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica) e, dunque, non erano riproduttive né delle disposizioni abrogate con il referendum, né delle disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime con la citata sentenza n. 199 del 2012, non ravvisando quindi alcuna lesione né del giudicato costituzionale, né della volontà popolare espressa tramite il referendum;

vi) l’art. 34, comma 20, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 prevedeva inoltre che: “per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste”;

vii) l’art. 5 del d.lgs. n. 175 del 2016 richiedeva inoltre che “l’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica, anche nei casi di cui all’articolo 17, o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite deve essere analiticamente motivato con riferimento alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali di cui all’articolo 4, evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa".

7.2. Ciò posto, il Collegio rileva che, con l’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, è stato previsto che: “Ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.

7.3. Dalla lettura dell’articolo, il Collegio, prescindendo in questa sede da valutazioni in ordine alla coincidenza dell’ambito di applicazione della normativa rispetto alla disciplina abrogata per referendum, rileva che, a differenza di quanto avvenuto con il citato art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, non è ravvisabile alcuna pedissequa riproduzione delle previsioni di cui all’art. 23-bis, in contrasto con la volontà popolare e quindi in violazione dell’art. 75 Cost.

In primo luogo, nella disciplina vigente non si pone alcuna ipotesi di esclusione automatica dell’affidamento diretto, che determinerebbe una limitazione assoluta della discrezionalità dell’amministrazione (come avveniva con il citato art. 4), ponendo sulla stazione appaltante esclusivamente un obbligo motivazionale in merito alla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, ai benefici per la collettività di tale forma di gestione ed alle ragioni del mancato ricorso al mercato.

A tale ultimo riguardo, inoltre, è chiara la differenza rispetto al contenuto della motivazione posto dal citato art. 23-bis (e ripresa nel citato art. 4), dal momento in cui con questo veniva richiesta la dimostrazione di “situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato”, così rendendo oltre modo eccezionale l’affidamento diretto e limitandolo, nella sostanza, ai casi di fallimento del mercato.

Diversamente, l’onere motivazionale richiesto dal d.lgs. n. 50 del 2016 per l’affidamento in house, sebbene di fatto ponga lo stesso in posizione subalterna rispetto allo svolgimento della gara, non presenta un carattere a tal punto stringente, potendo pertanto ritenersi congrua la motivazione con cui si dimostri la convenienza economica dell’affidamento diretto e le ragioni del mancato ricorso al mercato, senza per questo arrivare a dare prova dell’inesistenza di soluzioni alternative.

Ciò, del resto, non esclude che, come incidentalmente di recente affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 100 del 2020), le discipline siano entrambe “espressione di una linea restrittiva del ricorso all’affidamento diretto”, quale risultato di quel “margine di apprezzamento” riconosciuto al legislatore nazionale rispetto alla normativa comunitaria, rappresentativa sul punto di un mero “minimo inderogabile per gli Stati membri”. Tale orientamento, invero, si pone in linea con le pronunce con cui la Corte costituzionale ha riconosciuto alla legge di poter prevedere “limitazioni dell’affidamento diretto più estese di quelle comunitarie” (sentenza 17 novembre 2010, n. 325), dal momento che l’affidamento in regime di delegazione interorganica costituisce “un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica” (sentenza 20 marzo 2013, n. 46).

Del resto, in ordine alla compatibilità della normativa interna con il diritto euro-unitario per la possibilità del legislatore nazionale di imporre specifiche limitazioni all’affidamento in house di un servizio da parte di un’amministrazione aggiudicatrice, la Corte di Giustizia, nella sentenza 6 febbraio 2020 cause C-89/19 e C-91/19, ha affermato che gli Stati membri sono autorizzati a subordinare la conclusione di una “operazione interna” per la prestazione di un servizio (tra cui, appunto, l’affidamento in house) “all’impossibilità di indire una gara d’appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificatamente connessi al ricorso all’operazione interna”.

7.4. Deve pertanto essere ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale posta dall’appellante con la prima censura, non ravvisandosi la violazione del divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare, anche in considerazione della giurisprudenza costituzionale che:

a) ritiene violato l’art. 75 Cost. nel momento in cui si introduce una nuova disciplina della materia, “senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina normativa preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti” (sentenza n. 68 del 1978), in palese contrasto, quindi, con l’intento perseguito mediante il referendum abrogativo;

b) riconosce che il legislatore ordinario, “pur dopo l’accoglimento della proposta referendaria, conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa abrogata” (sentenze n. 33 del 1993 e n. 32 del 1993).

8. In relazione al secondo motivo di appello, con cui il comune deduce la sufficienza e l’idoneità della motivazione, è necessario premettere che la giurisprudenza amministrativa sviluppatasi sul tema, in linea con quanto espresso sinora, ha riconosciuto il carattere subalterno dell’affidamento in house e con riferimento al contenuto motivazionale, non mancando di dimostrare alcune minime divergenze quanto alla concreta definizione di esso, ha in generale escluso di dover circoscrivere l’affidamento diretto ai soli casi in cui, a causa di circostanze eccezionali, sia di fatto precluso un “efficace e utile ricorso al mercato” (cfr. art. 23-bis cit.).

Invero, si afferma che nell’attuale quadro normativo è imposto all’amministrazione aggiudicatrice che intenda ricorre all’affidamento diretto un onere motivazionale rafforzato, che consenta un “penetrante controllo della scelta effettuata … anzitutto sul piano dell’efficienza amministrativa e del razionale impiego delle risorse pubbliche” (Cons. Stato, comm. spec., parere 1° aprile 2016, n. 464), come si ricava dal combinato disposto dell’art. 192, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016 e dall’art. 34, comma 20, d.l. n. 179 del 2012, in particolare consistente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 dicembre 2020, n. 8028; sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257):

a) nell’esporre le ragioni di preferenza per l’affidamento in house rispetto al ricorso all’evidenza pubblica in punto di convenienza economica, di efficienza e qualità del servizio, così dando “dimostrazione della ragionevolezza economica della scelta compiuta” (Cons. Stato, sez. consultiva atti normativi, parere n. 774 del 29 marzo 2017) ed esplicitando le ragioni dell’esclusione del ricorso al mercato;

b) nell’esplicitare i benefici per la collettività derivanti da tale forma di affidamento, in tal modo esplicitando la finalizzazione dell’istituto al perseguimento di obiettivi di carattere latamente sociale, percepibili al di fuori della dimensione meramente organizzativa dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 marzo 2021, n. 2102).

In particolare, con specifico riferimento alla prospettiva economica, si richiede all’amministrazione di valutare la convenienza dell’affidamento del servizio secondo lo schema dell’in house rispetto all’alternativa costituita dal ricorso al mercato, attraverso una comparazione tra dati da svolgersi mettendo a confronto operatori privati operanti nel medesimo territorio, al fine di dimostrare che quello fornito dalla società in house è il più economicamente conveniente ed in grado di garantire la migliore qualità ed efficienza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 novembre 2018, n. 6456, secondo cui “è onere dell’autorità amministrativa affidante quello di rendere comunque comparabili i dati su cui il confronto viene svolto”, con necessaria allegazione di “dati di dettaglio”).

Del resto, una diversa interpretazione dell’art. 192, comma 2, che condurrebbe a richiedere - piuttosto che la prova della ragionevolezza economica della scelta compiuta - la dimostrazione del fallimento del mercato tale da rendere inevitabile il ricorso all’affidamento diretto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 gennaio 2019, n.138, nella prospettiva di sollevare la questione interpretativa pregiudiziale alla Corte di Giustizia), renderebbe tale norma sostanzialmente riproduttiva della previsione di cui all’art. 23-bis e si rivelerebbe antitetica alla volontà popolare espressa con il referendum del 12 e 13 giugno 2011.

8.1. Ciò premesso, si rileva che il comune appellante, al fine di dimostrare il pieno adempimento dell’obbligo motivazionale, indica le previsioni di cui:

a) al punto 5.2 della relazione allegata alla delibera n. 24/2018 (pag. 58), sostenendo che ivi si affronterebbe il tema della “motivazione della scelta tra concorrenza nel mercato e affidamento in house”, analizzando tutti i principali benefici per il comune derivanti dall’affidamento diretto del servizio (costi, durata, gestione del rapporto, controllo diretto, flessibilità, etc.);

b) al punto 5.3 della stessa relazione, ove sarebbe stata riassunta la valutazione della proposta di SAT, rivelatasi congrua e conveniente “anche in una logica di confronto e di benchmark”;

c) alla delibera consiliare n. 8/2018, che avrebbe contenuto una illustrazione delle ragioni della convenienza dell’affidamento in house e della qualità del servizio proposto, e, in particolare, al punto 3.2. della allegata relazione, ove sarebbe state passate in rassegna tutte le possibili forme di gestione del servizio, precisando che le precedenti esperienze di affidamento a soggetti privati avevano mostrato limiti e difficoltà sotto il profilo della efficienza, dell’efficacia e della governance gestionale (segnalando a tal fine: le premesse della delibera di Giunta n. 426/2017, la relazione allegata alla delibera n. 8/2018, al punto 2.2, nonché le numerose diffide e segnalazioni di disservizi ed inottemperanze).

8.2. Passando ad analizzare partitamente le due relazioni citate dall’appellante, il Collegio ravvisa in primo luogo, quanto alla relazione allegata alla delibera n. 24/2018, che:

a) al punto 3.1.3, recante “Comparazione tecnico-qualitativa tra l’attuale servizio e quello offerto da SAT Spa”, si comparano le due distinte modalità di affidamento esclusivamente analizzando le modalità di gestione che verrebbero garantite per l’erogazione del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani;

b) al punto 3.1.5., recante “Standard quantitativi nel comune di Albenga”, si considera l’esperienza maturata da SAT nella gestione del servizio e la relativa efficienza ed efficacia, data anche dalla disponibilità immediata di tutti i necessari mezzi tecnici, operativi e organizzativi e dal persistente mantenimento dell’equilibrio economico finanziario;

c) al punto 4.3, recante “L’osservanza dei requisiti europei rispetto alla modalità di affidamento scelta”, in particolare al punto 5, al fine di valutare la congruità economica dell’offerta proposta da SAT, vengono presi in considerazione i singoli costi per l’erogazione del servizio, tenendo conto del valore residuo dei mezzi, attrezzature e strutture, che resteranno di proprietà comunale, al termine del periodo di ammortamento, e dei maggiori servizi proposti; il comune evidenzia inoltre la minore onerosità dell’appalto in essere al servizio proposto da SAT, tuttavia rappresentando che tale economicità, dovuta anche al progressivo incremento negli anni di alcune voci fondamentali, ha costituito un limite dell’appalto stesso in termini di efficienza;

d) al punto 5 (“Sezione d. Analisi di efficienza ed economicità della scelta. Motivazione economico finanziaria”), il comune, pur riconoscendo la necessità in caso di affidamento diretto di “dimostrare la sussistenza dei presupposti di convenienza economica rispetto ad altri possibili modelli gestionali”, e in particolare al punto 5.2., al fine di motivare la scelta a favore dell’affidamento del servizio in house rispetto a quella dell’affidamento del servizio con gara ad evidenza pubblica,

indica come vantaggi esclusivamente: la progettazione dei servizi in sinergia tra il comune e la società affidataria; la presenza di costi irrisori iniziali per la partecipazione dell’ente nella società; il fatto che, a parità di efficacia dei servizi erogati, la società pubblica affidataria non ha come obiettivo la produzione di utili, con la conseguenza che il vantaggio economico dell’ente dipende dall’efficienza dell’affidatario, quale elemento direttamente valutabile dal comune; la flessibilità e la tempestiva modificabilità delle richieste operative; il “controllo analogo”, che consente al comune un’ingerenza sul servizio più penetrante di quello praticabile su di un soggetto terzo, in quanto esteso agli atti sociali e non rigidamente vincolato al rispetto del contratto di concessione; la partecipazione attiva del comune alla definizione delle strategie aziendali durante le riunioni dell’assemblea dei soci e del CRC (consiglio dei rappresentanti dei comuni); la possibilità per l’azienda partecipata di effettuare investimenti strutturali e funzionali, con i quali perseguire obiettivi strategici di lungo termine; la possibilità per l’ente di vendere in ogni momento le proprie quote e procedere ad un affidamento tramite gara; l’accessibilità, la disponibilità e l’universalità del servizio offerto dalla società;

e) al punto 5.3 (“Strumenti per la valutazione di efficienza ed economicità”), viene indicato il costo che il comune sosterrà a seguito dell’affidamento diretto e, al fine di dimostrarne la convenienza economica, si effettua:

e.1) una analisi comparativa su scala nazionale, mediante l’utilizzo dei dati del rapporto rifiuti urbani dell’ISPRA per il 2017, da cui si ricava l’efficienza di SAT in materia di raccolta differenziata, sia rispetto allo standard regionale, che alle medie differenziate per il nord, il centro e il sud del Paese;

e.2) una analisi di benchmark tra i gestori della raccolta dei rifiuti della provincia di Savona, da cui emerge che la società SAT presenta costi di produzione inferiori.

8.2.1. Quanto invece alla relazione allegata alla delibera n. 8/2018, si rileva che nella stessa si descrivono puntualmente le caratteristiche e l’attività della società SAT e il nuovo sistema di raccolta differenziata proposto dalla stessa (che dovrebbe portare ad un considerevole incremento della percentuale di raccolta differenziata), concludendo con l’affermazione che “SAT è la migliore società pubblica presente nel territorio provinciale che possa garantire le modalità del servizio dal punto di vista operativo-gestionale”. Inoltre, al punto 3 (“Convenienza economica e sostenibilità finanziaria della scelta”), il comune giunge ad affermare che l’affidamento diretto alla SAT rappresenta “un’operazione conveniente dal punto di vista economico, se confrontata con le possibili alternative all’affidamento in house, ovvero gestione diretta del servizio e gara d’appalto” sulla base della mera constatazione che “l’affidamento del servizio con gara ad evidenza pubblica e/o la costituzione di una società mista comporterebbero un impegno organizzativo e gestionale che ha già mostrato diversi limiti e problematiche, attese le difficoltà emerse nel corso della gestione con la società mista Ecoalbenga spa, ora in liquidazione, e con l’attuale gestore privato del servizio”. Infine, in merito alla valutazione della congruità economica dell’offerta della società SAT il comune ribadisce quanto già descritto nella precedente relazione con riferimento ai costi di gestione, alla maggiore onerosità rispetto all’appalto attualmente in essere, anche in considerazione dell’incremento di alcune voci fondamentali e dal carattere innovativo e migliorativo del nuovo servizio offerto dalla SAT.

8.3. Alla luce di quanto descritto, il Collegio ritiene di dover condividere le argomentazioni del primo giudice in ordine alla insufficienza della motivazione della scelta per l’affidamento diretto alla società SAT, avendo il comune concentrato (e limitato) le proprie valutazioni sull’efficienza di questa in materia di raccolta differenziata con l’obiettivo di ponderare la “congruità economica dell’offerta proposta da SAT”, a tal fine utilizzando un campione costituito da imprese private e società in house (rapporto rifiuti urbani dell’ISPRA), e sui costi di produzione (calcolati su tonnellata di RSU raccolta e in rapporto alla popolazione servita), prendendo come benchmark altre due società in house operanti nella provincia di Savona.

La motivazione addotta dall’ente, pertanto, non soddisfa i citati requisiti richiesti dall’art. 192, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, atteso che si omette di esplicitare, attraverso un’analisi economica approfondita basata su dati oggettivi e non elusiva del disposto normativo, le ragioni di preferenza per l’affidamento in house rispetto al ricorso all’evidenza pubblica in punto di convenienza economica, di efficienza e qualità del servizio. Come visto, il comune si limita infatti, con affermazioni per lo più generiche e riferibili allo schema dell’in house in generale, ad evidenziare i vantaggi dell’affidamento alla società SAT, senza procedere, sviluppando in termini concreti un’indagine quali-quantitativa, ad esplicitare le ragioni della preferibilità di esso rispetto al ricorso al mercato.

9. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.

10. La parziale novità della questione oggetto della controversia giustifica l’integrale compensazione delle spese del secondo grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello (r.g. n. 2508/2021), come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti le spese del secondo grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso dal Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2021 svoltasi ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:

Roberto Giovagnoli, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere, Estensore

Silvia Martino, Consigliere